Mar Rosso

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"Basta, torniamo a bordo, ti prego, Paolo. Riportami a bordo, ti prego, Paolo..."

Lui la prese tra le braccia, cullandola, carezzandole i capelli.

"Alì" -disse al vetturino- "alla nave... to the ship... al porto... to the harbour..."

Appena superata la scaletta, Laura gli disse che doveva scendere un momento in cabina, poi lo avrebbe raggiunto di sopra.

Ada giocava con Fiorenza, le faceva fare faceva "cavallucci" sulle ginocchia. Vide il figlio.

"Già di ritorno? Qualcosa non é andata bene?"

"Voi mamme siete tutte uguali. Laura non ha fatto che pensare a Fiorenza e al fastidio che poteva arrecarti. A saperlo, sarei andato da solo."

"Forse non sarebbe stato proprio la stessa cosa."

Osservò Ada, e riprese a giocare con la bambina.

* * *

Quando salirono per la prima colazione la nave sembrava ferma. Procedeva pianissimo, tra le sponde sabbiose del Canale che aveva imboccato da alcune ore. L'aria era ancora fresca, ma il sole cominciava a scaldarla. Pioggia e freddo erano state lasciate nel Mediterraneo. Molti passeggeri erano affacciati lungo la passeggiata, quasi tutti sul lato Africa dove una strada correva parallela al canale. Era il lato all'ombra.

In fondo alla strada, a poppa, apparve un'auto scoperta che andava avvicinandosi rapidamente, sollevando nuvole di sabbia, fino a raggiungere la nave. Le si affiancò, procedendo alla stessa velocità. Una giovane donna, con la gonna nera e la camicetta bianca, s'alzò sventolando una bandiera tricolore. Sul ponte di comando era presente tutta la "gerarchia", in tenuta coloniale, e rispondeva al saluto della donna alzando il braccio destro con la mano tesa. Dai ponti inferiori, i militari si sbracciavano agitavano i pesanti caschi di sughero. La donna rispondeva gettando baci, gridando qualcosa. I militari non distinguevano quello che la donna diceva, ma urlavano "viva l'Italia", "viva il Duce", "alalà".

Il vecchio meccanico, sudato e unto, che passava alle spalle dei passeggeri, bofonchiò: "belìn, sempre la stessa menata..."

Laura chiese a Paolo chi fosse quella giovane in auto.

"E' la Maria Mela, una pagata dal mangia per far credere che anche gli Egiziani ci fanno le feste..."

E Maria sembrava proprio un cane che fa le feste al padrone. Correva avanti con l'auto, poi si fermava ad attendere la nave e riprendeva a sventolare la bandiera e a vociare.

Laura disse che voleva andare a poppa, da dove avrebbero potuto vedere entrambe le sponde: Africa e Asia.

"Andiamo" -rispose Paolo- "forse scorgeremo qualche Ebreo in ritardo, sulla strada della Terra Promessa."

"Blasfemo" lo redarguì Laura, avviandosi, tenendo per mano Fiorenza, seguita da Luciana.

* * *

Frieda dette la mano a Paolo, come a chiedergli d'essere guidata, protetta.

Dal pomeriggio del cinema non erano più stati soli. Per lei, Laura era abbastanza anziana, e non capiva tutte le eccessive premure di Paolo. Ma cosa ci trovava in quella tettona bianca bianca che già metteva sul viso la crema, e diceva che era per non scottarsi col sole? Mah! Quello che era accaduto al cinema la faceva ancora pensare. Paolo era stato sempre carino, con lei, ma niente di più. Quando avevano ballato, la sera precedente, era stata lei a stringersi forte a lui.

"E' Plegaria" -aveva detto- "un tango, dobbiamo ballarlo come in Argentina."

Cosa aveva voluto dirle, Paolo, con quelle carezze? che la voleva? Sarebbe stato bello farlo, anche per lei, ma non aveva ancora diciassette anni. Non era troppo presto? Era vero che Makàl, la ragazza di colore che aiutava in casa, a quell'età aveva già due marmocchi, ma per loro era tutta un'altra cosa. Fare l'amore. Ci pensava spesso, con desiderio e a volte con smania. Le dita di Paolo, che la frugavano voluttuosamente, sentiva che dovevano essere solo uno scialbo surrogato del vero e meraviglioso amore. Comunque doveva decidersi sul da farsi. Ne poteva dipendere il suo futuro

* * *

Erano le dieci della sera quando la nave si fermò al largo di Suez.

