L'arco Nelle Nubi

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Le bocche si staccavano solo per cercare dove ancora lambire, dove baciare. I corpi s'avvinghiavano e si lasciavano. Quando tutto sembrò compiuto, lei gli fu sopra, rannicchiata sulle ginocchia. Lo voleva sentire ancora, anche così, nel riposo naturale del corpo. Lui la strinse a sé, serrandole il seno, carezzandole i capezzoli, frugandole tra le gambe.

"Amedeo, ho la prova della certezza. Giovanni é in me. Dobbiamo proseguirne la fabbricazione... dev'essere un gigante..."

Amedeo pensò che Concetta s'era sbagliata. Giovanni? Forse voleva dire Umberto, come Sua Maestà. Ma lasciò correre, perché quella vicinanza aveva risvegliato prepotentemente i sensi. Di tutti e due.

La luce del giorno cominciava a filtrare dalla finestra velata dalle tende. Amedeo dormiva, ma seguitava a stringere Concetta fra le sue braccia, quasi temesse che potesse fuggire.

Concetta sentiva Amedeo e, a modo suo, lo stringeva in sé, lo custodiva in sé. Aveva dormito pochissimo. Un leggero assopimento turbato dal pensiero che la inebriava e, nel frattempo, la spaventava: Giovanni.

La tomba, al paese, era, per lei, solo un simulacro che conteneva resti sacri, ma poveri e inutili. Quello che aveva animato il vecchio Giovanni, il suo spirito, la sua vita, tutto il suo essere, stava materializzandosi di nuovo. In lei. Era già materia, in meravigliosa evoluzione.

Concetta non sapeva nulla della trasmigrazione delle anime. La sua religione era semplice, la sua fede non chiedeva né cercava perché. Tutto quello che accadeva, doveva accadere.

Malgrado avesse vissuto tra la sua gente, tra chi applicava spietatamente l'occhio per occhio dente per dente, non condivideva la vendetta: distruggere anche chi ha solo tentato di farti del male. Lei pensava che ognuno può dare solo quello che ha, quindi chi ha solo cattiveria e invidia, può dare solo invidia e cattiveria. Non aveva idee chiare sull'anima, sullo spirito. Credeva, però, nell'immortalità del soffio di Dio. Il soffio che aveva dato la vita al vecchio Giovanni non era finito con lui, quindi poteva ben divenire il soffio del nuovo Giovanni. E non era tutto. Se la somiglianza del figlio ai genitori é dovuta a qualcosa che si tramanda da padre in figlio, quello che lei aveva ricevuto dal padre poteva ben trasmetterlo al figlio che il Signore gli aveva consentito di concepire, confermandole la sua missione di madre e di sposa. Lei, grata alla Provvidenza che le aveva fatto incontrare Amedeo, il mezzo per portare a termine la sua missione, aveva implorato Dio: "Ti prego, trasmetti in me la vita che hai tolto a mio padre, dammi un segno della tua bontà, della tua generosità, della tua grandezza, della tua onnipotenza. Tu che hai voluto generare della stessa tua sostanza, nel grembo d'una vergine, il tuo unico figlio, fammi generare un figlio che possa continuare la vita di mio padre. Amen".

* * *

Giovanni era sano e robusto. I genitori ce l'avevano messa tutta per costruirlo così bene, e così sodo.

Intorno al letto della madre, vicino alla culla che era già stata d'Amedeo, un po' rozza ma d'ottimo legno, c'erano tutti: Gioia, che mostrava molto più dei suoi undici anni; Jolanda, che ne aveva appena compiuto otto; Elena, di quasi quattro, e la zia Cristina, divenuta la beniamina delle bambine. Giovanni sembrava vedere, sentire e capire tutto. Con i piccoli paffuti pugni serrati, girava lo sguardo intorno, come volesse bene imprimersi nella mente le fisionomie di chi stava ad ammirarlo. Aveva da poco terminato la sua prima poppata: un succhio forte, lungo, ben cadenzato.

Mentre lui veniva al mondo, la Calabria era scossa da un violento terremoto.

