L'arco Nelle Nubi

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ULISSE
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* * *

Concetta e Amedeo avevano trascorso un giorno molto faticoso. Ora, le lenzuola che sapevano d'erba invitavano al riposo. Dalla finestra, riparata dai soli vetri, un raggio di luna raggiungeva il letto, e quel chiarore argenteo conferiva alla camera qualcosa d'irreale, di fiabesco, di un mondo di fantasia.

Giacevano supini, con gli occhi aperti, guardando il bianco del soffitto cui la luna dava incredibili sfumature azzurrine.

Nella camera accanto s'udirono dei passi, il cigolio del letto seguito da un breve silenzio. Ancora un cigolio, simile al primo. Qualcuno, o qualcosa, cominciò a battere alla parete. Concetta si girò su un fianco, sostenendosi su un gomito guardò con aria interrogativa verso il muro che li divideva dall'altra camera. I colpi si ripetevano ritmicamente, incalzavano unendosi al cigolare sempre più convulso. Poi, silenzio.

Concetta sussurrò: " Amedeo, senti?"

Amedeo annuì, senza parlare, seguendo con l'orecchio e con la fantasia quanto avveniva al di là del muro.

Concetta s'avvicinò al marito, alzò la camicia che s'era infilata di nuovo, e mise la sua gamba nuda su quelle dell'uomo. Sentì che anche per lui ogni stanchezza era sparita, altre sensazioni prevalevano, prepotentemente. Piano, con movimenti lenti, senza provocare il minimo fruscio, gli si mise a cavalcioni, ritrasse lievemente indietro il bacino, si sollevò appena sulle gambe, e con dita tremanti lo condusse in sé. Rimase così per qualche istante, immobile, assaporandone golosa il pulsare, eretta, col seno proteso, col ventre che si contraeva per la voluttà profonda. Poi cominciò a muoversi, il volto verso il chiarore del soffitto, gli occhi semichiusi, le labbra frementi, i capelli sciolti sulle spalle. Era la Walkiria bruna che rinunciava al suo voto, la cavalcata fremente della figlia di Odino, la femmina che abbandonava la leggenda e la fiaba per godere la realtà della vita. Lui le pose le mani sui fianchi, assecondando, quasi guidando, quei deliziosi movimenti.

Non foga primordiale, ma splendida fusione, di sensi e di menti, tesa a raggiungere le più alte vette del piacere. Coscienti del loro essere, della felicità che stavano vivendo intensamente e che avrebbe lasciato in loro deliziosa e duratura traccia di quei momenti, da ricordare con tenerezza, nostalgia, dolcezza, nel desiderio di riviverli ancora. Concetta proseguiva in quel suo ondeggiare, come d'oceano profondo e infinito solcato dalla prora d'un vascello veleggiante verso terre incantate. Ed era lei l'incanto di quel navigare senza fine, languido e voluttuoso.

In vista dell'approdo, più accorto si fece il nocchiero perché nessuno scoglio, nessuna secca, venissero a turbare la conclusione di quella meravigliosa traversata.

Come la terra assetata si bea, avida, della rugiada del mattino, così fu per Concetta quando, disfatta e felice, s'abbandonò sul petto di Amedeo.

III

La targa sulla porta era l'orgoglio di Amedeo. Un ovale d'ottone, lucidissimo, con inciso, in elegante corsivo inglese, Devoto Amedeo, regalo mandatogli da un detenuto che aveva tradotto al carcere di Santa Maria in Gradi, a Viterbo. Era rimasto indeciso, se accettarla o meno. S'era consigliato col Maresciallo, e messo a rapporto col Signor Capitano. Alla fine, aveva ricambiato con dei toscani, che sapeva essere molto graditi al recluso.

Sotto, tra il cognome e il nome, sovrapposto, un listello rettangolare, amovibile, con scritto, in bastoncino piccolo, v.Brigadiere dei CC.RR. La "v", però, era appena scalfita, tanto che, al momento giusto, fu sufficiente una leggera limatina per farla sparire. Se tutto fosse andato bene, in seguito avrebbe sostituito solo la targhetta piccola, senza spendere i soldi per rifare quella grande.

Certo che Amedeo ne aveva fatto della strada: ormai era nel "cielo" dei sottufficiali, e l'essere in servizio al Comando Generale dell'Arma, come ripeteva spesso, era cosa che non aveva osato neppure sognare.

Il Maresciallo Esposito ogni tanto gli strizzava l'occhio e gli chiedeva scherzando, ma non troppo: "Devo', ma tu a chi tieni lassù?" E indicava il soffitto.

