L'arco Nelle Nubi

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L'attrassi a me, mettendo l'altra mano sulla sua gamba. Tirò su la gonna, incontrai la sua pelle nuda, come una seta preziosa, che s'increspava al mio tocco. Lasciò che salissi più su.

Accostò le sue labbra all'orecchio.

"Andiamo?"

"Vuoi andar via?"

Annuì.

"Dove vuoi andare?"

"Casa."

"Devi tornare a casa?"

Fece cenno di no. Sussurrò piano:

"Casa tua."

"Casa mia?"

"E' scritto in mano.

Io cerva, tu cavallo, qualcuno dice non è incontro buono, ma io credo in chi dice che è incontro eccezionale. E' scritto in mano: io cerva e tu cavallo, desiderio e passione intensi. Io cerva tempo breve, tu cavallo tempo lungo. E' culmine, massimo, di incontro.

E' scritto in mano: incontro nella casa del cavallo."

* * *

Sembrava conoscere il mio piccolo appartamento, come se lo avesse frequentato da tempo.

Entrò nella mia cameretta di scapolo.

"Bruno, tu bagno, io bagno. Cerva e cavallo alla stessa fonte."

Mi prese per mano e mi condusse verso il bagno.

Aprì i rubinetti dell'acqua, ne regolò la temperatura, chiuse lo scarico.

Si voltò verso di me. Cominciò a togliermi la giacca. Stavo per aiutarla.

"Tu fermo, Mrigi fa."

Mi spogliò lentamente, sapientemente.

Poi tolse gonna e blusa.

Rimase nuda. Stupenda, regale, una statua perfetta, di rame dorato.

Ero eccitatissimo.

Di fronte a me, senza nessun imbarazzo, carezzò il mio sesso.

"Questo, lingam cavallo. Robusto, forte, per grande piacere."

Prese la mia mano e la portò tra le sue gambe.

"Questa yoni Mrigi, cerva. Cerva agile."

Mi fece entrare nella vasca e vi si pose anche lei. Mi passò la spugna sulla schiena, sul petto. Dappertutto.

Volevo fare altrettanto con lei.

Scosse la testa sorridendo.

"No spugna, mano."

Rimase immobile mentre le mie mani la carezzavano frementi.

Uscimmo dall'acqua. Mi avvolse nel telo che era all'attaccapanni e mise un grosso asciugamani intorno ai fianchi.

"Vieni."

Tornammo in camera da letto.

"Vieni."

Mi tolse l'accappatoio e mi fece sdraiare sul letto.

Lasciò cadere l'asciugamani.

Mi guardò con occhi fiammeggianti.

"Yoni adesso alloggia lingam, per miscuglio acqua e latte, per godere frullo del passero. Yoni attenaglia lingam, stiracchia, comprime, mantiene in sè.

Mrigi fa altalena. Con seni carezza il tuo petto."

Montò su me, eretta, a gambe aperte. Le sue piccole dita portarono ligam a yoni. Ebbe un momento d'indecisione, un impercettibile mordersi di labbra. Poi l'accolse, avida, fremente.

"Scritto su mano" -mormorò dondolandosi- "Cerva monta cavallo."

Una femmina ardente, appassionata, fatta per l'amore, per il piacere, per la voluttà. Un'amante deliziosa, dolce ed eccitante, fremente. Dalle sue labbra usciva un sordo tubare di colomba, una cantilena inarticolata, un gemito sommesso, una cantilena lenta, ritmata dalla sua danza, dal suo ondeggiare sempre più incalzante, fino a quando restò immobile, per un istante, vibrando come percorsa da una scarica elettrica. Si riversò sul mio petto, mi afferrò per i capelli, mi tirò indietro la testa, mi baciò il labbro inferiore, gli occhi, la fronte, il viso, mentre il suo ventre sobbalzava orgiasticamente, assorbendomi in lei.

Mi giacque accanto, trasfigurata, estatica.

Scese da letto, in ginocchio, col suo asciugamano mi terse dolcemente il sudore dal petto, dalle gambe, baciandomi prima di passare il panno.

Le carezzai un seno.

"Tornerai?"

"Come ape al fiore, cerva assetata alla fonte, yoni palpitante al ligam. Il mio desiderio, la mia passione sono sazi, ma superiore a tutto è il piacere che mi dà sapere che ti ho dato piacere."

"Si. Come mai prima d'ora, Mrigi."

"La passione era dentro come piccolo germoglio, tu l'hai fatta sbocciare prepotente. Il fuoco divampava in me, tu l'hai placato. Il mio grembo bruciava, il tuo balsamo delizioso l'ha acquietato. Il tuo ligam ha distillato il nettare che ha dissetato yoni. Si. Io ritorno."

