L'arco Nelle Nubi

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"Non temere, adesso mi vesto e ti accompagno io a casa."

"No, aspetta un momento. A casa avranno già messo la spranga alla porta. Aspetta. Permetti che vada nel bagno?"

"Va pure, è là."

Entrò nel bagno, dondolando la sua grossa borsa rossa come il vestito. Accostò la porta, senza chiuderla del tutto.

Dapprima un certo silenzio, poi lo scrosciare dell'acqua nella vasca, ancora silenzio, quindi un sordo sciacquio.

"Piero, puoi venire qui?"

La voce era sommessa.

"Come, li?" Chiesi.

"Si, qui. Un momento. Parla piano, non voglio che ci sentano."

Mi avvicinai alla porta, occhieggiando dallo spiraglio.

Era beatamente seduta nella vasca. I capelli legati sulla testa, le mani dietro la nuca, il petto proteso in avanti, sodo, turgido, solcato da piccole vene azzurrine.

"Mi lavi la schiena?"

"Ma come? ti sei infilata nella vasca... senza dire nulla..."

"Vieni qui, passami la spugna sulla schiena."

Non sapevo cosa fare, cosa dire.

Aprii la porta, entrai.

Regina era fantasticamente bella, uno spettacolo incantevole.

Mi avvicinai alla vasca, presi la spugna e la passai leggermente sulle spalle.

"Più giù. per favore."

Scesi ai fianchi.

"Si, così. E' bello sentire questa carezza..."

Si mise in ginocchio, poggiò le mani sui bordi della vasca, dietro di sé, porgendo prepotentemente il seno.

"Anche qui, anche qui."

Le sue labbra erano fiammanti, gli occhi socchiusi mandavano bagliori splendenti, le narici vibravano visibilmente.

"Anche qui, Piero."

Ripeté con voce roca, rovesciando la testa.

Lasciai la spugna. Carezzai lievemente la gola, giù, tra le mammelle, ancora, sul ventre palpitante, tra le gambe che imprigionarono le mie dita. Mi prese la testa tra le mani, mi baciò voluttuosamente, sapientemente, cercando la mia lingua e suggendola golosamente.

Era uscita dalla vasca. Avvinghiata a me, bagnandomi completamente il pigiama.

"Andiamo a letto, Piero, adesso."

Dall'attacapanni tolsi il lenzuolino e la avvolsi. La presi tra le braccia e la deposi sul letto.

Ero eccitatissimo.

Regina giaceva supina.

"Piero, voglio far l'amore con te, adesso, ma sta attento, ti prego, sta attento tu che io non riesco a controllarmi."

Andai dov'era la valigia, la aprii, in una tasca laterale v'erano alcuni profilattici.

"Ha Tu, Regina, habemus tutorem."

"Si, questa sera è bene usarlo, altrimenti non so come andrebbe a finire. Baciami, carezzami come avevi cominciato a fare nella vasca."

Mi sdraiai al suo fianco. Le baciai i capezzoli bruni, li lambii con la lingua, scesi sul prato fascinoso del suo pube, più giù. Dischiuse le gambe, mi prese per la nuca, stringendomi a lei, sussultando, palpitando, fremendo, vibrando come la corda dell'arpa al tocco dell'artista. Portò la mano alla bocca, cercando di soffocare il grido che sentivo salirle alle labbra, un gemito voluttuoso che andava crescendo insieme al pulsare sempre più frenetico che sentivo tra le sue gambe.

Poi, un lungo sospiro roco, il lento attenuarsi dei sussulti. Mise le sue piccole dita sulle tempie e mi tirò su di lei.

"Adesso, Piero, adesso..."

Pochissimi attimi, dedicati al... tutore, e fui in lei.

* * *

Regina era piena di temperamento. Esigente, impetuosa, non dava segni di stanchezza, insaziabile, divinamente eccitante, è vero, ma pensai che era anche un po'... assatanata.

Volevo chiederle qualcosa, ma temevo di turbarla.

Le domandai, quasi distrattamente, se fosse fidanzata.

