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Una vita normale, poi il sospetto e la rivelazione...
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Salve a tutti!

Innanzi tutto la mia più sentita apologia per la prolissità della storia. Spero che non sia così noiosa per i lettori. In ogni caso prometto di far meglio in futuro.

Detto questo, gradirei commenti e suggerimenti, e contemporaneamente invito a scrivere finali alternativi che sicuramente si riveleranno più interessanti del mio.

Gradirei entrare in contatto con editori che possano aiutarmi a migliorare le mie pubblicazioni, sia in lingua italiana che in lingua inglese (la mia padronanza delle lingue si limita a queste al momento, ma sto lavorando sul russo).

Buon divertimento...!

________________________________________________________________

Maggio

Mi sento strano...è tutto strano intorno.

Non è buio, ma non c'è nemmeno la luce del giorno. L'atmosfera è ovattata, non percepisco forme o oggetti, solo il nulla.

Qualcosa mi disturba, un suono elettronico, un doppio bip: lo riconosco. E' la sveglia del mio vecchio Casio ProTrek posato lì sul comodino, come tutte le sere, fedele compagno di vita. So che sono le 6,15. Quel suono si ripeterà dieci volte ad intervalli di un secondo, ed inizio pigramente a contare: due, tre, quattro....smetto. Mi rendo conto di essere ancora addormentato, immobile, gli occhi chiusi e la mente in un piacevole limbo.

Aspetto che finisca, e intanto decido di restare a letto. Mi immagino disteso tra le lenzuola, col ventre in giù e la testa di lato, con l'ombra scura della barba sul volto e un sorriso dispettoso sulle labbra.

E' tornato il silenzio, i dieci secondi sono passati. E così anche la mia voglia di alzarmi. Mi riaddormento.

Qualcosa mi disturba ancora, e questa volta non è il bip della sveglia, ma il chiarore che filtra anche attraverso le palpebre chiuse. Non so che ore siano ma so che devo alzarmi.

Sono un animale notturno per natura, e cerco sempre di rinviare fino all'ultimo il momento di iniziare la giornata.

Sono ancora prono, e sempre ad occhi chiusi mi giro sulla schiena e mi stiracchio. So di aver fatto un sogno piacevole, ma non riesco a ricordarlo. Il mio piede sinistro si muove tra le lenzuola, allontanandosi dal resto del corpo alla ricerca di una zona più fresca, tocca una gamba. La accarezzo col collo del piede risalendo lungo il polpaccio: è fresca. Mi fermo nell'incavo dietro il ginocchio e mi rimetto a dormire.

Apro gli occhi di soprassalto: di chi è quella gamba? Non può essere mia moglie! Non ne ho.

Resto immobile con lo sguardo fisso al soffitto per mettere a fuoco il posto. Solo allora mi rendo conto del delicato profumo di incenso nell'aria.

Non è la mia camera da letto. Non è casa mia. E nemmeno un posto familiare.

Sono dentro una nuvola bianca che avvolge tutto il letto. Un candido velo bianco che sale verso l'alto rastremandosi fino a terminare a punta agganciato al soffitto.

Sul davanti, i lembi del velo si aprono lasciando intravedere una volta in blocchi di tufo di un delicato colore seppia. Intorno, oltre il velo, il bagliore soffuso di candele poste a varie altezze. No, non sono candele, la loro fiamma non trema. Sono luci. L'effetto è spettacolare.

Sono ancora intontito: devo aver passato una notte brava!

Mi giro alla mia sinistra, verso l'ospite inatteso. La donna dorme sul fianco e mi dà le spalle: è nuda. Il profondo incavo al centro della sua schiena fa una curva intrigante che si perde sotto il lenzuolo. Il fianco è morbido e la linea che contorna la vita flessuosa e sinuosa. I capelli lisci e ramati le coprono il volto, con alcune ciocche che ricadono fino a metà schiena.

Ora ricordo! Il suo viso mi torna in mente, e mi lascio cadere sul letto con un sorriso. Chiudo gli occhi.

Ora basta! Sono del tutto sveglio e decido di alzarmi. Sono nudo anch'io, ma questa non è una novità per me. Non uso pigiami, la notte, almeno, voglio sentirmi libero, o quasi.

