L'arco Nelle Nubi

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Un grosso mazzo di fiori per Concetta, una bottiglia per Amedeo.

"E' l'elisir fatto dal sottoscritto, farmacista a Canelli".

Aveva detto Luigi dando il pacchetto ad Amedeo.

"E questo" -proseguì commosso- "da parte di Vittorio e nostra, ma soprattutto di Maria, é per Gioia, felici che venga ad essere la gioia di Vittorio, e anche nostra che abbiamo solo due figli maschi.

Porse ad Amedeo una scatoletta di cuoio antico, perché la desse alla figlia.

Gioia aprì il piccolo cofanetto, e sul velluto blu cielo apparve uno splendido anello, di meravigliosa fattura, con un diamante scintillante di un perfetto taglio marquise.

"E' roba della famiglia" -disse Luigi- "che passa di primogenito in primogenito, perché adorni il dito della sua sposa. Ora é di Gioia, con l'augurio che possa trasmetterlo alla sua prima figlia o prima nuora. In quanto ad Antonio, il nostro secondo ragazzo, che studia farmacia e sta sostituendomi a Canelli, dovrà accontentarsi di altro. Avrei voluto che fosse Vittorio a succedermi nella farmacia, ma lui ha scelto diversamente e io, logicamente, non mi sono opposto. A Vittorio spetta una quota delle rendite che ricaviamo dai vigneti e un quarto del reddito netto della farmacia. Ora vorremmo pregarvi, se non vi dispiace, di accogliere il desiderio di Vittorio, che intende rinunciare, nei dovuti modi, alla dote richiesta dalle vigenti disposizioni."

Amedeo sorrise e fece un cenno con la mano:

"Dote che é e resterà sempre a disposizione dello sposo."

Luigi abbassò amabilmente il capo: "Come desiderate, vuol dire che i ragazzi avranno di che stare meglio. Ma lasciamo le donne a parlare di nozze e noi andiamo di là a fumare un sigaro."

"Venga, dottore" Disse Amedeo, ma fu interrotto da una cordiale pacca sulla spalla.

"Oé, Amedeo, mi chiamo Luigi, e pure se a Torino ci si dà del lei anche dopo cent'anni, da noi, a Canelli, o ci si scambia il tu o non si é amici."

"Certo dottore... certo Luigi, ma io sono solo un sottufficiale dell'Arma, e già non mi sento a mio agio per il fatto che mia figlia sposi un ufficiale. Adesso, dimenticare, io che ho fatto solo tre anni dopo le elementari, che parlo con un dottore farmacista..."

"Amedeo, ma non credi che i nostri figli già si diano del tu, e da tempo? E allora, perché i loro genitori dovrebbero trattarsi quasi come estranei o come se fossero Re e Regine. a parte che in certi momenti il tu se lo daranno anche loro. Non credi, Amedeo, che anche il Re glielo dà alla Regina?"

E giù una gran risata.

Amedeo sorrise, ma era certo che non si trattava di Re Vittorio.

VII

I giorni, che trascorrevano troppo velocemente per tanti, sembravano interminabili. Le notizie giungevano irregolarmente. Amedeo e Concetta s'erano promessi di scriversi ogni giorno, ma a volte passavano giorni e giorni senza ricevere niente, e poi giungevano più lettere insieme.

Gioia taceva a tutti quante lettere riceveva, e alcune volte lei ne spediva anche due nella stessa giornata.

Le notti di Concetta erano senza fine. Pregava ininterrottamente per cercare di allontanare le preoccupazioni che la tormentavano. Chissà come stava Amedeo, se la ricordava, se la desiderava come lei desiderava lui. Ogni ora s'invecchia un poco e quello che non si fa é perduto per sempre. Forse, alla sua età non doveva più pensare a certe cose. Aveva una figlia che stava per sposarsi, ma lei ancora sentiva d'impazzire per la mancanza del marito. O d'un uomo? Come capiva sua nonna, che a ottant'anni non andava a letto senza il marito perché lo voleva sentire 'azzeccato' a lei, sempre.

I preparativi delle nozze erano a buon punto. Per la data, però, bisognava conoscere il ritorno di Vittorio e mettersi d'accordo con lui, e con i suoi familiari.

Maria Viglieri mostrava un certo disinteresse per il corredo della nuora, e dichiarava che quello che conta sono le doti e non la dote, ma ammirava quanto Gioia le andava mostrando, e ne apprezzava qualità e ricami, annotandone mentalmente la consistenza.

