Ca' De Do'

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ULISSE
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Dopo molte insistenze, Stano e Mario, nonostante lo sguardo della madre non esprimesse approvazione, accettarono di darmi del tu. Il frizzantino, pjenusavo vino, dette il colpo decisivo.

La signora Katia fu la prima ad alzare il calice.

- Alla salute dei nostri cari lontani, con l'augurio che questo stato di cose finisca presto e bene e che loro tornino sani e salvi. Che Mirko conosca il figlio, Dario il nipote. Alla salute di Roberto, che possa crescere in un mondo più giusto.

Ci levammo in piedi, i calici in alto, dicendo insieme "alla salute!", poi tornammo a sedere.

Iela ruppe il silenzio.

- 'Prosit!' Alla salute dei presenti, e degli assenti, e che il Signore ci dia la forza di attenderli in serenità. Alla salute di tutti. Alla salute di Giorgio.

Si chinò verso di me, tendendo il suo calice, mostrando la rosea carnalità del seno .

Toccai il suo bicchiere e la ringraziai, e così feci con gli altri.

Mario andò a prendere una grossa coppa di vetro, vi versò il resto dello spumante e disse solennemente:

- Quando si è amici si deve bere tutti nello stesso bicchiere, all'uso di montagna. E' il segno che si è legati per sempre.

La signora Katia cercò di ridicolizzare la cosa, dicendo che erano ragazzate, ma anche Stano intervenne osservando che era una cosa seria: solenne promessa di solidarietà, d’aiuto reciproco. Bere nello stesso calice è la massima espressione di fraternità, d’amore cristiano, concluse.

Mario porse la coppa alla madre.

- Mamma, devi cominciare tu.

- No, facciamo iniziare al tenente.

- Prima la padrona di casa -osservai- ha ragione Mario.

E poi, per favore, sono Giorgio.

La signora Katia prese il grosso calice, lo portò alle labbra, fece un piccolo sorso, passò sul bordo la parte pulita del suo tovagliolo.

- E adesso?

Chiese, tenendo la coppa tra le mani.

- E' la volta dell'altra mamma.

Dissi.

Il calice passò a Iela che vi fece un lungo sorso e, senza asciugarne l'orlo, lo porse a me:

- Ora è il turno dell'ospite.

Bevvi anch'io, ma non feci in tempo a prendere il tovagliolo che Iela mi tolse la coppa dalle mani e, senza girarla la riportò alla bocca, soffermandosi in un altro lungo sorso, poi passò accuratamente l'angolo del tovagliolo dove aveva posato le sue labbra e dette il bicchiere a Stano.

- Non devi leggere i miei pensieri, tu!

Fu la volta di Mario. Che, dopo aver scolato tutto, si rivolse alla madre:

- Mamma, se permetti, noi andiamo, perché ci aspettano, e il coprifuoco arriva presto.

La madre fece un cenno di assenso col capo.

Si alzarono, salutarono, uscirono

Mi congratulai con la signora Katia per la deliziosa cena e per la simpatica cordialità dei suoi ragazzi.

Mi pose distrattamente la mano sulla gamba dicendo che ci voleva una tazza di quel liquido nero che si insisteva a chiamare caffè. Si alzò per prepararlo.

Roberto cominciava a farsi sentire.

- Iela, va a vedere, forse vuole il ciuccetto.

- Vado, mamma.

Si alzò, mi tese la mano.

- Andiamo.

Il bambino aveva aperto gli occhi e guardava la luce azzurrata del lume, sul comodino, coperto con un fazzoletto.

- Il padre non lo conosce.

Disse Iela.

Prese in braccio il bambino e sedette sul tappeto accanto al letto. Sbottonò la blusetta, tirò fuori una mammella, gonfia, ricamata di venuzze, e l'avvicinò al piccolo che, avido, vi si attaccò subito.

- Ha poppato da poco, ma così beve anche lui lo spumante col quale abbiamo brindato.

Col solito gesto mi fece segno di sedere sul letto. Era morbido.

- La mano... Molim... Per piacere...

E mi tese la sua, calda, tremante, guardandomi con gli occhi pieni di lacrime.

III

Cambiamento d'ambiente, letto diverso, o chissà cosa, fatto sta che non riuscii a riposare bene, quella notte.

Era appena giorno quando, curando di non fare rumore, andai al bagno portando il necessario per lavarmi e radermi.

A quell'ora dormivano ancora tutti.

La notte era trascorsa silenziosa. Non avevo udito rientrare i ragazzi, né s'era sentito piangere Roberto.

