Mar Rosso

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"Paolo, figlio mio, come stai? Dov'é Luciana?"

Le prese la mano e la baciò con tenerezza.

"Sto bene, mamma, e anche Luciana sta bene, era con Frieda, le ho fatte scendere subito dalla nave, adesso non so dove siano. Ma tu, piuttosto, come ti senti?"

"Devo aver urtato con la schiena in qualche posto, ma appena passeranno questi dolori starò benissimo. Non dovete preoccuparvi per me."

Alla luce del giorno si tentava di ricostruire l'accaduto, di fare un censimento dei feriti, degli scampati. Chi era in grado di parlare aveva fornito le proprie generalità. Degli altri, qualcuno era stato identificato da parenti, amici, conoscenti. Se vi fossero dispersi, e quanti, nessuno poteva ancora dirlo. Il Commissario di bordo era riuscito a salvare gli elenchi dei passeggeri e dell'equipaggio e ne aveva consegnato una copia ai Carabinieri.

La Direzione dell'ospedale cercava di mettere ordine tra le carte, aveva fatto ciclostilare numerose schede cliniche di fortuna, riproducendo il cliché che conservavano, e su di esse si registrava lo stato di chi aveva avuto bisogno delle loro cure. Da parte loro, i Carabinieri spuntavano chi non aveva riportato alcuna lesione.

I reparti militari andavano riformandosi, pur se con sensibili vuoti.

Paolo girava dappertutto, nelle corsie regolari, in quelle di fortuna, sotto le tettoie dei magazzini militari, al Comando della Regia Marina, dovunque gli dicevano che c'era gente della nave. E la sua ricognizione riuscì a radunare vicino alla madre, Luciana, Frieda e i suoi genitori, Laura e Fiorenza.

Quando Luciana apparve oltre la tenda divisoria, Ada era assopita. Sergio balzò in piedi e l'abbraccio strettamente:

"Mamma sta bene, Lucianina, sta riposando, ora. Ha battuto forte la schiena ma non dovrebbe essere nulla di grave. Sarà felice di vederti, quando si sveglierà. Ha chiesto tanto di te. E' preoccupata, anche se Paolo le ha assicurato che eri illesa."

Gli altri erano restati al di là della tenda. Ugo e Inge , genitori di Frieda, davano la mano alla figlia come a una piccola bimba.

Laura era scoppiata a piangere quando Paolo l'aveva trovata, e gli si era gettata tra le braccia, singhiozzando, con Fiorenza stretta al cuore. Ora era con gli altri. Fiorenza guardava tutti con curiosità, ma non spaventata.

Sergio e Ugo si abbracciarono.

"Dicono che sia stato lo scoppio di una caldaia."

Informò Ugo.

"Non so cosa dire" -rispose Sergio- "non sono in grado di esprimere un parere, ma non credo che lo scoppio di una caldaia moderna, cosa assai rara, possa causare un danno simile. Eravamo arrivati, la pressione delle caldaie, quindi, doveva essere molto modesta. Per la mia esperienza, devo dirti che mi é sembrato di sentire subito un acre odore di esplosivo."

Apparve un giovane Ufficiale medico, accompagnato da due barellieri.

"Ingegner Rolli?"

"Si" rispose Sergio.

"Dobbiamo trasferire all'ospedale di Asmara sua moglie e il resto della famiglia."

"Quella signora" -rispose Sergio indicando Fiorenza- "viaggia con noi..."

"Va bene" -disse il medico- "sull'ambulanza c'é posto anche per lei."

Ugo domandò che fine avrebbero fatto gli altri, aggiungendo che se lui avesse potuto raggiungere Asmara non ci sarebbero stati problemi, potendo contare sull'ospitalità dei molti amici che aveva in quella città.

L'Ufficiale rispose che tutti i trasportabili sarebbero stati trasferiti all'Asmara, con i mezzi che già erano giunti, allo scopo, dal capoluogo. Poi dette una camiciola pulita a Sergio:

"E' meglio che si cambi, ingegnere."

* * *

La lunga fila di ambulanze, cariche di sofferenze e di speranze, si arrampicava lentamente verso Asmara. Andava piano, cercando di evitare scossoni, rallentando ancor più nei lunghi tratti costituiti da ininterrotte serie di curve.

L'ospedale, su una delle ambe che circondano la città, era moderno. Un edificio centrale, a un solo piano, con molti reparti, e numerosi padiglioni, in legno verniciato, disseminati in un vasto giardino, tenuto con molta cura.