"Quando?"

"Se Allah misericordioso mi protegge, sarò da te sabato, prima che il sole s'addormenti."

"E quanto rimarrai con me?"

"Insc'Allah! Bacia il mio seno, mordilo. Perché resti segno di te, come nube interrotta, che duri almeno fino al mio ritorno."

* * *

I giorni che mi separavano dal sabato furono una lunga vigilia.

Quella sera indimenticabile non aveva voluto che la riaccompagnassi.

Prima di aprire la porta e lasciarla andar via, avevo arrotolato un biglietto di banca, e glielo avevo porto perché acquistasse un piccolo ricordo.

Scosse il capo con aria dolce e malinconica.

"No, io ho ricordo bellissimo di queste ore. Forse avrò ricordo ancora più bello."

Socchiuse la porta, scese rapida e silenziosa per le scale.

L'attendevo ansioso.

Il sole stava tramontando.

Avevo fatto preparare la cena dal ristorante dove usualmente consumavo i pasti.

Il frigorifero era ben rifornito.

Sulla sedia accanto al letto, avevo posto una ricca vestaglia di seta azzurra comprata per lei.

Suonò il campanello del citofono. Non ci fu risposta al mio saluto. Spinsi il pulsante per aprire il cancello d'ingresso, andai dietro la porta di casa.

L'ascensore si fermò al piano.

Socchiusi l'uscio, ma dalla cabina uscì una ragazza alta e snella in un elegante chemisier rosso, legato alla vita da una cintura d'oro.

Le sorrisi con aria un po' sciocca, guardando alle sue spalle per vedere se c'era anche Mrigi.

La donna chiuse il cancello, l'ascensore ripartì verso il basso,

Mrigi, forse, non aveva fatto in tempo a prenderlo.

La ragazza s'avvicinò alla mia porta...

"Mrigi...!"

"Dobro vece, Bruno."

Gli occhi erano splendidi, il volto radioso.

Entrò col suo passo leggero, felino.

"Non mi hai riconosciuta? Sei deluso? Volevi la zingara?"

"No, non ti ho ricosciuta, sei più bella del bellismo ricordo che ho conservato di te. Sei meravigliosa. Io voglio te, Mrigi, la cerva, e non m'importa se zingara o no."

Era entrata nello studio. Aprì la scollatura.

"Io ho ricordo sul mio cuore."

Mostrò i segni dei miei denti.

"Mi spiace, ho morso troppo forte."

"A me non spiace, è stato bello, è mio segreto."

"Vieni, Mrigi, vieni."

La condussi, tenendola per mano, nella camera da letto.

"E' tua, ti piace?"

Le detti la vestaglia.

La guardò con aria contenta.

"E' molto bella, mi piace molto. La metto subito."

Tolse l'abito. Anche questa volta era la sola cosa che indossava.

Presi la vestaglia e la tenni in modo da aiutarla ad infilarla. La tolse dalle mie mani, con garbo, sorridendo.

"Io indosso da sola, tu toglierai quando vuoi."

Le stava deliziosamente.

Le andai incontro e la strinsi tra le braccia, la baciai a lungo, ricambiato con foga.

"Come fai per venire qui?"

"Detto che andavo a Università, a Perugia, per conferenza domani, domenica."

"Quanti anni hai, Mrigi?"

"Diciannove. Tu?"

"Esattamente il doppio."

Mi guardò con un'espressione che non compresi. Ero giovane? Troppo vecchio?

"Ho fatto portare una piccola cena, vuoi?"

"Si, anche stomaco ha fame, come tutta me stessa."

A cena fu abbastanza ciarliera, mi parlò della tribù, di un cugino che era l'avvocato della locale comunità zigana. Del ragazzo promesso che la voleva sposare subito, anche perché le zingare sposano molto giovani. Che lei, invece, voleva ancora attendere. Che non voleva incontrare il suo fidanzato, perché non era scritto nella sua mano e lei non era scritta nella mano di lui. Che se scoprivano il suo segreto sarebbero stati guai, secondo la loro legge. Che il padre, però, l'accontentava in tutto. Era molto comprensivo, forse un suo antenato non era zingaro.

Dopo cena voleva rassettare tutto.

Le dissi che ci avrebbe pensato la portiera, l'indomani.

"Perché, viene qui mentre qui stiamo noi?"

"No, verrà quando andremo a fare una passeggiata verso i castelli."

"Ah!"

