Il Capoluogo Della Virginia

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"Se stringi così finirò col non capire nulla..."

Si strofinò provocante.

"Capito?"

"Messaggio ricevuto.

Dal Maine delizioso del tuo volto, alle vette superbe del tuo seno, all'Ovest malioso, ti esplorerò voluttuosamente, ma Richmond é, e resterà, il capoluogo della Virginia, la terra promessa."

"Sfacciato d'un ingegnere!"

Avvicinai le labbra al suo orecchio.

"Tra l'antre tu cosette che un cristiano

ce se farebbe scriba e fariseo,

tienghi, Nina, du' bocce e un culiseo,

proprio dar guarnì er letto ar Gran Zurtano."

"Ci diamo alla crudezza veristica, ingegnere."

"E' la spontaneità del Belli. Diceva le cose come le sentiva, senza falsi pudori.Sono espressioni pure, limpide, ma non incorporee.

Ch'in degn de guarnì on lett de imperator!"

"E questo chi é?"

"Il Porta, come vedi o a Milano o a Roma, la bellezza é sempre cantata allo stesso modo."

"E sei anche modesto! ti senti sultano, imperatore!"

La tenevo stretta, che quasi respirava a fatica.

"No, Nina, sei tu che mi fai imperatore e sultano.

Dio ve n'arrenni merito, sorella,

proprio ve so' obbrigato de la vita.

E' sempre il Belli."

"Ma parlano solo di questo?"

"E che c'é di più bello dell'amore?"

"Io, invece, domani ho l'esame sulla poesia religiosa del duecento."

"E che, forse non si faceva l'amore nel duecento? Forse che non si cantavan potta e poppe?"

"Ma Carlo, sei monotematico, oggi."

"Non é vero, siamo passati dalla geografia alla letteratura."

"Si, ma sempre con lo stesso argomento."

"Ma l'argomento mio sei tu, Nina."

Mi sembrava perdermi nel profondo dei suoi occhi, dolcissimi, languidi. La sua voce era un sussurro.

"Non stringermi troppo, Carlo, non respiro.... l'argomento... mi schiaccia, mi turba, mi eccita... Ti ho pregato di lasciarmi il tempo di pensare, di prepararmi."

Allentai la stretta.

Mi carezzò col suo grembo fremente.

"Andiamo, Carlo, andiamo al cinema."

Tornammo all'auto.

"Quale cine?" -Chiesi.-

"Guida lentamente, ci sto pensando."

"Va bene, ma verso dove devo avviarmi?"

"Al Colosseo?"

"E dov'é il cinema Colosseo?"

"No, non al cinema, ma proprio al Colosseo."

La guardai sorpreso, senza chiedere nulla.

A piazza Albania voltai a sinistra, poi diritto. Parcheggiai,un po' abusivamente, non distante dall'arco di Costantino, dove sostano gli autobus turistici.

Nina si attaccò al mio braccio.

"Tu abiti lì di fronte, vero?"

"Si, dall'altra parte, sul colle. Avvicinandoci al Colosseo vedrai meglio."

"A che piano?"

"All'ultimo."

"Come sei riuscito ad avere un appartamento dal Comune?"

"E' uno di quelli destinato ai dipendenti."

"E' grande?"

"Abbastanza?"

"E come mai lo hanno assegnato a te, che sei scapolo?"

"In un primo tempo dovevo andarci ad abitare con la famiglia, poi loro ci hanno ripensato. Inoltre, poiché molto del mio lavoro, specie progettuale, lo svolgo a casa, necessito di uno studio piuttosto ampio."

"E' tutto arredato?"

"No. Per ora, di completo c'é solo il mio studio. In una camera c'é un divano letto, armadio... insomma una specie di camera da letto. Poi c'é qualcosa anche in cucina.

Devi venire a vederlo. Vogliamo andarci adesso?"

"No, meglio un altro giorno.

Desidero visitarlo, ma oggi non sono dell'umore adatto. Facciamo un giro nel Colosseo, poi, per favore, riaccompagnami a casa, voglio dare un ultimo ripasso ai libri. Domani ho l'esame."

"Quanti ne farai in questa sessione?"

"Ancora uno e sono in regola."

"Brava, così potrai riposare un po'"

Annuì con la testa.

"Si, devo riposare e pensare, e fare qualche altra cosa."

Entrammo nell'anfiteatro, ci fermammo a guardare i ruderi che sorgono dove, si dice, vennero martirizzati i cristiani.

Le cinsi la vita.

Girammo tutt'intorno.

Fummo di nuovo all'auto.

Nina non disse una parola.

