L'arco Nelle Nubi

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Si addormentarono pesantemente. Amedeo russava sonoramente, con le braccia larghe e una mano sul cuore di Concetta. Era trascorsa qualche ora. Concetta tentò di scacciare dal volto la mosca che l'infastidiva. Ma quella non si decideva a volar via. Anche perché non poteva volare. Non era una mosca, ma una delle tante cimici che passeggiavano su di loro.

La giovane aprì lentamente gli occhi, assonnata, e quando riuscì a distinguere quelle bestiole gettò un urlo:

"Amedeo, le cimici!"

Amedeo balzò in piedi come se avesse udito l'allarmi, portando istintivamente la mano dove, di solito, teneva la fondina, poi comprese il problema e si rese conto che neanche lui avrebbe potuto arrestare quella lunga processione d'insetti affamati.

Concetta s'era alzata dal letto, s'era rapidamente spogliata, completamente, e, vicino alla finestra dalla quale cominciava a filtrare la prima luce del giorno, andava guardandosi addosso con aria preoccupata. Poi, sempre nuda, ispezionò attentamente la biancheria, il vestito, fin dentro le scarpe, e solo quando si accertò che non v'era traccia di animaletti, né su di lei né sui vestiti, cominciò a rivestirsi, badando a stare ben lontana dal letto e anche da Amedeo che, a sua volta, stava facendo la stessa operazione.

Appena pronti, uscirono dalla camera, in punta di piedi, come se temessero di attirare l'attenzione degli insetti, e s'avviarono verso l'anticamera. Non c'era nessuno, solo il tavolo unto presso il quale la sera prima sedeva la grassa e roca padrona di casa. Lasciarono sul tavolo quanto pattuito e se ne andarono.

Per la fretta di scappare da quella sporcizia, avevano trascurato un po' tutto, e a quell'ora, in quella zona, non era facile soddisfare le loro necessità. Specie per Concetta. Si guardarono intorno, ma non se la sentirono di rivolgersi a in uno di quei bassi che andavano aprendosi, dai quali uscivano grida aspre e odori scostanti.

Si udì una campana che chiamava i fedeli alla Messa. In fondo alla strada v'era un grosso edificio, con grate alle finestre, e una Chiesa, non grande ma di bell'architettura barocca e ben conservata. Amedeo prese sottobraccio Concetta e s'avviò verso la Chiesa, dove stavano andando pochissime persone. Vecchine vestite di nero, con in testa un fazzoletto nero.

L'interno era buio, appena rischiarato da fioche luci di oscillanti lumini e dalle candele accese sull'altare. Nella Sacrestia, un vecchio prete, dall'aria serena e gioviale, stava indossando i paramenti per celebrare la Messa. Anche il sacrestano era anziano, claudicante, con una camicia troppo larga per lui, tenuta stretta alla vita da una fascia rossa. Al veder entrare un Carabiniere che stringeva il braccio d'una ragazza, con una grossa borsa nell'altra mano, la borraccia a tracolla, e notando l'aria stanca di entrambi, il prete rimase con una manica infilata nel camice e l'altra no, guardando in modo interrogativo e chiese: "Cos'é successo?"

Amedeo aveva ancora la lucerna in testa. S'irrigidì battendo i tacchi, salutò:

"Appuntato dei Reali Carabinieri a cavallo Devoto Amedeo in viaggio di tramutamento a Capracotta. E questa é mia moglie Concetta."

Tirò fuori dalla giubba il certificato di matrimonio e lo porse al sacerdote che era rimasto a guardare, incuriosito, quella strana scena, in Sacrestia, a quell'ora del mattino. L'ora della prima Messa.

Don Agostino prese il foglio, lo lesse: "E allora?"

"Padre, la mia signora si sente male, deve andare subito al gabinetto. Poi le racconto tutto."

Il prete guardò la giovane donna, era pallida, tremava, si vedeva che non stava bene. Si avvicinò a una porticina, la aprì, parlottò con qualcuno, poi si volse a Concetta e le fece cenno di avvicinarsi. Dietro la porta una grata nascondeva il volto d'una suora. Concetta entrò e Don Agostino richiuse. A sua volta, la suora aprì il telaio della grata e fece passare Concetta dicendole con voce buona:

"Trasi, trasi figlia mia."

Amedeo era rimasto impalato sull'attenti, con aria confusa.

Il sacerdote, finendo di indossare i paramenti, si rivolse a lui: "Tu, non restare li come un mamozio, entra in Chiesa e ascolta la Santa Messa. Ringrazia il Signore. Poi torna qui e parleremo."