Concetta capiva tutto, comunque gradiva il comportamento della consuocera. Al suo paese tutto sarebbe stato accolto con sufficienza, con qualche riserva sulla qualità e sul numero dei 'capi'. Non bisognava mai mostrarsi completamente soddisfatti, altrimenti gli altri avrebbero creduto di avere a che fare con gente di buona bocca, o che non aveva mai veduto cose fini.

Le cose, in Libia, andavano abbastanza bene, anche se quelle che venivano chiamate operazioni di 'grande polizia' si mostravano meno facili del previsto. Era necessario usare 'mano forte' per snidare chi s'opponeva con imboscate e attentati all'occupazione che andavano completando le truppe di Sua Maestà.

Qualcuno si dichiarava sorpreso che questi 'sporchi africani' non capissero quanto meglio di adesso sarebbero stati sotto gli Italiani. Amedeo ascoltava in silenzio, ma pensava tra sé che non erano stati i Libici a chiamarli nel loro paese, e che in Calabria i Piemontesi non erano, poi, considerati tanto diversamente da come lo erano gli Italiani in Libia. E si rimproverava di avere tali idee.

"Usi a obbedir tacendo...", diceva il motto dell'Arma. Più d'uno, qui, ne attuava anche la seconda parte e moriva tacendo.

Alcuni scontri erano stati molto duri. Spesso le cose erano state prese alla leggera, credendo che pochi selvaggi, male armati, sarebbero stati travolti al grido di "Savoia!". Questi 'selvaggi' difendevano selvaggiamente non solo la propria terra, ma la propria religione, le proprie usanze, le proprie tradizioni, le proprie donne, in una guerra santa combattuta in nome di 'Allah grande e misericordioso'. Certi che le Urì fossero ad attenderli nel loro paradiso, all'ombra delle spade.

Molti soldati non capivano che spesso 'donna' voleva dire 'imboscata', dalla quale se riuscivi a salvare la vita non riuscivi a riportare a casa i genitali.

Il clima, la scarsità d'acqua, e mille altre ragioni favorivano il diffondersi di malattie, soprattutto intestinali e della pelle. Chi era qui non cantava, certo, la canzone che aveva intonato alla partenza: "Tripoli, bel suol d'amore...!"

Gli zaptié erano i gendarmi indigeni, quelli che avevano aderito all'invasione italiana in cambio d'una divisa, un fucile, una paga e, qualche volta, un cavallo. La loro era una posizione difficile: considerati 'con riserva' dagli Italiani, odiati come traditori dai patrioti libici.

I compiti di Viglieri e Devoto non erano semplici. Si trattava di vera e propria polizia militare all'interno delle forze armate della spedizione e di raccolta d'informazione, tra gli Italiani e tra i locali, con l'aiuto di zaptiè infiltrati che spesso venivano ritrovati impiccati e senza lingua. C'erano, poi, i 'rastrellamenti', come erano chiamate le azioni dell'esercito alle quali partecipavano anche i Carabinieri.

Il Comando non aveva chiara conoscenza dei luoghi e la strategia trascurava spesso la realtà della situazione e delle genti. La tattica non aveva tratto alcun insegnamento dalle ingenuità spocchiose che avevano avuto in Adua le conseguenze più evidenti.

Era necessario rendere sicura la strada per Iefren, centro dell'interno a circa 125 chilometri da Tripoli. Per ottenere ciò bisognava stabilire un solido distaccamento a El Azizia, realizzando un fortino e costituendo a difesa molte delle grotte scavate nella roccia, che la popolazione locale usava come abitazione. Per il momento, si sarebbe trascurato la banda di 'ribelli' annidati nel Garian, con comando a Beni Ulid, perché troppo lontana da El Azizia e, quindi, non in grado di soccorrere in tempo utile gli altri scalmanati. Nell'operazione sarebbero stati impiegati due battaglioni di fanteria, una batteria someggiata, un plotone di zappatori, e quanto serviva per assicurare comunicazioni e segnalazioni. Le salmerie avrebbero provveduto al vettovagliamento e ai rifornimenti. Il reparto di Carabinieri, rinforzato da due squadre di zaptié, era comandato dal Tenente Viglieri con a fianco l'inseparabile Maresciallo Maggiore Devoto. Il compito era di stabilire 'punti' e 'compiti' di sorveglianza e difesa della strada per Tripoli, e assicurare l'osservanza del codice militare vigente in tempo di guerra.

