L'arco Nelle Nubi

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Chiuse di scatto le gambe, tirò giù il vestito, si raddrizzò sulla poltroncina.

Prese la mia mano tra le sue, carezzandola, e si mise a guardare lo schermo.

* * *

Nell'atrio dell'albergo il padre e il nonno giuocavano a scacchi, come sempre. Il gruppo dei quattro, che avevo notato nella sala da pranzo, era seduto con alcuni bicchieri vuoti dinanzi, di lì a poco sarebbe iniziato il coprifuoco.

Il padre chiese com'era stato il film.

"Abbastanza bello, papà. Ma forse ho annoiato il signor Tenente. Un'altra volta chiederò a un'amica di tenermi compagnia. Farò così, signor Tenente, va bene?"

Scossi il capo.

"E' stato veramente un piacere che mi abbia consentito di accompagnarla. E sarò lieto se mi considererà sempre a sua disposizione."

"Venga al bar, signor Tenente, che ci togliamo la sete."

Entrammo direttamente nel bar.

Dora andò dietro al banco.

"Cosa desideri?"

"Desidero te! Dolce, deliziosa, affascinante, splendida, incantevole, seducente, attraente, ammaliatrice."

Il sorriso che era iniziato sulle sue labbra si mutò in un'espressione seria.

"Non so cosa stia capitandomi, Piero, tu mi turbi, è la prima volta che qualcosa mi sconvolge così, mi attrae e nel contempo mi spaventa. Non so come dire, non riesco a spiegarmi... Mi sento folgorata. Mi sembra di stare sulla riva d'un lago splendido, le cui acque non attendono che cullarmi, deliziarmi... ma ho paura di affogare.

Desidero rileggere il Cantico, con te, sulle tue ginocchia, tra le tue braccia, ma temo che quella lirica possa trasformarsi nel mio canto del cigno..."

"E se, invece, fosse il nostro inno all'amore?"

"Inno senza domani, Piero!"

"Dora, la luce della folgore, a volte, indica la via da percorrere. Il domani dipende molto da noi. Noi stiamo facendo discorsi seri, come se ci conoscessimo chissà da quanto tempo, e non sono nemmeno ventiquattr'ore da quando ci siamo incontrati. Forse questo spiega tutto. Ci dovevamo trovare perché ci siamo cercati da sempre, perché le nostre strade confluiscono, e se è scritto che dovremo percorrerle insieme, sarà così. Comunque, mentre intorno a noi è guerra, lotta, distruzione, morte, noi rischiamo di perderci per sempre, solo perché temiamo il domani. Un domani che non sappiamo se ci sarà

Sì, potrebbe anche accadere che tutto sia solo una parentesi, ma perché, eventualmente, non ricordarla come il periodo più bello della nostra vita? Nel buio profondo si è accesa una luce, perché spegnerla adesso? Per tema che si estingua? Senza sapere se e quando?

Io salgo nella mia camera, aprirò la Bibbia dov'è scritto:

Alzati, amica mia,

mia bella, e vieni!

Fammi vedere il tuo viso,

fammi udire la tua voce!

Voce che legge le parole d'amore che già millenni orsono cantavano le figlie di Gerusalemme.

Ti amo, Dora, da prima d'incontrarti."

"Buona notte Piero!"

"Dipende da te, Dora."

Tornai nell'atrio, salutai, salii lentamente le scale, entrai nella camera, dalla valigia presi la Bibbia e la misi sul tavolino, aperta dove cominciava il Cantico.

Mi preparai per la notte.

Mi sdraiai sul letto, lasciando accesa la luce del comodino. Le mani sotto la nuca, lo sguardo al soffitto.

Mille pensieri affollavano la mente, sentivo che poteva trattarsi di qualcosa di molto serio.

Non so, forse m'ero assopito.

Sentii il lieve cigolare della maniglia, guardai, si abbassava lentamente. La porta si dischiuse. Dora era avvolta in una vestaglia rosa, semiaperta, che lasciava intravedere la bianca camicia da notte, velata. Lasciò cadere la vestaglia, venne verso me. I capezzoli, eretti, prepotenti, tendevano la stoffa, quasi a perforarla. Il bianco serico della camicia si scuriva sul pube. Spense la luce sul comodino.

Si adagiò accanto a me, si voltò, e mi baciò con inaspettata passione.

* * *

Dalla finestra entravano le prime luci del giorno.

