Il Capoluogo Della Virginia

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ULISSE
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"Non sono mai stato serio come adesso, Nina. Dobbiamo parlare, a lungo. Perché non lo facciamo subito? Andiamo a pranzo insieme, in un luogo dove non ci sia troppa gente. Vuoi?"

"Ma a casa sanno che sono uscita con te, devo tornare per il pranzo."

"E tu telefona. Prendi il cellulare. Telefona."

Mi guardò interrogativamente.

Prese il telefono, formò il numero di casa sua.

Dopo qualche istante sentii rispondere.

Nina mi fissava, come a trarne forza.

"Mamma, sono a spasso con Carlo... sì, é qui con me, sto telefonando col suo cellulare... ti saluta... Mi ha invitato a restare a pranzo con lui... No lo so dove... no, certo non a casa sua, del resto chi avrebbe cucinato? Credo che andremo al ristorante... Carlo dice che conosce un bel posticino... Che fà, posso andarci, mamma? Lo so che sono maggiorenne, mamma, ma che significa che me lo ricordi? Dici sempre che fino a quando sto a casa tua la maggioretà non conta... Ma mamma, sto con Carlo... Certo mamma, certo... Grazie."

Chiuse il cellulare.

"Mamma ti saluta e mi raccomanda di non fare tardi."

"Andiamo al mare?"

"Andiamo."

Accesi il motore, mi mossi lentamente. Uscii dal Gianicolo. Porta san Pacrazio, Aurelia Antica, poi l'Aurelia Nuova fino all'Arrone, l'antico Aro, che esce dal lago di Bracciano, voltai a sinistra, lungo la valletta del fiume.

Guidavo senza fretta.

Mi sentivo a disagio.

Temevo di apparire solenne, fino al punto di apparire ridicolo.

Non ero preparato a un discorso del genere. Almeno non per oggi. Guardavo ostentatamente la strada. Per darmi un tono mi raschiai, piano, la gola. Nina, di quando in quando, mi guardava di sottecchi. Comunque dovevo parlare.

"Nina, tu lo sai, mi sembra di conoscerti da sempre. O forse é proprio così, ti conosco da sempre. Del resto abbiamo già ricordato che avevi cinque anni quando ho cominciato a studiare con Mario, a casa tua. Ti portavo qualcosa, di nascosto, e tu mi ringraziavi con un bacetto.

Dopo, quando ti aiutavo a fare i compiti, alla media, mi ringraziavi con un sorriso. Al liceo, dicevi di non capire la matematica, che tuo padre e tuo fratello non sapevano insegnartela. Ed era bello sentirti accanto a me, con la tua testolina vicina alla mia per seguire le dimostrazioni di geometria.

Hai iniziato l'Università. Ho creduto perderti, proprio quando più che mai desideravo vederti, stare con te, parlare con te. Temevo che tu avessi per me solo una cordiale amicizia. Non altro.

Quando ieri hai accettato di venire a prendere un gelato, con me, dapprima sono stato felice, poi sono stato assalito dal dubbio: solo per il gelato, per una passeggiata?

Oggi mi hai detto che potremo rivederci ancora.

Ho sentito la tua bocca tremare mentre le mie labbra la sfioravano.

Ti amo, Nina, sento che tu sei la mia donna.

Vuoi esserlo?"

Nina non mi guardava più. La testa bassa, il mento sul petto, gli occhi chiusi, aveva giunto le mani, come stesse pregando. Si dondolava lentamente, avanti e dietro.

Gonfiò il petto in un lungo sospiro.

"Quanto tempo ci hai messo, Carlo!"

E seguitò quel suo dondolio, come un rituale.

Ancora un profondo respiro.

"Quanto tempo!"

Staccai la mano dal volante, la tesi a lei. L'accolse tra le sue, la portò al seno, a sinistra.

"Ha sempre battuto per te, Carlo. E non chiede altro che seguitare a farlo... per te!"

Così, sempre a velocità ridotta, giungemmo al viale della Pineta, al piazzale sul mare.

Appena fermi, scese lentamente, andò sulla spiaggia. Tolse le scarpe, camminò verso il mare, sollevando la sabbia al lieve vento del sud.

La seguii.

Giunta alla battigia, lasciò che l'acqua le lambisse i piedi. Si chinò, immerse la mano nella leggera schiuma dell'onda, si voltò verso me e con le dita bagnate mi carezzò la fronte, poi le passò sulla sua, sugli occhi, sul naso, sulla bocca, sulle orecchie.

La voce aveva qualcosa d'irreale, sembrava giungere da lontano, sommessa ma chiara, dolcissima.