Viglieri aveva inviato alcuni zaptié, non in divisa, a raccogliere informazioni sullo stato delle cose esistente nella zona. Le notizie che erano state riportate avrebbero dovuto far riflettere a lungo. Infatti, i numerosissimi ribelli, di cui tutti sapevano l'esistenza, non erano stati individuati in nessun luogo, il ché significava, per gli zaptié, che erano dovunque.

Il Colonnello Giordano, comandante della colonna, si mostrò infastidito per l'iniziativa di Viglieri quando questi gli riferì le informazioni. Scosse la testa e ordinò di far precedere la colonna da zaptié in divisa per intimorire eventuali malpensanti e togliere loro qualsiasi velleità d'attacco.

Devoto non perse neppure una parola di quel colloquio, e lo riportò testualmente sul 'diario storico'. Di quella pagina fece copia che, firmata dal Tenente, inviò con un portaordini al Comando dei Carabinieri Reali della Libia.

Viglieri, comunque, fece indossare il costume locale ad alcuni zaptiè e li mandò in avanscoperta, con almeno due ore di vantaggio sulla colonna, col compito di segnalare tutto quanto vedevano, con i maggiori possibili dettagli. Altri zaptié, in divisa, dovevano esplorare i dintorni, a breve raggio, e mantenersi in contatto continuo con lui.

Anche queste disposizioni furono diligentemente annotate sul 'diario'.

In ogni caso, non ci si era ancora mossi dal luogo di partenza.

Quando fu ritenuto tutto pronto, si ordinò l'adunata. Ufficiali e sottufficiali avevano controllato che ogni cosa fosse in ordine: armi e munizioni, zaino e tascapane, borraccia, razione viveri. Ognuno doveva indossare le 'pezze da piedi', perché l'incredibile abitudine di alcuni, di calzare le scarpe a piedi nudi, provocava abrasioni, piaghe, infezioni. Le fasce che avvolgevano le gambe dovevano essere aderenti ma non strette.

In breve tempo erano schierati tutti: uomini, muli e carrette, su tre lati d'un quadrato, ma dovettero attendere a lungo prima di veder comparire il Colonnello e alcuni Ufficiali del Comando. Ci fu un 'presentat-arm' abbastanza accettabile, e quindi il 'riposo'.

Invece di dare subito l'ordine della partenza, Giordano cominciò a parlare tra il disinteresse di tutti, anche perché, malgrado si sforzasse quasi di gridare, si sentiva poco e male. I più attenti erano gli zaptié e i muli.

Devoto cercava di afferrare almeno il concetto di quel discorso, perché avrebbe dovuto riportarlo sul 'diario'. Passarono più di quaranta minuti, mentre il sole, inesorabile andava sempre più infuocandosi nel cielo.

Gli uomini, anche quelli che qualcosa erano riusciti a sentire, non sembravano convinti di andare a fare 'una passeggiata dimostrativa'. Erano scocciati per tutto quel tempo perduto in schieramenti e chiacchiere, invece di iniziare la marcia nelle ore più fresche.

La pista era polverosa, faticosa, difficilissima per le carrette che restavano sempre più distaccate dal grosso. Viglieri dispose una scorta ai carriaggi. Il resto della colonna arrancava, inutilmente spronato a cantare. In testa, a cavallo, il Comandante, il suo aiutante, alcuni Ufficiali.

Giorgiutt, il maggiore degli alpini che comandava la batteria someggiata, aveva affidato il proprio cavallo a un conducente, e s'era messo a camminare tra i suoi uomini, pensieroso, con la penna bianca che svettava sul pesante berretto grigioverde che non aveva voluto cambiare con un copricapo più leggero.

Faceva abbastanza caldo, e più ci si allontanava dal mare più caldo era il giorno e fredda la notte.

Si era partiti in ritardo e si cercava, senza molta fortuna, di forzare l'andatura e ridurre le soste. Si sperava di raggiungere alcuni pozzi prima del tramonto.

Le precauzioni di Viglieri si rivelarono preziose. A circa quattro ore dal punto di bivacco, fu informato che i pozzi erano stati insabbiati, e inquinati con carogne putrescenti.

