L'arco Nelle Nubi

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La luce del giorno illuminò cenere e carbone, gente annerita e piena di scottature, con i capelli impastati di cenere e sudore, che guardava attonita ciò che era stato vostro: casa, stalla, magazzini, campi.

Giovanni stava seduto su una pietra. Sembrava l'ecce homo. Con un segno della mano aveva allontanato tutti, anche Lucia. E quelli s'erano raccolti alle sue spalle, con gli occhi rossi e la disperazione sul volto. Lucia aveva il volto nascosto nello scialle nero e singhiozzava scuotendo la testa.

Don Nicola si fece avanti, andò verso Giovanni, gli cinse le spalle con un braccio, gli diceva che anche del Tempio non era rimasta pietra su pietra, ma che poi era stato ricostruito più bello di prima. Bisognava essere forti, aver fede.

Giovanni continuò a restare immobile, rigido, con lo sguardo fisso nel vuoto, verso i campi distrutti. Sembrava non udire le parole di Don Nicola. E infatti non le sentiva, era finito anche lui. Come tutto ciò che aveva realizzato in mezzo secolo di lavoro e sacrificio."

Ciccio tacque.

Amedeo, con la testa bassa, era cereo e aveva poggiato una mano sul ginocchio di Concetta. La donna era impietrita, con le lacrime che cadevano sulla piccola Elena, ancora addormentata.

Le bambine, allegre, incitavano i muli.

I muli abbassavano ritmicamente la testa, tirando la carretta. Le ruote non facevano troppo rumore nella polvere della strada.

Restarono così, per istanti che sembrarono un'eternità.

Amedeo abbracciò Concetta.

Concetta scoppio in singhiozzi, che troppo a lungo le erano rimasti nel petto.

* * *

Ora il rumore delle ruote era cambiato, i sobbalzi erano forti sullo sconnesso acciottolato del paese. La carretta si fermò dinanzi alla casa dei Cunzo.

Le bambine non avevano ben compreso cosa fosse accaduto, ma doveva essere una cosa molto brutta che aveva fatto piangere la mamma e impallidire il padre.

"Don Giovanni" -pensava Amedeo- "aveva temuto che gli volessi entrare in casa ma, a modo suo, era stato sempre affettuoso e generoso e aveva ammirato quel suo genero forestiero che era diventato più importante del Comandante della Stazione dei CC.RR. Don Giovanni non c'era più, di fatto distrutto dallo stesso rogo che aveva incenerito la sua casa, il suo raccolto, il suo bestiame."

Lucia rimase sulla sedia dove stava immobile. Nessuno si mosse quando Concetta le si avvicinò e la strinse in un abbraccio silenzioso nel quale era tutto il dolore senza fine che le accomunava.

Le bambine furono condotte in un'altra stanza, da una giovane simpatica che disse subito: "Venite con me, sono quasi una zia, e mi chiamo anch'io Concetta, come la vostra mamma. Venite con me, ora ci laviamo, ci puliamo e mangiamo i dolci e le cose buone che ci hanno portato amici e vicini."

C'erano altri bambini. Si misero a guardarsi di sottecchi, diffidenti, come se appartenessero a razze differenti, ma solo per poco. Cominciarono con l'avvicinarsi, a sorridersi. I piccoli calabresi porsero dei dolcetti alle bambine, e dopo poco giuocavano tutti insieme pur senza capirsi troppo bene nel parlare.

Amedeo, s'era tolto il berretto, entrò in punta di piedi, andò a baciare la mano alla suocera, che lo attrasse a sé, lo baciò in fronte e gli tenne stretta la mano. Poi girò intorno alla stanza, ricevendo infiniti abbracci e baci da tanta gente che non ricordava o proprio non conosceva.

Concetta s'era seduta vicino alla madre e stava lì, come le altre donne. Gli uomini, pian piano, uscirono dalla stanza e andarono fuori della casa. Accesero pipe e sigari, ognuno cercando di accaparrarsi Amedeo, per conoscere quando avevano saputo della disgrazia, chi glielo aveva detto, come era andato il viaggio, quanto tempo si sarebbero trattenuti, cosa pensavano di fare...

Amedeo rispondeva come meglio poteva, dicendo che, prima di tutto, Concetta e lui sarebbero andati al cimitero. Lui, poi, doveva recarsi alla Stazione dei Carabinieri. Con calma avrebbe parlato con la suocera e con gli altri parenti.