Si voltò verso di me, il seno sul mio petto, una gamba tra le mie, la testa sulla mia spalla.

"Si, è in servizio militare. Non lo vedo da due mesi. Stano è un bravo ragazzo, gli voglio anche bene, ma da lui non ho mai avuto più di un inizio d'antipasto. E' di quelli che... finiscono prima di... cominciare. Per lui baci e carezze sono solo parole del vocabolario..

Mi guardò negli occhi, prese la mia mano, la baciò, mordicchiò i polpastrelli, l'accompagnò lungo il suo ventre, sollevò la gamba che poggiava su me.

"Senti" -sussurrò- "freme ancora. Non immaginava che potesse avere tanto, che potesse godere così..."

Si accostò a me tremante.

"Adesso devo andare, Piero, devo uscire prima che quelle là si alzino. Non so come fare, ma devo tornare da te. Non crederai che lasci la fonte della felicità che mi hai fatto conoscere."

Ancora un lungo bacio. Si alzò, si rivestì in fretta, riprese la sua grossa borsa rossa.

L'accompagnai alla porta delle scale, la dischiusi cautamente. Lei scese piano. Non mi accorsi neppure quando aprì il portone, uscì, e lo rinchiuse.

Tornai in camera. Riportai il lenzuolino nel bagno. Detti una sciacquata alla vasca. Aprii la finestra per ricambiare l'aria.

Tirai bene le lenzuola che s'erano arricciate nel centro, le spruzzai con la mia colonia, ne misi sul cuscino. Anche qui aprii la finestra.

Tornai nel bagno, per la toletta del mattino e per la barba.

Indossai la divisa.

Un leggero bussare alla porta che portava nel resto dell'appartamento.

Andai ad aprire. Solo allora mi accorsi che la sera precedente non l'avevo chiusa a chiave.

Lenka, in vestaglia, con un vassoio. Caffè, latte, fette di pane, burro, marmellata. Entrò, lo andò a mettere sulla scrivania. Fece segno di sedermi. Si sedette di fronte.

"Sono venuta a fare colazione con te. Vedo che sei già vestito. Questa mattina hai fatto più presto del solito. Ti chiedo ancora scusa per l'invasione di Regina, a cena. E' un tipo che non conosce misura e discrezione."

Assentii con la testa, senza parlare.

"Ti imburro una fetta di pane? Preferisci la marmellata di mirtilli o di ciliege?"

"Grazie, una sola fettina. Ciliege, mi ricordano qualcosa di incantevole che ho scorto ieri sera."

"Dove?"

"Sul tuo seno."

"Ah, vai diritto al sodo."

"Si, al sodo, perché sono certo che così sei tu. Meravigliosamente soda."

"Puoi accertartene!"

E aprì la vestaglia sulla velata camicia da notte.

Mi alzai, andai alle sue spalle, le misi la palme aperte sul seno, sentii due grossi, rigidi, frementi capezzoli. Rovesciò la testa sulla spalliera, coi lunghi capelli che giungevano quasi al pavimento, dischiuse le labbra, la baciai con profonda dolcezza.

"Lenka" -sussurrai- "se il tuo cuore è duro come il resto, la punizione per me sarà tremenda."

"No, il mio cuore è tenerissimo, ma una punizione desidero dartela lo stesso: vorrei sentirti mio..."

Mentii spudoratamente.

"Ho lasciato aperta la porta che mi divide dal tuo appartamento, ho atteso tutta la notte..."

"Me o Anna?"

"Te, Lenka."

"E se fosse venuta Anna?"

"Non avrei potuto, certo, farle sospettare che preferivo te, ti pare?"

"Sai proprio cavartela. Anche questo ti rende attraente. Ma è ora che tu vada al Comando e io scenda in ufficio. Sta certo, però, che Anna non sarà meno esigente. Ho proprio l'impressione che dovrai accettarci nel tuo harem. Ciao."

Un lungo bacio, e uscì riportando sul vassoio quanto era restato della colazione.