Una volta saliti, le misi una mano sulla gamba.

"Qualcosa non va?"

Restò pensosa, guardando dinanzi a sé.

"No, va tutto bene. Forse troppo.

In poche ore tutto é cambiato per me, e in me.

Sono confusa, stordita.

Ho sognato tanto, desiderato tanto, di essere baciata da te, carezzata, ma non immaginavo il turbamento, lo sconvolgimento, l'ebrezza che mi avrebbero pervasa.

Mi sento come ubriaca.

Mi piace la tua mano sulla gamba, ma mi sento rimescolare internamente, travolgere dai sensi, dal desiderio. Non é proprio come immaginavo. Che sia malata?"

Strinsi appena la mano, la sentii sobbalzare.

"Malata d'amore, tesoro. Ed é meraviglioso. Io sono immensamente felice per quello che dici."

"Malata di te, Carlo. Basta che tu mi sfiori perché in me si scateni la brama di baciarti, di toccarti, di averti. Non é naturale."

La carezzai piano sulla gamba.

"E se ti sfiora un'altro?"

Scattò come una molla.

"Ma che mi frega degli altri. Sei tu la droga. E sento che ne sarò perdutamente dipendente."

Le baciai gli occhi, le labbra.

"E' la cosa più bella che tu potessi dirmi."

"Portami a casa, Carlo, per favore."

Guidai così lentamente che, sorpassandomi, qualche automobilista mi guardò con un senso di compassione.

"Eccoti a casa, Nina."

"Sali un momento, a salutare la mamma."

^^^

Era quasi mezzogiorno, del giorno dopo.

Il telefono, quello diretto, squillò.

"Pronto, parla Sereni."

"Carlo, trenta e lode."

"Bravissima, congratulazioni, devo darti un premio, lo meriti."

"Davvero? Allora vengo subito a prenderlo. Aspettami."

Prima ancora che avessi potuto dire qualcosa aveva riattaccato.

Dalla facoltà al mio ufficio, a quell'ora, ci voleva parecchio. Doveva prendere l'autobus, che faceva un lungo giro, e poi salire al Campidoglio.

Fra l'altro, era una giornata abbastanza calda.

Il mio problema era farle trovare il premio. Cosa? Glielo avrei dato l'indomani. Intanto ci avrei pensato

Era passato poco più d'un quarto d'ora. Un breve busso alla porta, ed ecco Nina, raggiante.

Richiuse la porta, buttò i libri sulla scrivania, vi girò intorno e venne a gettarmi le braccia al collo, con un lunghissimo bacio. Un po' ansante, con gli occhi sfavillanti, la felicità che sprizzava da ogni poro.

Quasi aggrappata a me, si staccò un po', mi sorrise soddisfatta, con aria infantile.

"Oh! ecco il premio che volevo. L'unico.

M'inviti a pranzo?"

"Certo. Telefona a casa."

"Già fatto. Ho detto tutto."

"Tutto cosa?"

"Che avevo preso trenta e lode, che venivo da te, che sarei restata a pranzo con te.!"

"Ah!"

"Dove mi porti, ingegnere?"

"Ci vogliono ostriche e Champagne. Andiamo a Fiumicino, in un posticino che so io."

"Se adesso festeggiamo così, alla laurea cosa faremo?"

"Un interminabile viaggio nell'Eden, nel gan'edhen, nel giardino della felicità."

Mi strinse la mano.

"Si, andremo sempre in quel giardino..."

"Allora, Fiumicino?"

"OK, ma voglio anche visitare il tuo appartamento. A proposito, potremmo viverci insieme, volendo?"

"Certo signora Sereni, quando vorrai.

Adesso, però, andiamo a Fiumicino, al ritorno passeremo per casa... nostra."

"Puoi uscire subito?"

"Il tempo di avvertire il capo."

Gli telefonai, non ebbe nulla in contrario.

"Così, Nina, fra tre anni la laurea, eh?"

"Se tutto andrà bene, fra tre anni e qualche giorno. Le tesi si discutono a luglio."

Uscimmo tenendoci per mano.

* * *

Non c'era molta gente.

In fondo al molo, il ristorante bianco, con qualche pretesa di stile arabo, era quasi tutto per noi.

"So che vuoi vedere il mare, Nina, siedi là."

"Ma voglio vedere anche te."

"Siederò di fronte a te."

"Vado la rinfrescarmi un po'."

Tornò con i capelli tirati indietro, il visetto acqua e sapone, nessuna traccia di rossetto sulle labbra.

Mi alzai, accogliendola, l'aiutai a sedersi.

Levò il volto verso di me, protese le labbra. La baciai, felice.

