Le Gine

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ULISSE
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S'era assopita, così, tra le mie braccia. Ma non durò a lungo. Aprì gli occhi e mi guardò sorridendo, strofinandosi a me come una gattina.

"Dovremmo anche mangiare, Piero. Che ne dici?"

"E' un particolare trascurabile."

"Prima di alzarmi, però, desidero ancora qualcosa."

Era a cavalcioni, sul mio pube, giocherellando con sesso che andava reagendo alla sua provocazione. Raggiunse l'intento, e tornò a impalarsi bramosamente sul mio fallo. Sembrava volesse svellerlo.

"Voglio conservarlo in me, solo per me, per sempre."

E fu ancora il suo ennesimo orgasmo a farla giacere sul mio petto.

La guardavo sbalordito. Netta, la mia cuginetta.

TATU'

Perché Tatù?

Era il nome della magnifica creola che, completamente senza veli, avevo ritagliato da un Magazine USA, capitatomi tra le mani per caso. Da allora decisi di chiamarla così. Tra l'altro, sarebbe stato un nostro piccolo segreto. A lei non piacque molto, quel nomignolo, dapprima, poi, quando dopo sue infinite insistenza mi decisi a farle vedere l'immagine di quella che oggi chiameremmo una 'pin up girl', sorrise appena (mi sembrò compiaciuta) ed accettò l'appellativo.

"Non dir niente a nessuno."

Mi raccomandò.

"E non t'azzardare a mostrare quella... quella foto ad altri. Poi, che ne sai tu di come sono io?"

Mi guardò con aria di sfida.

"Lo so, non lo immagino, ne sono sicuro. Anzi, firmami la foto, con dedica!"

"Ma non fare lo scemo."

"No, dedicami la foto e firma."

Sbuffò, volendo apparire seccata. Poi, prese la penna stilografica che le porgevo. Scrisse: A Piero...come firma iniziò con A, la prima lettera del suo nome, poi la cancellò e scrisse Tatù.

"Aggiungi qualcosa."

"Cosa?"

"Si scrive sempre qualcosa in una dedica."

Riprese la penna, e avanti al nome scrisse 'la sua..'.

La guardai sorpreso, fece finta di nulla.

"Aspetta, Piero, si vede dal volto che quella non sono io, e...dal colore della pelle."

"La tua pelle è dorata come quella della modella..."

"Dammi la foto."

La prese, con la massima attenzione strappò la parte della testa, me la restituì.

Tatù era una splendida ragazzona, con una forza incredibile. Aveva splendide braccia, non muscolose, ma piene, sode. E così i suoi fianchi. Quando facevamo finta di ballare e pian piano facevo scendere la mano sulle natiche, le sentivo deliziosamente scolpite nel granito. Mi guardava con una strana espressione, allora, come seccata, ma non diceva niente. E così pure quando sentivo le sue splendide tette sul mio petto. Il volto, ovale, circondato da capelli nerissimi, ondulati, erano stati certamente di qualche sua ava, forse veramente creola. Chissà. La pelle, bronzo dorato, era liscia come una pesca, e sembrava cosparsa di oli profumati per quanto era splendente. Quando eravamo vicini, le prendevo la mano, poggiavo il volto sul suo braccio e mi piaceva baciarlo, lambirlo delicatamente con la lingua. Tatù lasciava fare, come una concessione al cuginetto.

Appena chiuse le scuole decidemmo, una miriade di amici e di cugini, di andare un giorno al mare. Mariella sarebbe stato il nostro chaperon, la garante del buon comportamento, perché i suoi ventitré anni la facevano considerare una sicura sentinella.

Sul tram, sedemmo abbastanza educatamente. Tatù era vicina a me, e le solide cosce erano coperte dal leggero vestito di cotone. Le poggiai una mano sulla coscia.

"Che fai? Ti possono vedere."

"Ti da fastidio? La devo togliere?"

Per tutta risposta vi poggiò sopra la giacchettina portata per l'eventuale fresco del tramonto.

Visto che le cose stavano così, strinsi le dita, carezzai lentamente.

"Pierì.. non t'allagrare..."