Amedeo scattò in un saluto e si voltò per andare in Chiesa.

"E togliti quella caccavella dalla testa!"

Gli urlò dietro Don Agostino.

Amedeo andò in fondo alla Chiesa, vicino alla porta, e rimase li, in piedi, per tutta la durata della Messa, come se fosse di sentinella.

"Ite, Missa est." Disse il celebrante.

"Dio gratis!" Storpiarono alcune vecchiette e si alzarono lentamente, faticosamente, dagli inginocchiatoi. Avviandosi all'uscita s'interrogavano sottovoce, l'una con l'altra, chiedendosi cosa fosse mai successo e perché un Carabiniere stava di guardia alla porta.

Amedeo tornò in Sacrestia, come gli era stato comandato. Il sacrestano stava vicino ad un tavolino sul quale c'era una caffettiera, tre tazzine e una piccola zuccheriera. Tutto bianchissimo, con i cucchiaini d'alpacca, su di un vassoio che sembrava d'argento, impreziosito d'un bellissimo merletto.

"O' café". -disse Don Agostino facendo cenno al giovane di avvicinarsi al tavolino- "é quello delle monache, ma a quest'ora e con lo stomaco vuoto sembra perfino buono".

Vicino al vassoio, su un piatto, dei grossi taralli biondi e annasprati, caldi ancora di forno, coperti con un tovagliolo al cui angolo era ricamata una "A".

"E' il monogramma delle suore" -riprese il prete- "sono Agostiniane e mettono la loro A dappertutto. Io mi chiamo Agostino, ma non ho nulla a che fare con gli Agostiniani. Io sono del clero secolare, e da tanti anni vengo qui a celebrare la prima Messa, da queste brave suore, e poi vado ad insegnare al Seminario. Tutti i giorni, meno la Domenica e, s'intende, quando il Signore mi prova con qualche malattia che non mi consente d'uscire da casa."

Per Amedeo il discorso era stato troppo lungo e difficile. Non gli era chiaro essere Agostino ma non Agostiniano, essere secolare (ma come, quel prete aveva cento anni?), e così via. Per non sbagliare, si rimise sull'attenti e disse "signorsì".

"Adesso, dimmi, come mai ti trovi qui, a quest'ora, con tua moglie, e cosa c'entra Capracotta."

Amedeo cominciò molto da lontano. Parlò del suo paese, della valli del Piemonte, della casa, della mamma e del padre, dei fratelli e delle sorelle, degli amici, del suo parroco, della scelta di fare il Carabiniere. Gli piaceva tanto parlare, ricordare, come se così si sentisse attorniato dai suoi cari, come se fosse tornato nella sua terra, tra la sua gente. E disse che il Signor Maresciallo, quello della prima Stazione alla quale era stato assegnato, era bravo e buono anche se, certo, non poteva chiudere un occhio sulle mancanze. Però gli aveva insegnato tante cose, che quando era andato in Calabria gli erano servite moltissimo.

Disse di Concetta, della famiglia di lei, come l'aveva conosciuta, dello sposalizio, in Comune e in Chiesa, della licenza straordinaria per matrimonio, che era appena bastata per un breve viaggio in Piemonte, a stento sufficiente per presentare Concetta a parenti e amici, perché alle sue nozze non c'era nessuno della sua famiglia. La distanza era troppa. I suoi avevano conosciuto la sposa solo in fotografia.

Nessun accenno, però, al fienile.

Capracotta era la nuova sede, e stava andandoci. Doveva raggiungere Caianello, in treno, da lì, attraverso Venafro e Isernia, proseguire fino a Carpinone, e poi ancora più in alto, il passo di Staffoli e, infine, il paese dove avrebbe prestato servizio, Capracotta, di cui fino a qualche giorno prima non sapeva neppure l'esistenza.

Don Agostino ascoltò con attenzione e interesse, senza mai interromperlo, senza fare domande. Solo alla fine disse: "E figli, chiedete al Signore che ve ne mandi?"

Amedeo arrossì, si mise a guardare la lucerna che tormentava con le dita, e borbottò che sperava che il Signore ci avesse già pensato. Da qualche giorno.

"Come" -fece Don Agostino- "così presto, o... avete... pregato il Signore prima delle nozze?"

Amedeo divenne serio: "Signornò, non c'é stato nulla prima di sposarci, ma sento che mio figlio già esiste, ed é un maschio, e..."

E non avrebbe smesso, se il sacerdote non l'avesse interrotto con un espressivo gesto della mano: "Dio vi benedica!".