* * *

Regina si rese ben presto conto che non poteva venire a trovarmi, se non voleva far sapere tutto ad Anna e Lenka.

Non si perse d'animo, però, e trovò una soddisfacente soluzione.

Ci saremmo incontrati dalla sorella, Biser.

Era sposata, ma il marito era al fronte, e lei occupava una grande casa, col suo figlioletto di tre anni.

"Non preoccuparti" -disse Regina- "Biser mi tiene il sacco, come io lo tengo a lei. E non credo che ti chiederà un pedaggio, in natura intendo, perché è pazzamente innamorata e gelosa di Mirko."

"Ma il marito è al fronte."

"Mirko non è il marito e non è al fronte. Se Biser ci provasse con te... io scriverei al marito."

E così, la camera di Rico, il figlioletto di Biser, divenne nostra, con un gran letto a prova di capriole.

Regina diceva ai genitori che andava da Biser, e io raccontavo a Lenka e Anna che ero di servizio notturno.

Questo modo di vivere, però, non poteva durare a lungo.

Lenka voleva fare l'amore e poi dormire abbracciata a me.

Anna, pur senza dirlo, si proponeva di dimostrarsi più passionale della sorella. Per fortuna che anche lei amava dormire tra le mie braccia. Così potevo ogni tanto potevo dormire anche io.

Le sorelle avevano stabilito dei turni, in perfetto accordo, e qualche sostituzione era dovuta solo a ragioni comprensibili.

Con Lenka e Anna i rapporti erano sereni, distensivi, senza preoccupazione alcuna. Non sapevo cosa facevano per evitare di restare incinte, ma non intendevo domandarlo.

Quando, logicamente a turno, avevo chiesto loro se dovessi essere... cauto, mi avevano risposto di stare tranquillo e non preoccuparmi.

Regina, invece, aveva il terrore del concepimento.

Mi aveva detto che Biser era rimasta incinta di Mirko e che la comare l'aveva aiutata a uscire dai pasticci. Lei, però, non avrebbe saputo cosa fare. Niente comare, prima di tutto, quindi, o il figlio o la foiba. E, dato il carattere, non credo che scherzasse.

Riempiva il cassetto del comodino di profilattici. Ogni tanto, però, diceva che doveva "farlo" senza, perché era più bello, ma che dovevo star bene attento al momento preciso, e tirarmi indrìo solo in quell'istante, né prima, né dopo.

"Ti ga' capìo? E sta pronto, tu che quando faccio l'amore con te mi me sperdo nel precipizio."

Concludeva con un bacio voluttuoso.

Mi ero tenuto libero il lunedì sera. Cena a casa di Dora, qualche volta al cine. Sempre a parlare del nostro domani. Con serietà e regolarità. Come fanno due veri fidanzati.

Il riposo assoluto lo potevo avere solo quando, con una scusa, andavo a dormire in foresteria.

Una volta il Generale Sironi mi aveva detto:

"Vedo che lei è molto occupato fuori del servizio, Orsini. Mi compiaccio. Anche io sono stato giovane e la comprendo, ma eviti comunque gli eccessi. Si diverta, in ogni caso."

Mi batté una mano sulla spalla e si allontanò sorridendo.

* * *

Regina mi aveva detto che quella sera Biser ci invitava a cena.

Chiesi al Maggiore Marini di esonerarmi dalla mensa. Feci comprare da un collega dei dolci, al bar di Dora. Prelevai le solite bottiglie dalla riserva speciale. Mi venne in mente di acquistare un braccialetto per Regina. Magnani sapeva dove procurarlo. Roba nuova e a prezzi accessibili. Infatti, quando lo portò, in un elegante astuccio, mi complimentai per il suo gusto e per il prezzo. Li vende il padre di una ragazza che frequento, signor Tenente, e deve farlo di nascosto per non finire in galera o peggio.

C'era anche Mirko, e il bambino lo chiamava stric, zio. Un omone simpatico, grande e grosso, con delle mani che sembravano pale e un sorriso perenne su un viso non proprio sprizzante intelligenza.