Il Maitre si avvicinò sorridente, ci porse le liste.

"Prima di tutto" -gli dissi- "vorremmo delle ostriche, se sono ottime, e dello Champagne."

"Le ostriche sono veramente super, signore, e lo Champagne può sceglierlo sulla lista dei vini."

Aprì la lista e me la dette, si avvicinò alle mie spalle:

"Mi permetto, signore, di suggerirle questo" -indicò un sec millesimato- "é particolarmente indicato per le ostriche."

Gli restituii la lista.

"Per dopo, signore, comprendendo che vorrete gustare un pasto leggero, le proporrei dell'aragosta in bellavista. Sono vive e piene al punto giusto."

Guardai Nina.

Mi sorrise con gli occhi, assentendo gioiosa.

Quando il Maitre fu andato via, si sporse verso me, attraverso la tavola.

"Ma ti costo un patrimonio, Carlo."

"Signora Sereni, per donarli a lei neppure i diamanti sono costosi."

Mi inviò un bacio con le labbra.

"Sai, Nina, che così, senza ombra di trucco, sei più bella che mai? E' come ti vedevo a casa tua, e di questa Nina, soprattutto, sono innamorato."

"Allora, niente trucco?"

"Puoi fare come vuoi, a me piaci sempre e comunque."

Giunsero le ostriche.

Il sommelier stappò lo Champagne, lo versò nelle coppe, attese l'approvazione, si allontanò discretamente.

Preparai la più grande delle ostriche e la porsi a Nina.

"Prendila con la posata, ponila in bocca senza ingoiare. Fa un sorso di Champagne e dopo un istante assapora il tutto. Si dice che sia meglio d'un bacio d'amore."

Nina seguì attentamente il mio consiglio.

"E' veramente delizioso, Carlo, ma tutte le ostriche del mondo non valgono un bacio. Tuo... s'intende!"

Mi raccontò dell'esame, di come avrebbe sgobbato per essere in regola con gli esami, senza nulla sottrarre, però, al tempo che voleva trascorrere con me. Di alcune idee che stava maturando. Che non era proprio necessario attendere la laurea per sposarci. E tante altre cose.

Insomma un discorso serio, concreto, come fossimo una coppia che si frequentava da lungo tempo. Ed erano solo pochi giorni.

"Il fatto, Carlo, é che ti conosco da sempre, e da sempre sei l'uomo col quale ho deciso di passare tutta la mia vita. Il padre dei miei figli..."

"Beh, se lo hai deciso tu!"

Sorrise maliziosa.

"Ma io sapevo che tu... ci saresti stato! Mi guardavi in un certo modo. Mi hai allevata a cioccolato e caramelle! Solo che credevo che la cosa, in fondo, sarebbe stata piuttosto... calma. Lo conosco da tanto, mi dicevo, lo vedo sempre. Vivere con lui sarà la prosecuzione di quando viene qui, a studiare con Mario, a farmi ripetizione... Non immaginavo di rimanere sconvolta e travolta da una passione che non sapevo neppure di poter provare, e non so se sarò capace di dimostrarti."

I frutti di bosco furono degna corona all'aragosta.

Nina non volle il caffé. Non lo presi neppure io.Restammo qualche minuto sul molo, a guardare l'acqua, Poi risalimmo in auto.

Era ancora abbastanza presto.

Andammo verso Ostia, un tratto del lungomare, poi la via dei Pescatori, lungo il canale, il piazzale della Villa di Plinio, la pineta di Castelfusano. La strada, stretta, correva, tortuosa, tra gli alberi. Ogni tanto un viottolo s'inoltrava negli alti cespugli.

"E' bello qui, Carlo."

"Vuoi fermarti?"

"Si, voglio baciarti."

Mi immisi in una delle stradicciole laterali, fermai l'auto in uno slargo.

Nina scese, trovò un breve tappeto d'erba e d'aghi di pino, sedette per terra.

"Aspetta, piccola, ho un plaid."

Lo presi e lo distesi a fianco a lei. Da dietro, la sollevai per le ascelle e la deposi sulla piccola coperta. Le fui accanto.

Venne a sedersi sulle mie gambe, mi prese la testa tra le mani e cominciò a baciarmi il viso, dolcemente, delicatamente, lambendomi gli occhi, le orecchie, le labbra.

"Ti amo, Carlo, non sapevo che si potesse amare così..."

La baciai perdutamente, scesi sulla gola, nella scollatura della blusetta, sbottonai cautamente qualche bottone, spostai, piano il reggiseno, le mie labbra si posarono sul capezzolo sodo, lo strinsero piano, la lingua lo lambì, e succhiai, sempre con maggiore intensità.