Ma la mano sembrava cercare qualcosa. Salì piano, sentì chiaramente i folti riccioli del pube, attraverso il vestito e la mutandine, e cercò di scompigliarli. Tatù si sistemò meglio sul sedile, portando il bacino in avanti. Era la prima volta che sentivo il calore del sesso della mia cuginetta. Da quello che potevo sentire, al glabro assoluto delle sue braccia e delle gambe, si contrapponeva il consistente volume dei suoi riccioli pubici. Li immaginavo dello stesso colore dei capelli. Forse più neri, più lucidi. Mi facevano tenerezza. Adesso che aveva un po' dischiuse le gambe li sentivo meglio, e tra essi percepivo il turgore di due grandi labbra, non certo insensibili a quella carezza.

Tatù si mise a guardare fuori dal finestrino, nel vuoto. Ma i suoi piccoli movimenti testimoniavano il suo sentire. Si voltò verso me, con una espressione implorante.

"Piero, per favore, se ne accorgeranno tutti. Sii buono, ti prego..."

Fermai la mano, sul mio sesso.

Quando fu il turno di spogliarci, Tatù disse che aveva sete, sarebbe andata al bar. Decisi subito di accompagnarla. Ci mettemmo un po' di tempo. Quando tornammo alle cabine (una per i maschi e l'altra per le femmine), gli altri erano già sulla spiaggia, sotto il vigile occhio di Mariella che ostentava un costume chiaramente evidenziatore della sua venustà.

Entrammo nelle rispettive cabine, adiacenti.

Fui presto in costume. Poggiai l'orecchio alle tavole che ci separavano. Poi cercai un forellino. Ero curioso. Nulla, c'era solo un piccolo nodulo del legno. Con l'unghia cercai di rimuoverlo, insistei. Ci riuscii. Cominciai a spiare. Tatù era nuda, di fronte allo specchio, e si ammirava, di prospetto, di profilo. Aveva un sedere scultoreo, della giusta rotondità.. ecco, si girava per osservare la sua schiena allo specchio.. Caspita.. due tette di forma perfetta, che non si muovevano, e lunghi capezzoli bruni, e poi.. era un vero bosco d'ebano che le adornava il pube, nascondeva il suo sesso, la dove iniziavano due lunghe gambe.. da delirio.

Quanto era bella Tatù, e...bbona!

Memento audere sempre. Meglio pentirsi per aver fatto che rimpiangere il non aver fatto.

Uscii piano, poggiai la mano sulla porta della cabina destinata alle femminucce. Non era chiusa dall'interno. Chissà se per mera distrazione. Comunque l'aprii ed entrai rapidamente. Tatù era ancora come l'avevo contemplata.

"Che fai, qui? Come sei entrato? Sei matto? Mariella, o qualcun altro, potrebbe averti visto..."

Io, intanto, ero rimasto inebetito, e per non cadere m'ero seduto sullo sgabello, seguitando a guardarla, ammaliato.

"Vieni qui, Tatù, avvicinati."

Le tesi le mani.

Le prese, si avvicinò.

La mia testa era all'altezza del suo grembo. Rifugiai il mio volto in quel serico rifugio. Sentii che aveva infilato le dita tra i capelli. Cominciai a baciarla lievemente, poi a cercare il suo sesso con la lingua, mentre lei andava lentamente dischiudendosi, agitandosi. Non so quanto restammo così, ma d'un tratto sentii il sapore della secrezione della sua vagina, e lei s'accasciò sulle mie gambe, sfinita.

"Va via, Piero, va via..."

Andò a prendere il suo costume. Io tornai di corsa e guardingamente nella mia cabina, in attesa che si placasse la mia prepotente ed evidente eccitazione.

Adesso, ogni volta che guardavo Tatù mi eccitavo.

Al ritorno s'assopì sulla mia spalla, non sembrò dispiacere la mia mano che le carezzava la tetta, le titillava il capezzolo.

Ormai le scuole erano chiuse.

L'indomani andai a trovarla, per chiederle se voleva fare una passeggiata. Mi dissero che era andata a rovistare in soffitta. La raggiunsi. Era china su una cassa aperta, rovistando tra scartoffie varie. Il suo favoloso culetto era più che mai provocante. Le fui alle spalle, e sembrò solo allora accorgersi della mia presenza. E come avrebbe potuto non percepire quanto le premeva tra le natiche? Si alzò molto lentamente, e così mi strinse ancor più. Chiuse il coperchio della cassa, si girò. L'afferrai per i fianchi, la baciai, mentre la stringevo a me per farle avvertire il mio desiderio. Mi sembrò comprenderlo chiaramente e corrisponderlo. Mi baciava furiosamente. Poi sedette sulla cassa. Mi misi ai suoi piedi, infilai le mani sotto la sua gonna e l'alzai, poggiai la testa sulle sue gambe, mentre cercavo di far scendere le mutandine.