Erano tutti in attesa dell'autocolonna. Medici, infermieri, suore. Tutte le crocerossine volontarie erano state mobilitate. Il Governatore dell'Eritrea giunse appena le ambulanze cominciarono a entrare nel vasto piazzale antistante la Direzione. Il Federale, che aveva viaggiato con la stessa nave, era rimasto illeso e aveva raggiunto Asmara appena a terra, con l'auto che l'attendeva al porto. Fece sapere che non poteva muoversi per ordine dei medici, date le sue condizioni fisiche. In effetti, attendeva disposizioni da Roma in merito alla versione da dare sullo scoppio.

Radio e stampa italiane non avevano dato alcuna notizia.

Una trasmittente di Aden, nella emissione destinata all'Etiopia, aveva detto, in amarico, che i patrioti dello Scioa avevano sabotato il carico d'armi e munizioni che stava per essere sbarcato a Massaua, da una nave italiana, destinato a proseguire la distruzione del popolo etiope.

Il Governatore era sinceramente e profondamente commosso. Salutò tutti, con parole di affettuosa comprensione e di augurio per una rapida e completa guarigione. A Sergio, che conosceva bene, una cordiale stretta di mano.

Quando Sergio gli chiese la causa dell'esplosione, scosse la testa senza rispondere.

Ada fu portata direttamente in radiologia.

Gli altri componenti della famiglia Rolli, nonché Laura e Fiorenza, furono condotti a una costruzione di legno, poggiata su una piattaforma di cemento, verniciata in verde scuro, con finestre pulite e ornate di fresche tendine.

"Erano i nostri uffici" -disse la prosperosa e matura capo delle crocerossine, che li aveva accompagnati- "una costruzione solida e ben isolata, con servizi e acqua corrente. In una delle stanze c'é un telefono collegato al centralino. Sono, in effetti, due piccoli appartamenti, ognuno composto di due vani e un bagno. Senza cucina, però, perché si va tutti in mensa. Come vede sono intercomunicanti, ma ognuno ha un'entrata indipendente, sui lati opposti. In ogni stanza abbiamo messo due letti, e tra essi un comodino. Un tavolo e due sedie, un armadio. Accomodatevi come meglio credete.

Sono certa che desiderate un po' di calma, rassettare le vostre idee. Per questo ho detto alle cucine di portare qui il pasto della sera, delle bottiglie d'acqua minerale e due termos con caffè caldo.

Quanto é accaduto ci aveva suggerito di annullare quello che avevamo preparato per il Natale, ma il Cappellano ha insistito perché nulla sia modificato. Saremo, in ogni caso, tutti insieme spiritualmente, pregheremo il Signore perché ci dia la forza di superare le sventure, di sopportare i dolori, e di donarci la rassegnazione che ci serve per accettare la sua volontà."

Salirono i due gradini che conducevano a una delle porte della baracca. Un corridoio abbastanza largo (per consentire alle barelle di entrare nelle stanze) con una porta per ogni lato, a destra e sinistra, che portava nelle camere di degenza, con i letti già preparati. In fondo, un bagno con tutti i servizi igienici e il lucernaio che faceva anche da presa d'aria. Un passaggio, al centro del corridoio, custodito da una grossa porta, conduceva nell'altra metà dell'edificio. Sergio, seguito dagli altri, andò a visitarla. Era la copia perfetta della prima.

Sergio si guardò intorno, poi si rivolse al gruppo.

"Credo che questa zona sia la più silenziosa, perché la più lontana dal vialetto. Ada sarà più tranquilla, qui, e dal letto potrà vedere gli alberi del vialetto. Speriamo che ci debba restare molto poco e che presto possa ristabilirsi completamente e riprendere le sue attività. Ecco, la mamma la mettiamo qui. Il letto riceve luce da sinistra, così se vorrà leggere lo potrà fare più agevolmente. Io cercherò di riposare su quell'altro lettino. Qui, poi, c'é anche il telefono. Laura, Luciana e Fiorenza potranno occupare la camera di fronte. Paolo potrà andare nell'altra parte dell'edificio. Chiederemo una culla, per Fiorenza, e se non ne hanno porteremo da voi uno dei lettini che avanzano di là. Tanto i vani sono ampi e c'entra benissimo."

Si presentò un uomo di colore, in camice blu, con due grossi pacchi.

Fece più volte, con la testa, un cenno di saluto. Entrò nella stanza dove stavano ancora tutti a parlare di ciò che si doveva fare, e deposi i pacchi sul tavolo.