Dora, discinta, deliziosamente affranta, sedeva in braccio a me. Il seno sfiorava il libro, con voce un po' roca, lesse:

" Il mio diletto è per me

ed io sono per lui:

la voce del mio diletto che bussa:

aprimi sorella mia, amica mia,

mia colomba perfetta.

Ho levato la mia tunica

come indossarla di nuovo? "

Mi porse il libro.

Seguitai:

" Le curve dei tuoi fianchi

sono come monili.

Il tuo ombelico è una coppa rotonda.

Il tuo ventre è una coppa di grano

contornato di gigli.

La tua statura assomiglia alla palma

e i tuoi seni ai grappoli.

Salirò sulla palma,

afferrerò i rami più alti.

E mi siano i tuoi seni

come i grappoli della vite..."

Regina

Il portoncino verde scuro, a due battenti e con battagli d'ottone lucido, era sempre molto pulito, come se fosse stato verniciato da poco.

Aprendo, s'entrava in un piccolo ingresso. A sinistra una porta, robusta e protetta da un rinforzo in grossa lamiera, conduceva nel locale dove lavoravano le due signorine, intorno alla trentina, somigliantissime, e dove si riceveva il pubblico. La scala, di pietra levigata, portava al primo piano, l'unico, sul ballatoio. Qui tre usci, di fronte e ai lati.

Era un unico appartamento, ma facilmente divisibile. Bastava lasciar chiusa una porta, metterci davanti un armadio, o altro, e si avevano tre piccoli alloggi.

Avevo preso in fitto quello di sinistra: un ingresso, abbastanza ampio e luminoso, una vasta camera che poteva definirsi uno studio-letto, il bagno con tutti i servizi e un piccolo "pec", lo scaldabagno elettrico. A fianco, una specie di cucinina, con un fornello elettrico sul piano di marmo.

Mobili chiari, artigianali, comodi, funzionali.

In quella che veniva chiamata la camera da letto, spavaonica, il letto, comodino con lume, comò specchiera, armadio con altro specchio nell'interno, scrivania a cassetti col piano in finta pelle verde, una poltrona, due sedie, un attaccapanni a piantana.

A fianco all'armadio una porta comunicava con l'alloggio di centro, e conduceva in uno spazioso ingresso detto "soba", soggiorno. La chiave l'avevano le padrone di casa, Lenka e Anna, per entrare a rassettare.

Tutto era lindo e lucido.

Si poteva godere una certa riservatezza.

Lenka e Anna erano abbastanza silenziose, al massimo si sentiva della musica: la radio o il grammofono sul quale facevano girare dischi moderni.

Mi avevano chiesto se la musica mi desse fastidio, e risposi loro che, anzi, mi piaceva.

"Allora" -disse Lenka- "entri pure ad ascoltarla, anche quando non ci siamo noi, e se vuole, qualche volta possiamo fare quattro chiacchiere, specie la domenica, perché l'orario degli altri giorni non ci lascia troppo tempo. La sera, però, stiamo sempre in casa. Il coprifuoco, del resto, non ci consente di ritirarci dopo le undici. Beato lei che può girare quando e quanto le piace."

"In affetti" -risposi- "non si sa dove andare, durante il coprifuoco."

"Si, ma si possono fare delle visite e tornare a casa anche molto tardi." Osservò Anna.

Erano gemelle. Per la somiglianza le avrei certamente confuse se Lenka non avesse avuto i capelli lunghissimi, dai riflessi d'oro.

Stessa statura, stesso personale, occhi perfettamente identici, di un azzurro profondo, dove sembrava sperdersi.

Avrebbero festeggiato ventinove anni fra un mese.

"Siamo vecchie zitelle stagionate." -disse Lenka- "Colpa nostra, certo, ma è anche il tipo di lavoro che non consente di avere amicizie, e soprattutto l'amore, che dev'essere coltivato per potersi sviluppare. Altrimenti si tratta di qualcosa d'altro, che ha nulla a che fare col cuore."

Eravamo rimasti in piedi, nel soggiorno.

"Ma venga a prendere una specie di caffè in quello che chiamiamo il salotto."

Andò ad aprire la porta centrale e mi fece entrare in un grazioso e accogliete locale, arredato con gusto e semplicità.

Anna mi fece cenno di sedere sul divano, accanto a lei. Lenka si scusò. Sarebbe tornata dopo poco, col caffè.

"Come si trova in questo piccolo paese?"

"Veramente bene. Le persone che ho conosciuto sono cordialmente cortesi, ospitali."

"E le ragazze?"

