Ca' De Do'

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ULISSE
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Mi domanderai perché mi sono legata a lui. Giusto.

Una storia come tante altre.

Una ragazza vivace, piena di vita, piena di sane, naturali pulsioni, conosce un ragazzo, il suo primo ragazzo, e quando é vicina a lui sente battere il cuore, muovere qualcosa dentro, un gran calore... tra le gambe, un irrefrenabile desiderio di... fare l'amore. Lo fa.

Un disastro. Uno squallore.

Una cosa frettolosa, scomoda, fatta di nascosto. Lo voleva anche lui, ma ho dovuto insistere, prendere l'iniziativa, perché è timido, impacciato. Anche per lui era la prima volta. I racconti delle sue conquiste erano inventati.

Allora, non si era libere come adesso. Se lasciavi un ragazzo era facile che gli altri con te volessero solo divertirsi.

E così l'ho sposato.

Tutte le scuse sono state buone per andare lontano: Libia, Etiopia, Spagna, Albania. E quando era a casa gli ero moglie tanto di rado che quasi mi si faceva la ragnatela tra le gambe.

Scusa la volgarità.

Per lui era un “servizio” obbligatorio. E lo compiva con malavoglia, svogliatezza, indolenza, malagrazia. Dovevo essere io a mettermi su di lui a... pensare a tutto. Mi chiedeva: "Allora, hai fatto?" E se sfilandomi da lui singhiozzavo, si voltava dandomi la schiena, dicendo "ne plakati, nesnosan", "non piangere, insopportabile", e si metteva a ronfare.

Non ho avuto mai il coraggio, forse solo per vigliaccheria, di andare con un altro. Quelle poche gocce di elemosina che ricevevo le facevo bastare. Stringevo il cuscino tra le gambe e tiravo avanti. Ho sempre evitato perfino di guardarli, gli uomini. Fino a qualche giorno fa. Fino a quando tu hai bussato alla mia porta. Quando ti ho visto ho sentito il tumulto del mio grembo. Un vuoto prepotente che non accetta più questa condizione. Ho compreso la mia debolezza, ho sentito l'urgenza violenta dei miei desideri, l'imperioso richiamo della carne, le vertigini per il lungo digiuno.

Pensa pure che sono allupata, che sono una vecchia ridicolmente oscena. Pensalo, ma voglio che tu sappia tutto di me, chi veramente io sia. Cosa sento. Cosa desidero.

Ascoltai in silenzio, mentre parlava con lo sguardo nel vuoto, gli occhi pieni di lacrime, la voce sempre più roca, deglutendo spesso.

La mia mano era sul suo grembo. L'aveva coperta con la sua, stringendola sempre più. Restò silenziosa.

- Devo andar via da questa casa?

Sobbalzò.

- No, no, per favore, non andar via.

Le passai la mano sul volto, sotto i capelli. La baciai sugli occhi. Sapevano del sale delle sue lacrime. Poi sulla bocca. A lungo. Ricordando il suo bacio che mi aveva risvegliato, cercai la sua lingua, golosamente. Rispose con veemenza, con abbandono. In quel momento avevamo la stessa età. Forse ero io il meno giovane. Sedette sulle mie ginocchia, seguitando a baciarmi, a suggermi, a carezzarmi. Allontanò un po' la testa e mi guardò scuotendola. Introdussi una mano nel suo vestito, carezzai il seno, strinsi piano i capezzoli, scesi sul ventre, tra le gambe che si divaricarono leggermente, sentii il caldo tepore del suo sesso pulsante. Allontanò dolcemente la mia mano. Si alzò in piedi.

- No, Giorgio, non chiedo la carità. Non la voglio. Non lo sopporterei. Devi pensarci e a lungo. Potrei sospettare che per te la prima volta va bene con chiunque. Scusa la rudezza, ma non voglio essere la tua nave scuola, anche se so che qualsiasi cosa accadrà sarà per te solo un fugace episodio. Questo lo devi decidere dopo, non prima.

Prese le tazzine ed uscì dalla porta.

Tornai nella mia camera e mi sdraiai sul letto.

Mi addormentai.

* * *

Era quasi buio quando Iela venne a svegliarmi, soffiando leggermente sul mio viso.

- Fra poco si cena, vieni.

Tornò in camera sua attraverso la porta di comunicazione che aveva aperto.

Eravamo in tre. I ragazzi erano con gli amici.

Senza alzare gli occhi dal piatto Katia chiese:

- Perché hai spostato l'armadio, Iela?

- Mi era sembrato che qualcosa si fosse introdotto sotto il feltro. Poi non sono più riuscita a rimetterlo dov'era.