Mi libero anche dalla nuvola di velo bianco che fa da zanzariera e baldacchino sul letto e mi fermo a contemplare la stanza. In realtà ha le dimensioni di un mini appartamento, e per giunta è straordinaria per la sua unicità. Un alloggio scavato nella roccia, con pilastri in pietra che sostengono piccole volte e anfratti e nicchie sapientemente utilizzate per ospitare i vari ambienti e illuminati da piccole luci incassate nelle pareti, nelle volte, nel pavimento. Alla sinistra, l'angolo toilette con canterano e specchi conduce alla Jacuzzi incassata nel pavimento e circondata dal bordo su cui bruciano incensi e candele profumate. Una colonna centrale separa la zona notte da quella in cui un maestoso divano in pelle bianca troneggia sotto una rientranza ad arco, insieme a due poltrone dello stesso tipo. Sulla parete di fronte è appeso un televisore al plasma con annesso sistema home-theatre. Il tavolo rotondo centrale, col piano in vetro poggiato su un grande vaso in terracotta anch'esso bianco, ha intorno quattro sedie delle dimensioni di poltrone, mentre sul lato sinistro, sempre in un anfratto tufaceo, vi è una cucina piccola ma completa. Alla sinistra si apre un balcone alla romana con le persiane chiuse, mentre a destra c'è la porta di ingresso.

Mi dirigo verso la cucina, piuttosto invitante, deciso a contribuire a profumare l'ambiente con l'aroma del caffè del mattino.

La moka è piccola e lucida, mi ricorda quella che ho usato per tanti anni durante l'università. Trovo il contenitore del caffè, lo annuso e ne apprezzo la fragranza. Non sono mai stato un patito del caffè del bar, mi dà l'impressione di qualcosa fatto in fretta e senza anima. Quello che faccio io non sarà un granché, ma ha un gusto umano. Prendere la caffettiera, ripulirla dai fondi rimasti e riempirla di acqua al giusto livello, trovare il caffè che non è mai nello stesso posto, riempire il filtro e chiudere la caffettiera, metterla sul fornello e accendere il gas, aspettare le prime gocce del prezioso liquido, quelle più dense, prelevarle con il cucchiaino e versarle nella tazzina con lo zucchero, mescolare velocemente fino ad ottenere il cremino denso e chiaro... E il premio è un aroma che si diffonde nell'ambiente, che ti fa sentire soddisfatto e pago della vita. E' un rito, ha un valore catarchico, mi serve a pensare, a organizzare la giornata.

Mentre sorseggio dalla tazzina poggiato al piano della cucina, torno col la mente alla sera precedente, alle persone incontrate, al motivo per cui mi trovo qui, che ha qualcosa di incredibile, almeno per me.

Attraverso la zanzariera le forme sul letto sono confuse, un grande groviglio di tessuto bianco da cui spunta una macchia rosso rame adagiata su uno sfondo marrone scuro, da cui si dipartono due forme più chiare, sottili e lunghe.

sento i rintocchi delle campane di una chiesa, subito seguite da altre in un piacevole crescendo. L'orologio sul canterano segna le 7.00. Apro le persiane e mi affaccio al balcone respirando a pieni polmoni: la vista è da mozzare il fiato!

Il cielo azzurro e limpido fa da sfondo ad un paesaggio rupestre selvaggio e primordiale. L'aria di maggio è frizzante, profumata, e la inspiro profondamente mentre una brezza leggera mi rinfresca il volto facendo rabbrividire il mio corpo nudo. Di fronte, il canyon della Gravina, profondo ed inquietante, attraversa l'altopiano murgico come una ferita portata con dignità. Le pareti di roccia carsica quasi verticali, frutto dell'erosione millenaria del torrente Jesce, sono puntellate di caverne, reminiscenze di antiche abitazioni neolitiche e chiese rupestri. Sembra quasi di poterle toccare, almeno in sommità, mentre dal fondo buio e irraggiungibile lo scroscio dell'acqua che scorre giunge alle orecchie in sottofondo. L'orizzonte è una netta demarcazione tra il cielo azzurro, striato di rosa e indaco, e la roccia grigia puntinata dai cespugli e origano, tiglio e altre erbe autoctone. La sensazione di impotenza che mi pervade è improvvisa, tremenda ma allo stesso tempo piacevole e consolatoria: la Natura può riprendersi quello che l'uomo le ha tolto! Non c'è alcun dubbio. Un senso di pace mi avvolge.