Li cominciava il Mar Rosso. Dopo mille miglia sarebbero giunti a Massaua. Una lunga sosta li attendeva in quel porto. Sbarco di militari, di molti passeggeri civili, della maggior parte del carico. Anche i "gerarchi" sarebbero sbarcati a Massaua. Dopo tre giorni la nave sarebbe salpata alla volta di Gibuti.

Sergio pensava che, in quei tre giorni di sosta, avrebbero potuto fare una gita all'Asmara, dove molti amici sarebbero stati felici di ospitarli. Senza importunare nessuno, senza chiede un'auto per il viaggio, avrebbero preso la littorina che s'inerpicava dal mare ai 2400 metri del Capoluogo eritreo.

Mar Rosso. Le sponde d'Africa e d'Asia s'allontanavano sempre più.

Cominciava a far caldo fin dal primo mattino.

A qualcuno sembrava già d'essere a destinazione e cominciava a preparare il bagaglio, per sbarcare.

Dagli oblò spuntavano i manicotti, alla ricerca d'un po' d'aria nelle cabine.

Stare all'aperto significava prendere tutto il vento che spesso portava della sabbia. A poppa, poi, si raccoglieva anche la cenere dei fumaioli.

L'abbigliamento era decisamente leggero. Ci si avviava rapidamente ad attraversare il tropico.

Laura aveva indossato un gran cappello di paglia, ma un colpo di vento glielo strappò. Un breve volo e la paglia di Firenze finì in mare.

"Meglio un fazzoletto chiaro" -disse Paolo- "ben stretto, e ancor meglio l'ombra della passeggiata."

Le era alle spalle. Raccolse i lunghi capelli di lei, scompigliati dal vento, li tenne stretti dietro alla nuca, e tirandoli un po' le fece alzare la nuca.

"Ti ricorda niente?" e tirò ancora.

"Si, molto. Troppo." Rispose Laura, guardandolo.

Le sdraie erano tutte occupate. Si leggeva, si dormicchiava, si guardava la costa lontana.

Salirono al ponte barche. Era deserto. Il vento era abbastanza forte. Tra due scialuppe, un piccolo tratto di parapetto offrì loro riparo. Laura andò ad affacciarsi. Paolo l'abbracciò alle spalle, le strinse il seno con le mani, il vento gli gettava i biondi capelli di lei in bocca, la premette forte contro il corrimano di legno.

Lei restò immobile, per qualche istante, sentiva mancarle le forze di fronte alla prepotenza di quella spinta che percepiva quasi penetrarle nella carne, che restituì istintivamente. Si voltò con difficoltà, tra le braccia di lui. Ora gli era di fronte, con le gambe leggermente divaricate che accoglievano il vibrare dell'eccitazione del giovane. Lo attirò a sé, baciandolo sulla bocca, dischiudendogli le labbra per sentire la lingua di lui, per suggerla golosamente. Lo desiderava, allora, in quel momento. Ebbra di voluttà e di languore. Lo desiderava. Avrebbe voluto che l'inutile intralcio dei vestiti si volatilizzasse d'incanto. Pur così vicino, le era troppo lontano. Le sembrò venir meno. Vibrava d'un piacere delizioso, in un incredibile e mai provato orgasmo.

Riaprì gli occhi e quasi si sorprese d'essere tra le braccia di Paolo, che le carezzava i capelli, le baciava gli occhi, la bocca, la gola.

"Non deve accadere, Paolo" -ansimò- "non deve, aiutami."

Ma il suo ventre sembrava volerlo divorare.

IV

COMUNICATO DI BORDO

Mercoledì, 23 dicembre

Arrivo a Massaua, ore 21.

Attracco completato, ore 21,30.

Operazioni di scarico e carico mezzi e merci: inizio immediato.

Sbarco dei passeggeri civili destinati a Massaua: dalle ore 22,30 alle 24.00

Sbarco dei militari: inizio ore 01.00 del 24 c.m.

Passeggeri che proseguono il viaggio

facoltà di scendere a terra: inizio sbarco ore 22.00 termine 22.20 di questa sera

(o dalle 08.00 di domattina)

dovranno essere a bordo entro le ore 22.00 del 24 c.m.

Partenza anticipata alle ore 22.30 del 24 c.m.