"Vede, anch'io ho un lavoro che non mi consente di incontrarne molte. Ma sono molto belle, come lei e sua sorella. Anzi, non dite a nessuno la vostra età. Io vi avrei dato dieci anni di meno."

"Grazie, Tenente, è molto galante. Lei ha un qualcosa che i nostri uomini di qui non hanno. Sono rudi, forse anche noi donne lo siamo, e quasi si vergognano a dirci qualcosa di carino."

"Capita spesso, signorina, che non si sanno apprezzare i doni e le fortune che si hanno. Ma, forse, è più esatto dire che i vostri uomini esprimono il loro apprezzamento, la loro ammirazione, in una maniera molto spontanea, poco elaborata."

"Sarà come dice lei, Tenente, ma non sono mai riuscita a trovare il fascino slavo nei ragazzi di qui."

"Non so negli uomini, ma nelle donne è manifesto e seducente un qualcosa che solo voi avete. E' questo, certo, che attrae, che ammalia. Lei e sua sorella siete vivi, palpitanti e inebrianti modelli."

"Lo sa, Tenente, che da ciò che lei dice, da come lo dice, finalmente comprendo perché ci si lasci ammaliare dall'uomo del Mediterraneo?"

"Ma l'ammaliare è di voi sirene, signorina Anna."

Lenka rientrò portando un vassoio sul quale erano tre tazzine, piattini e cucchiaini, caffettiera, lattiera e zuccheriera di porcellana, oltre un piatto con dei biscotti dorati e profumati. Poggiò tutto sul tavolino centrale.

"Quanto zucchero, Tenente?"

"Niente, grazie."

"Dicono che gustare il caffè amaro sia dei buongustai, vero?"

"In effetti" -risposi- "così, amaro, mi sembra più aromatico."

"Ho sentito" -disse Lenka- "le vostre considerazioni intorno ai modi degli uomini e delle donne. Io penso che ognuno, specie in certi momenti, in certe situazioni, desideri le coccole. Piccole moine affettuose che non devono, però, sconfinare nella sdolcinatura, nel lezioso. E' vero quello che dice Anna, i nostri uomini vogliono le coccole, anche se fanno finta di non gradirle, ma loro non ne fanno per tema di dimostrarsi deboli, effeminati."

"Vede, signorina Lenka..."

"Chiedo troppo se la prego di chiamarci per nome. E' vero che per lei siamo un po'... passate, ma non ci faccia pesare l'età."

"Grazie, Lenka, ne sono veramente lieto. E lascio cadere le altre sue parole perché sono certamente una battuta. Lei e Anna siete i più bei frutti che si possano sognare, le più belle fanciulle che si desideri cullare, carezzare, dolcemente. Coccolare. E' bello mostrarsi deboli così. Noi uomini siamo deboli, lo sapete bene, ma vogliamo mostrare la scorza della durezza che spesso consideriamo manifestazione di virilità. Siamo come i bambini che vogliono apparire ometti."

"Tenente..."

"Piero, per favore."

"Piero, Lenka ed io saremmo felici se questa sera potessimo averla con noi a cena. Sempre che non sconvolgiamo i suoi programmi."

"Accetto con molto piacere, e sono certo che mi sentirò meno solo. Grazie.

Adesso vi lascio alle vostre cose. So che la domenica pomeriggio avete sempre tanto da sbrigare.

Ci vediamo alle?"

"Alle sette e mezzo, alle diciannove e trenta, va bene?

Se viene un po' prima prenderemo l'aperitivo."

"Benissimo, arrivederci."

Mi alzai, tornai nella mia camera, indossai il cinturone, presi la bustina e uscii.

* * *

Dora era nel bar, alla cassa, un po' rossa in viso, febbricitante.

"Mi sono alzata per poterti salutare, ma torno subito a letto. Ho un terribile mal di testa. E' la tipica influenza del cambio di stagione. Vorrei tanto baciarti, ho anche la chiave del numero tre, che è vuota, ma non voglio contagiarti."

"Anche io desidero baciarti, abbracciarti... Andiamo su, prima che qualcuno possa vederci. Io sono resistente a qualsiasi germe o bacillo, o virus che dir si voglia."

Mi sorrise dolcemente.

"No, Piero, so bene che... prenderei freddo, e il male d'un giorno potrebbe durare a lungo e tenerci lontani per più tempo di quanto io possa resistere distante da te. Sono certa che domani sera potremo andare al cine, e tornare qui, insieme. Adesso è meglio che tu vada a spasso, o torni a casa a leggere qualcosa. Ciao, amore."

