Mar Rosso

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Lei s'era accorta del suo abbigliamento, e chiese a Paolo di porgerle un asciugamano. Lo mise sul petto.

"Scusa Paolo. Non so cosa mi sia successo. Non m'era mai accaduto di perdere i sensi. Sentivo di sprofondare, di non poter respirare. Credo che se tu non mi avessi aiutata sarei morta. Scusami, ti sto dando un mucchio di fastidi."

Scorse Fiorenza placidamente addormentata.

"Meno male che la bambina riposa. Chissà come si sarebbe spaventata e quanto avrebbe pianto a vedere così la sua mammina. Ma adesso va pure, Paolo, non preoccuparti."

"No, non me ne vado" -rispose il ragazzo- "se vuoi ti chiamo il medico di bordo, la mamma..."

Lei abbozzò un sorriso.

"Sicché sei già stanco di farmi da infermiere. Aspetta, non chiamare nessuno, voglio vedere se posso stare in piedi. Forse mi farà bene lavarmi il viso."

Si mise a sedere sul letto, stringendo l'asciugamano al seno. Si alzò lentamente. Sorretta da Paolo, andò nel bagno, e vi si chiuse dentro.

Dopo qualche minuto ne uscì in accappatoio.

"Non ci crederai, ma mi é passato quasi tutto, anche il capogiro. Va pure, caro, non preoccuparti. Mi vesto, aspetto che Fiorenza si svegli, le faccio il bagno, poi torniamo in salone."

"No" -disse Paolo- "Ti vesti adesso. Puoi andare nel bagno, o vestirti qui e nel bagno ci vado io. A scelta."

C'é anche una terza via: mi vesto qui e tu resti qui. Scherzo, Paolo. Sono veramente mortificata per quanto é accaduto e reagisco così per superare il disagio di essere stata seminuda di fronte a te. Resta qui, vado a vestirmi di là. Ci metterò un po'. Mi farà bene un bagno tiepido."

Prese della biancheria da un cassetto, un vestito dall'armadio, e tornò in bagno.

Dopo un po', Fiorenza aprì gli occhi. Si guardò intorno.

"Mamma..." -fissò Paolo- "mamma..." Piagnucolava.

Paolo la prese in braccio e la portò presso la porta del bagno.

"La tua mammina sta qui, chiamala."

La bimba si pencolò verso la maniglia, tentando di aprire. Paolo le disse che la porta non si apriva e per dimostrarlo abbassò la maniglia, sicuro che Laura avesse messo il fermo internamente. La porta, aiutata dal dondolio della nave, si spalancò di colpo, Laura era nella vasca.

"Ecco mamma..." Gridò Fiorenza, indicando la madre col ditino e protendendosi verso la donna.

Laura era assorta, sprofondata in chissà quali pensieri, con l'acqua che le sfiorava il seno, il capo lievemente riverso e i capelli sparsi come una nuvola di fili d'oro e di rame che le aleggiava intorno.

Guardò Paolo: sorpresa, sconsolata, rassegnata.

"Ti prego, spogliala, portala qui, le faccio fare il bagno con me."

Paolo spogliò rapidamente la bambina che aveva capito cosa l'attendeva, ed era impaziente di raggiungere la madre. Alzò Fiorenza, guardandola fissamente, e la porse alla madre.

Laura era candida. Una 'dolce collina di panna', pensò Paolo, ma d'improvviso restò colpito e abbagliato dalla medusa fiammeggiante che le ondeggiava tra le gambe.

"Grazie, Paolo, non ti faremo attendere troppo. Faremo presto."

Lui tornò nella cabina e sedette sulla sedia, a fianco del tavolo.

Laura rientrò: indossava di nuovo l'accappatoio e teneva Fiorenza avvolta in un telo di spugna. La sistemò sul letto. Senza voltarsi, chiese a Paolo di passarle il borotalco che era sul tavolino.

"Nel primo cassetto ci sono maglietta, mutandine e calzine della bambina. Per favore, prendile."

Incipriò Fiorenza, le fece indossare gli indumenti che Paolo le aveva dato.

Paolo tornò a sedere accanto al tavolino tra i due letti, sotto l'oblò. Laura era china sulla bimba, con l'accappatoio semiaperto.

"Adesso sta ferma un momento che prendo il resto per finire di prepararti."

La bimba aspettava in ginocchio.

In breve fu pronta. Appena la madre la mise sul pavimento, Fiorenza tese la mano a Paolo e lo tirò verso la porta: "'ndamo?"