"Che vuoi fare, matto?"

"Voglio riposare con la testa sul tuo grembo."

Alzò il sedere per facilitare il mio proposito. Quando il piccolo indumento fu in terra, poggiai la testa tra le sue gambe. Era un cuscino di seta che mi carezzava le guance. Delizioso. Lei mi guardava teneramente, passandomi le dita sul volto, sulle labbra. Si chinò a baciarmi.

Mi sussurrava qualcosa.

"Non l'ho mai fatto, Piero, mai..."

Qualcosa, però, era più forte di noi.

Poco distante c'era un vecchio materasso arrotolato, avvolto in una coperta. Lo presi, lo slegai, lo distesi. Invitai Tatù a sedere vicina a me. prima, però, andai a chiudere la porta della soffitta. Tutto si svolgeva secondo un rituale prestabilito scritto dal fato. Iniziai a spogliarla, lentamente, sembrava come in trance. Non si opponeva e non partecipava. Quando fu nuda, bellissima, la deposi delicatamente sul materasso. Poi fu la mia volta, a spogliarsi. Le andai vicino, e presi a baciarle il seno, a suggerle i capezzoli, a carezzarla tra le gambe. Cominciò a corrispondermi, sempre più appassionata, e quando le fui sopra, aprì spontaneamente le gambe, le alzò poggiandole sui talloni, e nel contempo sollevava il bacino, La punta del mio sesso ero all'ingresso della vagina, calda, palpitante, con un piccolo ostacolo che impediva la penetrazione. Ancora un momento e fui in lei, lentissimamente, accolto da contrazioni sempre più intense, deliziose.

Un primo entusiasmante amplesso che ultimò nella reciproca massima voluttà, felice che quel corpo bruno, granitico, vibrasse con me, ed io in lui.

Giacemmo ansanti. Poi riprendemmo con rinnovato vigore e più intenso piacere, mai sazi. Come a sfamarci d'antica e nuova fame.

Tatù era un'incantevole statua vivente.

"Alzati, piccola, voglio ammirarti."

Ero rimasto steso sull'accogliente materasso. La vista dal basso mi eccitava, turbava, sconvolgeva.

"Passeggia, per favore."

I suoi muscoli che si muovevano sotto la lucida pelle serica erano uno spettacolo indescrivibile: bellezza e perfezione. Mi alzai, la strinsi a me, con passione e tenerezza, mentre sentivo l'erezione del pene che le urgeva tra le gambe. Non ero ancora pago del suo amore, di lei. Mi guardava sorpresa, quasi divertita.

"Sei terribilmente attraente, Piero. Ho sempre saputo che tra noi sarebbe accaduto, lo temevo e bramavo nel contempo. Mi avevano detto che avrei urlato per il dolore. Solo un piccolo male compensato da un grande piacere. Mi sembri immenso, non avrei mai creduto che avrei potuto accoglierti in me. Invece è stato bello, amore mio."

Le sue parole, i piccoli baci sul volto, sulle labbra, l'imperiosa pressione dei suoi capezzoli sulla mia pelle, erano sensazioni voluttuose. Mi sdraiai sul materasso, tenendola per mano.

"Vieni su di me, fammi sentirmi tuo, ricevimi nel tuo grembo celestiale, prova s'è dolce il cavalcarmi."

S'abbassò lentamente, guardandomi negli occhi, col suo pube che accolse il fallo tra i suoi riccioli. L'istinto non vuole esperienza... La sua manina aprì le labbra, prese il pene e lo indirizzò verso il palpito della vagina, e s'impalò con fremente lentezza, accogliendomi e stringendomi in lei, fin quando sentì che non poteva ospitare più di tanto.

"Che bello, Piero..posso fare come voglio... ti possiedo... ti tengo prigioniero in me..."

Si muoveva, avanti e indietro, con avidità, come se godesse dominarmi, e sembrò perdere la testa quando le mie mani presero a titillarle i capezzoli.

"...oddio... oddio... ma io svengo..."

I suoi dimenarsi diveniva impetuoso, ansioso di raggiungere un traguardo vagheggiato, dove l'attendeva l'appagamento dei suoi sogni.

Non era la sua voce quella che gridò Pieeeroooooo, mentre crollava sussultante sul mio petto. Le carezzavo la schiena, le sue superbe natiche.

Si calmò, molto lentamente. Aprì gli occhi, sollevò un po' e mi guardò, trasognata e raggiante.