N.B.La nave farà scalo a Hodeida

Arrivo a Gibuti invariato

Il Comandante

"Quindi" -disse Sergio leggendo il Comunicato- "la gita all'Asmara va a farsi benedire. Non vedremo le scimmiette curiose guardare la littorina che arranca faticosamente sui tornanti tra Ghinda e Nefasit. Comunque, questa sera potremmo scendere e fare un salto al Circolo della Marina."

"E se facessimo scendere i ragazzi e noi... riordinassimo la cabina?"

Gli sussurrò nell'orecchio, Ada, con voce vellutata.

"Non chiedo di meglio."

Concluse Sergio.

* * *

Chissà perché lo scalo di Hodeida.

Il cambio di programma non destò troppa curiosità.

A Paolo non interessava andare all'Asmara e sperava che gli avessero consentito di restare a bordo. Quella mattina, il giorno 23, durante la colazione aveva trovato il modo di carezzare furtivamente la coscia di Laura, calda sotto la leggera gonna.

Lei aveva stretto le gambe, trattenendogli la mano, che quasi se ne faceva accorgere agli altri.

Fiorenza era divenuta la mascotte di bordo. Sorrideva con tutti, faceva ciao a tutti. Voleva far rimpiattino con tutti.

Terminata la colazione Laura pregò Luciana di badare a Fiorenza mentre lei sarebbe andata in cabina a prendere delle cose dal valigione che aveva fatto mettere sull'armadio, fermato con resistenti cinghie.

"Anzi" -chiese a Paolo- "perché non mi dai una mano a tirarlo giù, e poi a rimetterlo a posto, così non dovrò attendere il cameriere?"

Si avviarono verso lo scalone.

La cabina era stata rifatta prestissimo, come Laura aveva chiesto.

Entrati, Paolo si accorse che sull'armadio non poteva esserci alcun valigione perché il mobile toccava il soffitto. Guardò interrogativamente Laura.

"Un momento", disse la donna, e entrò nel bagno, chiudendo la porta.

Paolo scrollò le spalle e andò verso l'oblò dal quale entrava un vento umido e caldo.

Laura uscì dal bagno, indossando una corta vestaglia bianca, aperta davanti. Sotto era nuda. I capelli, sciolti, ricadevano sulle spalle. S'accostò a Paolo, che dava le spalle all'oblò, e fece cadere la vestaglia sul pavimento. Braccia, scollatura e gambe appena dorate dal sole, in contrasto col candore delle cosce, del seno turgido, arabescato da mille venuzze azzurrognole, sul quale s'ergevano i capezzoli vermigli come fragole mature. Il triangolo del pube era una serica foresta, rossa come certe foglie in autunno.

Paolo la guardò sbalordito, affascinato.

Lo baciò golosamente mentre gli slacciava la cinta dei pantaloncini. Li fece scivolare a terra, subito seguiti dalle mutandine. Sbottonò la camiciola di cotone. Gli mise le mani sul petto, lo carezzò lentamente, scendendo lungo il corpo. Incontrò la violenta erezione del ragazzo. Si sollevò sulla punta dei piedi mentre lui piegava leggermente le ginocchia. Incrociò le sue mani dietro la nuca di lui e cominciò a sollevarsi. Aprì le gambe. Lui, inesperto, sentiva di volerla penetrare ma non ci riusciva. Laura restò attaccata al collo di Paolo con una mano e con l'altra lo guidò. Non appena lo sentì entrare in sé, gli incrociò le gambe dietro la schiena e s'abbassò lentamente, per accoglierlo completamente, tutto, in un delizioso tepore che sussultava fremente. Con le mani dietro alla nuca del ragazzo, le braccia tese, la testa rovesciata, i capelli scompigliati dal vento che entrava dall'oblò, cominciò una voluttuosa cavalcata che le scuoteva furiosamente il petto.

Con le mani sotto i glutei della donna, Paolo ne accompagnò il ritmo. La bocca dischiusa, la lingua lambì i capezzoli che ogni volta che venivano stretti tra le labbra provocavano un fremito nel grembo di lei.

La lunga continenza di Laura, l'eccitazione e il desiderio represso di quei giorni, l'abbandono di ogni inibizione, la condussero a un godimento nuovo, al di là dell'umano, dell'immaginabile, in un orgasmo che la travolse più e più volte, facendole trascurare il compagno che le procurava quelle sensazioni. Voleva egoisticamente godere, per sé, per tutto il tempo che aveva atteso un momento simile. Quando lo sentì esplodere in lei, si strinse ancor più a lui, vibrando come una corda tesa.