Al piano di sopra c'era l'ufficio del Signor Generale!

Amedeo stesso non sapeva rendersi conto di quanto era accaduto, e così rapidamente. Capracotta, e la nascita di Gioia; Jesi, ed ecco Jolanda; Viterbo, con la breve apparizione di Mario, tornato subito tra gli angeli. Adesso Roma, con Concetta sempre bella, appena appesantita dalla quarta gravidanza.

Mario era stato solo un fugace raggio di sole.

Le femminucce erano venute così, diceva Concetta, per "incompleta fabbricazione". L'indiscussa qualità d'Amedeo non sempre si accompagnava alla quantità. Almeno per come avrebbe voluto lei.

La perdita di Mario le era sembrata un segno della volontà di Dio, e aveva pensato di porre fine alle sue maternità. Le parole del confessore, però, la rendevano sempre più turbata e pensierosa. E anche per questo aveva accettato, e molto volentieri, di lasciare al Signore il compito di stabilire il numero dei figli che avrebbe dovuto avere.

La decisione di non volere più bambini, e quindi di non avere rapporti sessuali, era stata accolta da Amedeo con sorpresa, perplessità e molte riserve. In effetti, molto presto anche Concetta si convinse, e non fu difficile, che il suo proposito era stupido, innaturale, scioccamente punitivo e, soprattutto, non mantenibile a lungo. E poi c'era Re Vittorio, e lei un Vittorio in famiglia lo avrebbe proprio voluto. Allorché comunicò ad Amedeo che poneva tutto "nelle mani di Dio", il marito fu entusiasticamente d'accordo e si mise con zelo ed entusiasmo a dimostrare la sua fede nel Signore, superando ogni più rosea aspettativa della moglie, pur senza raggiungere i traguardi che lei avrebbe desiderato.

Quando la levatrice affermò che si trattava di un'altra femmina, la gioia non fu minore, né ci fu alcuna delusione. "Vuol dire che la chiameremo Elena". Disse Amedeo. Concetta annuì sussurrando che al maschio ci avrebbero pensato.

* * *

Elena, Vittoria, Amedea Devoto, fu battezzata nella Chiesa di Ponte Milvio. Il marito della madrina, compare Maresciallo Gennaro Esposito, non si rendeva conto del perché almeno uno dei tre nomi non fosse Ferdinanda o Francesca, a ricordare quelli che pur erano stati amatissimi sovrani, dalle sue parti.

Gli anni non sembravano essere trascorsi, per Concetta. Le maternità ne avevano addolcito i lineamenti, l'avevano resa ancor più bella, e nessuna traccia lasciava in lei il pur pesantissimo lavoro che doveva affrontare quotidianamente, con le figlie da accudire e i salti mortali che doveva fare per sbarcare il lunario, per figurare di fronte ai superiori e ai colleghi del marito. Amedeo non aveva mai sentito un lamento della moglie, d'alcun genere, né per malanni fisici né per stanchezza o preoccupazioni economiche. Non sapeva, né immaginava, che Concetta, ogni mese, depositava qualche piccola somma sul libretto postale di risparmio. In casa non mancava nulla, le bambine erano sempre in ordine.

La notte Concetta era con lui e per lui. Il tempo non aveva creato alcuna patina di consuetudine. Tutto come la prima volta, anzi molto meglio, perché la conoscenza ne faceva sempre più apprezzare gli aspetti, i particolari e i momenti più belli, alla ricerca di una mai saziata sete di curiosità, ricerca del nuovo. Dormire con lui accanto, sentirlo vicino, sentirsi desiderata, cogliere le sensazioni che gli sapeva dare, assaporarne ogni particolare, abbandonarsi nel più bello e atteso degli istanti, era ancora e sempre il premio che Concetta attendeva al termine ella sua pesantissima giornata.

Questo faceva superare ogni screzio, ogni diversità d'opinione che spesso si manifestava, e anche in forma abbastanza decisa.

"Noi dobbiamo discutere quando siamo in piedi, non quando siamo a letto", ripeteva Concetta, specie nei momenti in cui i contrasti esplodevano più forti e per ragioni molto spesso futili.

Motivi seri, del resto, non potevano esserci, perché Amedeo viveva in un mondo tutto suo, spesso immaginario. Per lui, la gente faceva i propri affari e cercava di non infastidire gli altri. Nella sua realtà, quasi tutti rispettavano il codice morale e ogni altra regola scritta dall'uomo. Del resto, se qualcuno usciva dalla retta vita, a ricordare come bisognava camminare e a portare dinanzi alla legge coloro che deviavano, ci pensavano i Carabinieri Reali. Per Amedeo, tutti erano buoni, fino a prova contraria.