Cena tipica locale.

Vino e dolci, portati da me, ebbero successo.

Poco dopo l'ultimo brindisi, Mirko sussurrò qualcosa a Biser. Capii solo krevet, letto. Quindi si alzò, mi strinse calorosamente la mano e uscì dalla sala.

Biser disse che avrebbe rassettato lei.

Regina ed io andammo nella nostra camera.

Sul letto c'era una elegante camicia da notte. Candida, con le spalline e il petto di pizzo, come pure il bordo inferiore.

Quando tornò dal bagno, completamente nuda, la indossò lentamente, mi venne dinanzi e girò su se stessa.

"Ti piace?"

"Splendida. Merita qualcosa che la ricordi."

"A questo penserai tu, amore."

"Già pensato."

Presi l'astuccio col braccialetto e glielo porsi.

Lo aprì, lo guardò con occhi scintillanti di gioia che presto s'ombrarono di lacrime. Si voltò verso di me, mi abbracciò, con un lungo bacio.

"E' bellissimo, lo porterò sempre con me, giorno e notte."

Tolse la camicia ed entrò nel letto.

Qualche istante dopo ero accanto a lei. Aprii il cassetto del comodino per prendere un profilattico.

"No, tesoro, questa sera no."

Cominciò a baciarmi, a carezzarmi.

Sembrava che i suoi sensi fossero più accesi del solito.

Spesso desiderava raggiungere il primo orgasmo con le carezze. Quella sera si pose su di me, come un amazzone. Fu lei che mi condusse a penetrarla. Rimase un istante ferma, con un profondo respiro, contraendo il ventre, muovendo i fianchi perché più profondamente potesse accogliermi, e cominciò una cavalcata voluttuosa, sempre più incalzante. Ricordando le sue paure ero pronto a fare quello che lei sempre mi raccomandava, e questa tensione prolungò, e di molto, il tempo che normalmente trascorreva prima di staccarci. Sembrava impazzita, i capelli scompigliati, il seno sussultante, il grembo sempre più fremente. Quando sentì che mi preparavo a lasciarla, mise le mani sotto le mie natiche, strinse forte, e il suo ventre si dissetò spillando fino all'ultima stilla. Così, ansante, sudata, si riversò su me, sempre stringendomi in lei.

"Finalmente, Piero, finalmente. Non avrei mai immaginato che potesse essere così bello. Rifacciamolo subito, ancora, come prima, più di prima... E' il paradiso in terra."

La strinsi a me, e le sussurrai all'orecchio:

"E adesso, Regina?"

"Adesso, Piero, voglio un figlio tuo, al quale dare il tuo nome. Allattarlo, allevarlo, vederlo crescere, sempre più somigliante a te, in ricordo del tempo trascorso insieme e di questa notte in particolare. Non chiedermi nulla, adesso. Facciamo l'amore."

Quella notte l'amore non conobbe stanchezza.

L'indomani, pensoso per quanto era accaduto, mi alzai prima di Regina. Giaceva supina, braccia e gambe leggermente divaricate, i capelli sul petto nudo. Voluttuosamente sfinita.

Aprì gli occhi, mi sorrise, mi mostrò il braccialetto che aveva al polso.

Quando lasciò il letto si fermò di colpo. Portò una mano alla fronte.

"Sono stordita, Piero, ubriaca di te."

Andò nel bagno, ne uscì poco dopo e prese a vestirsi, con gesti stanchi e lenti.

Io ero pronto per uscire. Era già l'ora di entrare in servizio.

Mi accompagnò alla porta che dava direttamente sulla strada.

Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, le labbra tremanti.

Mi gettò le braccia al collo.

"Grazie, Piero, grazie. Sono ebbra di te, piena di te, e spero per lungo tempo. E' l'ultima volta che ci vediamo. Questa sera torna Stano, è stato congedato per motivi di famiglia. Domenica ci sposiamo e lasciamo il paese, andiamo lontano. Grazie, Piero, e addio."

Tornò in casa e chiuse la porta.

ULISSE
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