"Che bello, morire così, Piero."

"E' più bello vivere, così. Non credi?"

Annuì con la testa.

"Posso restare così?"

"Per sempre, amore."

Dopo alcuni minuti, che sentivo vivere in paradisiaca beatitudine, si pose al mio fianco, mi voltò le spalle.

Mi accostai a lei. Posi il mio sesso, ancora abbastanza vigoroso, nella più bella valle del mondo che s'apriva tra la sontuosa magnificenza dei suoi glutei marmorei. Si spinse verso me. L'abbracciai carezzandole un seno, mentre l'altra mano la vellicava delicatamente tra le gambe. Sentii che s'andava appisolando. Solo per qualche minuto.

Si svegliò, restò così.

"Piero, e... se resto incinta?"

"Ci sposiamo, tesoro, e attenderemo di dare altri fratelli al primo, o prima."

Ebbe un brivido.

"Ci sposiamo? Ma siamo cugini."

"E allora? Avremo tutte le dispense necessarie."

Se adagiava appassionatamente sulle mie ginocchia.

"Pensa che bello, Pierino,non cambierei nemmeno cognome..."

E così, ne parlavamo quando c'incontravamo, in soffitta, sul materasso che conservava gli evidenti segni della sua prima volta.

Fin quando non ebbe evidenti segni che non aveva concepito.

Tatù ed io eravamo certi che ci saremmo sposati. La nostra appassionata storia d'amore procedeva con sempre rinnovata voluttà. E cominciammo ad essere meno riservati...tanto...ci dovevamo sposare!

Credo che tutto sapevano del sentimento che ci univa, certo senza immaginarne i reali particolari.

Con molta riservatezza, andammo a farci una fotografia, insieme, testa a testa, come usava allora, dal più famoso fotografo della città.

Lei scrisse, su quella che sarebbe stata mia: ...per tutta la vita!

E fu così. Ma per pochissimo tempo.

Una strana malattia, come folgore, s'abbatté su Tatù, e la strappò dalla montagna rocciosa che le aveva dato il corpo.

LINA

Mentre l'aereo s'apprestava ad atterrare, mi venne in mente che Lina abitava nella città che stavo per raggiungere. Si, mi era stato detto qualche tempo prima, anzi diversi anni fa.

Ma come trovarla? Quale sarebbe stato il nome del marito?

Sapevo che insegnava latino e greco al liceo, ma quale?

La piccola Lina... ora, però, aveva anche lei i suoi anni, sempre pochi, per la verità.

La piccola Lina che, trotterellando, veniva a rifugiarsi tra le mie braccia, Mi guardava con quei suoi profondi occhioni verdi e diceva: 'mbrà, in braccio! Ci separavano solo sei anni, ma sapeva che mi piaceva coccolarla. Ogni scusa era buona per correre da me: un invisibile graffio causatole dalla piccola spina delle rose che andava carezzando; o era una fogliolina che voleva mostrarmi; o qualcuno l'aveva rimproverata...

Poi fu la volta delle fiabe, che ascoltava, sulle mie ginocchia, guardandomi incantata. E quindi i primi compiti.

Di solito, ogni estate ero ospite della sua famiglia, e per lungo tempo. La casa era immensa, costruita in epoche successive, anche un po' in modo bizzarro. Si entrava dall'ampio portone carrabile, o si poteva raggiungere dal cancello del giardino che dava nello stretto viottolo che sboccava nella piazza centrale, accanto alla Chiesa. In passato, era sempre uno della numerosa famiglia a ricoprire la carica di Arciprete. Un altro fratello era quasi sempre medico, un altro ancora farmacista e, infine, l'unico sportello bancario era gestito da noi, azionisti d'una certa importanza di quell'istituto di credito.

La piccola Lina, col tempo, s'era trasformata in una splendida rossa, la chiamavamo scherzosamente 'red lina'. E lei non se la prendeva a male. Era sempre molto attaccata a me, mi scriveva delle lunghe lettere, in uno stile garbato, a volte un po' ermetiche, perché sembrava piuttosto scritte per il proprio uomo. L'ultima volta che vidi quel maestoso pezzo di figliola, dalla pelle candida, i lunghissimi capelli rossi, piccole labbra color ciliegia e splendidi occhi nei quali ti sperdevi, fu alla sua matricola. Io ero ancora ufficiale, trattenuto in servizio, ma non potevo mancare alla festa della mia adorabile cuginetta.