Lentamente, molto lentamente, stava cominciando ad allentare la stretta delle gambe, ma lui la tenne ferma, con le mani. Così com'erano, la portò sul letto, sul bianco lenzuolo. E questa volta era lui a muoversi con un ardore e una passione che la sorpresero piacevolmente. Un pestello infuocato che non dava tregua. E lei lo stringeva, lo tratteneva come se avesse voluto ingoiarlo in sé, estrarne il nettare della felicità immortale. Le sembrava che tutto stesse fondendo, in lei. Una nuova tiepida invasione del balsamo delizioso che attendeva, la fece rabbrividire di voluttà. Restò immobile, con lui sopra. Sazia, ansante. Lui le scivolò fuori pian piano, cadde a sedere sul pavimento, con la testa tra le gambe di lei.

Fecero il bagno insieme. Lui l'avvolse nel lenzuolino e la depose sul letto. L'asciugò con delicatezza. La carezzò a lungo, lentamente, come lo scultore che rileva i contorni d'un capolavoro per imprimerli, indelebili, nella mente. Si soffermò su quello splendido roseto senza spine. Lo baciò immergendo la lingua nel cespuglio scarlatto. Lo carezzò ancora. Ne strappò con prepotenza un ciuffo.

* * *

Paolo uscì per primo, dalla cabina di Laura, e andò nella sua. Cercò un libro e andò a camminare sulla passeggiata, fingendo di leggere, come se ciò facesse da molto.

Laura andò a sdraiarsi vicino ad Ada.

La mamma del ragazzo la guardò con una strana espressione di ironica e compiaciuta ammirazione.

"Più bella che mai, Laura, un aspetto incantevole e incantato. Fa effetto sapere che ci si avvicina al marito, vero? Ti comprendo benissimo. Dopo tanto tempo! Immagino con quanta impazienza attendi il prossimo incontro col tuo uomo. Lo si legge nei tuoi occhi, nel tuo volto, così bello e sognante, pieno di soddisfatta gioia, come se tu avessi già... brindato all'amore. Diciamo così.

E sorrise sarcastica.

"Effetto tropico" -rispose Laura, freddamente- "ti dà una sorta di piacere in tutto, anche nel riordinare le cabine..."

"Più che altro" -proseguì Ada- "effetto cabina!"

* * *

La nave s'era fermata al largo di Massaua, mentre le tenebre andavano rapidamente scacciando la luce. Arrivò la barca col pilota. L'uomo s'arrampicò agilmente sulla scaletta di corda che gli avevano calato. Era un Eritreo di mezza età, allegro e cordiale. Salì in plancia, ma dovette attendere alquanto prima di iniziare il suo lavoro. La nave riprese a muoversi, lentamente. Le eliche giravano piano, quasi non se ne sentiva il rumore. Si stava per entrare in rada, ci si stava avviando al molo destinato all'attracco.

Come al solito in questi casi, la gente era affacciata dai vari ponti.

Ada era sola, nel gran salone, sfogliando una vecchia rivista. Sergio scambiava quattro chiacchiere con la "gerarchia."

Laura aveva appena finito di dare la pappa a Fiorenza.

Nella prima classe, quelli che scendevano a Massaua avevano deciso di cenare a terra, chi proseguiva aveva pregato il Maitre di ritardare la cena al momento che la nave fosse ferma in porto. Il Maitre e il personale, tanto di cucina che di sala, non avevano sollevato difficoltà, anche perché si avvicinava il momento delle mance. Il Commissario di bordo non aveva trovato nulla da eccepire.

I passeggeri di seconda e di terza avevano cenato come al solito.

In un angolo del salone Luciana e Frieda stavano tormentando Paolo, chiedendogli cosa mai gli fosse capitato. Per Frieda lui aveva l'aria di chi "ha rubato la marmellata". Luciana riteneva che avesse "fumato di nascosto."

"Smettetela" -disse Paolo- "non ho rubato la marmellata e non ho fumato di nascosto..."

"Ma se hai ancora la bocca sporca di marmellata e il fiato che sa di..."

Uno schianto violento squarciò l'aria.

Il pavimento del salone si sollevò e ricadde di colpo. I pesanti tavoli vennero divelti dai loro fermi e gettati lontano. Le credenze spalancarono gli sportelli, e fu una fragorosa cascata oggetti. La luce si spense. Qualcuno dalle passeggiate fu scaraventato in mare. S'udiva uno scricchiolio lugubre, spaventoso, terrificante, come qualcosa che stesse per spezzarsi. Le eliche erano ferme. Silenzio profondo per qualche istante. Poi lo scroscio d'un torrente che cerca d'aprirsi strada. La nave andava piegandosi su un fianco. Urla di terrore, grida imploranti aiuto. Qualche comando secco che non si capì bene. Gente che correva.