Uscii controvoglia, andai alla mensa ad avvisare che non sarei andato a cena. Mi feci dare due bottiglie dalla riserva speciale del Generale, detti una mancia generosa al cambusiere, e tornai a casa.

* * *

Alle sette e un quarto bussai alla porta del salotto.

Lenka venne ad aprire.

Indossava un abito azzurro come i suoi occhi. Sembrava che le fosse stato "spruzzato" addosso, tanto aderiva perfettamente alle sue splendide forme, esaltandole. La profonda scollatura, a volte velata dai lunghi capelli d'oro, mostrava che il seno, deliziosamente prepotente e rigoglioso, non necessitava di alcun sostegno. Tacchi più alti di quelli che normalmente portava, esaltavano la linea tornita delle gambe. Le mani piccole e aggraziate, le dita lunghe, affusolate, prive di qualsiasi gioiello. Solo al polso sinistro un braccialetto di perle, che richiamavano quelle degli orecchini.

Mi venne spontaneo di prenderle la mano e baciarla, prima sul dorso, poi nel cavo. Sorrise e abbozzò una lieve carezza.

"Sempre galante, Piero, ed è una dolce insidia seducente."

"Non parliamo di seduzione, Lenka, il suo fascino affascina, incanta.

Mi sono permesso di portare un po' di vino, bianco, frizzante. Spero sia di vostro gradimento. Avrei voluto presentarmi con una scatola di cioccolatini, ma..."

Sorrise maliziosamente, stringendo gli occhi.

"Era difficile spiegarlo a... al bar..."

"Più o meno..."

"Venga, Piero, segga. Anna ci servirà l'aperitivo della casa: bianco sciroppo di mandorle, rosso di ribes, verde di menta, un bicchierino di borovica rakijia, ginepro. Lo abbiamo chiamato sloboda, libertà.

Noi spesso parliamo in croato, ma siamo e ci sentiamo Italiane. Volevo dirglielo fin dal primo momento, ma mi sembrava una dichiarazione non richiesta."

Anna apparve con l'aperitivo.

Un vestito nero, anche questo attillatissimo e con una profonda scollatura esaltata da una spilla: una "A" d'oro bianco tempestata di piccoli brillanti. Al polso un braccialetto d'oro e brillantini, orecchini dello stesso stile. Il casco dei capelli lasciava libero il collo, bello ed elegante.

Si chinò di fronte a me, porgendomi il calice, svelando alla mia estatica ammirazione le coppe rosee del suo seno, impreziosite dai due turgidi rubini che premevano il vestito.

Queste ragazze dovevano aver abolito ogni sorta di biancheria intima, non solo non si scorgevano le spalline del reggiseno, ma neanche i segni che, comunque, avrebbero lasciato gli elastici delle mutandine.

Alzammo i bicchieri e bevemmo in silenzio.

Ero seduto tra Lenka e Anna, sul divano stretto e sentivo il calore dei loro fianchi.

"La vostra vicinanza, il vostro profumo, hanno su di me un effetto inebriante, come se in questo bicchiere aveste versato ambrosia. Il vostro è il profumo delle Dee."

"Allora, devi esprimere un giudizio, novello Paride." -disse Anna- "Quale profumo ti piace di più?"

Alzò la testa e avvicinò a me il suo collo. Dalla scollatura giungeva un effluvio delizioso.

"Non puoi pronunciarti senza sentire il mio."

Aggiunse Lenka, sfiorando il mio volto col suo meraviglioso seno.

"Sono due profumi deliziosi, dolci e aggressivi nel contempo, invitanti, pieni di recondite promesse. Ma soprattutto mi sento avvolto ed estasiato dalla vostra fragranza, quella della vostra pelle vellutata, delle vostre labbra coralline..."

"Hai vinto un premio, Piero. Se per te è un premio. Per me si."

Disse Lenka. E con la bocca mi sfiorò le labbra.

Anna mi gettò le braccia al collo e mi strinse a sé.

Mi presero per mano.

Andiamo a cena.

Nella sala da pranzo, la tavola era preparata con cura e gusto. Due candelieri conferivano un tocco di particolare eleganza.

Vicino alla tavola una ragazza dai capelli quasi platino, vestita di rosso, statuaria. Mi sorrise.

"Questa è Regina" -presentò Lenka- "una giovane amica che è venuta a trovarci e, quando ha saputo che c'eri tu a cena, si è autoinvitata." -Strizzò l'occhio.- "Non siamo riusciti a mandarla via!"