- Ah! Dopo cena vengo io e ti aiuto.

- Lasciamolo così, per questa sera, potremmo fare rumore, svegliare Roberto.

- Ah! Capisco! Si, capisco! Va bene.

Non parlò più fino al termine del pasto. Si alzò per mettere le stoviglie nell'acquaio. Andò alla credenza, da un flacone prese due grosse pillole, come quella che aveva dato a me per farmi dormire.

- Spero che mi facciano effetto: buonanotte. Laku noc!

Deglutì le pillole e se ne andò.

Sentimmo, poco dopo, lo sciacquone del bagno e poi dei rumori provenire dalla sua camera.

Iela mi guardò, chiese:

- Noi hai mangiato molto. Perché?

- Non avevo molto appetito. Adesso vado a letto. Domani dovrò alzarmi molto presto.

Lei sobbalzò, mi guardò spaventata.

- Pattuglia?

Non risposi.

- Pattuglia, vero? Sta attento. I ribelli sono molti e dovunque.

Seguitai a restare in silenzio. Mi alzai e andai nella mia camera. La porta comunicante con Iela era chiusa.

Mi preparai per la notte, entrai nel letto. Presi una rivista che stava sul comodino, cominciai a leggere.

Iela comparve d'improvviso, senza alcun rumore.

- Hai chiuso a chiave la tua porta?

Feci cenno di si.

- Questa la lascio aperta -proseguì- per sentire Roberto, se si sveglia. E così vai in pattuglia e non mi dici niente. Come posso dormire sapendo i pericoli che ti attendono.

Si era avvicinata al letto, la vestaglia aperta sulla camicia trasparente. Il seno proteso, lo scuro del pube attraverso la stoffa.

La sua presenza mi eccitava. Molto.

- Adesso -disse- te ne stai buono, farai tutto quello che ti dirò.

Io ti temo, Giorgio. Temo quello che ho visto. Temo la tua possibile irruenza, anche involontaria. E' facile perdere il controllo, specie quando si è affamati o inesperti. Io ho molto più fame di te, e tu hai di che saziarmi, forse troppo. Ecco, è il troppo che mi fa paura, anche perché, in fondo, non è che la mia esperienza sia tanta.

Vedi, non conosco cibo da un anno, ma devo stare molto attenta perché un boccone così, mai sognato, non mi... soffochi!

Mi comprendi, amore?

Togliti il pigiama e fammi posto. Mi metterò vicina a te. Ci baceremo, ci carezzeremo. Sarò io a guidarti. Ti accoglierò in me quando sarà il momento. Sii dolce, tenero, delicato, paziente. Non farmi male, ti prego.

Lasciò cadere la vestaglia sul tappeto, mise la leggera camicia rosa sul paralume. Restò in piedi, vicino al letto. Si chinò su me, che ero rimasto immobile, incantato, e mi sbottonò la giacca del pigiama, la tolse, la gettò per terra. Andò ai piedi del letto e, lentamente, tirò via i pantaloni. Ero supino, col sesso vigorosamente eretto. Restò a guardarmi, portando le mani al viso.

- Devo riuscirci, Giorgio, o sarebbe la più cocente e dolorosa delusione della mia vita.

Venne vicina a me.

- Non posso attendere, Giorgio. Non voglio baci e carezze. Non resisto, ti voglio subito, adesso.

Ero di fianco, una gamba sulle sue gambe, una mano sul suo seno.

Mi tirò dolcemente su di lei.

Parlava sottovoce.

- Tieniti sollevato sulle braccia. Si, così.

Divaricò le gambe, prese il fallo con le mani e lo poggiò in un punto caldo, morbido, umido. "Soglia dell’Eden", pensai, ed ero naturalmente portato a spingere.

Le sue mani sembravano quasi volermi trattenere.

- Pianissimo... bravo, così... ancora... ancora. Dio, che meraviglia, che sensazione. Si amore, entra... entra nella tua Iela che ti vuole, ti aspetta da sempre... così..., che bello... entra ancora, cerca di entrare tutto... così... fino in fondo... bravo... muoviti piano... bravo...

Sentii il suo bacino venirmi incontro e allontanarsi. Lentamente, poi più celermente. Aveva gli occhi aperti, le pupille scomparse verso l'alto, la bocca dischiusa, un suono fioco sortiva dalle sue labbra.

Incrociò le gambe dietro la mia schiena.

- Amore, amore, mio... mio... docem... docem... eccomi... eccomi...

Si muoveva quasi con furia. Si fermava un istante, vibrando come la corda di un'arpa, portava la mano alla bocca a soffocare il grido che stava per sfuggirle, gorgogliava ancora docem... docem... e riprendeva la sua danza voluttuosa.