VI

Amedeo era sempre desideroso di apprendere. Leggeva attentamente i testi scolastici di Gioia, riusciva ad avere in prestito i libri dalla biblioteca degli Ufficiali, acquistava pubblicazioni d'ogni tipo, dalla "grammatica e sintassi della lingua italiana" alla "collana d'autori antichi e moderni". Aveva una piccola raccolta di volumi di Geografia, Storia, il Manuale ad uso degli ufficiali di polizia giudiziaria, il testo commentato dello Statuto del Regno d'Italia. Sfogliava attentamente la Gazzetta Ufficiale e prendeva appunti; conosceva benissimo i regolamenti militari e soprattutto quelli dell'Arma; aveva una memoria ferrea per i "precedenti", e sapeva collegarli intelligentemente e organicamente. Si esprimeva e scriveva con chiarezza e proprietà di linguaggio. Se avesse avuto il grado necessario, sarebbe stato in grado di comandare una Compagnia. E meglio di tanti altri.

Alla Legione era il "bùgia nèn" del Comando, perché non si era più mosso da Torino, vedendo avvicendarsi ufficiali e sottufficiali. Era all' "Ufficio Comando" da quando vi era stato assegnato dal Colonnello Arisio, e ne rappresentava la "continuità" e la "memoria storica", come scherzosamente gli dicevano.

Gioia insegnava nella Scuola Elementare Comunale Margherita di Savoia. Era una bella ragazza, non insensibile, pur nella sua riservatezza, alle attenzioni e soprattutto alle occhiate e alle strette di mano, non appena se ne presentava l'occasione, del Tenente Viglieri.

Jolanda stava per terminare le magistrali. Ottimi voti, con particolare menzione per la lingua francese. Carattere forte e deciso, cercava di ottenere dal padre l'autorizzazione a seguire il corso per infermiere professionali. Col suo titolo di studio e con la sua volontà sarebbe divenuta presto un "capo".

Anche Elena seguiva l'iter scolastico delle sorelle, ma non con la stessa facilità. Non sempre, inoltre, riusciva a nascondere l'invidiuzza che la rodeva, verso le compagne più dotate, che pur cercava di mascherare dietro il meschino tentativo di contrabbandarla per ironia e sarcasmo.

Giovanni era molto intelligente, studioso, di carattere aperto, allegro, amichevole. Un bel ragazzo, amante dell'atletica, sempre pronto a provare e riprovare attrezzi che impaurivano molti giovani più alti e grossi di lui. Si preparava agli esami d'ammissione alla scuola che voleva frequentare ad ogni costo per divenire "fisicomatematico" e poi iscriversi al politecnico e fare l'ingegnere. Non l'ufficiale dei Carabinieri, come voleva il padre.

Ad Amedeo non sfuggiva nulla.

Viglieri era un bravo ragazzo, molto preparato, con la prospettiva d'una brillante carriera, ma il dubbio era se i familiari di lui gli avrebbero permesso di sposare la figlia d'un sottufficiale, anche se bella e istruita, con un posto che molte le invidiavano, e la prescritta dote.

Gioia era bella, come la madre, ma forse, come dire, un po' meno sensuale, meno passionale. I suoi rapporti col padre erano di perfetta intesa. Non c'era stato mai un rimprovero per i suoi studi, per il suo comportamento. Concetta la considerava figlia-sorella. L'ascoltava attentamente e le diceva il proprio pensiero, senza imporre nulla. Le indicava la strada dettata dalla sua esperienza e dal buon senso, da una visione non distorta da simpatie o antipatie.

Jolanda oltre che bella era anche brava, un po' impulsiva, e soprattutto caparbia. Un vero incrocio tra Calabria e Piemonte. Era scontato che prima o poi avrebbero dovuto autorizzarla a frequentare il corso al quale la ragazza aspirava. Peccato, però, che avesse perduto tempo. Non era richiesto, per essere infermiera professionale, il diploma magistrale. Ma forse aveva ragione lei, Jolanda, che aspirava a posti di responsabilità. Concetta e Jolanda andavano perfettamente d'accordo, anche se, a volte, c'erano opinioni contrastanti che, pur senza divenire discussioni, lasciavano percepire una certa tensione. Il tutto si concludeva con Jolanda che faceva come le aveva detto la madre, anche se non lo condivideva, ma in un modo che sapeva più di dispetto che d'obbedienza.

