Ca' De Do'

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Diavolo d'una Iela, quanti "se" mi aveva messo in testa.

Non solo.

Sarebbe stata insaziabilmente possessiva come Iela o appassionatamente dolce, deliziosamente voluttuosa, come Katia?

Ma guarda quali problemi sorgevano con la propria fidanzata dopo essere stato con altre donne.

La sera prima della partenza andai, con lei, in casa di amici. Ballammo stretti. La sentivo, attraverso il suo vestito leggero. E lei mi sentiva, deliziosamente turbata. Ci carezzavamo col pube, vicendevolmente. Io mi piegavo sulle ginocchia, in artificiosi passi di danza, per sentire il caldo morbido del suo sesso. Lei non parlava più, si strofinava a me. La presi per la mano e la condussi nella camera della ragazza che ci aveva invitato. Non disse nulla. Mi seguì come un automa.

Le sollevai la gonna, scostai le mutandine. Mi lasciava fare, impietrita. Mi sbottonai i pantaloni che stavano scoppiando. Sembrava immenso anche a me. Lei non batté ciglio. Attendeva. Lo introdussi appena tra le sue cosce. Non volevo entrare in lei. No, non era quello il modo, in piedi, in una stanza sconosciuta, di fare l'amore con lei per la prima volta. Mi mossi lentamente. E cominciò anche lei a muoversi, un braccio intorno al mio collo, l'altra mano sulle sue labbra. Non riuscivo a fermarmi, e lei non voleva che mi fermassi. Sentii che s'era completamente abbandonata tra le mie braccia. La tenevo stretta, con le mie mani sulle sue piccole sode natiche che fremevano. Così, fino alla conclusione di quella prima, squallida, anomala e incompleta conoscenza.

Quando si ricompose, mi baciò a lungo.

- Grazie Giorgio. Grazie per non aver guastato tutto. Quando saremo sposati ti compenserò anche per questo.

* * *

Il rientro fu un vero e proprio "ritorno in servizio".

Era la sera della domenica.

Perfino Roberto sembrava contento di rivedermi. Ormai mi conosceva da tanti mesi.

Avevo portato piccoli pensierini a ognuno.

A Iela avevo comprato una collana di corallo, pelle d'angelo. Ero riuscita a trovarla da un compagno di scuola, Israelita, che stava vendendo tutto.

Quando fummo a letto mi accorsi che indossava solo quella.

La collana e la sua pelle si confondevano.

Mi abbracciò tremando.

- Ti ho atteso con ansia. Mi devi tutte le notti che non hai passato con me. E poi voglio qualcosa anche per domani sera, perché dovrò avere il mal di testa domani sera. Anche se non é sabato!

Sei in debito, e voglio svuotare la cassa. Fino all'ultimo centesimo.

E fu esigente, nella riscossione.

Benché fossi stato molti giorni lontano da lei e da Katia, e nonostante la gioventù, non fu agevole saldare il conto fino in fondo.

Il viaggio e la notte con Iela, suggerirono, nel pomeriggio, un sonnellino nella vuota infermeria ufficiali. La sera ero fresco e riposato.

La cena si svolse in allegria.

Iela aveva il mal di testa. Strano, non era sabato.

Katia mi ospitò nel suo letto.

Fu appassionata e tenera come non mai. Nei pochi momenti che riuscivo ad assopirmi restava a guardarmi, e non resisteva al desiderio di carezzarmi, baciarmi, finché non sentiva che la desideravo ancora.

Meravigliosa Katia.

L'indomani mattina ero sfinito, esausto. Agivo come un sonnambulo.

Ero prigioniero d'una situazione dalla quale non sapevo, e soprattutto non volevo, uscire. Il sesso era divenuto una fissazione, una droga.

Mi stupiva l'insaziabilità delle mie deliziose compagne, la loro fantasia erotica, la carica di passione, la voluttà, ma ancor più come riuscivo a far fronte alla loro esuberanza.

* * *

Si andò avanti così per molto tempo.

Era, ormai, il nostro modo di vivere con gioia, senza mai trasformare la esaltante consuetudine in noia, in monotonia.

Notizie dei mariti arrivavano sempre più raramente.