Rientrai nella mia camera e mi vestii. Avrei letto qualcosa nella attesa dell'ora di dover uscire.

Sentii picchiare leggermente alla porta. Come il graffiare d'un gatto. La maniglia s'abbassò lentamente, l'uscio si socchiuse. Iela, in vestaglia, i capelli sciolti, portava un vassoio coperto da un tovagliolo.

- Ho sentito gente già sveglia e ho pensato che ci volesse una bevanda calda. Disturbo?

Non attese risposta, si avvicinò al tavolino e vi posò sopra il vassoio, lo scoprì in parte mostrando una caffettiera, un bricco col latte, un piatto con dei biscotti scuri.

- Solo per me?

Chiesi.

Scosse il capo, tolse del tutto il tovagliolo. Comparvero due tazze. Avvicinò al tavolino la poltroncina della toletta e la sedia. Sedette sulla sedia e fece il solito gesto d'invito battendo la mano sulla poltroncina.

- Perché io in poltrona?

- Il trono spetta all'uomo.

Rispose con fare provocatorio. Prese i tovagliolini che aveva portato e ne mise uno davanti a me e uno davanti a lei, vi posò, sopra, le tazze.

Così muovendosi, la leggera vestaglia si apriva sulla camicia da notte trasparente.

Si accorse del mio guardare e, senza smettere ciò che stava facendo, avvertì:

- Attento, la realtà potrebbe deludere. Io, poi, credo di essere assolutamente impresentabile e di avere la camicia da notte che reca il segno di come, di notte, esca del latte dal seno.

Aveva finito di preparare il tutto.

- Pronti -proseguì- e buona colazione.

Si chinò verso di me, come per baciarmi. Si rialzò di scatto, seria, pallida, i lineamenti del volto tirati, stringendo le mani. Aveva cambiato voce.

- Chiedo scusa, un attimo di distrazione. O forse no? Ero immersa nei miei pensieri, abbandonata alla fantasia che per un momento mi ha fatto sognare. E nel sogno ho sempre desiderato una realtà diversa da quella vissuta.

E' passato tanto tempo da quando preparavo la colazione a Mirko. Prima di cominciare a mangiare, quando era tutto pronto, gli davo un bacio, ero io a darglielo, breve, fugace, perché se indugiavo finivo col desiderare e pretendere quello che lui avrebbe... sbrigato in fretta e controvoglia, perché gli si raffreddava la colazione e a lui seccava molto. Io restavo delusa, digiuna più che mai. Ma lui non se ne accorgeva. O non gli interessava. Spero di essere scusata.

Parlava senza guardarmi, impersonalmente.

Lentamente, andava riprendendo il colorito. Le presi la mano e la baciai lievemente. Avvicinò le sue labbra alle mie, con la mano dietro mia nuca mi attirò a sé con forza, mi baciò avidamente. Si staccò di colpo, bagnò un biscotto nel latte e cominciò a mangiarlo come se nulla fosse accaduto, mi sorrise dicendo:

- Mangia qualcosa, chi lavora deve mangiare.

Inzuppò un altro biscotto nella sua tazza, ne mangiò un pezzetto e poi me lo porse. Bevve un sorso e avvicinò la tazza alla mia bocca.

- Bevi qui, così saprai di me quello che nessuno non ha mai saputo.

Buona giornata, io torno da Roberto.

Prese la sua tazza e uscì dalla camera.

Dopo un po' portai il vassoio in cucina, da dove proveniva qualche rumore.

La signora Katia, in vestaglia blu elettrico, serica, cangiante, che le aderiva come se le fosse incollata alla pelle, preparava le colazioni.

Mi volgeva le spalle, non s'era accorta di me.

I suoi fianchi attraenti, invitanti, erano minuziosamente modellati in ogni delizioso particolare. I capelli, neri con qualche filuzzo d'argento, le carezzavano le belle spalle. Al mio saluto si voltò, poggiando la schiena al lavello.

La stoffa, tesa sul seno, metteva in evidenza i capezzoli eretti.

Restò immobile, fissando il vassoio che avevo messo sul tavolo, con un sorriso tra l'ironia e la curiosità.

- Buon giorno. Vedo che c'è chi ha già pensato alla vostra colazione. Avete dormito bene? Non mi sembra che Roberto abbia piagnucolato, questa notte. Neppure la luce della camera di Iela dovrebbe darvi fastidio. Davanti alla porta di comunicazione abbiamo posto un armadio, e il grosso feltro su cui poggia dovrebbe impedire che la luce filtri. Com'è stata la prima notte? Perché per voi è la prima notte, vero, in questa casa?