"L'infinito del mare non basta per dirti quanto ti amo, con la mente, con tutta me stessa. E la sabbia di tutte le spiagge e di tutti i deserti non é sufficiente a testimoniarti quanto io desideri di essere la tua donna. Per sempre."

Si strinse a me.

"Tienimi tra le braccia, Carlo, con te. Per sempre."

Le detti la mano, come ad una bambina, e ci avviammo alla rotonda del ristorante.

"Voglio sedere di fronte a te e di fronte al mare. Come ho sognato tanto."

Una nube le attraversò la fronte.

"Ti sogno sempre.

Una volta, mentre ti guardavo, il tuo viso ha iniziato a svanire in una nebbia sempre più densa, fino a sparire del tutto, il mare s'é ingrossato, é divenuto furioso, sempre più. Le onde si sono trasformate in cavalloni che mi hanno travolta, sentivo di precipitare verso il fondo. Ti invocavo: Carlo... Carlo... E mi sono svegliata in preda allo sgomento."

Era bellissima, i lunghi capelli splendenti intorno al viso delizioso, ancor più incantevole per il sorriso raggiante che svelava l'iridescenza dei piccoli denti. Gli occhi più azzurri e profondi del mare limpido dei tropici. Le labbra, perfettamente disegnate, della tenera bocca i bei rubini.

Strinsi tra le mie la piccola mano tremante.

"Sono qui, Nina, nessun maroso può strapparti a me."

Mi guardava emozionata. La bocca tremante, che amor la intenerisce. Cantava Ariosto.

E fui sommerso anch'io da una soave commozione.

^^^

Si, tre anni da quel giorno di tarda primavera quando ci fermammo oltre il Lungomare, dopo piazza Pedaso, dove alcuni pini formavano quasi un'isola verde tra le onde.

Scendemmo e ci accostammo all'acqua.

La mia mano aveva trovato rifugio nel tepore della sua ascella e le dita carezzavano dove cominciava la sodezza del seno.

Rimanemmo un po' a rimirare il mare, ad ascoltare il lieve sciacquio dell'onda.

Tornamo all'auto.

Sedetti sul sedile posteriore, le tesi la mano e l'attirai dolcemente sulle mie ginocchia, accogliendola tra braccia.

"Ecco la mia bambina."

Appoggiò la testa sulla mia spalla, con gli occhi chiusi, il volto verso me.

Poggiai la bocca sulle sue labbra, le lambii piano cercando di disserrarle, e all'esitante e incerto dischiudersi di quel delizioso scrigno di perle, m'insinuai furtivo ad incontrare l'inebriante miele che distillava dalla sua lingua morbida. Dapprima immobile, poi appena timida, e quindi voluttuosamente guizzante, vibrante alla mia suggente golosità.

Si staccò da me, guardandomi apprensiva.

"No, Nina, non pò sta che faccia male,

io credo, invece, che ridia la vita...

E' Trilussa, che lo dice, a Nina."

E ripresi a baciarla con passione, sentendo quanto sia facile e naturale ricambiare l'amore.

Avvertivo il calore del suo corpo, il suo muoversi spontaneo, il suo profumo.

La mia mano s'intrufolò sotto la gonna, le carezzò la coscia, salì lenta, allontanò piano il pizzo che ornava, civettuolo, il bordo delle mutandine. La baciavo sempre con maggior calore. Le dita incontrarono il delizioso batuffolo serico che sbocciava tra le gambe strette. Lo carezzarono piano.

Mossi appena la testa per sussurrarle: "E' la più bella seta che abbia mai sfiorato..."

Si staccò da me, prese dolcemente la mano che la carezzava e la portò al seno, sulla camicetta bianca.

"Senti questa seta, tesoro...."

Fece un profondo respiro, come a riprendere fiato.

"Ascolta, Carlo, tu non sai quanti e quali sogni io abbia fatto. E in tutti c'eri soltanto tu.

Sogni meravigliosi, sconvolgenti, provocanti, eccitanti, conturbanti, inebrianti, che nel contempo mi procuravano sgomento, smarrimento, trepidazione, ansia. Al risveglio, ricordavo tutto, e pur non rivivendo la stessa voluttà mi sentivo quasi in peccato. Poi pensavo che era stata con te e ogni colpa si dissipava.

Comprendi, Carlo, cosa tu significhi per me?

Mi sembra quasi di sognare ancora.

Essere qui, sulle tue ginocchia, baciarti, sentirti come ti sento.

Lasciami il tempo di realizzare che vivo qualcosa di reale."