Si avvicinò al mucchio di dischi, ne scelse uno, si voltò verso me.

"Posso?"

"Certo."

"Andò al lettore, pose il disco, lo avviò."

Una musica lenta, avvincente.

Cominciò una danza fatta di piccoli movimenti, di giuoco di dita, di braccia. Sporgeva il petto, le natiche, lentamente, in attitudine semplice e quasi ieratica, avrebbe detto D'Annunzio.

Al termine, rimase immobile, il capo rivolto in alto, le braccia leggermente in avanti, le mani verso me, i medi e i pollici stretti tra loro.

"E' bello. E' Canto indù. A me piace danzare con questa musica."

Le andai vicino e la baciai sugli occhi.

Mi guardò con gli occhi che non sapevi se fossero di dolce cerbiatta o di una tigre cacciatrice.

"Vuoi togliermi la vestaglia?"

Assentii con la testa.

Afferrò la mia mano e s'avviò verso la camera da letto. Al passare, spegneva le luci. Lasciò accesa quella del comodino, dalla parte sua.

Slacciai la cintura della vestaglia. Abbassò le braccia, la feci scivolare dalle spalle, la raccolsi e la misi sulla poltrona.

Portò alle labbra la mia mano, baciò le dita.

"Tu vuoi me come donne di Koshola, di Audhra?"

La guardai interrogativamente.

Si sdraiò sul letto.

Ripiegò le gambe e premette le cosce contro i fianchi.

"Tu fai piccolo incontro con yoni, conosci suo giro, poi entra tuo ligam e soffoca sbadiglio di yoni. Yoni, contenta, non sbadiglia più, manda le gambe a stringersi dietro la sua schiena, e tiene prigioniero tuo ligam, fino a quando lui, piangendo, vuole uscire. Ma Yoni lo tiene sempre suo prigioniero."

E fu una delle infinite varianti che appresi da lei.

* * *

Ogni sabato, aveva un modo nuovo di offrirsi. Credo che consultasse tutti i manuali dell'India e delle terre circostanti.

L'unione dell'edera, dell'albero sospeso, della rana. L'unione sacra, quella della vacca (solo che il toro non titillava i capezzoli alla sua partner).

Erano trascorse dodici settimane. Mai un'assenza, e solo ora mi stupisco della mia non meraviglia.

"Bruno, mordi mia jaghana, dall'ombelico alle cosce. E piccolo Bruno conosce suo padre."

"Cosa significa Mrigi?"

"Che in jaghana di Mrigi c'è piccolo Bruno."

"Piccolo Bruno?"

"Si, io incontrato solo grande Bruno. Tutte le nuvole su mio corpo, petto, braccia, natiche, cosce, gambe, sono di Bruno.

Yoni ha distillato inebriata il nettare del tuo ligam, e Bruno è diventato immortale, seguiterà a vivere nella sua creatura."

La guardai sbigottito.

"Piccolo Bruno?"

"Certo, tu sei solo uomo che ho incontrato in mia vita. Non hai capito quando cerva ha montato cavallo prima volta?"

Seguitavo a guardarla, incredulo.

"Non accorto che Mrigi ha sempre incontrato te, sempre, senza mai giorni rossi?"

Ora ricordavo la prima volta che mi aveva ricevuto in sé, il mordicchiarsi il labbro, il suo desiderio di asciugarmi, dopo.

Era vero, nulla aveva mai impedito a yoni e ligam d'incontrarsi.

Sentii l'impulso irrefrenabile di rovesciarla sul letto, baciarla. Sulle labbra, sul petto, sulla pancia.

Mi carezzò i capelli.

"Cosa farai di Mrigi?"

"Vorrei averti con me, per sempre."

Balzò in piedi, cadde in ginocchio, posò il capo sulle mie gambe.

La sua voce era bassa, tremula.

"Ho parlato con mio padre.

Ha detto, se vuoi puoi venire con noi e fare architetto delle nostre comunità.

Se vuoi, posso venire da te e sono miei tre caravans e sei baracconi."

"Voglio te, Mrigi. Non voglio carrozzoni o baracconi..."

"Io faccio quello che tu vuoi...

Se tu mandi via Mrigi, lei piangerà, ma vivrà per sempre con tuo figlio e ti avrà sempre nel cuore, grata per tuo ricordo."

"Alzati, Mrigi.

Voglio conoscere tuo padre. Voglio dire quanto ti amo. Che tu devi essere mia moglie, Mrigi Colli."

"Grazie, Bruno, tu vuoi quello che Mrigi sogna.