Laura era ancora coi capelli avvolti nell'asciugamano. Si volse a Paolo:

"Forse é meglio che la porti su, altrimenti questa ci darà del filo da torcere. Vi raggiungerò presto. Il tempo di vestirmi."

Lui prese in braccio Fiorenza e tornò nel salone. Nello stesso angolo di prima.

* * *

Dopo il caffè al Bar, a fine pasto, molti si ritiravano in cabina. Si riposava, si leggeva, si cercava di passare il tempo. Del resto, le condizioni atmosferiche non consentivano di uscire all'aperto. I pochi che sfidavano il vento freddo del Mediterraneo, tornavano subito dentro. Si era solo al secondo giorno di navigazione, e già qualcuno si domandava come avrebbe fatto a trascorrere il resto del viaggio senza far niente.

Ada aveva detto a Luciana che andava nella cabina degli uomini per mettere un po' d'ordine nelle loro cose.

Luciana s'era sdraiata in letto, per leggere, aveva affermato, ma in effetti era curiosa di sentire cosa accadeva nella cabina dove entrambi i genitori s'erano ritirati per fare un po' d'ordine. Accostò l'orecchio al divisorio. Il rumore delle macchine non permetteva di distinguere chiaramente i rumori. Senti, o immaginò, un certo gemito che andava crescendo, come un lamento fioco e lungo.

Dopo un certo tempo, sentì aprirsi e richiudersi l'uscio accanto. Socchiuse la porta per sbirciare. Era il padre che si allontanava lungo il corridoio. Lui il suo... disordine... lo aveva sistemato. Ada, un po' accaldata (certo per aver sistemato le cose del marito) e con un'aria un po' incantata, ritornò nella sua cabina.

Sergio aveva chiesto al Direttore di macchina di visitare le caldaie. Non era molto competente in quel genere di impianti che, però, lo interessavano molto. Fu lo stesso Direttore ad accompagnarlo. Gli spiegò che la nave non era modernissima ma si difendeva bene. Poteva classificarsi "a coperta di manovra", la tipica nave mista, per trasporto di passeggeri e merci. La struttura era robusta fino al ponte principale e leggera dal principale a quello superiore. Le eliche erano a quattro pale, di profilo e diametro accuratamente studiati, con la massima possibile immersione e distanza dalla carena per evitare, o almeno limitare, la cavitazione. Le caldaie erano tre, due principali e una sussidiaria. Tutte alimentate a carbone. I criteri costruttivi fondavano sul principio delle "caldaie Cornovaglia modificate a tubi di fumo", ma vi erano stati anche dei successivi interventi per poter aumentare il più rapidamente possibile il vapore prodotto.

Sergio prestò molta attenzione alle spiegazioni, chiese alcuni chiarimenti e, soddisfatto per la minuziosa visita, ringraziò caldamente il Direttore.

* * *

Paolo sedeva nella poltrona rivolta verso la veranda. Guardava la linea dell'orizzonte che s'alzava e abbassava lentamente, ora al disopra, ora al di sotto del parapetto. Al giungere di Laura voleva cederle il posto, ma lei gli disse che non poteva guardare il mare. Si fece aiutare per avvicinare un'altra poltrona e sedette di fronte a lui.

"Fiorenza?" chiese Paolo.

"Dorme tranquilla. Ho alzato la rete di protezione, e per almeno un'ora riposerà beata. Ne profitto per fare quattro chiacchiere con te, anche se mi riesce difficile parlare di certe cose.