Il Maresciallo Esposito la pensava diversamente: "Devo', quello non lo conosco. Quindi, fino a prova contraria, é 'nu malamente!"

Osservare le legge e farla osservare. Usi a obbedir tacendo e tacendo a morir. Questo era il motto dell'Arma e, di conseguenza, di Amedeo.

* * *

Il Cavaliere del piano di sotto, quello che gironzolava sempre fischiettando, le si avvicinò, al mercato, e si offrì di portarle la borsa della spesa.

"'Na bella sposa come voi, sora Conce', nun so'questi li lavori che deve da fa'".

Concetta, dapprima si schernì, poi, per non tirarla per le lunghe, e perché qualcuno s'era messo a guardare, accettò e fece con lui il breve tratto di strada fino al portone, dove riprese decisamente la borsa e s'avviò verso le scale. L'altro le tese la mano.

"Manco la mano me volete da', sora Conce'?"

Una mano calda e sudaticcia, che cercava di trattenere quella di lei, mentre lui le diceva che le era tanto grato per avergli permesso di aiutarla, come faceva con la povera Cesira, quand'era ancora in vita, che Dio l'abbia in gloria!

Concetta, invece di bussare, come il solito, alla porta della vicina alla quale affidava la piccola Elena durante la sua assenza, entrò in casa, andò in cucina, mise la spesa sul tavolo grande, si lavò accuratamente le mani, le asciugò, e si sedette, come a riprendere fiato.

Il Cavalier Proietti era anziano, più di suo padre. Forse le sue attenzioni erano quelle di un padre, ma la mano calda e sudata, e l'accostamento alla povera Cesira, non avevano nulla di paterno. Amedeo le diceva che era quel suo "pensare calabrese" a farle vedere malizia dovunque. Tra maschio e femmina non c'é età, le aveva insegnato la madre, e così pensava lei.

Picchiarono alla porta, con la mano, un colpetto, e una voce che imitava quella di un bambino: "Apri, mamma, Elena ti vuole".

Concetta sobbalzò, come svegliandosi d'improvviso, grata a quel bussare delicato che la strappava da un incubo. Si passò le mani sul volto, andò alla porta.

La realtà era quella, era Elena, erano Gioia e Jolanda che stavano per tornare dalla scuola insieme a un'amichetta, e alla loro mamma che andava a prenderle, tutte e tre, all'uscita.

La realtà era il pranzo da preparare.

Amedeo sarebbe rientrato di lì a poco e avrebbe chiesto, come il solito:

"Che c'é di buono per Sua Maestà e la famiglia?"

Sua Maestà era Elena. Amedeo, prima di prenderla tra le braccia e baciarla, le si poneva dinanzi e le faceva un perfetto saluto d'ordinanza. Proprio come se fosse di fronte alla Regina in persona.

Elena si mise a giuocare con la sua bambolina preferita, e Concetta cominciò a sfaccendare, tra il lavello e i fornelli, canterellando.

Quella volta il saluto a Sua Maestà fu diverso. Restando sull'attenti, Amedeo scandì solennemente: "Maestà, si va in Piemonte, terra dei Savoia e dei Devoto".

Poi, impettito e senza levarsi il berretto, andò alle spalle di Concetta, l'abbracciò stringendole i seni sodi nelle sue capienti mani, e annunciò:

"Maresciallo Ordinario dei Reali Carabinieri a cavallo Devoto Amedeo, destinato al Comando di Legione di Torino, con alloggio in caserma".

Concetta si voltò lentamente, senza svincolarsi dalle braccia di lui, si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò, con voluttà, a lungo, sentendo che Amedeo non rimaneva insensibile a quel messaggio d'antica e sempre nuova passione.

Si staccò appena, un po' rossa e ansante, con gli occhi pieni di luce e di commozione. Con voce roca gli sussurrò: "Marescià, usa a obbedir ..." E tirò un profondo sospiro di liberazione.

Al piano di sopra il Cavalier Proietti cantava:

Fiore de rosa,

é finito er tempo dell'asciutto,

Perché me faccio certo n'antra sposa...

Fiore de rosa.

I preparativi per la partenza cominciarono subito. Amedeo, per la verità, invece di aiutare, tirava fuori vecchie foto, vecchie cartoline, interrompendo spesso il paziente lavoro di Concetta e delle bambine, intente a incartare, con cura e precisione, gli oggetti fragili, che poi mettevano nelle casse di legno.