Sotto di me scorgo i tetti ed i terrazzi delle altre abitazioni, anch'esse scavate nella roccia, arrampicate sulla parete, compenetrate l'una nell'altra, che contraddistinguono il posto e si susseguono senza soluzione di continuità sul versante da est a ovest, degradando fino alla Via Madonna delle Virtù, che serpeggia costeggiando il torrente verso Piazza San Pietro Caveoso, con la sua splendida chiesa e gli affacci sul dirupo. Accanto alla chiesa, alla confluenza con Via Bruno Buozzi, si erge un costone di roccia cava che domina la Piazza al cui interno vi è la chiesa de la Madonna de Idris e San Giovanni in Monterrone con suo ossario. Alla sommità della roccia vi è un grande crocifisso in ferro. Il sacro all'esterno, e il profano all'interno.

Nonostante l'ora, i primi gruppi di turisti giapponesi sono già all'opera, pronti ad inerpicarsi e perdersi nel dedalo di scale e vicoli per esplorare con le loro macchine fotografiche ogni angolo nascosto.

Il coro di rintocchi delle campane viene sostituito dal motore scoppiettante di un Ape Calessino bianco e rosso che si ferma davanti ad una fontanella per scaricare una coppia di passeggeri. Non mi piace il rumore, rompe l'atmosfera magica del posto, ma nonostante tutto è uno dei mezzi più pratici per accedere alla zona.

Ho ancora la tazzina del caffè in mano, ne sento il profumo ma il caffè è finito. Mi giro verso la cucina e lo sguardo va ancora una volta a quel letto. Ripenso a come è iniziata la mia storia, e scuoto la testa sorridendo.

Mi verso dell'altro caffè, e decido di provare la Jacuzzi. Prima però controllo il cellulare e accendo l'impianto audio sintonizzandomi su una lounge web radio: la musica di Enya si diffonde in sordina nella stanza.

Lo scroscio sommesso dell'acqua che riempie la vasca fuoriuscendo dagli erogatori non provoca reazioni nella bella addormentata. Verso i sali da bagno e mi immergo nell'acqua tiepida senza attivare l'idromassaggio per non far rumore. La sensazione è piacevole e chiudo gli occhi assaporando il momento.

Lei è una donna, in fondo è solo una donna, come ce ne sono tante. Nemmeno bella. Carina simpatica, ma non bella. Non sono bello nemmeno io. Allora mi chiedo quali altri pregi abbia. Conosco la risposta ma non voglio ammetterlo. Controllo l'orologio: sono le 7,45.

Richiudo gli occhi e mi immergo nell'acqua crogiolandomi e provando a farmi sollevare dalla spinta di Archimede, un esperimento che facevo da bambino, reminiscenza dei tempi della scuola. L'acqua a pelo delle labbra mi entra ed esce dalle orecchie facendomi provare una sensazione di pace e di piacere sensuale. sento che il mio membro si sta inturgidendo, e penso: "La classica erezione mattutina.". Ma so che non è così. La colpa è tutta della situazione che sto vivendo.

Non avrei mai immaginato tutto questo. Diverse storie, diverse avventure, alcune piacevoli, altre no, ma mai niente di simile. Trovarmi qui, in una grotta o quasi, mi fa sentire al di fuori del mondo, o meglio, oltre il mondo. E' una sensazione innaturale, non di onnipotenza, e nemmeno di impotenza. Non è la sindrome di Stendhal, è qualcosa di diverso. E' la sensazione di essere davvero parte del mondo e della vita, perché questa sembra ferma nel tempo, immobile e immutabile, come i Sassi, come le case scavate nel tufo, come le chiese rupestri ed i loro affascinanti affreschi preistorici. Un ritorno alle origine in un mondo moderno. L'istinto primordiale dell'uomo che riaffiora, mai sopito. Sarà stato questo a spingermi così avanti con Alessandra? Sensuale, provocante, insospettabile madre, moglie e amante.