Quello che é accaduto mi fa sentire ridicola, ne provo un profondo senso di disagio, anzi di vergogna. Mi sono sentita così sola, perduta, indifesa, che ho pensato quant'era meglio se fossi rimasta a casa. Ma forse non é giusto dire indifesa, ti mostrerei ingratitudine. Quel malore, Paolo, qual risvegliarmi seminuda. E pensare che era solo il principio. Stavo nel bagno, sovrappensiero, quando d'un tratto sei comparso tu, con Fiorenza. E questo perché non avevo messo il fermo alla porta. Un estraneo di fronte a me, mentre ero nella vasca. Altro che la seminudità di prima, ora ero completamente nuda. E tu che mi guardavi, con mia figlia in braccio! Via Paolo, una scena così neppure in un racconto di fantasia l'avresti creduta. Immagina se la raccontassimo agli altri. Se crederebbero al susseguirsi di avvenimenti casuali. Avrei voluto nascondermi, fuggire. Ma come? Dove? Ho sentito cascarmi le braccia, mi sono sentita vinta, incapace di reagire. Come l'animale in gabbia rinuncia a una lotta inutile, impossibile, senza speranza, ho agito anch'io nello stesso modo. Ho creduto che avere Fiorenza da me mi avrebbe protetta. Ma protetta da chi? Questo ho pensato nello stesso istante. Tu mi avevi sorretto, aiutata, assistita. Ti eri preoccupato per me, volevi chiamare il medico, la tua mamma. Io, di fronte a tutto ciò, davo importanza al fatto che mi avevi liberata dal reggiseno che m'opprimeva, e mi avevi intravista nella vasca. Ero io che stavo sporcando tutto. Sento di doverti chiedere scusa per quello che ho pensato, e di doverti ringraziare. Sono stata scioccamente maliziosa, senza riflettere che la causa di tutto sono stata io.

Mi avevi visto nuda. E cosa sarà mai. Chissà quante ragazze avrai visto così, e certamente più giovani e più belle di me. Ma come ho potuto immaginare che avresti guardato con particolare interesse una donna come me, e per di più con una bambina!"

Aldo la interruppe. Si chinò verso di lei ..Le parlò sottovoce.

"Vorrei non prendere seriamente quanto stai dicendo, ma tu hai un aspetto e un tono solenne. Le tue guance sono rosse, i tuoi occhi splendenti, le tue labbra tremano. Sei bellissima. E non ti accorgi che stai contraddicendoti. Hai voluto che ti dessi del tu perché non sei vecchia e ora dici che non potrei guardarti con particolare interesse. Se hai parlato seriamente, devo risponderti nello stesso modo.

Ti sei sentita male, hai avuto bisogno di aiuto. Cosa mai avrei dovuto fare, se non aiutarti? Ho compreso bene che eri turbata, indifesa, impaurita, nella vasca. Cosa avrei dovuto fare se non rassicurarti mostrandomi freddo e distaccato? Questo non vuol dire indifferenza, perché non si può essere indifferenti di fronte alla tua bellezza. Come si può non avere il desiderio, l'istinto, di baciarti, di carezzarti? Ma sarebbe stato meschino approfittare del tuo stato, della tua debolezza, del tuo malore, del tuo sentirti chiusa in gabbia e senza scampo. A una mia carezza desidero la risposta d'una carezza, a un bacio la risposta d'un bacio.

E che vuol dire se io abbia visto o meno altre donne nude. Nessuna può reggere, in ogni caso, al tuo paragone.

E poi, che tu ci creda o meno, tutta la notte ho sognato te, in tutto il tuo splendore, seducente, affascinante.

Scusami."

Si alzò e s'avviò verso lo scalone.

Frieda stava scendendo i primi gradini. Si voltò, vide Paolo:

"Vieni al cinema con me? proiettano..."

Non fu necessario dire il titolo del film, Paolo la prese per il braccio e quasi la trascinò lungo lo scalone, nella sala sottostante.

* * *

C'era poca gente, sparsa qua e là.

Paolo indicò l'ultima fila, le poltrone esterne di destra. Appena si spense la luce, le passò il braccio intorno alle spalle. Un gesto che la ragazza non s'aspettava, anche se, per la verità, era la prima volta che stavano insieme al cinema.

Paolo era il ragazzo che ammirava, che sentiva di amare pazzamente, ma lui non aveva mai dato segno di accorgersi di ciò.

Le aveva infilato l'altra mano sotto il pullover, sbottonata la blusa e s'era intrufolato sotto la leggera maglietta, carezzandole il piccolo seno. Sodo, ben modellato, col capezzolo che la faceva rabbrividire quando lui lo stringeva dolcemente tra le dita.

Gli appoggiò la testa sulla spalla, sfiorandogli il volto coi capelli, fini, lunghi. Quando lui ritirò la mano, trattenne il respiro. Pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato, che lo aveva irritato, lo guardò negli occhi come a chiedergli scusa.

Sentì quella mano cercare la cinta della gonna, allentarla, arrivare ai piccoli ganci, in vita, aprirli, entrare, carezzarle il grembo sulla sottana di rayon, sollevarla lentamente, salire all'elastico delle mutandine, scostarle, entrare e scendere, col palmo aperto, verso il pube, più giù. La mano aveva incontrato un piccolo prato di seta sulla pelle vellutata, il medio s'aprì la strada nel tepore caldo umido che l'accolse fremente.