* * *

Il Comandante della Stazione dei CC.RR lo accolse come un vecchio amico, e non volle ascoltare ringraziamenti. Se non ci si aiutava tra loro...

Era sinceramente dispiaciuto per la morte di Giovanni. Certo, la distruzione di tutto era stato un colpo durissimo, ma lui si chiedeva se a stroncare il vecchio fosse stato il dolore per le perdite subite, o la rabbia per essere stato sconfitto e per non potersi fare giustizia con le sue proprie mani e con quelle dei parenti, perché dalla giustizia dello Stato c'era poco da sperare. Del resto, lo sgarbo l'aveva ricevuto lui, non lo Stato.

Il Comandante, che di certe cose se ne intendeva, essendo Calabrese ed avendo trascorso quindici anni in Sicilia, sapeva bene che prove non ne sarebbero state raccolte mai, anche se in paese tutti sapevano come erano andate le cose. Tutti erano al corrente delle pressioni che Giovanni aveva ricevuto per cedere la terra dove c'era la sorgente. A tutti erano note le minacce e gli avvertimenti che gli erano stati rivolti. Giovanni aveva creduto, per anni, di poter resistere, aveva avuto fiducia nel suo diritto, per lui divino, di poter disporre della sua terra. Aveva dimenticato dove viveva, chi era, chi voleva quella terra. A Tano, che si era proposto come mediatore, sconsigliandolo di farsi nemici, aveva risposto con astio, sentendo di odiarlo da sempre, pur non conoscendone il motivo.

Ormai era finito tutto: Giovanni sotto terra e sulla sua terra la desolazione. Campi senza valore, la sorgente completamente interrata da un sommovimento che si era verificato proprio durante l'incendio, subito dopo in grandissimo botto che s'era sentito.

Ai funerali c'erano tutti. I fiori più belli erano quelli di Tano.

* * *

Amedeo ritenne di dover affrontare subito il problema di mamma Lucia. Era rimasta sola e Concetta era l'unica figlia. Era giusto che la madre andasse ad abitare con loro. Le nipotine sarebbero state contentissime, e a Torino di posto ce n'era a sufficienza.

* * *

Teneva Concetta stretta a sé, nel grandissimo letto, nella casa dei cugini. Era la vecchia casa materna di Lucia, dove lei e Giovanni avevano abitato, per un certo periodo, subito dopo le nozze, in attesa che la loro abitazione fosse completata.

Era il letto della prima notte di nozze di Lucia e Giovanni, dove Concetta era stata concepita ed era nata. Un letto di paese, con grosse tavole che poggiavano sui ferri della testata e del fondo, i materassi riempiti con larghi manti di lana, le lenzuola un po' grossolane ma profumate d'erba. Un letto altissimo, che era fatica a salirci sopra, da cui si dominava la camera. Letto pesantissimo, sul quale si poteva ballare, senza che si movesse d'un millimetro.

La teneva stretta, e sentiva il grembo di lei, caldo, aderire alla sua coscia. La voleva ancora più vicina. Alzò le due camicie. Era sempre bello stare così, sentire il tepore e il profumo di Concetta che lo baciava lievemente sulla spalla, lo carezzava col grembo e con la gamba, protendeva le labbra sfiorandogli la bocca e disserrandola dolcemente con la lingua che sapeva di fuoco. Intanto, con movimenti impercettibili ma decisi, gli saliva sopra. Fu completamente su di lui. Sorreggendosi sulle ginocchia, si sfilò la camicia, curvandosi lentamente porse alle labbra di Amedeo il turgore dei suoi capezzoli, eretti, frementi, imploranti il bacio che già sentiva correrle lungo il corpo, dentro di sé, a contrarle il grembo, a darle l'urgenza di averlo in lei, di accoglierlo, di stringerlo, di dissetarsi ancora una volta a quella fonte dalla quale non si sarebbe mai staccata.

Quando lo sentì in sé, cominciò a dondolarsi con lentezza, poi il ritmo aumentò, sempre più incalzante, fino a una sorta di aggressività primitiva, di possesso totale, come a voler svellere il sesso del maschio e nasconderlo nel suo grembo, per sempre. Una cavalcata frenetica, con suoni rochi, un "ecco... ecco..." ripetuto sordamente, quasi implorando la conclusione di un rito che, però, non aveva nulla di orgiastico. Era una forza scatenata, tumultuosa, come il magma nel ventre della terra. Alle sue viscere di femmina era affidata la missione sacra. Solamente a lei. Amedeo era solo il mezzo. La sacerdotessa era lei, nella celebrazione che la legava indissolubilmente all'eternità dell'universo, col grembo squassato dal ribollio, come mare in cui nasce una nuova isola dalla sua spuma.