Poi ci furono gli eventi della Russia, i dispersi. Di Mirko non si seppe più nulla. Le nostre navi erano divenute bersaglio quasi indifeso per gli Inglesi. La nave di Dario fu affondata. Lui fu ritenuto essere tra i salvati dal nemico. Prigioniero.

Ero li da oltre un anno quando giunse il trasferimento ad altra sede. Molto lontana. Una località abbastanza al riparo dalle incursioni nemiche.

Le mie nozze erano imminenti. Mia moglie avrebbe potuto vivere con me nella nuova sede.

* * *

Il distacco fu atroce.

Gli ultimi giorni li vivemmo come in trance.

Iela piangeva di fronte a tutti.

Non dormiva più.

Faceva l'amore follemente, accanitamente, disperatamente.

Restava avvinghiata a me per ore.

Katya mi guardò sorridendo mestamente, quella sera.

- Grazie per quello che mi hai dato. Resterà per sempre con me.

Amò con l'ardore d'una adolescente, la sapiente dolcezza d'una sposa, l'insuperabile voluttà della sua maturità.

Mi baciò freneticamente.

Le sue labbra vellutate si posarono sulla “folgore ardente” del suo dio, come diceva, si dischiusero per picchiettarlo col saettare della sua lingua infuocata, suggerlo golosamente, cospargerlo del nettare della sua saliva.

- Giorgio, voglio donarti una cosa che non è stata e non sarà mai di nessun altro.

Si mise carponi.

- Vieni in me, Giorgio.

Mi avvicinai a lei, eccitatissimo, con una imponente erezione.

Prese il glande violaceo, lo guidò tra la sue meravigliose natiche che spinse lentamente ma decisamente verso di me.

Sentii dilatarsi adagio la sconosciuta deliziosa apertura che m’invitava ad entrare. Scivolai in lei travolto da una inimmaginabile voluttà. Una sensazione indescrivibile.

Si muoveva stupendamente.

Volse la testa verso di me.

-Carezzami, Giorgio.

Prese la mia mano e la condusse tra le sue gambe.

In lei si scatenò una tempesta che mi travolse, come cavalloni che assalivano il molo proteso nel mare della felicità.

Mi avvinghiai con l’altra mano a una mammella, la impastai freneticamente, strizzai il capezzolo.

Raggiungemmo le più alte inesplorate cime del godimento, sempre più convulsamente.

Crollò di colpo, sul letto, braccia e gambe spalancate, io non uscii completamente da lei.

- L’unico regalo che posso farti, Giorgio, ma lo ricorderò per tutta la vita. E’ stato fantastico.

VII

E’ trascorso tanto tempo, da allora.

Anni.

Ma i ricordi sono sempre vivi, attuali e incancellabili.

Il paese di Katia e Iela era caduto nelle mani dei cosiddetti ribelli pochi giorni dopo la mia partenza. Un colpo di mano.

Erano state commesse infinite atrocità. Le foibe erano state riempite di corpi, alcuni ancora vivi. Avevano dato la caccia a chi aveva "collaborato" con gli Italiani. Bastava non essere stati apertamente ostili a loro per essere materialmente bollati a fuoco con una "I", izdajica, traditore.

La guerra guerreggiata era terminata, ma ero ancora in servizio per "particolari esigenze dello Stato".

Ero intento a leggere una relazione quando il piantone mi portò una busta.

- E' stata recapitata a mano, signor tenente. Un uomo in bicicletta l'ha consegnata al militare di guardia ed è subito andato via. Un uomo di mezza età, vestito molto modestamente. Non si è voluto fermare. Pareva avere molta fretta.

Una grossa busta, di quelle arancione che s'usano per inviare domande o trasmettere documenti.

L'aprii.

Dentro c'era un'altra busta, più piccola, bianca, indirizzata, con una grafia chiara ed elegante, al S.Tenente Giorgio Santin, al mio vecchio Comando, lasciato da tempo, accompagnata da un foglio di quaderno scritto a matita.

“Egregio Signor Tenente,

“molto tempo fa ho avuto l'incarico di farle “ricevere quanto allegato, ma solo in questi giorni “sono riuscito ad entrare in Italia e, grazie agli “amici, ho potuto rintracciarla.