- Ti sento, amore, sento quello che non immaginavo poter provare. Sento che sei mio, così... ecco..., tesoro, si..., dissetami...

Mi strinse più forte con le gambe, inarcò la schiena.

Giacqui su lei, ancora in lei. Sentivo il mio sesso pulsare e la sua deliziosa risposta.

Era la mia prima volta.

I nostri respiri si univano. Bocca sulla bocca.

Sussurrai:

- Posso restare così?

- Per sempre, amore, per sempre. Uvijek... Sento tutto il tuo vigore, potente, prepotente, incantevole.

Aveva sciolto le sue gambe, giaceva supina, ansante. Mi poggiai sui gomiti, per guardare quell'espressione che non avrei mai dimenticato, i capelli sparsi, sul cuscino, sul seno.

Mi venne spontaneo muovermi un po'. Una piccola spinta dei reni.

- Giorgio, ancora? Opet?

Senza rispondere, ripresi a spingermi in lei. Lentamente. Come se volessi uscire da lei e rientrarvi immediatamente.

- Giorgio, mi fai impazzire. Sei meravigliosamente instancabile. Sei... Giorgio, ti amo... Sto naufragando di nuovo, in un mare di piacere... voglio suggerti completamente... Giorgio... Giorgio...

E riprese il suo ondeggiare, il suo mugolare, le brevi interruzioni, in un abbandono sempre crescente, fino al fremito del mio insuperabile godimento.

Mi misi su di un fianco, scivolando fuori da lei, mentre le sue unghie quasi si conficcavano nella mia schiena.

Mi prese il volto tra le mani. Restò così.

La carezzavo dolcemente. Imprimevo nella mente le sue forme perfette. Sentivo il suo respiro sul mio petto.

Ricambiò la carezza, indugiò tra le gambe. Fermò la mano.

- Ma Giorgio, per te non è accaduto nulla!

E fu come prima, più bello di prima.

Ricordi un po' confusi, d'una notte di sogno.

* * *

Guardai la sveglia sul comodino. Era ora d'alzarmi. Mi mossi piano, per non destarla. Dormiva abbracciata a me, come una bambina che avesse bisogno di protezione. Dovevo alzarmi. Il bosco e la pattuglia mi attendevano.

Si svegliò lentamente. Si guardò intorno, come se non sapesse dov'era. Mi vide, sorrise. Si strinse a me, con un brivido.

- Devi alzarti?

- Si, devo uscire presto.

- La pattuglia, vero? Vorrei riposare ancora tra le tue braccia. Dopo la tua voluttuosa esuberanza tu me lo devi. Una notte così non si spera neppure sognarla. Ma tu me l'hai fatta vivere, amore. E' stato meraviglioso, e per te?

- Sei bellissima, Iela, non credevo che esistesse ciò che mi hai donato. Di poterlo avere. Grazie...

-Sono io che ti sono immensamente grata, che ti adoro come un idolo, l'idolo incantatore della tua regina. Perché è tua, Giorgio. Non credevo che ti avrebbe potuto accogliere, ma l'amore non conosce ostacoli. Tu hai trasformato una casupola in un castello incantato. Come nelle favole. E il mio castello ha ospitato il suo magnifico e superbo sovrano sette incredibili, lunghe, meravigliose, indimenticabili volte. Ma io ho gioito almeno settanta volte. Sedam banchetti, sedamdèset deliziose portate. Vorrei poterlo urlare al mondo: sono appartenuta a Giorgio! E sono stata la prima donna che ha avuto! Ma anche per me è stata la prima volta. La prima volta che mi sono sentita veramente femmina.

In me v'era solo una pianta avvizzita, rinsecchita, arida, sul punto di morire per sempre. Ora è sbocciata, fiorita, rigogliosa, superba, lussureggiante.

- Iela, non dirmi cattivo, ma...?

Mi saltò addosso, con occhi spalancati e mani artigliate.

- Taci, taci... tu sei l'oceano. Infinito, beskrajnost. Non la goccia, kaplja, che ti lascia più assetata di prima. Il Colosso di Rodi, e lo gnomo. Gorostas i patuljak. Tu sei il mio dio e padrone. Bog i gospodar. Per sempre.

Ero pronto per uscire.

Mi abbracciò come se volesse inghiottirmi nel suo grembo. Gli occhi erano lucidi.

- Torna!

V

Era già scuro. Quasi notte.

Dietro i vetri del balcone si scorgevano due teste, nera e bionda, che sparirono quando entrai nella piazza.