Taralli e caffè erano finiti e Concetta non tornava. Amedeo cominciava a preoccuparsi.

Anche Concetta era convinta di avere una nuova vita in sé. Lo aveva sentito dal primo istante, la notte di nozze, in quella camera che ricordava come il paradiso, nei momenti che aveva vissuto con Amedeo, e che cercava di ripetere il più spesso possibile.

"Amedeo" -diceva con aria sorniona- "hai visto un bambino, fin dal primo momento che nasce, quante cose ha? Gli occhi, la bocca, il naso, le orecchie, il corpicino, le braccine e le manine, le gambette e i piedini e... quello che hai tu, Amedeo, perché come te deve essere. Vedi quante cose gli dobbiamo fare? Non dobbiamo perdere tempo, dobbiamo seguitare a fabbricarlo!"

E poneva gran cura, immenso amore, infinito ardore, per realizzare il suo desiderio di "fabbricare" questo figlio. Al paese si diceva che il padre, per fare un figlio che gli somigliasse, non doveva risparmiarsi. E Concetta, in effetti, non consentiva economia alcuna, in materia, ad Amedeo, tanto che il giovane temeva che il tempo intercorrente tra... un ciclo di lavorazione e l'altro non fosse sufficiente per ricostituire le... indispensabili scorte.

Era faticoso raggiungere Capracotta, ma la destinazione non dispiaceva ad Amedeo. Aveva saputo che, normalmente, non c'era servizio notturno. Non sarebbe stato costretto, quindi, a lasciare sola Concetta, di notte, specie in un paese dove non conoscevano nessuno. Tanto più che era la prima volta che Concetta si allontanava da casa.

In quel momento, la porticina sul fondo della sacrestia si aprì e comparve Concetta, serena e sorridente, con al braccio un cestino coperto con un tovagliolo candido, dal quale facevano capolino due bottiglie di terracotta.

La donna si avvicinò al marito e scoprì il cestino: "Me li ha dati la Madre Badessa, sono taralli e vino, fatti da loro. Anche il cestino e il tovagliolo hanno fatto loro. Sai che Madre Monica, la Badessa, é della Calabria? Come me. Ma manca da tanto tempo da casa sua, e non vi tornerà mai più. Ha detto che dobbiamo venire a trovarla. Quando..."- e guardò Don Agostino, arrossendo- "quando avremo il bambino. Lo vuole conoscere".

Ormai era ora, per Don Agostino di avviarsi al Seminario e per Amedeo di andare a riprendere il tascapane che aveva lasciato presso un collega. C'era una nuova tappa ad attenderli, Isernia, dove speravano di alloggiare presso una famiglia amica di Madre Monica, alla quale la Badessa aveva scritto un biglietto di presentazione e di affettuosa raccomandazione, e lo aveva dato a Concetta.

Salutarono il sacrestano e uscirono sulla piazzetta. Fecero un breve tratto di strada assieme, poi Don Agostino spiegò ad Amedeo come raggiungere la caserma, si fece baciare la mano dai giovani, ma volle anche abbracciarli, e si separò da loro. Erano tutti un po' commossi. Amedeo si scusò con Concetta, ma lui, in divisa, non poteva portare quel cestino, specie nelle strade che andavano affollandosi.

* * *

Dopo Caianello, la strada per Venafro era tutta pianeggiante, e lo era anche proseguendo per il Convento di San Nicandro, e lungo il Cerqueto. Cominciava a salire, oltre il ponte sul Volturno, verso Monteroduni. Poi una rampa per Macchia, e discese e risalite fino ad Isernia.

La casa di Carmine Faccenda era appena fuori del paese. Una costruzione recente, non ancora rifinita, con l'aia in pietra, il pozzo, e sul retro la stalla con due cavalli e un carro. Avevano anche del bestiame, ma stava al pascolo, affidato a pastori di mestiere, verso Castel San Vincenzo, tra monte Mare e monte Marone.

Quando bussarono alla porta, Carmine e Amelia stavano per andare a letto. Nel camino avevano coperto la brace rimasta e avevano già spento il lume, anche per non attirare mosche e tafani. Fuori non era ancora del tutto buio. Quel Carabiniere e quella ragazza, che intravidero dalla finestra, forse erano in cerca di un posto per spassarsela. Non era gente del luogo. Ma che volevano da loro? Perché avevano bussato?

Carmine aprì e li guardò con aria interrogativa. Amelia era restata nella stanza, tendendo l'orecchio. Quando udì il nome di Madre Monica si fece avanti e tese la mano verso la lettera che Amedeo le porgeva.