Mi poggiò la testa sul petto, prese la mia mano e, tra una parola e l'altra, mordeva piano i polpastrelli. Si muoveva piano col bacino, non so quanto consciamente provocante. Era la versione di Nina la monella.

"Ti ho detto che non ho mai baciato un ragazzo prima di oggi. E' vero. Gli unici baci che ho dato sono stati per i miei genitori, mio fratello.

Sono moderna ma strana, direbbe qualcuno. Non so quello che dirai tu.

Moderna e tradizionale, forse. Come gli Stati Uniti."

Mi prese la mano che mordicchiava e la portò sulla fronte.

"Ad esempio, questa é Washington, dove si pensa a tutto."

Scese, pianissimo, sulla gola.

"Qui siamo in Louisiana, terra del canto."

Passò al seno.Ammiccò maliziosamente.

"Wisconsin, the dairy belt."

Sul ventre.

"New York, insaziabile."

La poggiò, premendo, tra le sue gambe.

"E questa é la Virginia..."

Lasciò la mano e mi guardò.

"Lo ricorderai?"

Mi spostai un po', la feci sedere su una sola delle mie gambe. Afferrai la sua manina, la portai decisamente sull'evidenza della mia eccitazione. La tenni così. Sentii che lo stringeva, insicura, perplessa, titubante. Indecisa se e come reagire. Sorpresa, curiosa di esplorarne le particolarità. Lo serrò con più forza, guardandomi negli occhi.

Non intendevo essere gentile.

"E questo, Nina, é Richmond, il capoluogo della Virginia."

Scoppiò a ridere, allegra. Era la Nina che sdrammatizzava tutto.

Mi si mise, scomodamente, a cavalcioni, con le ginocchia sul sedile.

"Sei meraviglioso, Carlo, lo sapevo che saremmo andati d'accordo."

Spostai il bacino in avanti, sentii, o mi parve sentire, che mi accoglieva tra le sue belle gambe.

Mi abbracciò con un lungo e più esperto bacio.

Si staccò un po'.

"Forse é meglio riavviarsi verso casa, Carlo, altrimenti..."

Aprì lo sportello, andò sul sedile anteriore.Sedetti al suo fianco, le mani sul volante. Parlai, senza voltarmi dalla sua parte.

"Forse ci vuole un caffé. Che ne dici bimba?"

"Forse ci vuole una camomilla!"

Non risposi nulla.

Lentamente, tornai verso il paese. Fermai vicino a un chiosco-bar, lungo il viale alberato.

Feci cenno a Nina di scendere.

Si attaccò al mio braccio, proprio come una bambina.

"Carlo, per favore, non mettiamoci a sedere. Se vuoi qualcosa prendila al banco."

"Tu cosa desideri?"

"Nulla."

"Sei sincera?"

"Nulla... al bar!"

"Una spremuta d'arancio?"

"Buona idea, quella si."

Ci avvicinammo alla grossa donna che stava al bancone.

"Due spremute d'arancio, per favore."

Ci guardò, prese delle arance da un cestino, le lavò, le tagliò e, una metà per volta, le mise nello spremitore elettrico ponendo i bicchieri sotto al beccuccio dal quale usciva il liquido. Intanto, canticchiava:

Per le bimbe innamorate,

arance comprate,

hanno il magico sapore,

d'un bacio d'amore...

S'interruppe, guardò Nina.

"Nun je date retta alla canzone, signorina mia, li baci so' baci e le arance so' arance!"

I bicchieri erano pieni. Pose due piattini di metallo sul banco e sopra essi le aranciate.

Bevemmo senza fretta.

Pagai.

Mentre stavamo tornando in auto, la donna ci gridò dietro, allegramente:

"Aricordateve de quello che v'ho detto!"

Alzai la mano in segno di saluto, senza voltarmi.

Ci rimettemmo in auto e ci avviammo alla volta di Roma.

Dopo poco imboccammo l'autostrada.

"Carlo, non sei arrabiato con me, vero?"

Le poggiai la mano sulla gamba.

"Perché mai, tesoro. Hai detto cose bellissime: che vuoi essere la mia donna, per sempre; che devo stringerti tra le mie braccia, per sempre. E l'acqua del mare ha sacralizzato il nostro incontro, il nostro amore.

Sono pazzo di felicità: perché non sapevi baciare (ma stai imparato prestissimo); perché sei.... come quando ti ho visto la prima volta, la deliziosa bimba con le treccine.

Scusa, tesoro, se sono stato un po' volgare, se..."