M'interrogava cogli occhi, mi scrutava, quasi volesse leggermi dentro. Mi passò davanti, andò alla credenza, si alzò sulla punta dei piedi per prendere un barattolo sulla mensola, in alto. Così protesa la vestaglia aderiva ancora di più e quando, abbassando una delle mani, si aprì, vidi chiaramente che quello era l'unico indumento che indossava.

Lei non si scompose più di tanto.

Tornò alle colazioni.

- Io devo sentirmi libera di muovermi -disse- non riesco a dormire stretta in camicie da notte e tanto meno in pigiami. Sono un essere primitivo, selvaggio. Dovevo nascere e vivere nei boschi. La mattina girerei per casa senza nulla addosso. Sopporto a malapena perfino gli abiti leggeri come questa vestaglia. Chissà che concetto vi fate di me dopo tutto quello che ho detto, ma a me piace parlare chiaro, dire come la penso, cosa voglio, senza stare tanto a girare intorno al problema.

Sono un po' matta, vero?

Aveva parlato tutto d'un fiato, volgendomi le spalle.

Si voltò di scatto. Gli occhi improvvisamente illuminati d'una strana luce, le narici frementi.

Mosse qualche passo verso il tavolo, barcollando.

Le andai incontro per sostenerla. Le passai un braccio dietro la schiena, la mano sotto l'ascella. Afferrò la mano stringendola al seno, sodo. Sfiorai il capezzolo, sobbalzò. La feci sedere. La vestaglia, aperta, scopriva le cosce che tremavano visibilmente. Cercai un bicchiere, volevo prendere l'acqua dalla caraffa. Scosse la testa.

- No, non voglio bere. Non voglio niente. Sto bene, non chiamate nessuno, aiutatemi ad andare nella mia camera. Non dite niente a Iela, né ai ragazzi. Aiutatemi voi.

Cercò di alzarsi dalla sedia. La sorressi. Mise il suo braccio sulla mia spalla e andammo, così, nella sua camera. Il letto era già rifatto. Il balcone, che aveva la stessa esposizione del mio, era spalancato. L'accompagnai al letto, l'aiutai a stendersi sopra. Volevo scostare le coperte per coprirla. Fece segno di no. Restò supina, con le braccia lungo il corpo, le labbra dischiuse, il respiro un po' affannoso. Mi venne spontaneo di carezzarle i capelli. Mi prese la mano, la fece scendere sul cuore.

- E' questo che funziona male. Grazie, non disturbatevi oltre. Non vorrei che vedendovi qui si spaventassero. Grazie.

Mi prese la mano, vi depose un lungo bacio.

Le lacrime le rigavano il volto, bagnavano i capelli, cadevano sul cuscino.

- Grazie, Giorgio, grazie.

Uscii piano, chiudendo la porta dietro di me.

* * *

Quando mi trovai solo, nella mia stanza, al Comando, ripensai a quello che era accaduto nelle ultime ore.

Una casa strana, stranissima.

La figlia ricordando quando portava la colazione al marito, che la lasciava insoddisfatta, un altro po' mi stacca le labbra.

La madre si sente selvaggia, le piacerebbe girare per casa come se fosse in un campo nudista, non sopporta nemmeno una leggera vestaglia, e si fa quasi venire un colpo.

Mah, forse sarebbe bene togliere le tende.

E pensare che ho già pagato un mese anticipato.

Peccato, perché la camera è comoda, pulita, accogliente. Devo pensarci bene, però, perché andando avanti così finirei più matto di loro.

Ci devo riflettere.

Forse basterebbe evitare di incontrarla, quella gente. Solo buon giorno e buona sera quando si esce e quando si rientra.

* * *

Dopo mensa tornai a casa per riposare.

Fui costretto a bussare perché non mi avevano dato le chiavi. Dovevo chiederle.

Mi aprì la signora Katia. Allegra, sorridente, pimpante. Tanto che non osai chiederle come si sentisse.

Mi precedette nel corridoio, aprì la porta della mia camera.

- Ho messo a posto tutta la vostra roba. Ho stirato le camicie, che s'erano arricciate nella valigia. La fotografia di quella bella ragazza -la vostra fidanzata vero?- l'ho messa sulla toletta. Forse è il posto migliore. Comunque se non siete d'accordo potete sempre cambiarlo.

E' veramente una splendida ragazza, dev'essere bellissimo fare l'amore con lei, vero?

La guardai serio, seccato.