"Ecco" -diceva Amedeo- "questo é Palazzo Madama, a Torino".

Ma nessuno gli dava ascolto. Anzi lo invitavano a togliersi di mezzo.

* * *

"Carissimi genitori,

"noi stiamo tutti bene e ci auguriamo lo stesso di voi. Ci stiamo preparando per andare a Torino. Amedeo é stato promosso Maresciallo e siamo stati trasferiti a Torino, dove potete scriverci indirizzando al Maresciallo CC.RR Devoto Amedeo, Comando Legione CC.RR, Torino.

Adesso abbiamo molto da fare, ma da Torino vi scriverò a lungo. Tutti vi salutano e io vi abbraccio con tanto affetto.

Vostra figlia Concetta

* * *

Quando la lettera giunse al paese, la casa di Giovanni Tropea non c'era più.

IV

Concetta stava nella grande e scura cucina dei Cunzo, i figli del fratello della madre, i cugini. Erano tutti seduti intorno alla stanza, in silenzio, guardandosi di quando in quando, come a voler dire qualcosa, ma nessuno parlava.

La notizia aveva fatto un giro lungo, ma era giunta ad Amedeo subito dopo il fatto. Il Maresciallo del paese aveva telegrafato alla tenenza, di qui alla compagnia, poi al gruppo, alla legione e finalmente al Comando Generale, dove ad Amedeo era stato comunicato parte di quanto era accaduto e gli era stato permesso di accompagnare subito sua moglie al paese "per gravi motivi di famiglia". Gli davano una licenza di dieci giorni più il viaggio, e se c'era bisogno di prorogarla doveva farlo sapere tramite il Comando di Stazione del paese. Tutto quello che gli dissero fu che c'era stato un incendio e qualcuno stava male, molto male.

Concetta non fece domande. Rimuginò sull'incendio, e pensò che un malore aveva certamente colpito la madre, così debole e tanto sensibile. Del resto, Amedeo non avrebbe potuto rispondere a nessuna della sue domande.

Poche cose in una valigia. Nella borsa di vimini, pane e formaggio, un salame, acqua, vino, qualche biscotto, un paio di vecchi asciugamani. Andarono alla stazione in carrozzella. Elena aveva voluto sedere accanto al vetturino. Il treno, che pur dava l'impressione correre molto, stentava ad allontanarsi da Roma.

Le stazioni erano tante, se ne era perduto il conto. Le ore passavano lente. Il fumo entrava dai finestrini, che le bambine volevano aperti, e dalle fessure, annerendo tutto, specie le mani delle piccole.

Avevano visto l'Abbazia di Montecassino, arroccata sul colle, s'erano fermati a Caianello, stazione dov'erano scesi, Amedeo e Concetta, nel loro viaggio da Napoli a Capracotta.

Adesso, dopo tante ore, la locomotiva sbuffava in riva a un mare, grigio e agitato, che aggrediva, quasi con rabbia, la rena e gli scogli. Non era stato facile tener buone le bambine per tanto tempo. Per la verità, erano state abbastanza calme. Solo Elena chiedeva spesso di andare nella ritirata, non perché ne avesse realmente necessità, ma per vedere, attraverso il buco della tazza, la terra che correva sotto di lei.

Amedeo era riuscito a comunicare al Maresciallo del paese di Concetta l'ora in cui sarebbero arrivati alla stazione ferroviaria, distante parecchi chilometri dall'abitato, sperando di aver un mezzo per raggiungere la famiglia dei suoceri.

Il Maresciallo non era lo stesso di quando lui era in servizio lì, ma tra colleghi, se si poteva, un favore lo si faceva con piacere.

Alla stazione c'era ad attenderlo Ciccio Moliti, sempre e solo Appuntato, come lo aveva lasciato tanti anni prima. Forse era l'unico, nell'Arma, ad essere rimasto così a lungo nella stessa residenza e con lo stesso grado.

Quando il Maresciallo Devoto scese dal treno, per primo, per aiutare a smontare la moglie e le figlie, Ciccio si precipitò verso il gruppo e fece un solenne saluto, poi prese la valigia che qualcuno gli porgeva dallo sportello aperto.

Moliti s'era un po' appesantito, era rosso in viso, con un paio di baffoni più grigi che neri. Sembrava felice, pur cercando di assumere un'aria compunta,

"Signor Maresciallo, sono lieto di rivedervi, state benissimo".