"Carlo, amare é anche desiderare, lo capisco, lo provo anch'io. Se si ama si vuole, anch'io ti voglio. E si vuole tutto per sé, solo per sé. Io non voglio qualcuno, voglio te, da sempre. E voglio che sia tu a insegnarmi a baciare, ad amare. Ti ho atteso tanto.

Nulla di volgare, amore mio. L'attrazione, il possesso, la passione, sono l'essenziale dell'amore.

A Venezia si dice che in amor no ghe vol respeto.

Sono felice che tu mi desideri. E oggi ho capito quanto io desideri te.

Sarà bellissimo.

La prima volta che saremo l'uno dell'altro sarà un momento unico, irripetibile. Voglio prepararmi ad esso, per viverlo intensamente, perché dovrà essere indimenticabile, incancellabile..."

A mano a mano che parlava, s'infiammava, s'infervorava, gioiva, esultava.

Mi guardò con gli occhi corruschi, la nari frementi.

"Sarà bello, Carlo, deliziosamente bello. Tu mi coccolerai, vero? Comprenderai se mi sentirò insicura, mi aiuterai a mostrarti quanto ti amo?."

"Ti cullerò, piccola Nina, ti terrò sul mio petto, ti bacerò, ti farò riposare sul mio cuore."

Mi guardò maliziosa, con fare birichino.

"...dopo, però!"

Risposi con lo stesso tono.

"E quanto tempo dovrò attendere per il... prima? Sulla tua scrivania, l'ho visto l'altra settimana, hai lasciato un libro, di Pratolini, aperto e con una frase evidenziata: coronar con le nozze il primo amore."

"Si, Carlo, ho sottolineato io quelle parole.

Le nozze sono il coronamento dell'amore, e per me del primo amore. E dev'essere l'unico.

Nozze é una parola importante, ma per me non ha nulla a vedere con funzioni e riti, religiosi o civili. E' celebrazione e glorificazione dell'amore, realizzazione d'un desiderio, inizio di una nuova vita, e i protagonisti sono lui e lei, che si vogliono bene.

Perché se non si vogliono bene é solo..."

Fui abbastanza rude.

"Una scopata!"

"Appunto!"

"Beh, Nina, ti amo così tanto che sarai tu, e solamente tu, a dirmi quando. E le nostre saranno le nozze che tu intendi, e che io intendo.

Il sacerdote potrà benedirle, e l'ufficiale di stato civile dovrà registrarle, se e quando vorremo noi."

"Io lo voglio, Carlo. Io voglio essere Caterina Sereni. E quando la gente ci vedrà dovrà dire: ecco i Sereni! Perché noi lo saremo, e non solo di nome!"

"Mi piaci Nina, sei quella che fa per me."

Eravamo giunti al suo portone.

Mi guardò come una gattina sorniona.

"Carlo, vorrei telefonare alla mamma."

Prese il cellulare sorridendo.Compose il numero. Sentii il clic della risposta.

Parlò sottovoce, come se temesse di essere udita da qualcuno.

"Mamma, sono prigioniera di Carlo, sono legata, non credo che riuscirò a liberarmi. Aiutami, mamma."

Cambiò tono.

" E... se ti affacci puoi salutarlo..."

E giù la sua risata, gioiosa e allegra cascatella argentina.

Scendemmo dall'auto.

La mamma di Nina era al balcone. Mi fece cenno con la mano. Risposi chinando il capo.

Nina mi si aggrappò al collo, con un bacio che disse alla madre quello che non avrebbe richiesto spiegazione.

"Ciao, amore. Carletto mio. Andiamo al cine domani sera?"

Annuii.

L'accompagnai nell'androne. Ancora un bacio.

^^^

Uscì dal portone bella come non mai.

Sul balcone la signora Ada, la madre, stava a guardare.

La salutai e le andai incontro. La baciai sulla guancia. Mi porse le labbra.

Sedette in auto. Prima di salirvi anch'io, guardai la signora Ada con un sorriso un po' idiota.

Appena fui al mio posto, si sporse verso me, mi abbracciò e mi baciò a lungo, aprendo la sua bella bocca, cercando la mia lingua.

Appena mi fu possibile, le sussurrai.

"La mamma ci vede."

"Ma lo avrà fatto anche lei, no?

Allora, Carlo, sto imparando?"

"Puoi dare lezione."

"Te ne darò!"

Ci staccammo dal marciapiede lentamente.

"Hai scelto il cinema, Nina?"

"Che ne dici se prima parliamo un po'? Al cine possiamo andarci dopo."

"E adesso dove vuoi andare?"

"Andiamo verso... verso il giardino degli aranci, il Parco Savello. Vuoi?"