Si fermò di fronte a me, e mi fissò. Mi tolse di mano il cinturone e andò ad appenderlo all'attaccapanni. Tornò verso me, come volesse dirmi qualcosa, poi andò alla toletta.

- Vi dispiace se siedo qui un momento?

- No, prego. -risposi freddamente-

Riprese, insistendo.

- Fate l'amore con le altre?! Con chi? Mica, per caso, con le..., o...

La interruppi.

- Non c'è bisogno di proseguire o di abbandonarsi all'immaginazione. Non ho fatto l'amore con nessuna donna!

Quella provocazione m'aveva irritato e avevo risposto d'impeto. Ora mi sentivo a disagio.

S'alzò, si avvicinò a me.

- Mai? A ventun'anni?!

- Mai!

- Oh, pilence, pulcino, poareto, vien qui, fiòl.

Mi strinse al petto, forte. Non era facile svincolarsi.

- Pilence -seguitò- vien dalla mamma, vien da Katia.

Mi abbracciò ancora. Poi uscì senza parlare, scuotendo la testa.

Andai sul lungo balcone. Sulla destra, oltre il finestrino del ripostiglio, la camera della signora Katia e girando si giungeva alla cucina; dall'altra parte si andava alla sala da pranzo, che adesso non si usava, poi, molto più largo, cominciava il balcone del salone comune.

Tornai in camera. Scrissi qualche lettera. Lessi il giornale che avevo comprato. Non riuscivo a riposare. Certo avrei fatto meglio a non dire quello che avevo detto, ma mi era sembrato l'unico modo per troncare la conversazione. Meglio così.

Uscendo, mi affacciai in cucina dov'era la signora Katia:

- Per favore, vorrei le chiavi, così non dovrò disturbarvi ogni volta che rientro.

- Certo, avete ragione. Le ho date per farne fare le copie, questa sera le riporterà Stano.

- Grazie e arrivederci.

- La staga ben, ma non dica più bugie, arrivederci.

La sera cenai a mensa. Al ritorno, Iela mi aprì la porta.

- Ciao, come si va? Le chiavi sono pronte, sono in cucina,

Si avviò verso il fondo del corridoio. Dalla credenza prese le chiavi e me le dette sorridendo.

- Fretta di andare a letto? Se vieni qui facciamo due ciàcole. Possiamo prendere un grappino, se vuoi. Roberto dorme, i ragazzi sono fuori con gli amici, la mamma è andata a cena dalla sorella. Hanno sempre mille cose da dirsi.

Mi fai un po' di compagnia?

Feci di sì con la testa e andai in camera, per togliere cinturone e giubba, poi nel bagno a lavarmi. Quando tornai, Iela aveva preparato due bicchierini e la bottiglia della grappa.

- Scusami un momento -disse- aspetta sul balcone, si sta bene fuori, questa sera.

Si alzò e andò in camera sua. Uscii sul balcone e, poggiato alla ringhiera, mi misi a guardare nel vuoto.

Iela, tornata, era alle mie spalle. Si era gettata quasi su di me. Con una mano entrò nella mia camicia. Sentivo il suo petto sulla mia schiena, il suo grembo. Mi voltai piano. Restò così, con la testa un po' discosta dalla mia, e mi guardava negli occhi.

- E' molto bella la tua ragazza.

Sospirò profondamente e si strinse ancor più a me quando sentì di avermi turbato, eccitato.

Sussurrò, provocante, muovendo i fianchi:

- Dev'essere meraviglioso essere la prima donna di un uomo, specie se si desidera. Meraviglioso, inebriante, impagabile.

Katia aveva parlato.

Lo sapevo che dovevo stare zitto. A quest'ora Katia lo avrà già detto alla sorella e poi lo saprà il vicinato, quindi tutto il paese.

Iela strofinò il suo nasino contro il mio.

- Giorgio tu sei un raro esemplare. Credo di non aver mai conosciuto uno come te, così attraente, così gentile, così...

Incollò le sue labbra alle mie e le dischiuse con la sua lingua prepotente e curiosa.

- Rientriamo -sussurrò- potrebbero vederci. Andiamo nella tua camera.

Tolse la bottiglia della grappa dal tavolo, rimise a posto i bicchierini. Quasi mi trascinò nella camera. Mi accorsi che quando m’aveva lasciato sul balcone era andata a mettersi in vestaglia.

Ma questa é la casa delle donne in vestaglia. E’abitudine di famiglia.

Accese la luce centrale e quella sul comodino.