Lei rovesciata la testa indietro, si lasciò scivolare sul plaid.

Le labbra insistevano frementi, la mano s'insinuò sotto la gonna, superò le mutandine, carezzò dolcemente la morbidezza che custodiva tra le gambe. Un piccolo movimento del bacino, un impercettibile dischiudersi di quel meraviglioso tesoro, mi dissero del suo piacere. Il respiro sempre più affannoso, il sussultare del ventre, il disserrarsi del cespuglio, il fremere del piccolo bocciolo nascosto tra le pieghe voluttuose, il roco mormorio che usciva dalle sue labbra, il grido soffocato, un sobbalzo, dissero il culmine della sua eccitazione.

Mi carezzò il volto, lo attrasse a sé, lo carezzò.

"Carlo, non capisco niente. E' meraviglioso, bellissimo, come non credevo potesse essere. Grazie, Carlo, grazie. Non hai approfittato della mia debolezza, del mio abbandono. Non te ne pentirai. Grazie."

Rideva tra le lacrime.

Si aggiustò il reggiseno, riabbottonò la camicetta. Mi guardò con una luce nuova negli occhi.

"Dimmi, Carletto, é difficile per te dominare i sensi?"

"Non sono i sensi che devo dominare, Nina, ma reprimere l'amore per te.

I sensi rispondono ad esigenze che possono soddisfarsi in tanti modi, come la sete, la fame. L'amore, invece, pretende una ed una sola sorgente nella quale poter spegnere la fiamma che lo avvampa. Non so se mi sono spiegato bene."

"Ti comprendo perfettamente, tesoro.

Il brivido di piacere che hai saputo donarmi, ha reso ancor più forte il desiderio di te. Ed ho capito che ogni istante che non trascorriamo insieme, amandoci, più ritornar non puote."

Si alzò, rassettò la gonna.

"Andiamo a vedere casa tua."

Non parlammo molto, fino al Fagutale.

L'edificio era stato completamente restaurato.

Entrammo nell'anticamera.

"Ti faccio strada, Nina."

Mi guardò sorniona.

"Il bagno, per favore."

Vieni.

"Questo é il bagno che uso io, l'altro non é arredato. Gli asciugamani puliti sono nell' armadietto. Ti aspetto nello studio, uscendo, a destra, in fondo al corridoio."

Riapparve presto. Si era rifatta la coda ai capelli, il viso era più disteso, ora, più sereno.

"Questo é il tuo studio? Bello, hai tante cose. Anche il computer..."

"E' il minimo, Nina. E' un tipo professionale per disegni e calcoli."

Le feci visitare il resto dell'appartamento, per ultimo la camera dove dormivo.

"E' molto ampio, Carlo, ci sono camere completamente vuote. C'é posto anche per i bambini che avremo."

Si mise sotto braccio.

Guardò attentamente la mia camera da letto, si avvicinò al grande balcone d'angolo.

"Io vorrei cominciare ad arredare questa camera, tu potresti, intanto, utilizzarne una più piccola.

E vorrei sceglire l'arredamento insieme a te.

Sai che ho molti risparmi da parte?"

"E che ne vorresti fare?"

"Comprare l'arredamento per questa camera."

"Facciamo così, Nina. Scegliamolo insieme, io l'acquisto e se avrò bisogno del tuo aiuto te lo dirò."

"Ma io, Carlo, volevo acquistare tutto a nome di tutti e due, e sarebbe stato un mio regalo."

"Allora facciamo così, le fatture le facciamo intestare a Caterina e Carlo Sereni, e il regalo te lo faccio io."

"Non voglio che questo sia un tema di discussione tra noi, Carlo. Arrediamo la camera, la casa, e regoliamoci di volta in volta.

Io qui ci vedrei un bel letto d'ottone, e mobili d'un certo tipo..."

"Idee chiare e precise, eh?"

"Oh, si, tesoro, ed ho i cataloghi di tutto. Questa sera, a casa, te li farò vedere. E' bello, qui. Ci staremo bene."

Mi accorgevo che, come sempre, Nina aveva già deciso tutto.

"Carlo, andiamo in via Barberini, c'é un negozio di ottima biancheria, coperte, e tante altre cose."

"Adesso?"

"Perché sei occupato?"

"No, Caterina, ma vedere la biancheria prima dei mobili?"

"Ma ti ho detto, Carlo, che per i mobili é già tutto posto. Basta farli venire dalla fabbrica. Ci vorrà al massimo una settimana. Ah, dimenticavo, ho già idea sulle luci, e anche sui mobili della cucina. Per ora credo che basti camera da letto, studio e cucina. Forse é meglio arredare anche l'altro bagno.