Amedeo gli dette una pacca sulle spalle e lo abbracciò, contro ogni regolamento, sorprendendosi lui stesso di essere così espansivo. Forse era l'aria della Calabria a fargli dimenticare il controllo piemontese e la rigida disciplina dell'Arma. O forse era stato sempre così e il suo atteggiamento era solo una scorza che il tempo andava screpolando.

"Ciccio, sono Amedeo, Deuzzo, come tu mi chiamavi. Questo non lo devi dimenticare mai... quando stiamo tra noi".

Fuori attendeva la carretta militare, con un telo quasi nuovo, e le panche ammorbidite da sacchi vuoti.

Per le bambine tutto quel movimento era quasi una festa, non sembravano assolutamente stanche. Si precipitarono a sedere, tutte e tre, al posto del conducente. I muli si voltarono appena, a vedere chi vociava tanto e, sfioccata la coda per scacciare le mosche, si rimisero a guardare avanti, verso la salita che avrebbero dovuto affrontare di lì a poco.

Amedeo voleva far spostare le figlie da quel sedile, ma Ciccio disse che andava bene così, tanto le bestie conoscevano la strada e non avevano bisogno di guida. Il telone di dietro, però, andava accuratamente chiuso, per impedire alla polvere di entrare.

Concetta e Amedeo sedettero sulla panca centrale. Ciccio mise altri sacchi al posto dove doveva sedere Concetta, perché le buche erano tante e la strada era lunga. Era cortese, anzi premuroso, verso Concetta, e la guardava con affetto e devozione.

La carretta si mise in moto e iniziò, lentamente, l'ultima parte del viaggio verso il paese.

Non appena i muli furono al passo, Ciccio dette le redini a Jolanda e le disse di tenerle sempre così, senza tirarle. Poi raccomandò a Gioia di stare attenta alla sorella. Elena s'era rifugiata tra le braccia della madre e dormiva. Lui sedette dietro ad Amedeo e Concetta.

Ciccio conosceva tutto e tutti, in paese, e sapeva tutto di ognuno, anche se non poteva provare tutto quello che sapeva.

"Per voi non é una novità signora..., tutti sanno tutto ma nessuno sa niente".

E rimase in silenzio, non riuscendo a trovare il modo per iniziare il racconto che Concetta attendeva, e ora con maggior ansia non avendo visto nessuno dei suoi familiari alla stazione. Forse il Maresciallo non li aveva avvertiti dell'arrivo. E infatti era così.

Moliti sembrava faticare molto a parlare.

"Vi aspettano tutti a casa dei cugini Cunzo. Sono tutti molto stanchi. Hanno dovuto faticare molto, per quello che é accaduto.

Quando vostro padre si accorse che la lanterna era caduta e il petrolio s'era incendiato, nella cucina, proprio accanto alla dispensa, prima ancora di pensare come mai il lume fosse stato lasciato acceso, si mise a chiamare Lucia, vostra madre, e tutti di casa, perché raccogliessero più cose che potevano prendere e si mettessero al sicuro, fuori della casa sempre più invasa dalle fiamme.

Giovanni gettava acqua, e intanto aveva svegliato anche il personale. Alcuni andarono al pozzo, a tirare secchi e secchi, ma sembrava che tutto fosse di paglia e che il petrolio fosse andato a finire dovunque: era salito per le scale, aveva raggiunto il suppigno. Era uscito ed era arrivato alle case del personale, alla stalla, al granaio. Aveva avvolto carretti e arnesi e andava attaccando la staccionata. Rocco e Nicola, che erano andati nella stalla per salvare le bestie, tornarono col terrore negli occhi: la stalla era vuota. Nicola aveva fatto suonare le campane, la gente accorreva, con secchi, con acqua, con le frasche, per spegnere il fuoco che il diavolo aveva fatto arrivare fino ai campi e che stava divorando tutto, raccolto e alberi. Qua e là spuntavano, improvvisamente, delle fiammelle, come quelle che si vedono in Chiesa nel dipinto della Pentecoste. Queste, però, non le portava lo Spirito Santo, ma il diavolo. E del diavolo hanno tutti paura, si fanno il segno della croce, cercano di sfuggirlo, ma nessuno osa inseguirlo. Sperano che siano gli esorcisti a stanarlo, a scacciarlo. In questi casi gli esorcisti dovremmo essere noi, i Reali Carabinieri, che se, poi, riusciamo ad acciuffare qualche demone troviamo tutti pronti a giurare che quello no, quello loro non lo hanno visto, quello é un buon Cristiano. Il diavolo é un altro, che loro non conoscono. Il diavolo é quello che, sfuggito agli esorcisti, torna a incendiare, distruggere, uccidere.

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