Vieni. Piccola cerva vuole montare suo cavallo."

* * * * * * * * *

Do...

Re...

Mi...

Dora

Il treno rallentava.

Il rumore delle ruote sui binari indicava che stavamo entrando in stazione.

Sembrava quasi fermo.

Adesso era fermo del tutto.

Quasi tre ore, tra le più calde, per percorrere poco più di cento chilometri.

Due panini col salame e una mezza bottiglia di minerale, mangiati nella ritirata, perché mi sentivo a disagio farlo nello scompartimento, di fronte agli altri viaggiatori. Ero in divisa.

Si aprivano e chiudevano gli sportelli delle vetture: qualcuno scendeva, altri salivano.

Un uomo gridava a squarciagola: doveva essere il nome del paese, ma non si capiva nulla. O non capivo io.

La stazione era un piccolo edificio scuro, abbastanza ben tenuto. Un campanellino suonava ininterrottamente. Il manovale di servizio andava verso gli scambi. Chi era sceso si avviava all'uscita. Poca gente.

Dall'altra parte, verso l'aperta campagna, numerosi tronchi, in cataste alte almeno due metri, formavano tanti quadrilateri ai quali mancava un lato. Sembrava una fila di "fortini", come quelli visti nelle pellicole western. Erano assenti vedetta e bandiera.

Presi la valigia dalla reticella, la poggiai sul pavimento della vettura, aprii lo sportello e scesi sul marciapiede, guardandomi intorno per vedere se c'era qualcuno che potesse aiutarmi. Mi venne incontro un vecchio, con un carrettino cigolante.

"Le serve aiuto?"

"Si, grazie, potrebbe portarmi il bagaglio al Comando Zona?"

"Certo. E lo lascio a nome di chi?"

Gli detti il mio nome e domandai quanto volesse per il servizio.

"Faccia lei."

La somma che gli diedi dovette soddisfarlo, perché si tolse il berretto e mi ringraziò.

"Segua la strada che inizia dalla stazione fino alla provinciale, prosegua verso il paese, giungerà a una piazza con la chiesa, seguiti ancora e alla prima curva, sulla sinistra, troverà il Comando. Non può sbagliare, c'è la sentinella armata dinanzi al portone."

Si allontanò tirando il carretto sul quale aveva posto la mia valigia.

La strada, leggermente in discesa, era ricoperta d'una fine polvere rossastra, la stessa che avevo notato vicino i vagoni merce fermi sui binari morti.

Raggiunsi presto la "provinciale", poi la piazza.

C'era un bar. Avevo sete. Entrai. Ero l'unico cliente. La ragazza al banco mi accolse con un sorriso radioso, chiese cosa desiderassi. Mi propose una orzata alla menta.

Al mio cenno d'assenso mise sul piano di marmo, di fronte a me, un luccicante bicchiere su un piattino. Dallo scaffale, dove erano in fila numerose bottiglie, ne prese due: una bianco latte e l'altra verde scuro. Versò nel bicchiere un po' di quegli sciroppi e lo riempì sotto il rubinetto.

"Ghiaccio?" Domandò.

"No, grazie."

Con un lungo cucchiaino mescolò, rapida e attenta, e mi guardò sorridendo di nuovo.

"E' arrivato adesso, vero?"

"Appena sceso dal treno."

"Si tratterrà a lungo?"

"Credo di si. Sono assegnato al Comando Zona."

"Capisco. Ma ci sono molti distaccamenti, anche abbastanza lontani."

"Io dovrei restare qui."

"Dove alloggerà?"

"Non so ancora nulla. Mi auguro di poter alloggiare in foresteria."

"Io non glielo consiglio. La foresteria non si trova nell'edificio del Comando. Le camere sono tristi e squallide, ricavate nel vecchio castello che è stato anche prigione politica. Inoltre, lei non avrebbe nessuna riservatezza, non potrebbe ricevere visite. Ogni movimento, entrata, uscita, è controllato dalla sentinella. La cosiddetta foresteria è in un'ala della caserma."

"E si trovano alloggi in paese?"

"Molte famiglie affittano delle camere, anche confortevoli. Sa, hanno bisogno di guadagnare qualcosa, specie quando gli uomini sono lontani, a fare il soldato. Se posso aiutarla, disponga di me. Ho tante amicizie. Il paese è piccolo, ci conosciamo tutti. Se decide di non restare in caserma mi venga a trovare."

Era entrato un uomo anziano, ed era andato a sedersi dietro l'angolo del banco che fungeva da "cassa".

La giovane gli si avvicinò e lo baciò sulla guancia.