Volle fare con me il primo ballo, si stringeva a me, anche sollevando qualche risolino tra i presenti, non permise che ballassi con nessuna delle sue amichette, e quando m'accompagnò all'auto che era venuta a riprendermi, mi abbracciò e mi baciò sulla bocca, a lungo, con gli occhi lucidi.

L'autista che aveva aperto lo sportello, mi sorrise, con una certa aria di complicità.

"La gà una bela morosa, sior tenente, complimenti."

E quando gli dissi che era mia cugina, rispose che capiva...capiva.

Mi venne in mente, una volta giunto in città, per un importante convegno internazionale, di chiedere alla segreteria del convegno stesso, come fare a trovare una professoressa che, aggiunsi, era mia cugina e che non vedevo da tanto.

All'attenta ragazza, gentilmente impegnata a prendere nota, le dissi che si chiamava Lina, e il cognome da ragazza, come il mio, e che aveva capelli rossi.

"Certo, signore, è stata la mia prof. Insegna al Liceo Rossetti."

"Per favore, veda se può farmi sapere i giorni in cui ha lezione, gli orari e, se può, l'indirizzo."

"Non stia a preoccuparsi, le porto un biglietto in sala."

La bella mula mi sorrise e tornò al suo lavoro.

Ero di fonte alla scuola. Salvo motivi che potrebbero averla trattenuta, Lina doveva stare per uscire. Eccola, infatti, è lei che scende i pochi scalini che la separano dalla strada. La tracolla della borsetta sulla spalla, e quel suo andare, disinvolto e quasi spavaldo, certamente incantevole. Era bella più di prima. Un corpo perfetto, in una tenuta sportiva. Il volto, sorridente, incorniciato dai lunghi capelli colore della fiamma. Ero vicino all'auto, la chiamai.

"Lina.."

Si girò verso me, curiosa, poi sorpresa, raggiante e, senza badare se sopraggiungessero veicoli, mi corse incontro. Si rifugiò nelle mie braccia.

"Piero? Ma sei proprio tu?"

Piangeva e rideva. Come quand'era bambina. Ma era una splendida donna.

"Fatti guardare, Lina, gira..."

Fece una lenta piroetta, si fermò, a un passo da me.

"Allora? Esame superato? Classifica?"

"Constatazione esteriore e superficiale affrontata con successo; voto 110, in attesa che maggiori approfondimenti possano migliorarlo; classifica: incantevole, splendida, attraente..de fuego!"

"Nessuno mi aveva detto tante cose insieme."

"Ma io non sono...nessuno."

Si strinse ancora a me, incurante dei passanti, di qualcuno che poteva vederla dalla scuola.

"E' vero, tu per me sei tutti e tutto. Ora come sempre. Che bello vederti. Cosa sei venuto a fare in questa città? Ti fermi a lungo? Dove alloggi?"

Le sue solite domande a raffica.

"Allora, vediamo... andiamo con ordine. Sono venuto per te... ed anche per un convegno internazionale; mi fermerò il tempo che vorrai...; alloggio all'Excelsior."

"Io non abito lontano da qui, a Via Fabio Severo, poco lontano dall'Università. E' li che insegna mio marito."

"Hai figli?"

Scosse la testa, ma non sembrava dispiaciuta.

"Piero, vieni a casa?"

"Preferirei non subito. Desidero stare un po' con te come ai vecchi tempi."

"Allora, sa che facciamo? Mi offri un aperitivo, dal bar telefono a Giulio, sento se torna per il pranzo, e ci regoliamo di conseguenza."

"Sono perfettamente d'accordo. Direi di portare l'auto nel garage dell'Hotel, poi potremo andare agli Specchi, e così via!"

"OK, bellissimo."

Entrò in macchina senza nemmeno attendere che le aprissi lo sportello, fece tutto da sola. Quando le fui a fianco, mi abbracciò, scoccò un bacione sulla guancia, mi carezzò coi suoi lunghissimi capelli fiammeggianti.

"Che bello, Piero. E chi si aspettava una sorpresa del genere, un vero premio inaspettato."

Mi avviai lentamente. Mi immisi nel traffico, non eccessivamente intenso in quel punto, scesi verso il lungomari, andai dinanzi all'Hotel, lasciai le chiavi dell'auto al ragazzo che era accorso, pregandolo di parcheggiarla in garage. Dopo non molti passi eravamo nella grande e bella piazza, al vecchio e caro Caffè degli Specchi. Lina volle andare subito al telefono.

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