Cerco di paragonarla alle altre donne che ho conosciuto: anche loro erano le donne di qualcun altro. Anche loro avevano un'anima nascosta che è venuta fuori all'improvviso, esplodendo in un turbine di focosa passione. Sto decisamente avendo un'erezione. Alessandra però mi ha sconcertato. Per il modo in cui l'ho conosciuta. Per il modo in cui mi è stata proposta.

sento l'acqua gorgogliare all'improvviso, e il rumore del sistema di idromassaggio che entra in funzione. Apro gli occhi: lei è lì, davanti a me, in piedi, nuda e con le braccia intrecciate sul seno generoso, le gambe leggermente divaricate, la sua posa abituale. Non è molto alta, ma dalla mia posizione sembra un gigante. Ha la pelle integralmente abbronzata, nonostante non sia ancora estate, senza tracce di indumenti. Non è una ragazzina ma non ha bisogno di atteggiarsi a tale per essere affascinante ed appetibile. Il suo corpo non mostra la sua età, piuttosto la rende ancora più desiderabile. , La testa eretta sul busto, le spalle dritte contrastano con le curve della vita stretta, per poi allargarsi ad anfora sui fianchi. Le sue oltre quaranta primavere mi provocano sensazioni contrastanti: rispetto, eccitazione, vergogna, eccitazione. La sua è una sensualità innata, rivelata solo in certi momenti a certe persone. Mi guarda con aria di sfida, come per dire: "Allora?".

Seguo il suo sguardo e mi accorgo che il mio membro fuoriesce dall'acqua quasi in tutta la sua lunghezza. La guardo, in attesa della sua decisione. Lei non parla, scavalca il bordo della vasca e si immerge accomodandosi sul lato opposto, puntandosi sui gomiti, e allunga lentamente le gambe tra le sponde facendole aderire alle mie. Sempre con lo sguardo fisso su di me cala il busto nell'acqua fino a bagnarsi il seno per poi farlo riemergere, la pelle lucida, i grandi capezzoli scuri gocciolanti diventati turgidi.

Flette le ginocchia ed inizia a strofinarle contro di me, prima delicatamente, poi sempre più forte con un ghigno sulle labbra. E' in attesa di qualcosa. So che è sensibile ai complimenti, che le piace essere al centro dell'attenzione, che perde completamente la testa quando le si rivolgono apprezzamenti. Allora i suoi freni inibitori saltano e la sua femminilità perde il carattere umano: si trasforma in una femmina di animale in calore, che si offre al maschio, o meglio, ai maschi che la vogliono, pronta ad accoppiarsi senza limiti né regole.

Le sue gambe si sollevano e si spostano all'interno delle mie, costringendomi a darle spazio, e con le piante dei piedi stringe il mio membro, carezzandolo voluttuosamente per tutta la sua lunghezza. Gli alluci dapprima sfiorano il glande e poi scendono vero i testicoli, massaggiandoli con un movimento rotatorio, finché con un improvviso colpo dosato spinge i piedi contro di loro. Ho un sussulto, emetto un gemito soffocato, ma non ho spazio per sottrarmi al colpo arretrando. In realtà non c'è dolore. sento la sua risata che si mescola allo sciacquio nella vasca. E' il suo modo di invitarmi e sollecitarmi a non perdere tempo, a prenderla, a farla impazzire, a farla sentire donna, a sottometterla.

Reagisco immediatamente: l'afferro per le caviglie e la tiro verso di me, portandole i piedi dietro la mia schiena fino a che non sento il suo pube a contatto col il mio glande. Colta di sorpresa, lei scivola con la testa sotto il pelo dell'acqua, le mani che si agitano in cerca di un appiglio. Non le dò il tempo di riprendersi e la penetro così, mentre annaspa. So che devo stare attento, lei ha l'utero retroverso e il dolore di piacere potrebbe trasformarsi in pena.

Tenendola saldamente per i fianchi generosi, la spingo in avanti e indietro su di me, facendole penetrare il mio membro sempre più all'interno della sua vagina lubrificata dall'acqua e dai suoi umori. Mi blocco di colpo, per concederle di sollevare per un momento la testa e far affiorare naso e bocca per riprendere fiato, ma nel frattempo le afferro i glutei stringendo e affondando le dita nella sua carne dilatandoli. Il suo orifizio anale si espone alla brama del mio pene che, uscito dal suo sesso, trova subito la nuova strada. La attiro verso di me con uno strattone sollevandole il bacino e mantenendole il corpo inarcato, e con un colpo secco verso l'alto delle reni la impalo. La sua testa ricade sott'acqua, le mani tornano ad agitarsi. So che non devo darle tregua: è l'ultimo giorno!