Nonostante la novità, Giordano decise di proseguire e si dovette faticare molto per convincerlo a fermarsi dov'erano giunti, a predisporre l'accampamento, circondarlo con sentinelle, realizzare ripari per le mitragliatrici e attendere i carriaggi. Era visibilmente contrariato e non aveva accettato di buon grado i consigli dei suoi collaboratori. Alla fine aveva concluso minacciosamente: "Se le informazioni di Viglieri non sono esatte...."

Ma non proseguì.

Le carrette arrivarono con molto ritardo, quando era quasi notte. Fu deciso che l'indomani sarebbe stata distribuita una razione d'acqua, prelevandola dalla riserva. I pozzi inutilizzabili costituivano un grosso problema.

Tornarono alcuni zaptié 'in borghese'. Parlarono a lungo con Viglieri e Devoto e poi si allontanarono nuovamente verso sud.

Viglieri informò l'Aiutante Maggiore e questi, con lui, andò a parlare coi comandanti di battaglione e dell'artiglieria. Non era ancora sorto il sole quando l'Aiutante Maggiore, Meccia, fece svegliare Giordano e si presentò subito a lui. Non aveva voluto svegliarlo prima, gli disse, data la pesante giornata che era trascorsa e le fatiche che lo attendevano. Per fortuna, il Signor Colonnello poteva contare su bravissimi e disponibilissimi collaboratori che cercavano di liberare il Comandante dalle seccature di minor conto. Infatti, erano stati tutti d'accordo a inviare una squadra in avanscoperta, per vedere come stavano le cose nei dintorni, e riferire al Signor Colonnello. Per questo, il Tenente Viglieri in persona era partito con alcuni Carabinieri, lasciando il comando del reparto al Maresciallo Devoto. L'accordo era che avrebbe raggiunto la colonna lungo la strada, una volta ripresa la marcia, salvo diversa necessità. Giordano ascoltò con le mascelle serrate e poi parlò con voce roca e bassa. "Voglio subito farle rilevare, caro Meccia, che avete fatto tutto senza informarmi e non saprei come definire questo comportamento, né sono in grado di giudicare decisioni che non ho adottato io. In ogni modo, e solo per sdrammatizzare, voglio sperare che almeno il Tenente Colonnello Rossi, come più anziano, abbia valutato prima di decidere. Si assicuri che tutto sia riportato sul 'diario', perché é molto probabile che di ciò dovremo riparlarne al ritorno e nella sede competente."

L'acqua era stata distribuita, il caffè caldo consumato, gli zaini affardellati, le postazioni sguarnite, le sentinelle ritirate.

Il trombettiere dette il segnale di rimettersi in marcia.

* * *

Viglieri, Carabinieri e zaptié a cavallo, seguendo le informazioni ricevute, s'erano diretti verso ovest dove, non riportate sulla carta, c'era delle ottime sorgenti d'acqua. Il posto si discostava alquanto dalla direttrice di marcia, ma era l'unico dove potersi rifornire, ed eventualmente sostare.

L'acqua era pulita e abbondante, intorno un po' di vegetazione bassa e qualche albero. Tutto in una piccola conca circondata da alture sabbiose e pietrose. Era quasi impossibile scorgere l'acqua, da lontano. Bisognava giungere sul crinale delle dune, per vederla. Per una buona difesa ci sarebbero volute delle mitragliatrici. In mancanza, Viglieri scelse dei punti dominanti dove mise a guardia Carabinieri e zaptié, con la consegna di non far avvicinare nessuno all'acqua. Il Vicebrigadiere Cocuzza era incaricato di far eseguire quanto comandato. Lui e uno zaptié sarebbero tornati sulla pista, per incontrare la colonna e informare il Colonnello. Se necessario, avrebbero tentato di comunicare con l'eliografo.

* * *

Giordano rispose appena al saluto di Viglieri che, restando a cavallo, gli riferì l'esito dell'esplorazione.

"E così, Viglieri, abbiamo indebolito le nostre difese, abbiamo distolto Carabinieri e zaptié dalla scorta alla colonna. Comprendo che abbiate obbedito all'ordine del Tenente Colonnello Rossi, che mi sostituisce in caso di assenza o necessità, ma in sostanza non so cosa farne di rifornimenti così distanti dalla direttrice che debbo seguire. Bisogna richiamare, quindi, gli uomini dispersi tra le dune. E poi, chi mi assicura che l'acqua non sia avvelenata?"