Ero abbastanza stanco. Portavo il moschetto a bracciarm, m'ero tolto l'elmetto e lo tenevo per il sottogola. Gli scarponi non erano molto sporchi ma sui calzettoni era rimasto qualche filo d'erba, di quelli che restano attaccati alla lana.

Iela e Katia erano ad attendermi sul pianerottolo. Quasi mi soffocarono coi loro abbracci, passandomi la mano sul volto, tra i capelli. Mi portarono quasi di peso nella mia camera.

Iela mise elmetto, moschetto e cinturone nell’armadio. Katia si chinò a slacciare gli scarponi e, senza alzare il capo, come se parlasse da sola disse:

- Sappiamo tutto. Le notizie in paese volano più veloci che quelle portate dal tam tam nella giungla. Sono stati uditi degli spari. Tanti. Sembravano non dovessero finire mai. E' stato visto un militare uscire dal bosco col braccio al collo, ma vispo e allegro. Siete stati contati, al rientro. Non manca nessuno. Solo quando ci hanno detto questo siamo rientrate in casa, a ringraziare il Signore.

Adesso bisogna spogliarsi. Il bagno è pronto. C'è tutto.

Mi aveva sfilato scarponi e calzettoni e aveva preparato le pantofole. Restando seduto, avevo tolto giubba, cravatta, camicia.

- Grazie -dissi- adesso posso fare da solo, grazie.

Katia si rivolse alla figlia.

- Iela, assicurati che in bagno sia tutto in ordine.

Iela uscì e Katia la seguì, chiudendo la porta.

Mi spogliai, indossai l'accappatoio e andai nel bagno. La porta della camera di Iela era aperta. L'armadio era stato rimesso al suo posto. Le due donne erano in cucina.

Chiusi la porta.

Tornato in camera, trovai sul letto biancheria e vestaglia. Mi asciugai bene e indossai quanto avevano preparato. Iela bussò, aprì piano, si affacciò sull'uscio. Parlava sottovoce.

- Siamo tutti a tavola, ti vogliamo salutare, ti aspettiamo. Vieni così, non star a cambiarti.

Entrai in cucina. Stano e Mario si alzarono, mi vennero incontro e mi strinsero vigorosamente la mano.

Li guardai divertito.

- Ehi, ragazzi, ma io ero qui anche ieri sera, eravate voi a non esserci.

- Si -rispose Mario - ma le voci che giravano sulla presenza d’armati nel bosco non erano rassicuranti.

Stano cercò di sdrammatizzare.

- La verità è che non volevamo cambiare inquilino così presto, anche perché tu ci piaci. Vero, donne?

Katia intervenne con decisione.

- Si, e la cena si fredda.

Sedemmo ai soliti posti. Stano alzò la bottiglia del vino e si accinse a riempire i bicchieri.

- Prima di tutto un brindisi.

- Nel mio bicchiere c'è l'acqua -disse Iela- ma non fa niente, berrò in quello di Giorgio.

Katia si alzò e andò a prenderle un altro bicchiere.

Stano si levò in piedi per il brindisi che aveva proposto. Ci fu un tintinnare di vetri. Iela non bevve, attese che io bevessi e quando sedemmo di nuovo cambiò il suo bicchiere col mio guardando la madre con un'espressione dura, di sfida.

Si cenò allegramente. Si parlò di tante cose. Nessun accenno alla pattuglia. Alla fine prendemmo anche una tazzina di caffè.

Come il solito, i ragazzi uscirono. Katia cominciò a mettere un po' d'ordine. Iela restò seduta di fronte a me, coi gomiti sul tavolo. Muovendo appena le labbra sussurrò:

- Non chiudere il balcone con la maniglia.

Si alzò e si mise ad aiutare la madre.

- Domani uscirò più tardi -dissi- grazie per l'ottima cena e scusatemi se vado subito a riposare.

- Laku noc.

Rispose Katia.

Iela non disse nulla.

Tornato in camera, chiusi bene le ante del balcone e mi assicurai che non potessero aprirsi e che gli scuri fossero al loro posto. Mi spogliai, indossai il pigiama, scoprii il letto. Lenzuola di bucato, profumate. Accesi il lume sul comodino, spensi la luce centrale. Mi misi a letto. Iniziai a leggere il giornale. Dopo poco mi alzai, andai al balcone, girai la maniglia, lo schiusi. Tornai a letto e ripresi a leggere.

Credo che mi addormentai subito, di colpo, pesantemente, forse russando.

Non avevo udito alcun rumore, né m'ero accorto di essermi voltato su un fianco, con la schiena al muro. I capelli mi solleticavano il viso. Ma com’era possibile? Sono così corti. Nel mettermi supino mi accorsi che il letto era molto stretto.