“Non so cosa contenga la busta.

“Mi è stata data chiusa, con la raccomandazione di “distruggerla senza leggerne il contenuto in caso “che non fossi riuscito a fargliela avere.

“La signora che le invia la lettera mi ha anche “raccomandato di assicurarle che sta bene.

“Ma questa sarebbe una bugia, e io non dico bugie.

“Mi perdoni se non firmo, ma sono ricercato dalla “polizia che ora opera nel mio paese, dai rossi, “ovviamente, che hanno informatori dappertutto.

“Addio.

Aprii la busta bianca, senza romperla.

Alcuni foglietti riempiti con una scrittura piccola e chiara.

Una data vecchissima.

Senza località.

"Giorgio, amore mio,

Da quanto tempo avrei voluto scriverti, dopo essere stata portata qui, ma come inviarti una lettera?

Sai anche tu come si sono svolti gli eventi al mio paese e sono certa che non hai mai ricevuto le notizie che ho spedito subito dopo la tua partenza, perché mi è stato detto che tutta la posta è stata sequestrata e distrutta.

Affido la presente a un amico, sperando che possa giungerti.

E' trascorso tanto tempo da quando mi hai lasciata e ti amo sempre. Più che mai.

Sono accadute tante cose.

La nostra casa è stata distrutta, dei ragazzi non so nulla.

Io sono stata obbligata a cambiare residenza, e vivo qui, da una lontana parente, poverissima. Meglio che non ti dica dove.

E' un trascinarsi giorno per giorno, aiutandomi con il poco denaro che riesco a raggranellare con mille espedienti. Le suore mi fanno fare qualche ora d'insegnamento. Ma quello che più mi aiuta è che, mentre lavoro, pensano loro, le suore, ai bambini.

Si, amore mio, ai tre bambini.

"Ca' Do'", testimone di quanto ti abbia amato, e le cui mura ancora risuonano dei miei appassionati sospiri, ha voluto che il mio amore non svanisse nel nulla.

Poco dopo la tua partenza, mi sono accorta d'aspettare un figlio. Tuo, tesoro mio. Ero pazza di gioia, avrei voluto gridarlo a tutto il mondo. Ma dovevo tenere per me questo segreto. Presto, però, la mia condizione sarebbe stata evidente, così decisi di confidarmi con la mamma.

Mamma -le dissi, mentre era intenta a cucinare- sono incinta, di Giorgio.

Seguitò senza neppure voltarsi, e rispose, calma:

- Anch'io.

E nella sua voce c'era una profonda dolce, commossa felicità. Il suo volto era radioso.

Ci abbracciammo, ridendo e piangendo nel contempo.

Sedemmo accanto al tavolo.

Mamma prese le mie mani, e le tenne tra le sue mentre parlava.

- Sapevo di attendere un bambino fin da quando Giorgio era ancora qui. Inizialmente avevo pensato che fossero le prime avvisaglie della menopausa, ma l'ostetrica mi disse che ero gravida, di almeno tre mesi. Avrei voluto comunicarlo a Giorgio, avrei voluto fargli conoscere quale grande dono mi aveva fatto, cosa ciò significasse per me, alla mia età. Ero tornata giovane. Ma ho preferito tacere. Questo bambino è mio.

Stava accadendo quello che neppure la fantasia avrebbe immaginato.

Eravamo state rivali, e lo sapevamo. Avevamo vissuto un compromesso che farebbe rabbrividire anche i non moralisti. E adesso proseguivamo sulla stessa strada, sentendoci, addirittura, più vicine che mai perché entrambi aspettavamo un figlio dallo stesso uomo. Capii, però, che quello che ci univa, in effetti, era lo stesso amore, infinito, che, ognuno a modo suo, aveva avuto per te e ancora ci legava a te.

-Anche per me, mamma, è stata una sorpresa. Ero convinta che finché allattavo non avrei concepito. Ma sono infinitamente felice di essermi ingannata. Avremo un figlio di Giorgio, mamma. Prima tu, e io accudirò a questo mio fratellino. Poi io, e tu accudirai a questo tuo nuovo nipotino.

Parlavamo solo di te, Giorgio, ognuna un po' gelosa dei ricordi dell'altra. Ma il destino aveva scritto un domani drammatico.