"D'accordo. Ieri Gianicolo, oggi dall'altra parte del Tevere."

Raggiungemmo San Paolo, percorremmo l'Ostiense, oltrepassamo la piramide di Caio Cestio, a piazza Albania girammo per salire sull'Aventino. Potei parcheggiare quasi vicino all'ingresso del parco.

Si mise sottobraccio.

"Visto Carlo? Ieri un colle, oggi un altro. Che bella questa chiesa. Io l'ho visitata. A lungo, con la scuola, all'ultimo anno del liceo. Santa Sabina, una santa umbra. Entriamo."

Mi prese per mano e s'avviò verso il portale.

L'interno era in penombra.

S'avvicinò all'acquasantiera, vi bagnò appena la punta delle dita e me le porse. Si fece il segno della croce e si voltò per assicurarsi che lo facessi anch'io.

Andò alla navata sinistra, entrò nella Cappella d'Elci, dove sull'altare é rappresentata la Madonna del Rosario, tra San Domenico e Santa Caterina, la santa della quale porta il nome.

S'inginocchiò, mi fece segno di andarle vicino, mi prese la mano e la strinse tra le sue, giunte in preghiera, appoggiandovi la testa.

I capelli scendevano sul lungo cuscino paonazzo del poggiamano. Era seria in volto, pensosa.

Dopo poco, un lungo profondo sospiro, mi baciò le dita della mano che stringeva, si alzò e mi guardò sorridendo dolce, con gli occhi lucidi. Mi bisbigliò:

"Il segreto sospiro del cuore, dice Manzoni."

Tenendoci per mano andammo verso l'uscita.

"Si, Nina, ma si coeur soupire n'as pas ce qu'il désire."Mi guardò, mutando la sua espressione, allegra. Ancora due lunghi sospiri. Si strinse a me.

"Ma, si coeur soupire souvent il est content."

E strinse le labbra.

Entrammo nel piccolo giardino. Andammo verso il fondo, ad affacciarci sul Tevere.

"Siamo venuti nel luogo della cultura, Nina, che ricorda San Tommaso, Sant'Anselmo, Sant' Alessio, i loro studi, le loro ricerche."

"Sai Carlo, che anch'io ho fatto una ricerca oggi?"

"E su che cosa?"

"Ora te lo dico. A me quello che hai detto ieri non convince troppo..."

"Che ho detto?"

"Mi hai... presentato Richmond, come capoluogo della Virginia..."

"Scusa, sono stato..."

"No, caro mio, non si tratta di quello che puoi credere. A me Richmond sarebbe andato benissimo, ma ho scoperto che Richmond non solo sta in Virginia, ma anche in California, Indiana, Kentucky, Texas, Canada, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda... Non ti sembra che... stia in troppi posti?"

Mi misi a ridere.

"Va bene, ma della Virginia é il capoluogo..."

"Non girare intorno..."

"Aspetta, ragioniamo. Ci sono tanti Richmond, d'accordo. Ma quello della Virginia é uno e uno solo, va bene? E se sta nella Virginia non può essere altrove. D'accordo?"

Non capivo se scherzava o faceva sul serio, ma il suo sguardo era adirato.

"Dai, Nina, non fare la sciocchina."

"Sciocchina un cavolo. Io non ti chiedo il passato, ma sono inflessibile sul futuro. Per me non esistono deroghe, scuse, comprensioni, perdono od altro. Io sarò tua dum vivam et ultra. E lo stesso pretendo da te."

Non scherzava, era accesa in volto, coi pomelli vermigli.

Mi misi dietro a lei, stringendola dolcemente contro il parapetto, con le mani sulle spalle.

Ne sentivo, turbato e attratto, le rotondità gagliardamente sode.

Mi abbassai al suo orecchio. Lo baciai, lo tenni un momento tra le labbra. Le parlai a voce bassissima.

"Caterina Sereni, il mio passato é scialbo, grigio, e non ve n'é traccia nel presente. Il mio futuro ti appartiene e nessuna forza umana potrà dividermi da te."

Si strusciò a me, possessiva. Si voltò lentamente, mi cinse con le braccia, stringendomi con forza. Mi fissò con uno sguardo intenso, penetrante.

"Carlo Sereni, la Virginia é tutta da scoprire, dal Maine alla Florida, da Est ad Ovest. Ancora tutta da percorrere: colli ubertosi, valli lussureggianti, canyons incantevoli. E voglio che sia tu il mio solo esploratore, e dove pianterai la bandiera sarà tuo, per sempre."

Mi attirò a lei con veemenza.

"Capito, Carlo Sereni?"

ULISSE
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