"Trasite" -disse- "adesso accendo il lume. Ma come fate ad andare in giro a quest'ora" -sorrise- "va bene che voi siete un Carabiniere... e questa... é vostra sorella? Non vi rassomiglia per niente, però, neppure per il colore dei capelli..."

Avrebbe proseguito chissà per quanto tempo se Amedeo, mettendosi sull'attenti, col solito batter di tacchi, e salutando, non l'avesse interrotta.

"Appuntato dei Carabinieri a cavallo Devoto Amedeo, in viaggio di tramutamento, con la propria signora, a Capracotta, alla cui Stazione dei CC.RR é stato assegnato".

Adesso era Carmine ad invitarli ad entrare in casa. Si era fatto da parte e aveva tolto ad Amedeo il tascapane e il cestino che, in campagna e quasi al buio, il giovane aveva potuto portare. "Trasite, date a me, trasite".

Amelia aveva acceso il lume grande, quello in mezzo alla stanza, col saliscendi pieno di pallini di piombo. L'ambiente era pulito e accogliente: mobili nuovi, rame lucente appeso alle pareti, pavimento di mattonelle che sapevano di frequenti lavaggi.

"Che bel rame avete!" Si complimentò Concetta.

"E' tutta roba di Agnone" -rispose, soddisfatta, Amelia- "Ma voi, allora" -proseguì- "siete marito e moglie! E come mai conoscete Madre Monica? Sapete, mi ha tenuta a battesimo prima che prendesse la clausura. Ah, c'é la sua lettera. Leggila Carmine". E la dette al marito.

L'uomo rigirò la busta tra le mani, guardò attentamente l'indirizzo, l'aprì e ne trasse il foglio, lo dispiegò e si mise proprio sotto il lume, per leggere. La grafia era abbastanza chiara, ma i suoi ricordi scolastici erano più che sbiaditi. Rimase così per un po', poi dette il foglio ad Amelia dicendole: "Oh, la comare é la tua. Leggi tu!" E andò a smuovere la brace.

Amelia dette una sbirciata alla lettera, la piegò insieme alla busta e la mise in tasca. Si voltò, sorridendo a Concetta.

"E allora, come sta Madre Monica? Quando l'avete vista? Cosa ci manda a dire?"

Le domande erano messe là, una dietro l'altra, senza attendere risposta. Non volevano risposta. Amelia, infatti, continuò: "Ma prima parlatemi di voi, quando vi siete sposati? E tu, Concetta, di dove sei?"

Un po' meno giovane di Concetta, Amelia era una bella donna, ben fatta, accurata nella persona. Un po' invadente, però. Pensò Concetta.

Carmine era alto, robusto ma non grasso, capelli scuri e una barba abbastanza curata. Aveva qualche anno più della moglie. S'interessava della terra, ma soprattutto della produzione dei formaggi, insieme a un amico che abitava poco distante, con la famiglia. Anche Amelia aiutava il marito a lavorare il latte e passava il resto della giornata presso il tombolo. Faceva trine molto pregevoli, che vendeva con discreto guadagno.

Concetta cercava accuratamente le parole e si mostrava calma, serena.

"Madre Monica sta bene. E' della Calabria, come me, e per questo ci conosciamo. Quando ha saputo che Amedeo ed io saremmo passati per Isernia, ci ha raccomandato di venire da voi. Come certamente avete letto nella lettera che vi abbiamo portato, noi siamo sposati da poco e mio marito é stato trasferito dal mio paese a Capracotta. Dovremmo partire da Isernia col mezzo dei Carabinieri. Speriamo domani stesso".

Carmine si era seduto accanto alla tavola che stava nel centro della stanza, dove già erano gli altri.

"Avete fatto benissimo a venire qui" -disse- "Madre Monica ha fatto benissimo a mandarvi da noi. Potete restare quanto tempo volete. Vedete, siamo soli, anche se sono più di due anni che siamo sposati. Lo spazio non manca e, grazie a Dio, neppure da mangiare. Anzi, credo che avrete fame.

Amelia, prepara qualche cosa, che certamente saranno stanchi del viaggio e non avranno potuto mangiare a sufficienza. Sono giovani, e noi lo sappiamo che sacco vuoto non sta in piedi".

Amedeo e Concetta si schernirono dicendo che avevano ancora i taralli regalati dalla Badessa. Amelia, però, aveva già tirato fuori una tovaglia di cotone, una bella pagnotta di pane scuro, del caciocavallo, una scamorza fresca, una brocca di vino e i bicchieri. L'acqua era nella "quaquarella", una specie d'anfora di terracotta che quando usciva il liquido faceva un rumore simile al "qua qua" delle papere.