Frieda chiuse gli occhi, sussurrò:

"Piano... piano... dolcemente... così... sì... così..."

Spinse avanti il bacino, dischiuse appena le gambe.

"Così... così... più svelto... più svelto..."

S'agitò senza curarsi di quanto la circondava, sussultava, mise una mano tra le gambe di Paolo e strinse forte. Si contrasse, chiudendo di scatto le gambe e tirandosi improvvisamente indietro. Portò le mani sul volto e restò così, mentre due grosse lacrime le scendevano sulle guance.

Paolo andava ritirando la mano, lentamente. D'un tratto, afferrò un ciuffo di quei fili di seta e li strappò con forza. Frieda sobbalzò. Lui tirò fuori la mano, la mise in tasca, e conservò qualcosa.

Lei tornò ad appoggiare la testa sulla spalla di lui. e rimase così fino alla fine dello spettacolo.

* * *

Erano piccoli fili color dell'oro antico, appena un po' più grossi dei capelli, quelli che Paolo conservò nella bustina bianca che ripose nella sua borsa.

* * *

A tavola ci fu il brio di sempre. Paolo, però, partecipava meno del solito. Aveva scambiato solo poche parole. Fiorenza s'era addormentata con la testolina sulla tavoletta del seggiolone. Paolo la prese dolcemente in braccio e disse a Laura di dargli la chiave della cabina, vi avrebbe portato la bambina.

"Vengo anch'io" -rispose Laura- "così la metto a letto. Tanto per adesso non si sveglia."

Nella cabina, Paolo depose Fiorenza sulla letto e, serio e sostenuto, s'avviò per uscire. Laura mise la sua mano su quella di lui, sulla maniglia della porta, guardandolo sorridendo.

"Allora" -disse- "pace?"

E gli sfiorò le labbra con un bacio.

Lui l'afferrò per i capelli, forte, come a volerle far male.

"Pace!"

Rispose, e la baciò con veemenza.

Laura lo fissò, senza staccarsi. Sorpresa, spaventata, contenta.

"Va su, metto a letto Fiorenza, vi raggiungo subito."

III

Erano attraccati a Port Said. Era sera inoltrata.

Sotto bordo, un pullulare di imbarcazioni cariche delle più svariate cianfrusaglie. Gli uomini delle barche gridavano, decantavano sigarette, accendisigari, torce a pile, ma soprattutto "scandalusa", una raccolta di sbiadite fotografie di implumi adolescenti in squallide pose che avrebbero dovuto essere erotiche. Lanciavano ai militari e agli operai affacciati dai ponti inferiori una cordicella al cui centro era attaccata una borsa di paglia contenente la mercanzia offerta, e loro ne tenevano l'altro capo. Il cliente tirava la fune, controllava la merce, se d'accordo la tratteneva e metteva la somma pattuita nella sporta che il venditore faceva tornare a sé.

Un altoparlante invitava a visitare il Bazar di Simon Artz, sempre aperto, giorno e notte.

I viaggiatori della terza classe non potevano scendere a terra. La "gerarchia" diceva che preferiva restare a bordo. Ma forse era prudenza.

Paolo non era mai sceso a Port Said, ma ora, sentendosi adulto, voleva farlo. Andò dalla madre.

"Mamma, vorrei scendere a terra, che ne dici se vengono anche Luciana, Frieda e Laura?"

"Hai chiesto il permesso a tuo padre?"

"Lui é d'accordo se lo sei anche tu. Mi ha detto di noleggiare una di quelle carrozzelle che sono in attesa. Al varco d'uscita la guardia ritirerà i permessi di sbarco e annoterà il numero della vettura. Farei il giro della parte centrale della città, visiterei, forse, il Bazar, e tornerei con la stessa carrozzella. Al varco annoteranno il ritorno e mi restituiranno il permesso. Allora, mamma?"

"Paolo, se proprio ci tieni, ma le ragazze no, lasciale a bordo."

"Non può venire neppure Laura?"

Laura intervenne.

"Ma io ho Fiorenza, altrimenti mi piacerebbe scendere, toccare la terra d'Africa per la prima volta, vedere cose che non ho mai visto..."

Paolo non la lasciò terminare.

"Per il poco tempo che si potrà restare a terra ci penserà la mamma a Fiorenza. Hai visto come vanno d'accordo? Vero mamma, che Fiorenza può restare con te?"