Discorso duro, tutto d'un fiato.

"Che l'acqua non sia avvelenata, Signor Colonnello, lo dimostra il fatto che io sono ancora vivo e in buona salute, dopo averla bevuta da diverse ore."

Rossi e Meccia, che avevano assistito al colloquio, chiesero quanto fossero distanti le sorgenti.

"Tre ore di marcia." Rispose Viglieri.

"Quindi" -osservò Giordano- "tra andata e ritorno perderemmo una giornata."

"In effetti" -disse Viglieri- "sarebbe solo mezza giornata, perché percorreremmo i lati d'un triangolo equilatero per riprendere la pista molto più a sud di dove siamo."

"Tenente" -intervenne Rossi- "andate tutti a riposare. Il Signor Colonnello vi farà sapere la sua decisione. Grazie."

* * *

S'erano attendati intorno all'acqua, a circa cento metri dalle sorgenti. Sul crinale, tutt'intorno, erano state dislocate sentinelle e mitragliatrici a difesa degli uomini e della quiete indispensabile per un'opportuna riorganizzazione, soprattutto delle idee. Si poteva bere, lavarsi, farsi la barba, riempire borracce e riserve. Si doveva prendere l'acqua e allontanarsi, per lavarsi. Non bere direttamente dalla fonte, ma usando gavettini e gavette, non le borracce perché il panno che le avvolgeva era sempre sporco. Colore, limpidezza e sapore, deponevano a favore della qualità e nessuno usò pastiglie disinfettanti. I muli avevano bevuto a sazietà e guardavano grati i conducenti che li rinfrescavano.

Le cucine da campo prepararono un rancio caldo, il caffè fu meno schifoso del solito. La sera si sentì qualche coro, mentre le sentinelle vigilavano attente e gli zaptié in vesti indigene si accertavano che non vi fosse nessuno in avvicinamento.

Giordano aveva girato tra gli uomini, facendo loro segno di restare seduti, domandando qualche notizia, come stavano in salute, col morale, se fossero soddisfatti del vestiario e del rancio. Le risposte erano tutte scontatamente positive e lui si allontanava, contento, battendo il frustino sui gambali.

* * *

Tornare sulla pista aveva richiesto meno tempo del previsto. Le ruote delle carrette erano state rivestite di stracci e, quindi, s'insabbiavano di meno.

Erano in sosta, nel momento più caldo della giornata, quando tornarono al galoppo due zaptié in divisa, riferendo che i colleghi in borghese segnalavano un grosso gruppo di uomini a cavallo, armati, appostati dietro una duna che sovrastava la pista, a circa due ore di marcia. Dovevano essere uomini di Ibn Alì el Agi , un personaggio che raccoglieva molti consensi, circondato da un'aureola di particolare deferenza, anche perché era stato pellegrino alla Mecca. Ibn Alì el Agi osservava scrupolosamente le preghiere stabilite dal Profeta, 'nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso', e con la sua spada avrebbe ricacciato in mare gli invasori.

Giordano chiamò a rapporto gli Ufficiali.

Ci si costituì a difesa: su un piccolo rialzo sassoso l'osservatorio e la batteria di cannoni. Poco più in basso, postazioni di mitragliatrici che non lasciavano angoli morti. Intorno, quasi a cerchio chiuso, il resto degli uomini protetto da altre mitragliatrici dislocate su quelle che potevano considerarsi le punte di una 'stella'. Ai piedi della duna, in posizione defilata, la tenda dell'infermeria.

"E' per scaramanzia."

Aveva detto Giorgiutt salendo verso la batteria, con le mani in tasca.

Sentinelle abbinate, a breve distanza. Ordine di non accendere fuochi, di non fumare, di restare vestiti e con le armi vicine, curando di non farle insabbiare.

Viglieri parlò a lungo con Rossi, Meccia e Giorgiutt, poi Rossi andò dal Colonnello e quando tornò autorizzò l'uscita di un drappello, per esplorare i dintorni.

Carabinieri, zaptié e Viglieri si avviarono lentamente e silenziosamente, a cavallo, verso sud-est, invisibili nella notte senza luna, nella sabbia che andava sempre più raffreddandosi. Erano armati con moschetto '91 e pistola d'ordinanza, quella a tamburo, e portavano molte munizioni, sia nelle giberne che nelle bisacce delle selle.

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