Quando mamma mise al mondo la sua creatura io ero vicina a lei. Un parto lungo ed estremamente laborioso. Soffrì molto, ma non emise un lamento. Qualcosa di innaturale. Sforzi sovrumani affrontati con incredibile serenità.

Era uno splendido bambino. L'ostetrica lo mostrò a mamma e le fece i complimenti. Sottolineò sorridendo che il bimbo ci teneva moltissimo ad evidenziare la sua mascolinità, che metteva in bella mostra.

Mamma era affranta, ma bellissima. Lo guardò felice. Mosse appena le labbra per dire debolmente:

- Ciao, Giorgio, che dio ti benedica.

Il suo sguardo rimase fisso sul bimbo. Il suo cuore non resisté oltre a quella felicità.

Lo abbiamo battezzato come lei lo aveva chiamato: Giorgio. Gli uffici anagrafici hanno cambiato Santin in Santic.

Solo la mia povera parente e le suore sono riuscite a non farmi cadere nella più profonda delle depressioni.

Dopo due mesi è nato anche il nostro bimbo. Il nostro, amore mio. Anche lui con quel... particolare che aveva fatto sorridere l'ostetrica. I due fratellini, che sono anche zio e nipote, sono due splendidi, vispi e intelligenti bambini e crescono benissimo, a vista d'occhio.

Il nostro bambino si chiama Bogdar, dono di Dio, Bogdar Santic.

E quando li chiamo entrambi, Giorgio... Bogdar..., posso gridare al mondo la mia felicità repressa, invocandoti, con la speranza che non mi abbandonerà mai, quella di averti ancora. E nessuno comprende il mio segreto, Giorgio... Bogdar...! Giorgio, dono di Dio!

Mi manchi, tesoro.

Ti prego, vieni a prendermi, tienimi con te, come una volta, anche se dovrà essere una sola volta.

Che Dio ti benedica, Giorgio, e mi consenta di sentirti di nuovo, ma realmente, mio, come adesso ti sento nel ricordo.

Sono la tua Iela."

* * *

Durante i lunghi anni trascorsi ho riletto più volte questi appunti.

Anche oggi.

Li ho lasciati così, senza modifica, senza commenti.

Come li avevo scritti allora.

Non ho tralasciato nulla, non ho dimenticato nulla.

Dopo anni e anni di vana ricerca, nonostante il prezioso interessamento delle autorità della Yugoslavia, dopo gli inutili viaggi nel paese dove la "Ca' Do'" non esiste più, e che avevo trovato ancor più grigio e povero di allora, mi capita spesso di sorprendermi assorto a pensare a un passato che mi domando se sia realmente esistito o sia solo frutto della fantasia.

Torno a leggere, allora, la lunga lettera di Iela.

La realtà è lì.

Lo svolgersi rapido d'un film che di quando in quando sosta su un fotogramma per poi dissolversi lentamente in un altro.

Iela e il suo appassionato ardore: bellissima valchiria lanciata al galoppo, il seno nudo, i biondi capelli al vento.

Il volto del piccolo Roberto con fattezze note e nel contempo sconosciute, forse quelle di Giorgio o di Bogdar.

La morbida, scultorea nudità dorata di Katia irrigidita nella fredda immobilità marmorea d'una statua.

Ho fatto una fotocopia della lettera di Iela. E' sempre nel cassetto della mia scrivania. L'originale, chiusa, é nell'album dei ricordi.

Non so se mia moglie, i miei figli, l'abbiano mai letta. Comunque, non ne hanno mai parlato.

* * *

Caterina, la mia prima bambina, è già mamma.

Da qualche anno.

Ieri è venuta a trovarmi.

Come per caso ha preso sulla scrivania un cartoncino che m'è giunto giorni addietro.

- E' dell'Associazione Italia-Croazia, vero papà?

Assentii con la testa.

- Ti invitano a un incontro sugli scambi tra i due Paesi. Ci sarà anche l'addetto commerciale croato, il dottor Bodgar Santic.

Era alle mie spalle, mi abbracciò stretto.

- Ci andrai, vero, papà?

* * * * * * * *

ULISSE
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