"Buona sera" -il suo Italiano era ottimo- "sono Dachen, addetto a questo settore. Questa é biancheria per bagno e per cambio. Tutto nuovo e buono. Se serve qualche cosa, chiamate il centralino e dite che volete Dachen alla casa numero otto. Buona sera."

E prima che qualcuno potesse rivolgergli qualche domanda, uscì allontanandosi rapidamente.

Laura aprì i pacchi. Asciugamani di diversa grandezza, pigiami, scarpe bianche da ginnastica, calze, pantaloncini, camiciole, gonne, blusette, mutandine, due vestitini per la bambina, e altre cose.

"Dobbiamo chiedere del sapone, se possibile qualche spazzolino da denti..."

Disse Laura.

"C'è tutto nei bagni" -interruppe Paolo- "ci manca solo di sapere come sta la mamma. Papà, perché non le vai incontro e chiedi cosa abbia? Al resto possiamo pensare Laura, Luciana ed io."

Sergio fece si con la testa e s'avviò verso il reparto radiologia.

Andarono in quella che sarebbe stata la camera di Laura e di Luciana. Fiorenza guardò i due lettini e rivolgendosi alla madre chiese:

"E io?"

"Adesso viene il tuo lettino, tesoro."

Rispose Laura.

Lei e Luciana suddivisero gli asciugamani nei bagni ed il resto negli armadi. Fu necessario dare qualcosa a Fiorenza perché anche lei voleva aiutare.

Sul vialetto s'era fermata l'ambulanza. Ne discese Sergio. Poi l'autista, che aprì il portello posteriore. L'infermiere che era nell'interno gli fece cenno di tirare la barella. Scese anche lui, e con molta attenzione la sollevarono e la portarono nella camera che Sergio aveva indicato. Poggiarono la barella sul pavimento, arrotolarono a piedi la coperta e il lenzuolo del lettino. Sollevarono cautamente Ada, con tutto il lenzuolo, e la deposero sul letto. Pian piano le sfilarono il lenzuolo della barella. La ricoprirono, accomodarono i cuscini cercando di evitare posizioni scomode per la testa. Chiusero la barella, e quello che aveva guidato disse che se non serviva niente altro loro andavano via.

"Per ora, non posso dirvi altro che vi sono grato."

Rispose Sergio.

Nella camera c'erano tutti. Fiorenza dava la manina alla mamma.

Ada era molto pallida, con gli occhi aperti. Quando vide che tutti le erano intorno, strinse le labbra e mormorò:

"Scusate, ma mi hanno un po' strapazzata. Hanno dovuto farlo, capisco, ma mi hanno provocato qualche doloretto, come se non bastassero quelli dovuti alla contusione. Forse dovrei riposare un po'. Mi sento confusa. Forse é a causa dell'iniezione che mi hanno fatto."

Uscirono tutti, rimase solo Sergio.

Un triciclo stava portando il pasto della sera e quanto aveva detto la crocerossina.

Paolo fece mettere tutto sul tavolo di quella che sarebbe rimasta la stanza vuota.

Dopo un po', Sergio li raggiunse nel piccolo slargo, tra il vialetto e la baracca. Un semicerchio, che serviva di sosta ai veicoli, con due sedili di ferro.

Sedette su una panchina e tutti gli furono intorno. Fiorenza gli andò vicino e gli pose una manina sul ginocchio, guardandolo fisso.

"Vi sono delle fratture" -cominciò Sergio- "per fortuna senza spostamento delle ossa, ma comunque dovranno ingessarla. Le radiografie non mostrano nulla di particolare, internamente, ma il radiologo ha detto che i tessuti molli non sono facilmente esplorabili con i raggi. Se dovessero sospettare qualcosa di significante, farebbero un'esplorazione diretta. Né lui né il chirurgo credono che ci siano emorragie interne o lesioni di organi interni. Il cardiologo ha prescritto un cardiotonico. Ha sentito un cuore che ha definito "stanco", come se fosse di una persona anziana. Mi ha chiesto se Ada avesse avuto, in passato, disturbi cardiocircolatori. A me non sembra che abbia mai accusato qualcosa del genere."

"Ma guarirà completamente?" -chiese Paolo- "Voglio dire, camminerà bene?"

"L'ho chiesto anch'io" -rispose Sergio- "e mi é stato detto che la natura delle fratture non dovrebbe avere come conseguenza una limitazione della deambulazione, ma che in ogni caso si dovrà attendere che sia tolta l'ingessatura. Intanto interverranno con una terapia medica per aiutare la calcificazione."