"I taralli ve li mangiate durante il viaggio per Capracotta". Disse Amelia, ma Carmine intervenne: "No, li mangiamo insieme, dopo, col vino nostro alla salute di Madre Monica. Per quando si rimetteranno in viaggio, quel cestino sarà pieno di salame e formaggio. Forse i nostri provoloni non sono come quelli di Capracotta, ma sono buoni lo stesso. Noi, adesso, non possiamo farvi compagnia, perché abbiamo già mangiato, ma per non farvi essere soli io un po' di salsiccia e un bicchiere di vino me li faccio".

Concetta ringraziò, anche per Amedeo che se ne stava zitto, e disse che per parte sua avrebbe mangiato solo un pezzetto di scamorza e un po' di pane.

"Come" -disse Carmine, strizzando l'occhio- "nun te piace lu salame? e che sposa fresca sei?"

E scoppiò a ridere guardando Amedeo.

"Me piace, me piace" -rispose Concetta- "ma ogni cosa a tempo suo!"

L'accento dei dialetti, pur se tanto diverso, aveva messo tutti a proprio agio. Carmine aveva trovato il suo argomento preferito, e cominciò a interrogare Amedeo per sapere com'erano fatte le femmene del nord, e se erano diverse da quelle del Meridione. Amedeo cercava di sviare il discorso, ma l'altro insisteva.

"E non mi dirai che al paese tuo non te la sei spassata, là le femmene non so' come queste qua. Da noi te fanno fatià sette cammise prima de sta cu' te. Iamme, Amedé, comme so'?"

Amelia che non gradiva tale insistenza, s'intromise: "Carminù. e comme so' fatte, comme mammeta e comme me!"

Il vino, accompagnato dalla salsiccia secca, scendeva piacevolmente ma senza eccessi. Fuori era notte fonda. Amelia disse che forse era ora d'andare a dormire. Carmine precisò: "Ora da letto, che a dorme ce se penza doppo".

Amelia disse che c'era una camera nuova, pronta, perché serviva quando arrivavano i parenti. Era di sopra, proprio accanto alla loro. E ci avevano messo pure la brocca e l'acqua.

"Prendete la candela e i micciarielli. Su salite con noi."

Carmine s'alzò dalla sedia, ripose al loro posto quanto era rimasto sulla tavola e si rivolse al Carabiniere: "Andiamo fuori, per quello che ci serve, e lasciamo le femmene a fare quello che devono fare. Quelle so' lunghe, in tutte le cose, non si sbrigano mai. Poi saliremo anche noi".

* * *

Quando furono nella loro camera, Carmine andò alla finestra e guardò fuori, come se volesse scoprire qualcosa che la notte nascondeva. Amelia fu subito a letto. S'intravedeva appena, nello scuro dell'ambiente. I capelli, sciolti, erano cosparsi intorno, fino a coprire parte del bianco cuscino del marito. Stava con gli occhi aperti, le mani sotto la nuca, pensando chissà a cosa, o a chi.

Carmine entrò sotto le lenzuola, le si avvicinò e la baciò sul collo. Lei tese la mano per carezzarlo e ne incontrò la spalla: "Carminù, ma tu sì nudo".

E fece scendere, dolcemente, le dita sul corpo di lui, con sapiente lentezza, indugiando qua e là, quasi a volerne riconoscere i contorni. Lui le infilò la mano sotto la camicia, salì a sfiorarne i capezzoli, turgidi, vibranti sotto la mano che, intanto, cercava di liberarla dall'inutile indumento. Il contatto fra i due corpi fu come l'esplosione d'una forza troppo a lungo repressa. Si avvinghiarono, s'intrecciarono, l'uno fu nell'altra, in movimenti che, dapprima lenti e misurati, divennero convulsi, sempre più accelerati, veementi, con lei che gemeva con toni rochi, e lui, sempre più voglioso, a penetrarla, quasi volesse rifugiarsi nel grembo della donna, in un grembo come quello da cui era nato. Un incontro antico come il mondo, ma sempre stupendo, ogni volta che si ripeteva. Ancora un sussulto, e poi l'abbandono appagante, col respiro che sapeva d'affanno, il cuore che pulsava gioioso, e lui che le lambiva dolcemente il seno. Non s'erano accorti che la spalliera del letto aveva scandito sulla parete divisoria la foga della loro passione.

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