Shangri La

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Si staccò a fatica. "Mario" -sussurrò ansante- "lo sai che per me é la prima volta..."

Avevano bussato alla porta: i bagagli e la cameriera.

"Bene" -disse Mario, quasi disinvolto- "mentre lei mette in ordine noi saremo al bar. Torneremo tra mezz'ora."

Luisa tolse la spilla dall'astuccio e la sistemò sul risvolto dell'abito.

Nella penombra del bar, sedettero in un angolo. Luisa gli sorrise. "Sai" -disse- "non ho mangiato nulla e ho bevuto una sola coppa di champagne, ma non ho appetito."

"Anche per me é la stessa cosa," -osservò Mario- "ma ci rifaremo. Ora, intanto, brinderemo a noi due."

Si rivolse al cameriere: "Due coppe di champagne e, per favore, faccia venire qualcuno del ristorante."

"Ancora champagne, Mario, a digiuno, potrebbe farmi male."

"Al massimo ti renderà un po' più allegra..."

"Ma più allegra di così, Mario, non posso..."

Il cameriere aveva portato le due coppe e il Maitre era comparso silenziosamente.

"Vorremo cenare nella nostra suite" -disse Mario- "qualcosa di leggero. Direi, 'vol-au-vent', filetti di sogliola al burro, fragoline 'nature'."

Il Maitre chinò la testa. "Perfetto, signore. Vuole la lista dei vini?"

"Si, grazie."

Scelse dell'ottimo champagne d'annata.

"Ottima scelta, signore, fra quanto farò servire?"

"Faccia apparecchiare tra un'ora. Al resto penseremo noi."

Ancora un lieve cenno d'inchino e via.

Mario si rivolse alla moglie.

"Adesso, signora Benetti, ci cambiamo per la cena e mettiamo termine al nostro digiuno. Poi, se vuoi," -seguitò sorridendo e calcando le parole- "potremo... vedere la televisione centellinando lo champagne."

Luisa l'interruppe mettendogli la mano sulle labbra, lo guardò intensamente, le narici leggermente frementi.

"Poi terminerà il mio digiuno, e... potrai chiamarmi 'signora Benetti'."

Fecero il giro della hall e delle gallerie, guardando i gioielli esposti nelle vetrine, presero l'ascensore, tornarono nell'appartamento.

Era tutto in ordine. Sul letto la vaporosa camicia da notte di Luisa e il pigiama di Mario. Sulle poltroncine, le vestaglie.

"Faccio la doccia prima io?" Chiese Mario.

"Si, meglio, io sono più lenta."

"Senti, Luisa, che ne dici se invece di indossare austeri e tradizionali abiti, per la cena, ci mettiamo in vestaglia? E' poco elegante, certo, ma molto più comodo."

"D'accordo."

Mario prese pigiama, pantofole e vestaglia e andò nel bagno.

Luisa s'accostò al letto, sollevò la camicia da notte e la carezzò. Col volto ne sentì la morbidezza, la baciò. Sedette sulla piccola poltrona, ai piedi del letto, liberò le calze dai fermagli, le sfilò lentamente, si alzò e slacciò il reggicalze, lo fece cadere sul tappeto. Infilò le pantofole, raccolse il reggicalze ed entrò nello spogliatoio, dov'erano appesi i vestiti tolti dal bagaglio. Levò la spilla dal risvolto dell'abito, tornò vicino al comodino e la ripose nell'astuccio. Continuò a svestirsi, indossò la vestaglia su reggiseno e slip, portò gli abiti nello spogliatoio. Andò a sedere di fronte al televisore. Lo accese col telecomando. Una lunga fila di carri procedeva lentamente verso l'Eldorado. Nel volto della gente c'era ansia, speranza, attesa, desiderio di scacciare il dubbio della delusione. Nelle loro menti tornava il ricordo dei racconti di chi aveva già percorso quel cammino. Ognuno la sua storia. Una storia per ognuno. Per qualcuno l'oro. Per tanti solo arida sabbia.

* * *

Mario raccontava a Marta qualcosa del loro viaggio, senza indugiare in particolari.

Il giorno successivo lo trascorsero goliardicamente in città. Poi il volo per Catania, Taormina, lo splendido appartamento sul mare, l'Etna alle spalle, le piccole scaglie luminescenti della spiaggia di Mazarò. Il giro in elicottero sull'Etna, gli scogli dei Ciclopi, i papiri di Siracusa, le latomie, l'orecchio di Dioniso, Archimede...

Parlava sottovoce, con gli occhi bassi, come se rivedesse i luoghi, rivivesse gli avvenimenti.

Marta, poggiata la schiena alla spalliera del lettino e distese le gambe, ascoltava attentamente.

Mario, con naturalezza, quasi distrattamente, allungò la mano verso la caviglia della donna, le sfiorò la gamba. Fino al ginocchio. Poi tornò indietro. Sentì il polpaccio irrigidirsi. Oltrepassò, piano, il ginocchio. Ora era il palmo della mano a carezzare la coscia, le dita stringevano ritmicamente tentando di ammorbidire la tensione che percepivano.

Marta era immobile, le mascelle serrate, le mani avvinghiate alle sponde del lettino. Stava accadendo qualcosa di sconvolgente. O era la sua fantasia ad attribuire particolare significato a gesti spontanei e ingenui? Soprattutto la turbava profondamente quello che lei provava. Era come nei sogni d'un tempo, nei quali si sentiva carezzata così, con dolcezza, e dai quali si svegliava eccitata, smarrita nel desiderio voluttuoso di realizzarli.