Senza che loro se ne accorgessero, era giunta, silenziosamente, una giovane donna in bicicletta.

Sergio le andò incontro.

"Sono Aisha, infermiera specializzata. Mio padre é il dottor Romano, che lei, ingegnere, conosce bene. Sono qui per aiutare la signora a mangiare qualcosa. Deve farlo, e bisogna profittare del calmante che le é stato iniettato. Poi la preparerò per la notte. Lei non chiuda a chiave le porte, perché passerò ogni due ore. Se dovesse aver bisogno, mi chiami attraverso il centralino."

Chiese dove avessero messo i portavivande con la cena. Entrò decisa. In un piatto versò qualche cucchiaiata di minestrina, in un altro mise un po' di frutta cotta, prese tutto e si avviò verso la camera dove stava Ada.

"Per favore" -chiese a Laura- "porti un tovagliolo. Lei é la figlia, vero?"

"No" -rispose Laura, raggiungendola col tovagliolo- "sono un'amica e compagna di viaggio. Sono la moglie del dottor Russo che é stato anche qui e ora é ad Addis Abeba."

Aisha si voltò a guardarla attentamente.

"Bellissima moglie per un bel marito. Quella é la sua bambina? Come si chiama? No, lasci che mi ricordi. Si, si chiama Fiorenza, e lei é Laura. Suo marito parlava sempre di voi. Per favore, venga qui, mi aiuti a sistemare i cuscini."

Ada mandò giù un cucchiaio di minestra. Si vedeva che ce la metteva tutta per essere un'ammalata docile, ma non riusciva a nascondere la sua sofferenza. Bevve un po' di latte.

"Per ora va bene così" -le sorrise Aisha- "domattina la mia collega le darà una bella spremuta d'agrumi, dopo aver pensato alla sua igiene personale. Buona notte."

Uscì, riprese la bicicletta che frugava nel buio con la fioca luce del fanalino, sparì dietro la curva.

* * *

Era notte fonda, e tutt'intorno silenzio.

Paolo non riusciva a chiudere occhio, ripercorreva gli avvenimenti come se assistesse alla proiezione d'un documentario. Uno spettatore che rivedeva sé stesso sullo schermo: la nave, l'esplosione, il mare, le pinne dei pescecani, l'ospedale, l'ambulanza, un altro ospedale...

La porta si aprì lentamente. Entrò un'ombra e rinchiuse l'uscio, si avvicinò al lettino, sollevò la leggera coperta, vi entrò. In silenzio, senza parlare.

Lo carezzò, lo baciò bagnandogli il volto con le sue lacrime, cercando di asciugarle coi lunghi capelli. Lo abbracciò, lo cullò. Avrebbe voluto potergli dare qualsiasi ricchezza, pur di scacciare la tristezza dal suo cuore. Ma non aveva nulla, poteva donargli solo sé stessa, tutta sé stessa, con tutta l'anima, per sempre. Gli sussurrò che era sua, solamente sua, che lo amava, gli voleva bene, che non voleva lasciarlo più. Lo accolse in sé, dolcemente, teneramente. Sentì di condurlo a irraggiungibili vette, fino ad allora inviolate, e da lì volò con lui nell' infinito del piacere, guidandolo e lasciandosi guidare. In un labirinto meraviglioso dal quale non avrebbe più voluto uscire. E sapeva che mai più avrebbe dato e ricevuto più deliziosa voluttà.

Poco prima dell'alba si svincolò lentamente dal forte abbraccio di lui che dormiva profondamente col capo sul suo seno, lo carezzò ancora, con appassionata tenerezza, e tornò, piangendo per l'estasi e il tormento che l'invadevano, nel freddo lettino della sua camera.

V

Il dottor Carmine Russo aveva saputo, dai suoi colleghi di Asmara, che Laura e Fiorenza stavano benissimo e si trovavano, con alcuni compagni di viaggio, presso quell'ospedale.

Il dottor Romano, vecchio coloniale che aveva sposato una splendida Eritrea, si affrettò ad andare a salutare Sergio Rolli, suo vecchio amico, anche per rassicurarlo sulle condizioni di Ada, e a portare a Laura i saluti del marito, che aveva sentito per radio.

Romano era stato a Massaua fino a poche ore prima. Uno spettacolo doloroso e desolante. Chi si trovava nella parte inferiore della nave, nella zona vicina all'esplosione, poteva dirsi miracolato se s'era salvato.

"E' bene che la signora riposi un poco, prima dell'ingessatura. Deve star ferma, certo, ma é meglio così. L'ingessatura é sempre un trauma."