La nave si piegava sempre più, era difficile restare in piedi. Adesso era ben distinguibile lo scroscio dell'acqua che invadeva la nave. Apparve qualche torcia elettrica. Da terra le fotoelettriche e i fari delle navi in porto illuminarono alla meglio il piroscafo ferito a morte.

Laura e Fiorenza, che si trovavano in una zona quasi esclusa dalle conseguenze dell'esplosione, furono tra i primi a essere fatti scendere nelle scialuppe che era stato possibile calare, e che andavano allontanandosi dallo scafo temendo che si capovolgesse da un momento all'altro.

Paolo riuscì ad avvicinarsi a Luciana e Frieda. Sembravano illese. Le afferrò per le braccia e le condusse fuori, sostenendole, appoggiandosi dove poteva per non scivolare e rotolare sul pavimento inclinato. Un marinaio le prese in consegna e le condusse a una scaletta di corda che pendeva sulle barche.

Nel buio, sembrava scorgersi qualche pinna che cominciava a girare intorno a quel caos di grida, di richiami.

Sergio era stato gettato contro la parete, nell'urto s'era prodotto una piccola ferita alla testa, ma poteva muoversi. Raggiunse, a fatica, il salone, chiamò un marinaio con la torcia, che passava correndo, cominciò a esplorare il vano. In un angolo, sotto il pesante tavolo presso il quale era intenta a leggere il giornale, Ada giaceva priva di sensi.

* * *

L'Ospedale di Massaua, logicamente, era impreparato ad accogliere la fiumana ininterrotta di feriti che ambulanze e autocarri portavano continuamente.

Avevano messo brande dovunque, materassini per terra. C'erano feriti gravi, ustionati rossi come gamberi.

Medici, infermieri, suore, non avevano un attimo di respiro. Erano giunti altri medici e infermieri dalle navi in porto, militari e civili. In altri edifici erano stati accolti coloro che erano illesi.

Laura, seduta in terra, guardava intorno, smarrita, con Fiorenza addormentata tra le braccia. Scorse Luciana e Frieda, sole. Fece un gesto con la mano. Le ragazze la raggiunsero e s'abbracciarono piangendo.

"Dove sono gli altri? Ma cosa é successo?"

Chiese Laura.

"Non sappiamo niente" -rispose Frieda- "Paolo era con noi. Sta bene, ci ha aiutato a uscire dai resti del salone. Degli altri, dei miei genitori e di quelli di Luciana non abbiamo notizia. Dobbiamo cercarli, guardare nell'altro capannone, dovunque."

* * *

Paolo era in cerca della madre, del padre. Girava, con grande pericolo, tra gli oggetti che rotolavano per la sempre maggior pendenza dello scafo che s'andava rapidamente inclinando. Mantenendosi con entrambe le mani discese a fatica lo scalone che portava alle cabine. Molte porte erano scardinate. Poggiandosi alla parete del corridoio riuscì a raggiungere la cabina della madre: vuota. Così quella che occupavano lui e il padre. Gli venne in mente la grossa borsa dove Anna conservava i suoi gioielli, il denaro. Rientrò nella prima cabina. Riuscì ad aprire l'anta dell'armadio: la borsa era lì. Non poteva portarla per il manico, gli servivano entrambe le mani per sorreggersi. Attorcigliò un asciugamano, lo fece passare nel manico della borsa e attraverso la cintura dei pantaloni. Carponi, riuscì a raggiungere il salone. Un Ufficiale di bordo lo vide, lo consegnò a un marinaio, malgrado le proteste del giovane, ordinandogli di abbandonare immediatamente la nave.

Una volta a terra, salì su un autocarro pieno di feriti. Giunse all'ospedale. Percorse le corsie tra gente che soffriva, gemeva, moriva. Nel secondo padiglione una tenda riparava delle persone. La scostò. Su una branda c'era Ada. Pallida, col volto segnato dalla sofferenza. Il padre, seduto su una cassetta vuota, aveva un vistoso cerotto sulla testa, la camicia sporca di sangue. Ada ebbe la forza di sorridere al figlio, con un cenno del capo, appena percettibile, gli disse di avvicinarsi. Con un filo di voce, gli chiese: