Ca' De Do'

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ULISSE
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Era una prigione dorata, come i capelli di Iela, ma una prigione. N’avrei parlato con Iela.

C'erano anche le passeggiate, il cinema, la lettura, le amicizie.

* * *

La sera sarei stato trattenuto a mensa, per una riunione di servizio, e sarei rincasato tardi. L’avevo detto alle donne.

All'ultimo momento la riunione fu rinviata. Potevo fare un giretto coi colleghi, incontrare Lenka, andare al cinema con lei, giuocare al bigliardo.

Invece decisi di andare subito a casa.

Iela era nella sua camera, trastullando il bambino. La porta era aperta. Come mi vide pose Roberto nella culla e mi venne incontro, raggiante. Senza alcuna cautela, nel corridoio dove da un momento all'altro poteva giungere qualcuno, mi gettò le braccia al collo e mi baciò appassionatamente.

- Che bello che sei qui -bisbigliò- lo sai che siamo soli? Mamma è dalla sorella, i ragazzi sono andati da alcuni loro amici, in campagna, torneranno domani. Non devi uscire di nuovo, vero? Saremo solo noi due, a cena. Solo noi a cena, per la prima volta. Vieni, ti aiuto a cambiarti. Scusa, sa, ma ho visto che nel tuo baule c'erano due pantaloni e alcune camicie non militari. Ho stirato tutto, potrai vestirti in borghese. Vieni.

Con la sua solita esuberanza festosa mi condusse nella mia camera. Su una sedia erano, ben stirati, i pantaloni "borghesi" e le camicie.

In vestaglia andai a lavarmi, nel bagno.

Quando tornai presi una delle camicie, ma Iela me la tolse dalle mani.

- Non ora. C'è qualcosa di bellissimo che ci attende, o almeno attende me. Vieni nella mia camera.

Mi prese per mano e mi condusse da lei. Chiuse la porta.

- Quello è il letto grande nel quale vorrei stare sempre con te. Il letto grande, bracni krevet, matrimoniale. Desidero fare l'amore con te in questo letto. Spogliati, come faccio io.

Si era completamente denudata.

Il proposito di farle un certo lungo discorso fu accantonato. In un attimo fui come lei, e le andai vicino.

- E' bellissimo averti qui, Giorgio, perché la mia non è solo attrazione fisica, infatuazione. E’ passione, certo, ma anche vero amore. Giorgio, non solo ti amo, ma ti voglio bene. Come non ho mai voluto bene a nessuno. Non sorridere. Ho creduto che tu mi attirassi perché da troppo tempo non ero stata con un uomo, ho anche immaginato che soprattutto fosse curiosità, ho pensato che gli orgasmi, e così ripetuti, che prima non avevo mai conosciuto, fossero dovuti alla maturazione sessuale.

Ho capito, invece, la vera ragione: per ogni donna c'è solo un uomo, ed uno solo.

Gli altri, eventualmente, possono essere dei maschi che le servono per sopire, non soddisfare, il suo appetito sessuale.

E' meraviglioso, e credo che capiti solo a pochissime fortunate. Innamorarsi, amare, voler bene. E io sono fortunata. Ma nello stesso tempo sono triste perché non potrò donarti tutta la mia vita, come vorrei. Immagino con angoscia quando mi lascerai. Perché mi lascerai, Giorgio, vero?

Era su di me, mi fissava negli occhi.

V'era qualcosa di ieratico, di sacrale, nel suo viso nei suoi gesti, come in un rito solenne.

Con tenerezza mi guidò in lei, accogliendomi con incredibile voluttuosa lentezza. Eretta, il seno proteso in turgida offerta, il bacino immobile, mentre, in lei, mi avvolgeva col caldo palpitare della sua carne.

Un lento dondolio della testa accompagnava il suo dono inebriante. Perché era donarsi totalmente, generosamente, voler dare e dire tutto il suo amore, la sua passione, il suo voler bene.

Prese a tremare come un ramo nella tempesta, a scuotersi come foglia squassata dal vento, in attesa di sentirmi suo e di farsi sentire mia.

"Intender non lo può chi non lo pruova."

Dopo, rimase a lungo, in silenzio, sul dorso, braccia e gambe larghe, guardando il soffitto.

- Credevo di morire dal piacere, amore, e sarebbe stato bellissimo.

Sono tutta e completamente tua, e così sarà per sempre, qualsiasi cosa accada. Non potrò mai essere d'un altro come sono tua.

Dopo un po', chiese?

- Koliko Jesati?

Anch'io ero supino. Le domandai, incuriosito:

- Cosa?

- Che ora è?

Forse il tono della mia voce era freddo quando aggiunsi:

- Sono io, Iela, Giorgio. E non comprendo il croato.

Si poggiò sul braccio e si voltò versi di me.

- Si, Giorgio, sei tu. Il mio dio. E quando sono felice, quando mi rivolgo a Dio, lo faccio sempre nella lingua che ho parlato prima d’ogni altra.

- E da quando mi conosci, Iela?

- Hiljada godina. Da mille anni.

Dobbiamo alzarci. La mamma potrebbe rientrare da un momento all’altro. In questi ultimi giorni è molto strana, nervosa.

Indossai la vestaglia e restai seduto sul letto.

Lei uscì dalla camera, rientrando poco dopo, sempre nuda.

Dovevo farle un certo discorso, ma prima dovevo domandarle qualcosa.

- Sei splendida, Iela, meravigliosa. Ti sono grato. Non proverò mai, nella vita, la felicità che sai donarmi tu. Ma, tesoro, scusami, non credi che sia imprudente trascurare la benché minima precauzione. Non so se riesco a farmi comprendere.

M'interruppe.

- Opreznost! Precauzione! Come potremmo, Giorgio, separarci proprio quando il nostro dono reciproco giunge a fondersi, o come potrei permettere che una qualsiasi barriera, per quanto tenue, si frapponga tra noi, m’impedisca di sentirti come desidero e come voglio. Che senso avrebbe, che amore sarebbe?

Io allatto, e una donna che allatta non concepisce, almeno così si dice da noi. Sarebbe meraviglioso, però, se sbocciasse in me il tuo seme. E non m'interessa del domani, della gente.

Non sapevo cosa rispondere.

- Iela sei incantevole.

Pensavo che si potrebbe, qualche volta, uscire insieme, andare al cinema, in casa d’amici a ballare. Insomma fare una vita che ci porti fuori da...

- Sei stanco di me? Ti ho deluso?

- Sai bene che non è questo. Ma, vedere gente, insieme s'intende, vivere anche nella società, cogli altri, andare al cinema, in campagna, un breve viaggio, sempre insieme, sarebbe bellissimo.

- Si, sarebbe bello. Dobbiamo pensarci bene. Mi piace l'idea di andare a spasso con te, al cinema, a ballare, a far visite. Andare, insieme, a trovare Lenka. Se non ci fosse la gente...

Presi le mie cose e mi avviai nella mia camera.

VI

Pomeriggio libero.

Dopo la mensa rientrai.

Sembrava che non ci fosse nessuno. Tutto silenzio. Andai in cucina per prendere un bicchiere d'acqua. Entrò Mario, per la stessa ragione. Mi disse che la madre riposava e che Stano aveva accompagnato Iela e il bambino dal pediatra. Una visita di controllo all'ospedale del Capoluogo. Cinquanta chilometri di lentissimo treno. Erano partiti poco prima del pranzo e sarebbero stati di ritorno per la cena.

Iela non mi aveva detto nulla.

Mario spiegò che la cartolina d'invito era giunta solo quella mattina, con notevole ritardo, e non era il caso di saltare il turno.

Mi salutò perché stava per uscire.

Mi spogliai e andai a rinfrescarmi. Rimasi in vestaglia e mutandine e uscii sul balcone. Una giornata particolarmente calda. Non solita in questo periodo. Anche la vestaglia era pesante. Andai verso l'angolo del balcone. La finestra del ripostiglio era spalancata, per cambiare l'aria al locale. Poco oltre, i vetri della camera di Katia erano appena accostati, gli scuri aperti. Mi venne spontaneo guardare dentro. Di fronte, l'ampio letto d'ottone lucido. Sul lenzuolo candido, Katia. Bocconi, le braccia in alto, sotto il cuscino, il viso rivolto verso la porta, le gambe leggermente divaricate, i capelli sparsi sul letto e sulla schiena. Era tutto quello che indossava.

Restai a guardarla incantato.

Non il candore niveo di Iela, ma una pelle dorata, dipinta dal sole. Le linee dei fianchi salivano dolcemente a modellare natiche statuarie, tonde, sode. Il volto non era sereno, si scorgeva una lunga ruga sulla fronte.

Spinsi piano le ante del balcone, che s'aprirono senza rumore.

Mi avvicinai al letto, dalla parte dov'era lei. Il respiro era lento, profondo. Quel corpo così bello, anche se non era più giovanissimo, emanava un fascino indescrivibile, un'attrazione seducente, irresistibile.

Volevo toccarle i capelli, carezzare le natiche. Lo feci.

Delicatamente, con le dita che sfioravano appena. Insinuai la mano tra le gambe, col palmo in alto, nella scura lanugine che saliva verso il pube.

Esplorai piano. Ebbe solo un lieve sobbalzo.

Non sembrava accorgersi di me. Divenni più audace. La mano saliva carezzando, scendeva, tornava a salire con incalzante insistenza. Le dita percorrevano il solco tiepido, frugando dalla piccola protuberanza che s'ergeva sempre più prepotente, in alto, alla sensibile contrazione del perineo.

Di nuovo un sobbalzo. Poi, il lento ondeggiare del bacino accolse, assecondò, guidò la carezza. La testa sul cuscino, le labbra appena dischiuse. Sotto le palpebre si scorgeva il muoversi degli occhi. Le mani, erano aggrappate al cuscino, come a salvarsi da un precipizio.

La mia eccitazione era incontrollabile.

Quella donna mi stregava, mi ammaliava. Non riuscivo a sfuggire quel richiamo imperioso.

Non ricordai il balcone aperto, i vent'anni d’età che ci separavano.

Lasciai cadere le mutandine in terra. Così, con la vestaglia ancora addosso, salii sul letto, su di lei. Tolsi la mano dal suo grembo, introdussi, appena, il mio sesso tra quelle natiche che avrei voluto addentare come frutti sapidi.

Si voltò di scatto con gli occhi sbarrati, sgomenti. Mi guardò come fossi un fantasma. Un terrore che si trasformò in sorpresa, ansia, attesa, implorazione.

Aprì le gambe, alzò le ginocchia. Mi prese dolcemente il sesso per accogliermi in lei ma non riusciva a farsi penetrare. Spinsi con decisione. Un gemito soffocato uscì dalle sue labbra e sentii che entravo, lentamente, in un focoso inferno, in una ribollente lava incandescente.

Fui io a regolare il giuoco. Lei, come in preda al delirio, mugolava. Dalle sue labbra sortivano suoni inarticolati. Il suo ventre era un oceano in tempesta. Le sue mani mi serravano i lombi. Volgeva la testa a destra e manca sempre più sparpagliando i suoi lunghissimi capelli. Mi strizzò, avida, golosa, come se volesse svuotarmi completamente in lei. Si abbandonò, senza forze, le braccia allargate, gli occhi chiusi, il respiro affannoso, piccoli sussulti del bacino. Mi prese una mano, se la mise sul seno sinistro. Il cuore tumultuava. Aprì gli occhi, con uno sguardo incredulo.

Ero rimasto su di lei, sensibilmente in lei.

Scosse lievemente il capo.

- Ma è proprio vero, Giorgio, sei tu? Tu sei nel mio letto. Tu mi hai cercato. Tu mi hai voluto. Hai voluto entrare in me, darmi una voluttà che non ho mai raggiunto. Ma sono gelosa, Giorgio, tanto gelosa. Chi ti ha insegnato ad amare così?

- Tu -risposi- me l'hai insegnato tu. Coi tuoi gesti, coi tuoi sguardi, con le tue parole, col tuo indimenticabile bacio, con i tuoi eloquenti silenzi. Ti ho aspettato, Katia, perché non sei venuta da me?

- Temevo che tu mi scacciassi, che mi deridessi. E bruciavo, mi tormentavo, in silenzio. Mi ripetevo: "Katia, sei vecchia, mettiti l'animo in pace". L'animo poteva trovare pace, ma la carne no.

I miei sensi sono da sempre destinati a restare miseramente e insufficientemente soddisfatti e per lungo tempo ero riuscita a dominarli, a sopirli. Poi sei apparso tu. E' stata una violenta scarica, dentro di me. Un fulmine che aveva non solo riacceso ma moltiplicato la fiamma del mio sentirmi femmina. Mi vergogno dirlo, Giorgio. Il mio ventre è stato tormentato dai crampi del desiderio. Una brama frenetica. Femmina in calore, ho compreso cosa sia la foia. Quel giorno, nel bagno, eri nudo, stavi indossando l'accappatoio. Imponente, maestoso, mi spaventavi e attraevi. Stavo morendo assetata e l'acqua era li, bastava tendere la ciotola.

Per un attimo ho pensato d'entrare, denudarmi, mettermi carponi dinanzi a te, per essere la tua Io e tu il mio Giove. E poi potevo serenamente morire.

Ho temuto che tu scoppiassi a ridere, che m'avresti scacciata.

Aveva preso il mio volto tra le mani. Mi baciava sugli occhi, sulla bocca. Sentiva che stavo rifiorendo in lei e seguitava a baciarmi, a passarmi lievemente la lingua sulle labbra.

- Non mi è mai capitata, piccolo grande Giorgio, una cosa così. Tu mi hai sfinita. Riempendomi di te mi hai svuotata. Ho raggiunto vette sconosciute. Ho vissuto con te quello che non ho vissuto in tutta una vita. La mia vita. Ora ti sento di nuovo, e questo rinnova in me la fiamma che attende di essere di nuovo spenta, per risorgere e seguitare a vivere.

Mi spinsi ancor più in lei, completamente.

- Katia, amore mio, tu sei giovane come nessuno lo è. Tu, solo tu, mi hai fatto conoscere cosa voglia dire "avere" una donna, non "essere" d'una donna. Mi hai fatto sentire il tuo piacere confondersi col mio piacere. Tu fai l'amore con me e per me, non solamente per te. Non parlare più d’età. Non significa nulla. Sei bellissima. Alla tua bellezza non ho saputo resistere. E c'è "il" segno che tu sei per me ed io per te. Mi sembrava di non poter entrare in te. Ma è stato solo un attimo. Mi hai accolto, fremente, interamente. Perché tu sei mia, nata per me, fatta per me.

Aveva ripreso l'ondeggiare del piacere, il mugolare del godimento. Fu dolce naufragare ancora, tra le sue braccia, nel voluttuoso palpitare del suo grembo. Mi scaldò col suo corpo, mi coprì con l'inebriante tepore della sua pelle, senza lasciarmi, scrutando nel mio volto la mia estasi, cercando di accrescerla di condurla ai livelli più alti. La mia voluttà si specchiava in lei, nei suoi occhi, nelle sue labbra, nelle sue narici frementi, nel suo palpitare, nel suo totale abbandono a quello scatenarsi della natura che ci travolgeva.

Non avrei mai conosciuto una donna come Katia.

* * *

In casa s'era instaurato un ben definito "modus vivendi". Tutti sapevano tutto e tutti ignoravano tutto. I volti erano sempre allegri, Iela e Katia canticchiavano, si parlavano sottovoce e ridevano.

Era una tacita "triplice alleanza".

Spesso Katia suggeriva a me e Iela di andare al cinema, di fare una passeggiata. Al bambino ci avrebbe pensato lei.

Ero con Iela tutte le notti. Entravo dalla porta, senza più l'espediente del balcone. Anche perché cominciava a far fresco.

Katya aveva spesso un motivo per entrare nella mia camera. Si stringeva a me, mi baciava, con occhi pieni di desiderio e di promessa.

Quasi una settimana dopo l'incantevole incontro con Katia, il sabato, terminata la cena, Iela disse di aver mal di capo e si ritirò subito. Udii il girare della chiave nella serratura. Andai in camera, poi a lavarmi nel bagno e stavo rientrando. Katia era sulla sua porta, in vestaglia, con la treccia sciolta, sorridente. Mi tese la mano:

- Vieni.

Mi voltai verso la camera di Iela. Katia proseguì:

- Poverina, ha il mal di testa. Vieni.

E da allora, devo ammetterlo, attesi con ansia il sabato, quando Iela restava nella sua camera, senza più chiuderla a chiave, col suo settimanale mal di testa, e io passavo la notte nel letto di Katia.

L'indomani, la domenica, Katia mi portava la colazione a letto e dopo aver fatto di nuovo l'amore, come solo lei sapeva fare. Mi accompagnava a fare il bagno.

* * *

Il tempo scorreva veloce. A novembre, al compleanno di Iela, al risveglio, al mattino, le feci trovare un pacchetto sul comodino.

- Cos'è?

- Aprilo.

Tolse il nastro che lo legava, strappò la carta che lo avvolgeva, aprì l'astuccio di velluto rosso.

- Oh, Rucna Ura, un orologio! D'oro! E' bellissimo.

Grazie, amore.

Si voltò dalla parte mia, si mise a cavalcioni su di me. Allacciò l'orologio al polso.

- Na palub, a bordo! Odlazak, partenza!

E cominciò la sua movimentata crociera, beccheggiando follemente, sostando nei porti del suo piacere, concludendola con un lungo e sospirato:

- dolazak, arrivo!

Rimase così. Tolse l'orologio, Lo girò da tutte le parti. Sulla cassa vide incisa una "I". Si chinò a baciarmi.