"Ciao nonno, stavo parlando col signor Tenente che è arrivato da pochi minuti, gli ho detto che se gli serve una camera si rivolga a noi."

Il vecchio si alzò e mi tese la mano.

"Benvenuto tra noi, signor Tenente, mi auguro si trovi bene, e cerchi di compatire qualche testa matta che ogni tanto si abbandona a intemperanze. Lei mi capisce...

Noi siamo a sua disposizione, come ha detto Dora."

Mi strinse la mano, vigorosamente, come se dovessimo stringere un patto, d'amicizia.

Pagai, ringraziai per l'accoglienza e andai verso l'uscita. Mi voltai a salutare.

"Arrivederla, Dora,"

"Arrivederci, signor Tenente. Torni presto."

* * *

Il Comando non era lontano.

Una palazzina, a sinistra della strada, con la sentinella su una pedana di legno, dinanzi al grosso portone.

Mi venne incontro un graduato, e disse che il mio bagaglio era in un angolo del corpo di guardia. Io dovevo presentarmi all'Aiutante Maggiore, al primo piano. A destra del cortile v'era la scala. Il piantone mi avrebbe annunciato. Prima, però, mi pregava di mostrargli un documento di riconoscimento.

Gli mostrai la tessera rilasciatami dal Ministero, sulla quale era indicato "Servizi Speciali". Lesse il tutto e mi guardò fisso. Mi restituì il documento e mi salutò con forte battere di tacchi. Mi sembrò che ci fosse un particolare messaggio di rispetto. O di curiosità.

Il Maggiore Federico Marini era l'Aiutante Maggiore. Molto più giovane di quanto mi aspettassi. Con mia somma sorpresa si alzò, al mio entrare, e mi venne incontro tendendomi la mano.

"Caro Orsini, benvenuto tra noi. Non c'è bisogno che si presenti. Il Colonnello Vera, che mi onora della sua amicizia, mi ha parlato di lei a lungo. So tutto di lei. Pochi minuti orsono anche il Generale Catarini, conversando col nostro Comandante, il Generale Sironi, si è informato se lei fosse giunto a destinazione. Come vede, è atteso. Ma si segga, prego."

Prima ancora di sedere dove mi aveva indicato, in un angolo della stanza, vicino a un tavolino basso che unitamente a un piccolo divano e due poltrone formava un salottino semplice ed elegante, lo ringraziai per l'accoglienza e gli dissi che mi auguravo di non deludere né lui né chi mi aveva presentato con tanta affettuosa generosità.

Sedette e premette il pulsante che era sul tavolino.

Entrò subito un soldato.

"Comandi signor Maggiore."

Marini mi chiese se volessi un caffè o preferissi della birra fresca.

"Se posso, Signor Maggiore, prenderei una birra, grazie."

"Allora" -disse rivolgendosi al soldato- "due birre, e che siano ben fresche."

Il soldato uscì silenziosamente.

"Sono certo, caro Orsini" -riprese il Maggiore- che ci sarà di grande aiuto, le sue note caratteristiche lo garantiscono e il Generale Catarini, comandante il corpo d'armata, non è facile a giudizi lusinghieri come quelli espressi nei suoi confronti. Ho seguito alcune lezioni, del Generale Catarini, alla scuola di guerra, e conosco la sua severità. E poi, lei è uno dei più giovani Tenenti, non ha ancora ventitré anni, vero?"

Sorrisi e assentii col capo.

"Lei conosce i suoi compiti, e sta a lei organizzarsi. So bene che prima dovrà guardarsi intorno per scegliere i suoi uomini. Lo faccia con tutta la calma che occorre anche se, come lei sa bene, la situazione richiede il massimo delle informazioni possibili. Il suo ufficio sarà accanto al mio. Ma, a proposito, sa dove alloggiare? Noi abbiamo alcune camere riservate agli ufficiali, ma per varie ragioni non le consiglio di fruirne. Meglio avere una certa libertà. Se le serve posso farla aiutare dal sergente maggiore Magnani per cercare una buona sistemazione."

Entrò il soldato, su un vassoio una bottiglia di birra, quelle col tappo a leva, e due bicchieri. Mise tutto sul tavolino, aprì la bottiglia, riempì i bicchieri. A uno sguardo del Maggiore uscì dalla stanza.

Marini riprese a parlare.

"Per questa sera e per quanto tempo sarà necessario alloggi al piccolo Albergo del paese, faccia portare lì i suoi effetti. Attende altro bagaglio?"

"Si, signor Maggiore, ho spedito una cassetta che dovrebbe giungere domani."