Elena preoccupava Amedeo e Concetta. Quel suo starsene in disparte, la presunzione d'essere perfetta, il voler dimostrare, ad ogni costo, che erano gli altri, eventualmente, a sbagliare, quel parlare per frasi fatte, quell'essere quasi esageratamente gentile ed esuberantemente affettuosa con le sorelle, e ancor più col fratello, erano argomenti di lunghe conversazioni tra i coniugi. Non c'era, in effetti, nulla da rimproverarle. I modesti risultati scolastici erano dovuti -sosteneva Elena- al fatto che lei era antipatica alle insegnanti. In parte era anche così, ma solo per il modo di comportarsi della ragazza. Per i genitori c'era qualcosa che non riuscivano a comprendere bene, perciò dovevano osservare e attendere.

Giovanni era il "centro" di tutto e di tutti. Le sorelle lo avrebbero voluto coccolare ancora più di quanto già non facessero. Specie Elena, con quel suo eccessivo desiderio di possesso. Amedeo e Concetta avrebbero fatto qualsiasi sacrificio per lui. Giovanni, comunque, era contento così, non desiderava nulla più di quanto aveva. Era grato a Dio e ai genitori per la salute, la bellezza, l'intelligenza. Era sempre allegro, correva, saltava, abbracciava tutti, era espansivo, ma non sempre riusciva a sottrarsi alle pressanti attenzioni d'Elena che, in questo, si dimostrava molto più matura dell'età che aveva.

La "barca Devoto" solcava acque abbastanza tranquille, a volte increspate dagli eventi, ma mai squassate da burrasche.

I coniugi avevano a volte opinioni discordanti, e su molte cose, ma Concetta osservava scrupolosamente la linea di condotta che s'era imposta, mutuandola dalla prima parte del motto dell'Arma: "Usi a obbedir tacendo..". Ma non intendeva "morir tacendo ", mai.

Anche quando sentiva di morire di piacere, tra le braccia del marito, gli sussurrava, non potendo urlare, quello che provava; gli ripeteva, ansante, che lo voleva sempre, più che mai. La maturità aveva esaltato la sua passionalità, la sua sensualità, la sua sessualità, il suo desiderio del marito. O di un uomo?

Amedeo, che mai era stato esuberante, pur sentendosi sempre fortemente attratto dalla moglie, era sorpreso per quella che chiamava la "sete" di Concetta. Quasi a volersi giustificare, ripeteva che era delizioso bere, ma non ubriacarsi, perché faceva uscire di coscienza. Concetta, invece, avrebbe voluto vivere in stato di perenne ebbrezza, in quell'ubriachezza appagante che, però, per lei troppo presto tramontava.

Acuta osservatrice del comportamento dei figli, Concetta notava in Elena una sensualità, quasi animale, che sembrava già pervadere la fanciulla che andava trasformandosi in donna. Vi era, in Elena, l'irrequietezza che lei aveva vissuto da ragazza, l'impazienza che lei aveva conosciuto, un sordo desiderio di dimostrare di essere come tante altre. E questo le era costato lo squallore del fienile.

* * *

Gli eventi politici influenzavano, ovviamente, quelli militari.

Già alcuni anni prima, 1902, si era vociferato di un accordo segreto tra Italia e Francia per la definizione delle reciproche sfere d'influenza: Marocco alla Francia, Tripoli all'Italia.

La Francia aveva cominciato la sua "penetrazione pacifica" nel Marocco, ma la Germania aveva protestato, e Guglielmo II era andato in visita a Tangeri per sottolineare il suo dissenso. Nel 1906, ad Algeciras, i Tedeschi avevano riconosciuto alla Francia una "posizione di preminenza" in Marocco, ma quando i Francesi avevano occupato Fez, 1911, era scoppiata una nuova crisi, poi appianata con l'accordo che aveva portato i Tedeschi a ritirarsi dal Marocco e i Francesi dal Nuovo Camerun. La seconda crisi marocchina aveva indotto Giolitti a ordinare lo sbarco a Tripoli (29 settembre 1911), seguito dall'occupazione di Bengasi e Homs. Il Regio Decreto del 5 novembre, sancì l'annessione della Libia.

Il 2 dicembre 1911, il Comando Generale dell'Arma dispose una "missione temporanea" a Tripoli: il Tenente Viglieri e il Maresciallo Maggiore Devoto dovevano presentarsi al Comando di Legione di Genova il giorno 11 dicembre pomeriggio, per imbarcarsi la stessa sera.