- Ma ci voleva anche una "G".

- Ad un certo momento non lo porteresti più.

- Non potrebbe impedirmelo nessuno e per nessun motivo.

* * *

A Natale e Capodanno ci furono i regali per le feste. Piccole grandi cose, date con tutto il cuore.

Subito dopo ebbi la licenza per trascorrere una settimana a casa.

Iela mi aiutò a fare la valigia. Quando la ebbe chiusa si voltò verso di me.

- Cosa porti a regalare alla tua fidanzata?

- Niente, non credo che debba portarle qualche cosa.

- Poverina, ci resterà male.

Ma mi aveva dato un'idea. A Trieste ci avrei pensato.

- Giorgio, vorrei che tu mi facessi una promessa. Solenne.

- Quale?

- Giurami che non farai l'amore con lei.

- Ma io non faccio l'amore con lei.

- Non lo facevi. Ma ora vorrai mostrare quello che hai imparato e come lo hai... perfezionato. Attento perché io mi accorgo se fai l'amore con un'altra. E con un'altra sarei perfino disposta a perdonartelo. Io sono comprensiva con te. Ma non se lo farai con la tua fidanzata.

- Perché?

- Perché con le altre è solamente sesso. Con la tua fidanzata sarebbe amore. Cosa credi, che non abbia saputo di Lenka e di Vittoria?

- Ma cosa dici...

- Povera Lenka, abituata al suo allevamento di canarini è rimasta spaventata dall'aquila.

Lo so che posso apparire volgare, ma mi è stato detto che...

- Ma chi ti racconta tutte queste fandonie?

- Niente fandonie, tesoro. Sono tutte verità.

Vittoria, poi, con quel suo fare da santarellina appiccicata al muro..., é stato un punto d'onore, per lei, farti... entrare in casa! Sembra che adesso senta un gran vuoto. Sfido io! E’ stata una settimana senza vedere il suo ragazzo. Poi, hanno litigato e sembra che si siano lasciati per sempre.

Questo tipo di discorso non mi piaceva, era volgare.

- Non per colpa mia, certo.

- Non per colpa, amore, per merito.

In ogni modo, Vittoria, quando le ho chiesto il motivo per cui aveva lasciato Angelo, si è limitata a mordersi il labbro inferiore.

Capito, Ercole Santin, cosa mi combini? E questa è la prova che sesso senza amore ... ma lasciamo perdere.

Io fisicamente sono come le altre, tesoro, ma io ti amo e ti voglio. Tutto per me, solo per me. Ma con amore.

Ero irritato. La mia voce era aspra, quando le chiesi:

- Allora potrò essere accolto solo dal grembo di chi mi ama? Il desiderio e tutto il resta non hanno alcun ruolo in proposito?

- E' così. L'amore é la sola chiave che apre ogni porta. Senza amore rischi di restare fuori.

Fui cattivo.

- Ma non mi sembra che tu m'abbia mai accolto "completamente". Allora?

Rimase impassibile. Rispose soavemente.

- L'amore che ho per te é immenso, ma crescerà ancora. Un bel giorno t’ingoierò tutto intero. Non ti troverà più nessuno. Quando la gente chiederà: "Dov’è Giorgio?", risponderò che è in me. Perché è mio. Solamente mio.

Ma adesso vieni da me perché devo darti una cosa.

Mi trascinò sul letto. Cominciò a spogliarmi. Si spogliò. Mi tirò su di lei.

- Vediamo se ti amo più di ieri.

Il suo corpo sembrò trasformato. Mi succhiò in lei, tutto.

Fu una furia insaziabile, meravigliosa.

- Non ti lascerò la minima possibilità di poter stare con un altra donna fino a quando tornerai da me.

E mise in atto il suo proposito, con zelo e diligenza.

* * *

La licenza fu splendida.

Con Carla, ci baciavamo, ci cercavamo golosamente, ma non potevo scacciare dalla mia mente il pensiero che mi assillava: "Come sarà?".

Carezze più intime che mai. Sentivo, anzi sentivamo, il desiderio, l'impulso, di fare l'amore. Lei sussurrava di aver pazienza, ci saremmo sposati dopo pochi mesi. Io annuivo con la testa ma in cuor mio volevo e temevo averla subito. E se avessi avuto la dimostrazione che... non mi amava? Se avesse avuto le stesse reazioni di Lenka e di Vittoria?

Se, invece, la cosa fosse accaduta dopo sposati, come avremmo potuto rimediarvi?

Se avessimo subito dei rapporti e non le fosse possibile...?

ULISSE
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