L'ultimo "eeeeccoooo!", liberatorio, annunciò che il rito era compiuto.

Amedeo, strumento della celebrazione, sentiva che questa volta era stato utilizzato , però, non comprendeva, né si spiegava, il meccanismo mentale che aveva scatenato quanto era avvenuto. Concetta gli si era avvicinata, come sempre, con dolcezza, con amore, con desiderio, con dedizione. Poi era subentrato qualcosa che l'aveva trasformata in una furia d'amore. O quel "qualcosa" c'era già dal primo momento? Era stato posseduto in modo dolce e violento nello stesso tempo, appassionato, voluttuoso, ma fino allora sconosciuto. Il caos prima della creazione.

Concetta giaceva, affannata, con le narici frementi, il grembo sussultante, un'espressione estatica sul volto. Sapeva che suo padre non era finito per sempre. Giovanni rinasceva in lei.

* * *

Mamma Lucia ascoltò la figlia e il genero, ma l'invito affettuoso di andare a Torino, con loro, in un luogo così lontano e con gente che non conosceva, la terrorizzava. Doveva pensarci. Per il momento non si sarebbe mossa dal paese. C'erano da sistemare tante cose, da vedere come sarebbe finita quella povera roba ridotta in cenere. Il fratello, ma soprattutto suo nipote che faceva l'avvocato nel Capoluogo, l'avrebbero aiutata in tutto. Se loro, Concetta e Amedeo, dovevano partire subito, bastava fare una carta dal notaio, se si fidavano.

Concetta ne parlò con Amedeo, che si dichiarò pienamente d'accordo, non c'erano problemi, quello che avrebbe fatto mamma Lucia sarebbe stato ben fatto.

A Concetta interessava solo il nuovo Giovanni. Non avrebbe portato il cognome del nonno, ma era solo forma. Quello che importava era l'averlo concepito nel letto dove lei era stata concepita ed era nata. E nel suo paese. Sentiva che il nuovo Giovanni era già in lei.

Decisero di "fare" la carta dal notaio e tornare a Roma per poi ripartire per Torino. Le cose andarono un po' per le lunghe, data l'assenza del notaio.

Tornarono a vedere i resti carbonizzati della casa, le ceneri dei campi, la pozza melmastra che s'era formata dove una volta gorgogliava la fonte.

Il Sindaco aveva parlato con Amedeo. S'era detto addolorato, ma non sorpreso, per quanto era accaduto. Quella testa dura di Giovanni non aveva voluto ascoltare nessuno, nemmeno lui, il Sindaco, e non aveva voluto capire che avrebbe fatto bene a vendere tutto e ritirarsi a godere il ricavato dalla vendita. Ma si sa che i vecchi sono testardi. Neppure Don Nicola, infatti, aveva voluto interessarsi della cosa perché, diceva, quell'affare "puzzava dello zolfo dell'inferno". I vecchi sono sbadati -diceva il Sindaco- s'addormentano senza neppure accorgersene. Certamente Giovanni aveva urtato il lume a petrolio. Poi il vento aveva fatto il resto. Il "botto" alla fonte, lui non l'aveva sentito, forse non c'era proprio stato, oppure era dovuto al fatto che qualcuno aveva nascosto tra le pietre un po' dell'esplosivo che usava per la pesca di frodo nel fiume. Una scintilla dell'incendio aveva fatto il resto. Quando Amedeo osservò che sarebbe stato senza senso nascondere della polvere esplosiva in un luogo umido, il Sindaco scosse le spalle senza rispondere.

Era gente strana pensava Amedeo, forse era quell'aria a renderla così. Concetta aveva messo in testa un fazzoletto nero, e lo toglieva solo quando andava a letto. E a letto, adesso, si rannicchiava sulla sponda, col pericolo di cadere da quell'insolita altezza, e se il marito tendeva la mano, per carezzarla, gliela baciava e lo pregava di lasciarla stare. Non voleva essere neppure sfiorata. La sera successiva, con voce dolce e carezzevole, spiegò ad Amedeo la ragione di quel suo rifiuto: "No, Amedeo, ti prego. Devo prima avere la prova della mia certezza".