- Voglio vederti, Giorgio, e devi vedermi.

Sedette sul letto, il volto acceso, gli occhi scintillanti, i capelli scompigliati. Il movimento del seno disse che non aveva reggipetto. Per sfida, per metterla a disagio, glielo chiesi.

- No -rispose candidamente- non indosso niente sotto la vestaglia. Guarda. Nista, niente.

Si alzò dal letto e l'aprì.

Deglutii a fatica. Ero io a sentirmi a disagio. Non sapevo cosa fare, come sarebbe andato a finire. Avveniva tutto così in fretta. Ero in una situazione mai immaginata. Una donna splendida, bellissima, fresca, invitante, che conoscevo solo da qualche ora.

Provavo un vago senso di smarrimento di timore. Avrei dimostrato la mia inesperienza. Sarebbe stato un fallimento. L'avrei delusa. Avrebbe riso di me. Eppure era un momento che avevo sempre desiderato.

E se, invece, era solo un perfido giuoco il suo?

Iela tornò a sedere sul letto, con la vestaglia aperta, poggiando le spalle al muro.

- Guardami Giorgio Devi guardarmi. Attentamente. Devi conoscere il mio corpo, il corpo della donna. Lo devi conoscere bene, in ogni suo particolare, in ogni sua espressione, in ogni suo momento. Perché dovrai essere tu, solamente tu, a decidere.

Vidieti, poznati, birati! Vedere, conoscere, scegliere!

Vedi, questo è il seno della femmina che nutre la sua creatura. Questo è il ventre che l'ha teneramente custodita per lungo tempo. Questo il grembo dal quale è venuta alla luce. Lo stesso che ha sussultato nel ricevere il seme che l'ha generata.

Tu devi conoscere tutto ciò, devi sapere come la donna agisce, vibra, freme, impazzisce.

Solo la conoscenza può portare alla scelta, alla decisione.

Accosta la tua bocca al mio seno, assapora il tepore d'un latte che anche tu hai succhiato. Poni il tuo orecchio sul mio ventre, e ascoltane la musica. Metti la tua mano tra le mie gambe, guarda le labbra rosa che custodiscono la fonte della vita e del piacere, schiudile, assisti allo sbocciare e al palpitare del mio desiderio, al raggiungimento dell'estasi che sarai tu a donarmi.

Giorgio, disseta la mia arsura con le tue carezze, con i tuoi baci.

I tuoi occhi devono partecipare a ciò.

Solo allora saprai quello che vorrai. Se mi vorrai.

Sfiorai il capezzolo, rubandogli qualche goccia tiepida e dolce, ascoltai la musica del suo ventre, rimasi incantato di fronte al cespuglio d'oro che nascondeva il suo sesso, lo frugai, lo carezzai con dita tremanti, lo sentii dischiudersi, vidi il bocciolo che si sporse offrendosi. Lo toccai appena, timidamente. Ebbe un fremito. Lo sfiorai con la lingua. S'irrigidì. Lei mi pose le gambe sulle spalle.

Dalle labbra le uscì, soffocato:

- Da... da... sì... si...

Ma tornò subito come prima.

-E' stupendo, amore, ma così non mi vedi. Tu devi vedermi.

Carezzami, tesoro, carezzami, è bellissimo.

E seguitai a carezzare, ancora ed ancora, mentre tutto mutava, assumeva diversa dimensione, si trasformava, diveniva vermiglio, si agitava, impazziva, sussultava.

Inarcò la schiena, scivolò sul letto sporgendo il bacino. Era un rantolo fioco, roco.

- Krasan... da... jos... krasan... bellissimo... ancora... evo... evo...

Non riusciva a soffocare il grido che le urgeva in gola. Tremava tutta, spingeva e ritraeva i fianchi. I suoni che le uscivano dalle labbra erano incalzanti, sempre più forti.

- evo... evo... ecco... ecco... evooooo!

Si fermò quasi di colpo, il turgido bocciolo tra le sue gambe tornava pian piano a nascondersi tra le pieghe incantevoli che per la prima volta mi avevano mostrato la loro palpitante vita.

Iela poggiava il capo al muro, una mano abbandonata sul lenzuolo, l'altra stretta al seno, semisdraiata, col bacino sulla sponda. Gli occhi aperti, rivolti verso l'alto, immobili. Le labbra dischiuse mostravano il candore dei piccoli denti. Il petto gonfio, coi capezzoli scuri e turgidi, andava smorzando il respiro affannoso. Il ventre continuava a muoversi in un'onda senza fine.

ULISSE
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