Disse Romano a Sergio, aggiungendo:

"Venga a casa mia, ingegnere, lei, i ragazzi, Laura Russo e la figlia. Starete meglio di qua, sicuramente, e potrete venire in ospedale tutti i giorni e fermarvi con la signora quanto vorrete. Sua moglie sarà curata amorevolmente. Assegneremo un'infermiera tutta per lei."

Sergio ringraziò, ma disse che lui e i ragazzi sarebbero rimasti lì, con Ada, e avrebbero lasciato l'ospedale con Ada. Se Laura voleva, poteva accettare lei, con la bambina, l'ospitalità così affettuosamente offerta.

Laura ringraziò a sua volta, ma disse di sentirsi parte della famiglia Rolli e di condividere la decisione del capofamiglia.

* * *

L'ingessatura era fissata per lunedì, 28 dicembre, alle nove.

Sergio si svegliò molto presto. uscì dalla camera badando a non fare il minimo rumore. Portò i vestiti nel bagno. Si lavò, indossò i pantaloni di tela e la camiciola di cotone, calzò le scarpe da ginnastica e uscì, sempre piano, fuori della baracca. S'avviò verso la sala mensa, sperando di prendere un buon caffè. Ne aveva proprio bisogno.

Aisha aveva iniziato il turno da poco. Lo salutò e disse che sarebbe andata a svegliare Ada e a prepararla per l'ingessatura. Purtroppo la signora doveva restare digiuna, meglio non farle ingerire nulla prima dell'anestesia.

Il "Corriere" di quella mattina recava una breve notizia. Quarta pagina, prima colonna, in basso.

"Nel porto di Massaua, nei giorni scorsi, una nave in arrivo dall'Italia, causa un'improvvisa avaria del timone, ha incontrato delle difficoltà in fase di attracco al molo. A bordo vi sono stati alcuni contusi."

Sergio scosse sconsolatamente la testa, si avvicinò al bancone dov'era in caldo il caffè, e ne sorseggiò lentamente una tazzina, così com'era, amaro. Uscì dal locale mensa e riprese la strada per la baracca.

Subito dopo la curva gli apparve la verde costruzione. Aisha era ferma sul viottolo che conduceva all'entrata posteriore. Dal viale grande giungevano due medici in bicicletta. Si fermarono a salutare Sergio. Aisha li raggiunse e fece un impercettibile cenno agli uomini in camice bianco.

"Ingegnere" -disse il medico più anziano- "andiamo dalla signora, non si sente molto bene. Venga."

Entrarono nella camera.

Ada era sempre col volto verso la parete, come quando Sergio l'aveva lasciata uscendo piano per non svegliarla. Aisha restò sulla porta. I tre uomini s'avvicinarono al letto. Ada era terribilmente pallida, il volto sereno, disteso, un lieve sorriso sulle labbra.

Non si sarebbe svegliata mai più.

* * *

Asmara si fermò, quella mattina.

I funerali di Ada Rolli testimoniarono la solidarietà non solo degli amici, ma di tutti gli Italiani della città. E fu commovente la partecipazione affettuosa della popolazione indigena che voleva ringraziare, in tal modo, la donna che avevano visto dovunque c'era stato bisogno d'aiuto.

La signora Romano, la moglie del medico, ripeteva, in tigrino e in italiano, che Ada aveva scelto di restare per sempre nella terra che aveva amato e che l'aveva amata.

* * *

Quella sera in casa Romano c'era molta gente: i Rolli, Laura e la bambina, Frieda coi genitori, altri amici.

"Non ho le idee molto chiare" -disse Sergio- "ma non si può rinviare all'infinito una decisione. Bisogna stabilire se dobbiamo rientrare in Italia o proseguire per Addis Abeba, posto che li ci siano le condizioni per abitarvi coi ragazzi. Credo che seguirò l'esempio di Ugo. Farò come lui. Andrò, solo, ad Addis Abeba e mi guarderò in giro, per vedere come arrangiare le cose. Questo, logicamente, se Romano sopporterà ancora i miei ragazzi, nonché Laura e Fiorenza, anche perché non é il caso di imbarcarli sui trabiccoli dell'Ala Littoria. Eventualmente, sarà meglio riprendere il viaggio via Gibuti. Peccato che il marito di Laura sia bloccato ad Addis Abeba per ragioni di servizio. Bisogna dire che debbono essere motivi gravissimi se non gli hanno consentito di raggiungere moglie e figlia in un frangente simile. Ma questa é la vita dei dottori, vero Romano?"