E mentalmente completò il suo pensiero: "La certezza che Giovanni é nel mio seno. Se non sarò la madre di Giovanni non sarò mai più né madre né sposa".

Amedeo non seppe cosa dirle o cosa chiederle. Era la prima volta che Concetta si comportava a quel modo. Ma di quale "certezza" parlava?

Il viaggio di ritorno fu più silenzioso del precedente.

Concetta sentiva che si allontanava per sempre dalla sua terra, dalla sua gente. Quello era un distacco definitivo. Solo Giovanni avrebbe potuto farle rivivere la sua Calabria, il suo paese, la sua fanciullezza, tutto il suo passato.

V

Tutto s'era svolto con una rapidità non congeniale ad Amedeo. L'atmosfera di pesante silenzio aveva coinvolto anche le bambine che passavano il tempo libero a disegnare o, chi sapeva, a leggere. Senza fare rumore.

Dopo due giorni trascorsi a Roma, un treno pulito, una "seconda classe" che sembrava quasi una prima, li aveva portati a Torino. Erano lì da una settimana.

Salvo qualche dettaglio, la casa di Torino, con grandi ambienti e alte finestre, era già in ordine. Concetta aveva completato tutto con cura e precisione, ma senza entusiasmo, senza mai canticchiare, come soleva fare in passato, non aveva commentato i nuovi gradi di Amedeo, né aveva chiesto i compiti affidatigli.

Erano stati accolti con cordialità, non quella ciarliera e chiassosa di Roma, ma quella piemontese, "fatta di sostanza", come diceva Amedeo.

Le bambine più grandi avevano cominciato a frequentare le scuole di Torino, e si erano trovate a loro agio, grazie anche alla lieve inflessione piemontese assimilata da papà Amedeo che, quando poteva, parlava sempre con la cadenza della sua gente, intercalando parole dialettali, che traduceva subito in italiano.

La vita scorreva nella sua regolarità quotidiana, in apparenza sembrava che non fosse accaduto nulla di inconsueto. La Calabria era "lontanissima terra di case e cose bruciate". Roma, tutto sommato, poteva considerarsi una parentesi, non sgradevole, anzi, ma ormai definitivamente chiusa.

Concetta attendeva sempre la prova della sua certezza.

Erano a Torino da quasi un mese, quando giunse la lettera di mamma Lucia che, per essere sicura di dire chiaramente le cose, si era affidata a Don Nicola.

Avevano venduto tutto. Tutto quello che era rimasto. Con qualche risparmio che già aveva, s'era raggiunta una discreta somma. Una piccola parte l'avrebbe lasciata a Don Nicola, anzi alla Chiesa, perché curasse la tomba di Giovanni e per qualche Messa in suffragio della sua anima. Il resto era stato diviso in due quote: una era destinata a Concetta e gliela avrebbe spedita a giorni, con parte dell'altra si sarebbe pagato il viaggio per l'America e il resto l'avrebbe portato con sé. Si, sarebbero partiti tutti per l'America. Una vecchia cugina aveva mandato un lungo telegramma (chissà quanto aveva speso) e li invitava a Escondido, in California, dove ci volevano braccia robuste, menti sveglie, e gente che sapesse coltivare gli agrumi. Si guadagnava bene e c'erano anche delle belle case. Gli Italiani erano apprezzati e, quindi, meglio pagati dei Messicani di Tijuana. Per i documenti e il permesso di lavoro non c'erano problemi. Lo Stato di California poteva far entrare ancora diversi emigranti, specie se destinati all'agricoltura. E poi, chi maneggiava tutte queste cose era Don Cicciopaolo Amantea, uno dei più influenti capi della "Brotherly Love Association" di Los Angeles e di tutta la costa orientale.

Avevano risposto accettando. Un telegramma che sembrava costare quanto un viaggio. Adesso aspettavano il passaporto e d'essere chiamati dal Consolato americano di Napoli. Prevedevano di partire tra un mese. Si sarebbero imbarcati a Napoli, su una nave tedesca, "Von Moltke", che li avrebbe portati fino a New York. Lì ci sarebbe stato Frank, il figlio della cugina.

Mamma Lucia, che non aveva accettato di andare a Torino, con la figlia, perché troppo lontano e tra gente sconosciuta, si trasferiva in America.

La notizia aveva emozionato più Amedeo che Concetta.

La sera, quando le figlie erano già a letto, Amedeo rilesse lo scritto di Don Nicola, mentre Concetta rammendava un paio di calze di Elena, con gli occhi al lavoro e un muovere del capo, come se volesse approvare quanto ascoltava.