Regina fece un inchino, come una dama del settecento, e mi tese la mano. Prese la mia e mi attirò a sè. Sentii il suo seno florido premere sul mio petto. Mi gettò le braccia al collo e mi baciò sulla bocca. A lungo.

Guardò Anna e Lenka, con aria di sfida.

"Credevate di lasciarmi all'asciutto, eh?"

Anna scosse le spalle.

"Sediamoci" -disse Anna- "Piero e Lenka da quella parte, Regina di fronte a Lenka, perché ha il piedino indiscreto, e io accanto a lei."

Regina fece una smorfia, e mostrò la lingua ad Anna.

Lenka sedette accanto a me. Avvicinò il suo volto al mio, poggiò la sua mano sulla mia gamba.

"Mi auguro che la cena ti piaccia. Non ti dico niente. E' una sorpresa."

* * *

La cena fu ottima.

Eravamo tornati in salotto.

Il vino ci aveva reso allegri.

Regina era sul divano e si stringeva a me, muovendosi continuamente, facendomi sentire la carezza del suo corpo invitante.

"Anna" -disse Regina- "perché non balliamo? Tu hai dei dischi molto belli. Metti uno slow..."

Anna fece finta di non aver udito.

Regina si alzò e andò verso il grammofono.

Anna la guardò con un certo senso di fastidio.

"Kraljica, non è il caso!"

"Come l'hai chiamata?" Chiesi.

"E' il suo nome originale, poi lo ha tradotto in italiano." Rispose Anna.

"Kra" -seguitò Anna- "attenta al coprifuoco. Non è per mandarti via, ma non fare tardi."

"Non preoccuparti, Anna, abito di fronte, basta che me ne vada due minuti prima delle undici."

Regina era invadente, esuberante.

Anna e Lenka mi guardarono alzando le spalle.

Anna sedette accanto a me. Mi sussurrò:

"Scusa, sai, ma non è stato possibile mandarla a casa prima di cena. Ci sta rovinando la serata. Dovremo rifarci presto. Lenka ed io stiamo veramente bene con te."

Mi avvicinai al suo orecchio.

"Si, è un vero peccato. Ma io resto qui e, spero, a lungo."

Mancava qualche minuto alle undici.

Regina salutò tutti, con grandi baci e abbracci, e uscì. La sentimmo scendere le scale, aprire e richiudere il portone.

Comunque la serata stava finendo così.

"Col dolce negli occhi e l'amaro sulle labbra."

Concluse Lenka.

"Domani dobbiamo alzarci presto" -disse Anna- e dobbiamo rassettare tutto adesso.

"Scusaci, Piero. Buona notte."

Un lieve bacio sulla mia guancia.

"A domani, Piero."

"A domani ragazze."

Lenka sfiorò le mie labbra.

Tornai nella mia camera.

* * *

Mi spogliai lentamente, piegai accuratamente i vestiti a mano a mano che li toglievo.

Mi preparai per la notte.

I suoni soffocati che s'erano sentiti provenire dalla sala da pranzo erano cessati. Tutt'intorno era silenzio.

Entrai tra le lenzuola e, alla luce del lume sul comodino, cominciai a scorrere il giornale.

Mi sembrò sentire un lieve rumore, come il grattare di gatto che vuole entrare, nel piccolo ingresso dov'era l'uscio che si apriva sulle scale.

Mi alzai e, scalzo e in punta di piedi, andai ad origliare dietro quella porta.

Qualcuno sfregava le unghie sul legno.

Una voce soffocata mormorò: "Piero, apri, sono Regina."

Girai piano la maniglia, socchiusi appena. Nel buio del pianerottolo intravidi un'ombra. Regina spinse la porta ed entrò. Mise l'indice destro sulle labbra, facendomi segno di non parlare.

Andò nella camera da letto, sedette sulla poltrona vicino alla scrivania. Mi guardò con un sorriso strano, seducente, attraente, ma con una sorta di maliziosa sfida negli occhi.

Parlò sottovoce.

"Ho sentito delle voci per strada, mentre stavo per uscire dal portone, ho avuto paura, potevano essere degli ubriachi. Si sono fermati vicino al portone. Ho atteso che i si allontanassero. Quando sono andati via erano già passate le undici. Ho temuto che la pattuglia mi pescasse e mi portasse al comando."

La guardai senza troppo credere a quello che diceva.