Mi riassopii. Solo per qualche istante. I capelli mi erano sempre sul viso e qualcosa premeva sulla parte destra del mio petto. Allungai la mano. Era calda, tenera e soda nel contempo, vellutata, viva. L'altra mia mano era lungo il fianco, aperta, col palmo verso l'alto, e le dita affondavano in una matassa morbida e tiepida. Sulla mia gamba un'altra gamba. Il mio sesso era accolto in una deliziosa e lieve stretta che cedeva a mano a mano che ne sentiva l'eccitazione che andava sapientemente provocando.

Iela aveva la bocca vicino al mio orecchio.

- Ti ho svegliato, amore, non volevo. Scusami. Ma non ho saputo resistere al desiderio di carezzarti. Scusami. Sei stanco dopo la difficile giornata che hai vissuto. Ma ora ti lascio dormire. Resto accanto a te senza muovermi, buona buona.

Ero nudo! Senza farmi accorgere di nulla mi aveva tolto il pigiama! Anche lei era completamente nuda, coi capelli lunghi sul mio viso. La mia destra affondata tra le sue gambe. Poggiata sul gomito mi guardava al fioco chiarore del lume che aveva di nuovo velato con la camicia da notte. Si chinò e sfiorò la mia bocca con le sue labbra.

- Dormi tesoro, dormi.

Seguitava a carezzarmi, a strofinarsi sulla mia mano. Tornò a baciarmi, insistentemente, passandomi la lingua tra le labbra. Si spostò. Il seno sul mio petto, la sua gamba sulle mie. Sentivo il premere del suo pube.

- Dormi, tesoro, dormi.

Lo ripeteva come una cantilena.

Mi tirò lentamente verso di sé, facendomi allontanare dal muro. S’inginocchiò su di me, con le gambe aperte. Il busto eretto, i seni protesi. Si mise il mio sesso eretto tra le gambe, lo tenne fermo, e incominciò ad accoglierlo lentamente. La testa lievemente rovesciata indietro.

- Lo voglio tutto... tutto...

Spinse in avanti il bacino, cercando di introdurlo il più possibile.

Aveva iniziato ad ondeggiare dolcemente. Aveva divaricato al massimo le cosce, arcuata la schiena poggiandosi, dietro, sulle mani aperte, e aveva proteso il pube. Sentivo, in lei, il suo palpitare, il suo sussultare, il suo volermi suggere fino all'ultima goccia.

Mi guardò estatica. Si spostò in avanti. Con la mano portò un capezzolo alle mia bocca e quando lo accolsi tra le labbra, stringendolo dolcemente, sentii che il suo grembo mi avvolgeva con maggior vigore. Era una lunga cavalcata d'amore verso più oasi di voluttà. Sempre più veloce.

- Adesso, amore... adesso... con me...

Era quasi un gorgogliare confuso, soffocato, che finiva in un roco suono inarticolato.

- Adesso, amore... o sì, grazie... è meraviglioso...

E si gettò su di me, esausta, ripetendo:

- Dormi, amore, dormi.

Ma volle fare ancora l'amore, e ancora, prima di voltarsi e accucciarsi sulle mie ginocchia, stringendo una mia mano sul seno e l'altra tra le gambe. Voltando il capo per un bacio mi guardò trasognata.

- Sei indistruttibile amore. Ti sento ancora. Tanto. Entra in me e fammi dormire così.

Restammo come lei voleva, fino a quando Roberto non la fece fuggire, seminuda, con la vestaglia sul braccio, attraverso i balconi socchiusi delle nostre camere.

* * *

Ormai temevo -si, lo temevo- che le cose sarebbero andate avanti, più o meno, sempre così.

Non proprio così, speravo, perché non era possibile vivere in tale modo: lavoro, pattuglie, sesso che, per quanto delizioso e incantevole, era preteso e fatto in modo ossessivo, possessivo, esclusivo, frenetico.

Iela era bella, attraente, appassionata. Anche troppo. Ma non era possibile dedicare ogni istante del tempo libero al... letto.

Per qualcuno era tutto. Per me era molto, moltissimo, ma non poteva "essere tutto".

Sì, avevo scoperto il sesso, meraviglioso al di là d’ogni immaginazione, d’ogni attesa, ma non volevo divenirne schiavo, come un drogato che non può vivere senza. La mia gioventù esigeva la soddisfazione dei sensi, specie ora che n’aveva conosciuto il prelibato cibo che la saziava e n’aveva goduto le delizie. Ma dovevo evitare l'indigestione.

ULISSE
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