La notizia colse tutti di sorpresa, e colpì duramente Concetta che non s'era mai separata dal marito e che non sapeva come avrebbe sopportato quella lontananza. E per quanto tempo? Sentiva che stava per accadere qualcosa di definitivo. Le sembrava di vivere i momenti del lungo viaggio verso la Calabria, l'ultimo. Non voleva pensarci, non voleva essere pessimista, non doveva rattristare Amedeo. Doveva mostrarsi forte, quasi allegra, doveva resistere. Ma avrebbe resistito lontana da Amedeo? Quali pericoli attendevano Amedeo in Libia? Come avrebbe potuto dormire, sola, nel suo letto, senza Amedeo? Come sarebbero trascorse le interminabili notti?

Amedeo aveva ascoltato, in piedi come sempre, il dispaccio lettogli dal Signor Colonnello, senza battere ciglio. Alla fine, aveva detto il solito "signorsì", forse con voce più bassa dell'usuale, aveva chiesto se vi fossero altri comandi ed era tornato al suo posto.

Era dietro al suo tavolo, con le mani poggiate sulla cartellina di cerata nera, la testa alta, lo sguardo nel vuoto, pensando a Concetta, alle figlie, a Giovanni. Chissà per quanto tempo sarebbe stato lontano da loro. Concetta era certamente in grado di badare a tutto, ma chi avrebbe curato lei? Soprattutto chi avrebbe pensato a lui, ad Amedeo? Strani pensieri, rifletté, in chi doveva essere sempre e incondizionatamente al servizio di Sua Maestà, pronto a obbedir tacendo. Ma questi pensieri gli venivano, e si accorgeva che non era facile scacciarli.

Entrò il Tenente Viglieri. Amedeo si alzò di scatto, ma l'altro gli andò incontro tendendogli la mano. "Comodo, comodo, Maresciallo, o meglio compagno di missione. Mi dispiace che lei debba allontanarsi dalla famiglia, ma non le nego che sono felice per me, perché mi sentirò protetto, come un figlio sente di essere protetto dal padre. E la prego di considerarmi suo figlio."

Amedeo strinse la mano dell'ufficiale, e riuscì solo a dire grazie, con la voce commossa.

Viglieri andò a casa, in breve licenza. Solo due giorni. Al ritorno, quando seppe che i Devoto anticipavano il cenone di Natale, fece chiaramente capire che sarebbe stato lieto di potervi partecipare. Amedeo fu felice di invitarlo: avrebbero celebrato insieme la ricorrenza, prima di partire per Tripoli.

Concetta aveva ascoltato senza commento di quell'invito. I preparativi per la cena riuscivano a distoglierla un po' dal suo pensiero fisso, Amedeo parte, e nel contempo la portavano a meditare sul Viglieri, quel bel ragazzo che cercava ogni pretesto per parlare con Gioia, facendosi trovare, come per caso, all'uscita dalla scuola, o passando, sempre per caso, davanti al portone delle abitazioni dei sottufficiali, proprio al momento in cui Gioia usciva o rincasava.

Gioia era molto triste e pensosa, in quei giorni, e spesso aveva gli occhi rossi. Ogni tanto scuoteva la testa, senza ragione apparente. La cena sarebbe stata bella, ma non sarebbe riuscita a cancellare il lei la tristezza.

Raggiunse la madre in cucina, e si mise ad aiutarla.

"Mamma" -sussurrò- "io e Vittorio ci vogliamo bene. Lui é andato a parlarne con i suoi. Adesso, però, si allontana. Chissà per quanto tempo, e chissà se mi vorrà ancora bene quando tornerà". Grossi lacrimoni le rigavano le gote, e un nodo le serrava la gola nell'aggiungere "Se tornerà..."

Concetta l'abbracciò stretta, e tutte e due scoppiarono in singhiozzi. Fu un momento. Ripresero a sfaccendare, asciugandosi gli occhi col dorso della mano.

Quella sera Concetta, che non faceva più dormire il marito tanto stretto lo abbracciava e tanto appassionatamente lo baciava durante tutta la notte, disse tutto ad Amedeo, e lui si limitò ad annuire, seguitando a baciarle i capezzoli. Quella notte il loro amore sembrò più dolce, più calmo, più gratificante del solito. Forse perché si avviavano ad assumere un nuovo ruolo nella vita. Ma non durò a lungo. Era appena spuntato il giorno, quando Concetta riprese ad essere quella di sempre, più che mai, e in modo tale che la flemma di Amedeo, sempre cauto nel dosare le sue possibilità, non ebbe modo di resistere. Sembrava che per Concetta fosse la prima e l'ultima volta che faceva l'amore, come se avesse voluto svellere il sesso del marito e conservarlo in sé. Alla fine, roca, quasi urlò che "una cosa così non la conosceranno mai, loro". Giacque sazia, sulla schiena, le labbra frementi, il respiro affannoso, il ventre che andava pian piano pacandosi.