Allora, Carlo, andiamo in via Barberini?"

Si avviò alla porta, prima di uscire s'alzò sulla punta dei piedi e mi baciò.

Nel negozio scelto da lei, forse uno dei più belli di Roma, sapeva muoversi benissimo. Si fece mostrare degli articoli che indicava con esattezza. Tipo, colore, misure, quantità.

Si voltò verso di me.

"Carlo, quando possono portare il tutto?"

"Dove?"

"A casa nostra, no?"

"Forse é meglio di sabato, al mattino."

Si volse al capo commesso.

"Allora sabato, tra le 11 e le 12. Ci saremo."

Si fermò di colpo.

"Per favore, avete una camicia da notte in bisso? Mi piacerebbe una specie di tunica, lunga, senza troppi ricami."

La guardai sempre più sorpreso, ma non dissi parola.

Avevano quello che lei desiderava.

"Ecco, prendo questa, é una specie di tarcisiana, semplice ma molto bella. Il tessuto é ottimo."

"Posso pagare, Nina?"

"Veramente io..."

"Posso pagare, Nina?"

"Si, grazie, Carlo."

Il conto non era modesto, ma le mie finanze erano abbastanza floride.

Uscimmo.

"Se andiamo a casa mia ti faccio vedere le fotografie dei mobili. Tu, però, non dire nulla di quello che stiamo facendo. Né ai miei genitori né a Mario. Diremo che guardiamo le foto per curiosità."

La signora Ada ci aprì con un sorriso che non finiva mai.

Era felice per il voto riportato dalla figlia, lieta di rivedermi. Ci chiese dove fossimo andati a pranzo e cosa avessimo mangiato. A sentire che s'era cominciato con ostriche e Champagne, congiunse le mani e alzò gli occhi al cielo.

"Ma Carlo, se l'abitui così finirai sul lastrico."

Assunsi un'aria volutamente distaccata, cinica.

"Ma essere stati una volta a pranzo insieme non costituisce base per un'abitudine, signora. Chissà se e quando ci ricapiterà."

La signora Ada mi guardò con la bocca semiaperta. Deglutì, guardò la figlia. Si sforzò di sorridere.

"Perché, Carlo, non ci sarà una seconda volta?"

Sempre serio, stiff direbbero gli Inglesi, la guardai con sussiego.

"Certamente no, signora... almeno fino a... domani"

E giù a ridere.

La signora Ada riacquistò un po' del suo colorito.

"L'avevo capito che scherzavi, Carlo. Sei sempre il solito mattacchione."

Si rivolse alla figlia che scuoteva la testa.

"Nina, offri qualche cosa a Carlo, senti quello che vuole."

"Mamma, Carlo vuole sempre la stessa cosa... lo dovresti aver capito anche tu."

Mi guardò con aria canzonatoria.

"Vero Carlo che la vuoi?"

Feci di sì con la testa.

La mamma ci guardava incuriosita, sorpresa.

"E io te la do'."

Si alzò, e poco dopo rientrò con un vassoio sul quale v'erano dei bicchieri e una bottiglia d'aranciata.

La signora Ada abbozzò un sorriso.

"Non sapevo che ti piacesse tanto, Carlo. A me non l'hai mai chiesta in tutti questi anni."

Nina fu presa da una crisi di tosse. O forse di ilarità. Posò il vassoio sul tavolino, e si asciugò gli occhi.

Ada riempì un bicchiere e lo porse a Carlo.

"Ne vuoi Nina?"

"No, grazie, mamma. Ne farò un sorso da Carlo. Adesso vado a prendere delle foto da fargli vedere."

Riapparve con un grosso catalogo.

"Vieni a sedere sul divano, Carlo. Mamma, se hai da fare non preoccuparti per noi."

"Eh, sì" -disse la signora Ada- "ho tante cose che mi aspettano. Ci vediamo dopo, Carlo."

Si alzò e uscì dalla stanza.

Sedevamo vicini, sentivo il caldo delle sue cosce. Aprì il catalogo.

"Ora ti faccio vedere quello che mi piace."

In effetti erano mobili molto belli, semplici ed eleganti, con un letto di ottone disegnato con molto gusto e perfettamente inserito nel tutto.

"Questo, però, lo pago io, Carlo. Ho tanti soldini da parte, e non lo sa nessuno. Nonno mi passa una generosa paghetta, da sempre, e ogni tanto mi regala parte degli interessi sui suoi titoli."

ULISSE
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