Ada guardò il figlio stringendo le labbra, ci pensò un po', poi alzò le spalle.

"Certo, certo, se per Laura il solo impedimento é questo, non c'é problema. Baderò io a Fiorenza. Ma voi badate a voi. E tu Laura, porta uno scialle, é umido."

Sergio dette delle monete a Paolo, spiegandogli:

"Questi li darai alla guardia, al varco, unitamente ai permessi di sbarco. Questi sono per la carrozza, metà glieli dai subito e gli mostri l'altra metà facendogli capire che l'avrà al ritorno. E questi sono per comprare qualcosa. Testa a posto e buon divertimento."

A terra, vicino alla scaletta, c'era molta gente. Un marinaio della nave chiese se desiderasse una carrozza. Fece un segno d'assenso al poliziotto egiziano che, a sua volta, scelse una vettura. Il marinaio disse che era una delle migliori. Rifiutò, ringraziando, le monete che Paolo voleva dargli e augurò buona serata. Salirono su un trabiccolo un po' sgangherato. Il vetturino fece un ampio saluto col capo, dicendo "salàm taliàn", e s'avviò senza fretta.

Il primo tratto di strada era abbastanza buio.

Laura s'accostò a Paolo e gli si mise sottobraccio.

"Adesso posso spiegarti perché ho detto vi raggiungo subito. Avevamo lasciato il gruppo e dovevamo rientrare nel gruppo. Sento che é meglio così. Non é bene, e lo dico per me, stare troppo spesso in disparte solo con te e Fiorenza. Non voglio alimentare la maldicenza...."

Il vento gettava sul volto di Paolo i capelli di Laura. Lui le aveva preso la mano, l'aveva baciata nel palmo e ora la teneva tra le sue dita, mentre col dorso le sfiorava il grembo. I capelli di Laura gli erano sulle labbra. La donna tolse la mano di Paolo dalle sue gambe, la tenne per un attimo sospesa, poi la strinse leggermente al seno.

Paolo era teso.

"Ma chi vuoi che maligni se parli con un bambino. In fondo é così che mi consideri."

"Smettila" -interruppe Laura- "adesso il bambino lo fai veramente. Certo che la gente maligna se mi vede sempre con un pupo alto e grosso come te e tutt'altro che brutto. Capito?"

Erano arrivati a un largo. La carrozza si fermò e il vetturino fece cenno di scendere e andare a vedere le mercanzie dei piccoli negozi tutt'intorno. Lui li avrebbe attesi. Paolo scese. Laura s'alzò e resto in piedi, guardando in giro. Paolo le cinse le gambe, la sollevò e la depose delicatamente a terra. La sua bocca premette sul grembo di lei. Gli sembrò di sentire un profumo inebriante, un calore che stordiva; aprì le labbra e alitò forte, ricambiando quel calore. Lei gli poggiò le mani sulle spalle, scivolò lentamente fino a toccare terra, lo guardò scrollando il capo.

Al chiarore del petromax il vecchio barbuto stava rifinendo il bracciale di filigrana d'argento, appena terminato, con al centro una figura femminile. Quando vide i due giovani, porse il bracciale a Paolo.

"Nefertiti..." -e indicava Laura- "bella..."

Paolo ne chiese il prezzo, ma il vecchio aprì le braccia facendo intendere che non capiva.

Paolo gli dette alcune monete e per gli inchini e gli shukra che ricevette pensò di non essere stato avaro.

Laura s'affrettò a salire per prima sulla carrozzella. Paolo le prese il braccio e le cinse il polso col bracciale acquistato dal vecchio.

"Nefertiti bella" -disse guardandola negli occhi- "come ha riconosciuto anche quel vecchio che somiglia a Mosè. E spero che non seguiterai a scuotere la testa."

Laura prese la mano di Paolo e la portò alle labbra. Gli baciò la punta delle dita, teneramente, come se temesse di fargli male. Poi prese a mordicchiarle, coi piccoli e candidi denti che stringevano sempre più mentre lo scrutava in volto, per coglierne le reazioni. Si staccò.

"Attento" -disse- "Nefertiti lascia il segno."

Riprese a baciarlo sulla mano, sul polso. Si avvicinò al suo orecchio, gli soffiò piano "uuuuh... sono Nefertiti..." strinse il lobo tra i denti, lo lambì con la lingua, lo succhiò. D'improvviso andò a rincantucciarsi nel lato opposto.