Urla! Solo vocali, suoni gutturali e parole sconnesse, ma tutto ad alta voce, con la bocca che le si riempie di acqua. Non è iniziata così, ma è lì che l'ho portata, al punto da urlare la sua goduria sin dal primo momento. E' un motivo di orgoglio per questo maschio primordiale. La storia si ripete.

Dopo il primo impatto i suoni diventano parole, disarticolate, frasi monche, tutte fuori luogo, pronunciate sputando l'acqua che ingurgita a tratti: "Aiuto!....Sto annegando!...Non posso aggiungere troppo zucchero...fammi sentire lo zenzero....". Il suo accento non è locale, è un accento settentrionale, lombardo, precisamente comasco. Ancora una donna che preferisce il Sud, almeno per gli uomini!

Sono troppo assorto, i sensi ottenebrati dall'eccitazione di quel rapporto violento, per accorgermi della presenza accanto a me. Più che vederla, percepisco la figura che si muove cautamente dietro di me, e avanza lungo il bordo della vasca, sfiorandolo con la mano: è un uomo.

Sono troppo preso dalla foga dell'amplesso per pensare razionalmente: sono un figlio di questa terra, un animale che sta sfogando il suo istinto primordiale in un luogo primitivo, in una caverna, che ha una femmina davanti a sé, che è "dentro" una femmina e la sta montando, e la sente reagire e contorcersi negli spasmi di piacere che la sua tortura le sta provocando. E' una sensazione bestiale! Alessandra è una femmina remissiva e sottomessa, e la sensazione di annegamento che prova a tratti le provoca un orgasmo precoce. Continuo nella monta come fosse una questione di sopravvivenza, senza curarmi della presenza estranea. Ci penserò dopo, forse.

La mano dell'uomo raggiunge lentamente la sua e la stringe forte, quasi con rabbia. Alessandra gliela afferra e affonda le unghie laccate nella sua carne, facendovi leva per far uscire la bocca dal pelo dell'acqua e respirare.

sento il suo corpo scosso dai fremiti, sempre più forti. Poi inizia a tremare convulsamente. Il suo è un orgasmo sofferto, difficile da esprimere per la mancanza di aria, ma goduto all'inverosimile.

Alzo lo sguardo su di lui e lo riconosco: è suo marito!

Il volto dell'uomo mi fa tornare alla mente l'intera loro storia, i momenti più importanti, quelli più oscuri e intriganti, le situazioni vissute insieme i giorni passati. Il ricordo mi fa impazzire: mi spingo ritmicamente sempre più forte contro il suo corpo, sempre più dentro di lei, e le afferro il seno grande stritolandoglielo con le dita, poi mi aggrappo ai suoi capezzoli turgidi ed eretti ed esplodo dentro di lei.

So che le piace sentire il maschio che la inonda, appaga appieno il suo senso di essere posseduta.

Non è solo il marito a possederla, ma anche i maschi che le sono intorno, che la mettono al centro delle attenzioni, che sanno apprezzare la troia da monta che è. E l'orgasmo spasmodico e continuo è il suo modo di ringraziarli.

Soprattutto se viene montata davanti a Giacomo, suo marito. Alessandra si sente protetta. So che è un controsenso, è strano che una moglie si senta protetta se c'è il marito a guardarla mentre altri maschi la scopano, ma per lei è così.

Il mio membro è ancora duro, Alessandra inizia a rilassarsi mentre io mi muovo lentamente dentro e fuori il suo orifizio che non voglio abbandonare. Decido però di darle un attimo di respiro, e mi ritiro lasciandole andare i capezzoli e le gambe. So che lei collassa quasi dopo un orgasmo di questo genere, ma l'acqua ha avuto un effetto benefico su di lei attenuando la sensazione di perdita dei sensi.

Giacomo non parla, mi guarda e sorride, soddisfatto, felice perché la sua donna è stata soddisfatta.

Ha la stessa età di sua moglie, e lei è l'unica donna che abbia mai avuto davvero, o forse dovrei dire che è l'unica donna che lo abbia posseduto. Questo non vale per lei.

Ha un volto gentile e delicato, l'alta figura esile avvolta in un candido accappatoio di spugna. I capelli castani ancora bagnati per la doccia fatta da poco da cui cola un rivolo di acqua. sento il profumo del suo dopobarba appena spalmato.

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