"Dovremmo salutarli prima della partenza" -disse Amedeo- "e potremmo andare a Napoli quando s'imbarcano. Vorrei sapere perché hanno scelto una nave straniera, e per di più tedesca, col nome d'un Prussiano".

Concetta seguitava a dondolare la testa.

"Si, ma come si fa con tre bambine e..."

Amedeo l'interruppe: "Potremmo far venire mia sorella Cristina. E' abituata ai bambini, anche se lei non ne ha e non é sposata, perché é contornata da tanti nipotini. E' vero che tu non la vedi da quando siamo venuti tanto tempo fa, ma ora che abitiamo a Torino, a un passo da casa, prima o poi dovremmo invitarla".

"Si" -proseguì Concetta- "ma le bambine ci stanno con quella zia che non conoscono?"

"La facciamo venire per qualche giorno, senza dirle nulla del viaggio a Napoli, e vediamo che rapporto s'instaura tra lei e le piccole".

"Si".

E continuava nel lieve annuire del capo, accompagnandolo, ora, con un sommesso canticchiare, dolce e lento, come una ninna nanna sussurrata.

Poco dopo si alzò e cominciò a prepararsi per andare a letto.

Dopo essere rimasta alquanto assorta e pensierosa, scelse con cura una camicia da notte che non indossava da molto tempo. Quando la dispiegò, ponendola sul letto, la carezzò con un sorriso enigmatico sulle labbra. Tolse lentamente il vestito, la sottoveste, la biancheria. Indossò una vestaglia e attese che Amedeo uscisse da quella che chiamava la "toilette", alla francese, e s'infilasse sotto le lenzuola.

Dal viaggio in Calabria, tutto si limitava a un frettoloso e superficiale sfioramento delle labbra e un "buona notte" appena accennato. Lei, dopo, entrava nel letto, voltava le spalle ad Amedeo, e si metteva a pregare girando e rigirando tra le dita un rumoroso rosario.

Amedeo non ci capiva nulla, ma non chiedeva nulla.

Concetta rimase nella "toilette" più a lungo del solito, soffermandosi, nuda, a guardarsi nello specchio, specie di profilo, scendendo con lo sguardo lungo il corpo, in una minuziosa ispezione, come alla ricerca di qualcosa. Si avvicinò di più alla luce e scrutò attentamente il seno, i capezzoli. Dopo aver infilato la camicia da notte, sciolse le trecce e cominciò a spazzolare con cura i lunghi e ondulati capelli.

Quando rientrò nella camera, Amedeo balzò a sedere sul letto, non credendo a quello che vedeva, a quello che leggeva negli occhi e nel volto di Concetta, e che credeva cancellato per sempre.

"Ti ricordi Amedeo? é quella della prima notte".

Girò lentamente su sé stessa, provocante, facendo aderire la stoffa al corpo. Sedette sulla sponda del letto, vi salì, cinse le ginocchia con le braccia e vi posò sopra il mento. I capelli l'avvolgevano come una fascia serica, ancora nera malgrado qualche anno e tanti pensieri in più .

Amedeo si sdraiò su un fianco, verso la donna, e con la mano le sfiorò i capelli.

Come se inaspettatamente percorsa da una scarica elettrica, Concetta portò le braccia dietro la schiena, con le palme in basso, rovesciò la testa indietro, tese le gambe, chiuse gli occhi.

Amedeo credette di aver sbagliato tutto, che quel soprassalto fosse di fastidio, e fece per ritirare la mano. Concetta la prese e la portò al seno, la condusse fino al pube, tirò su la camicia, e la accolse tra le gambe, nell'indimenticabile ricordo e desiderio di sapienti carezze.

Il tempo trascorso dall'ultima volta, in Calabria, su quel mastodontico lettone, e l'inaspettato svolgersi delle cose, non consentirono ad Amedeo di attardarsi in preliminari. Non capì bene cosa stesse accadendo, ma denudarsi e strappare la camicia di Concetta fu un tutt'uno. Entrò in lei, e con la bocca sembrava volerle suggere dalle labbra quello che andava spandendole nel grembo. Gesti e sensazioni deliziosamente goduti, soprattutto quando giacque sul seno di Concetta, preparandosi a ripetere, con maggior piacere, quanto lei, più desiderosa che mai, andava sollecitando con irrefrenabile ardore, senza parole.

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