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"Rosetta!?"

Si alzò e mi vene incontro, come faceva allora, come se ci fossimo lasciati ieri. La strinsi con infinita tenerezza tra le braccia, sentii la sua guancia sul mio volto.

La stessa voce.

"Sapevo che eri tu il nuovo grande capo. L'ho appreso subito. Ho letto la tua lettera di saluto e buon lavoro a tutti. Ne ho riconosciuto lo stile, lo stesso dei temi che scrivevi per me. Ho chiesto in giro, a chi era venuto da te, dell'amministratore delegato, ed ho avuto la conferma che eri tu, sempre tu, il mio 'orso', ma non ti sono venuta a cercare. Oggi, ho volutamente disertato il meeting. Perché rivederti se non sei più mio? Ho anche pensato di chiedere il trasferimento in un altra società del gruppo."

"Rosetta. Incontrarti. Il più bel dono che abbia mai avuto."

"Più della spilla che portavi sempre con te?"

"E' tutto diverso, Rosetta. Se riuscissi a spiegarmi, a farmi comprendere, accetteresti la spilla che ho sempre con me, e la terresti tu, da ora in poi, per sempre.

Mi accorgo d'essere egoista. Dico cose che interessano solo me, Avrai una tua famiglia, non sei come me. Io ero e sono restato l'orso solitario della Floridiana."

"Non ho nessuno, orso. I miei genitori sono stati scavati dalla macerie dopo giorni e giorni di ricerca. Fiorenza insegna a Padova, Mio fratello é negli Stati Uniti."

"E dove abiti?"

"Ho una piccola villa ad Arcetri. Una donna la tiene pulita e cura i miei fiori. Io passo le mie serate tra i libri. Perché non vieni a vederla? Ma già, tu sei abituato agli alberghi di gran lusso..."

Bussarono alla porta. Rosetta disse di entrare. Entrò il Direttore di Firenze.

"Dottore, vogliamo andare a colazione? Vedo che lei ha avuto occasione di conoscere la nostra brillante e preziosa 'esperta finanziaria', la nostra Rosetta che ha disertato il primo incontro con lei. Mi auguro che l'abbia giustificata."

"La conosco da anni, ingegnere, eravamo compagni di classe, e non ci vedevamo da allora. Spero che vorrete comprendermi e scusarmi se vi prego di andare voi, a colazione. Ci incontreremo qui domattina, per concludere i nostri lavori, ai quali parteciperà certamente anche Rosetta. A domani."

Falsetti era una persona discreta e gentilissima.

"A domani, dottore. E buon ritorno ai ricordi d'un tempo."

Uscì e chiuse la porta dietro di sé:

* * *

Rosetta guidava calma. Io dovevo farmi forza per non toccarla, stringerla a me, carezzarle i capelli. Il tempo non sembrava trascorso per lei. La giovane studentessa s'era trasformata in una donna ancor più splendida, sulla quale gli anni erano scivolati come un balsamo vivificante. "E' veramente una donna di classe", aveva detto mio zio. Quasi non credevo che potesse essere Rosetta, era troppo giovane, forse era sua figlia. Glielo dissi.

"Se avessi avuto una figlia non poteva essere che la tua, orso."

La guardavo ammaliato, incantato.

Condusse l'auto presso l'antico ristorante, lasciò le chiavi al ragazzo che le venne incontro, salimmo al piano superiore, sedemmo al tavolo vicino alla finestra dalla quale si dominava la valle.

"Ti affidi a me?" E mi carezzò la mano.

Senza attendere risposta ordinò il mio piatto preferito. Non aveva dimenticato nulla.

"Parlerò io" -proseguì- "perché so bene quanto non ti piaccia parlare , e so anche che non ami quelli che parlano troppo. Mi domando, però, come fai nelle riunioni a convincere tutti, a incantare tutti, quasi senza dire motto."

E mi raccontò i suoi studi, le sue ricerche. Gli 'occhi di cielo' mi fissarono intensamente quando parlò della sua scelta di restare sola, di non aver mai accettato neppure una parola galante.

"Tu mi comprendi" -disse- "ma io non avevo neppure una spilla da stringere, e la collana di corallo, quella che mi volesti regalare a Torre del Greco, é restata sotto le macerie."

* * *

La villetta era molto bella, tenuta con la massima cura.

"Se vorrai tornare in albergo ti accompagnerò io. Ma questa sera ceni con me, poca cosa. Ti preparerò una pizza come quella che mangiavamo insieme, da Mattozzi. Forse sarà meno buona."

Ero sul divano a fiori, le tesi la mano, l'attirai sulle mie ginocchia.

"Non tornerò in albergo, Rosetta, voglio restare qui. Mi accontenterò di questo divano. Fammi restare qui."

Le labbra di Rosetta erano infuocate, le sue dita mi carezzarono il volto. S'alzò, salì al piano superiore. Dopo un po' mi chiamò: Era dinanzi alla bella porta di legno che portava nella vasta camera appena illuminata da una morbida luce che filtrava dai lumi sapientemente disposti. Fuori della finestra il cielo era scuro, carico di nuvole.

L'imponente letto di ottone aveva le coperte rivoltate, da entrambi i lati. Su una poltroncina, ai piedi del letto, era poggiata una candida e vaporosa camicia da notte; sull'altra una elegante vestaglia rosso bordeaux.

"Mai nessuno ha dormito tra queste lenzuola" -disse Rosetta- "mai nessuno ha indossato quella camicia. Quella vestaglia ti attende da sempre."

L'amavo pazzamente e desideravo sentirla mia. Sì, é così, tra un uomo e una donna non c'é completo amore senza sesso.

Rosetta guardò il letto, in silenzio. Volse la testa verso la finestra, dove il cielo andava sempre più incupendosi, mi guardò con profonda tenerezza.

"Mai nessuno ha mai dormito con me, orso. Fino a questa sera."

* * *

Al mattino, ancora presto, sentimmo bussare insistentemente al portoncino d'ingresso. Picchiavano con la mano, col battente di bronzo.

Cercai di accendere la luce, la lampadina restò spenta.

"Rosetta" -le sussurrai nell'orecchio, baciandole i capelli- "c'é qualcuno alla porta. Manca la luce. Posso andare io a vedere chi é."

Si voltò sorridendo, ancora presa dal sonno che era durato troppo poco. Stava ricordando.... ebbe un bagliore nei suoi splendidi 'occhi di cielo'... lo percepii anche se la camera era quasi buia. Mi baciò forte sulle labbra, stringendosi a me col tepore della sua pelle.

"Grazie, amore, grazie."

Cominciò ad alzarsi, svogliatamente. Splendidamente nuda nella penombra della camera.

"Indosserò la tua vestaglia. Torno subito. Aspettami, non alzarti. Dopo indosserò la camicia da notte e tu vi appunterai la spilla che porterò sempre con me. Aspetta, amore."

Sentii scricchiolare la scala di legno, l'aprire della porta, e una voce, alterata, spaventata, che gridava: "l'Arno é straripato, Firenze é invasa dall'acqua, c'é pericolo che scompaia, l'acqua sta cancellando tutto..."

L'acqua....

* * *

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