* * *

La tavola era stata apparecchiata con semplicità ed eleganza. I posti assegnati in modo tale da accontentare tutti. A capotavola Amedeo, alla sua destra Viglieri e a sinistra Concetta. Gioia sedeva al fianco del Tenente, seguita da Jolanda. Giovanni era vicino alla mamma, seguito da Elena.

Era stata preparata qualcosa di tradizionale, un insieme di usi del Piemonte e della Calabria. Tutto confezionato con grandissima cura, delizioso nel sapore, attraente nell'aspetto. Ognuno aveva fatto la sua parte: chi nella ricerca degli ingredienti, chi nel manipolarli, chi nel badare che la cottura avvenisse alla giusta temperatura, chi -Giovanni- ad accudire al fuoco.

Viglieri aveva portato fiori a Concetta, gianduiotti alle ragazze, una pistola-giocattolo a Giovanni e un libro sulla Libia ad Amedeo.

Tutto era andato per il meglio. I cibi erano stati sinceramente lodati e generosamente gustati. Come i vini. Si era alla torta e al vinello bianco, secco e spumante, di Asti. Amedeo si accinse a tagliare il dolce.

Viglieri fece un piccolo colpo di tosse e chiese il permesso di alzarsi. Era divenuto improvvisamente serio, con un'espressione d'imbarazzo che cercava di nascondere dietro lo sforzo d'apparire disinvolto.

Gioia guardava fissamente nel suo piatto vuoto.

Amedeo e Concetta si scambiarono occhiate interrogative.

Gli altri giovani erano sul punto di scoppiare a ridere.

"Signora Devoto e signor Devoto" -cominciò Vittorio Viglieri- "non sono capace di lunghi discorsi, anzi neppure di brevi, vi dico subito, quindi, che ho l'onore di chiedere la mano di vostra figlia Gioia, e poiché tra qualche giorno partirò per la Libia, vi prego di voler ricevere, domani, i miei genitori, che sono venuti appositamente a Torino, e sono alloggiati in Albergo".

Rimase in piedi, col calice che aveva preso dalla tavola, distrattamente, e che ora non sapeva se alzare in segno di brindisi, ma era vuoto, o rimettere accanto agli altri bicchieri.

Amedeo e Concetta, pallidi, si strinsero la mano.

Amedeo si levò in piedi. Si schiarì appena la voce.

"Signor Tenente, o meglio, in questo momento, signor Viglieri, l'onore é nostro, e se Gioia ricambia i suoi sentimenti, saremo lieti di considerarla della nostra famiglia e di ricevere, anche subito i suoi genitori".

Aveva parlato lentamente, con voce bassa. Sembrava una risposta preparata. O, forse, lo era.

Gioia si avvicinò a Vittorio, che le prese la mano.

Amedeo riempì i calici.

Ora, tutti erano in piedi coi bicchieri levati. I più giovani si guardavano ammiccando e sorridendo.

Fu un incrociarsi d'auguri. Amedeo e Vittorio si strinsero calorosamente la mano. Concetta abbracciò Gioia, con gli occhi pieni di lacrime, poi la spinse verso il padre che l'accolse tra le sue braccia, la baciò sulla fronte e ne porse la mano a Viglieri. Non riusciva a parlare, le labbra gli tremavano, avrebbe voluto piangere e ridere nello stesso tempo. Ma non voleva far trasparire la sua commozione. Fece cenno a tutti di sedere.

"Signor Devoto" -disse Viglieri, che era rimasto in piedi- "prego la Signora Concetta, lei e tutti gli altri, di chiamarmi Vittorio e di considerarmi un tutt'uno con la vostra bellissima famiglia. I miei genitori concorderanno con voi quanto sarà necessario per le nozze, e sono certo che non ci saranno difficoltà da superare. Gioia ed io vorremmo sposarci non appena sarò di ritorno dalla Libia, ed é molto probabile che sarò assegnato a un comando fuori Torino, dove Gioia e Vittorio Viglieri saranno felici di accogliervi, ogni volta che regalerete loro una vostra visita".

L'indomani, Maria e Luigi Viglieri, accompagnati dal figlio, furono accolti come se si conoscessero da sempre.

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