Poi la realtà di Amedeo, per cui aveva giurato a sé stessa che non avrebbe mai più permesso a un uomo di sfiorarla, per nessuna ragione.

Adesso, il buio del quale s'era circondata, s'era improvvisamente squarciato. Un bagliore l'aveva folgorata: una luce che credeva spenta per sempre. Tornava il sogno dell'adolescenza. Ma non era un sogno, era realtà, eccitante ma torbida, perché quelle sensazioni gliele procurava il marito di sua figlia. O un maschio? Comunque, doveva farlo smettere, subito. Ma cosa pensava la sua mente contorta, che vi fosse della malizia in Mario?

O, Dio, la mano s'era fermata.

Si sorprese a muoversi, inavvertitamente. Gli andava incontro, lo sollecitava. Sentì imperiosa la necessità di carezze più intime. Avrebbe voluto allargare le gambe, strappare il reggiseno, sentire i capezzoli stretti tra quelle splendide labbra.

Le dita ripresero a salire con lentezza esasperante.

"Ah, siete lì?"

Luisa era apparsa dall'altro lato della piscina.

Marta balzò a sedere sul lettino.

Mario rimase immobile, voltò appena la testa verso la moglie.

"Si" -disse- "stavo raccontando a tua madre il nostro viaggio di nozze, per dissipare quello che per lei era un mistero."

"Spero che le avrai risparmiato... qualche dettaglio..."

"Stia sicura, signora Benetti, dicevo il motivo per cui eravamo tornati prima del previsto: il piacere di stare a casa senza far niente."

"Vado a mettermi in costume per una nuotata. Mi accompagni, Mario?"

Il giovane strinse il cordone dell'accappatoio e raggiunse la moglie che s'era avviata verso la villa. Salirono insieme le scale, entrarono nella loro ampia e luminosa camera.

Luisa si spogliò in un attimo, andò verso l'attaccapanni dov'era il costume da bagno.

"Luisa"

Chiamò il marito, nudo sul letto, col sesso eretto, paonazzo.

Luisa lo guardò, golosa. A lei piaceva da morire, fin dalla prima volta, non se ne sarebbe staccata mai. Mario era stato delicatamente delizioso, l'aveva baciata, carezzata, fin quando lei sentì l'imperiosa urgenza di riceverlo in sé. Un breve istante d'inavvertito dolore, ampiamente compesato dall'infinito piacere che l'aveva fatta precipitare nel nulla. Ed ogni volta era così. Anche allora.

Giacquero pienamente soddisfatti. Era stato bellissimo, Mario s'era mostrato particolarmente appassionato. Più della prima volta.

"Gea, e la nuotata?" Le chiese mentre le baciava il seno.

L'aveva chiamata Gea dalla prima notte.

"Sei tu la Dea Terra" -le aveva detto- "sei tu che accogli il seme e lo fai germogliare."

Quello che Mario non sapeva é che Gea prendeva regolarmente la pillola.

Prima di mettere al mondo un figlio, pensava Luisa, bisogna essere ben sicuri che tutto funziona bene. Un fidanzamento, specie se 'bianco' come il loro, non é sufficiente per stabilire come sarebbe stata la vita insieme. Solo dopo aver superato il 'periodo di prova' il 'programma famiglia' sarebbe passato alla fase operativa.

Nella testolina di Gea era tutto organizzato minuziosamente. Non perdeva mai il controllo della situazione. Questo non le riusciva, però, quando lo sentiva entrare in lei, quando il seme della vita irrompeva nel solco della Dea Terra.

Decisero di fare la doccia insieme.

Lui le insaponò la schiena, il seno. Scese nella 'seteria', come la chiamava, e v'indugiò sapientemente.

"Come sta?" Chiese.

"Dopo il pasto ha più fame che pria" -gli rispose portando la sua manina tra le gambe di lui- "ma sento che non sono la sola a non essere sazia."Un piccolo balzo, incrociò le gambe intorno ai fianchi di lui. Con una mano si sorresse al collo di Mario, con l'altra aiutò a farsi penetrare. Ancora

IV

Desidero il maschio. E' così.

Mario ha improvvisamente rimosso il blocco che m'imprigionava.

Amedeo aveva violato la mia sessualità, sconvolto le mie attese, creato in me il terrore che m'assaliva al solo pensiero di intimità con un uomo.

Avevo sempre creduto che il maschio avrebbe avuto con me un rapporto d'amore e non dipendente dalla sua forza o dal suo diritto. Lui, Amedeo, era di tutt'altro avviso, ma non potevo immaginarlo. Da fidanzato non aveva mai fatto avances, anche se il suo modo di agire non era privo di volgarità. Mi dava qualche bacetto, di sfuggita, poi, nell'andar via, col dorso della mano mi dava una leggera pacca tra le gambe e, 'conservala bene', mi diceva ammiccando.

Dopo la cerimonia, aveva appena salutato gli amici.

"Viaggio di nozze?" -rispondeva- "Ma lo faccio in camera da letto, io, in camera da letto."

Fece fermare l'auto all'ingresso della villa.

"Vedi" - mi disse- "c'é scritto 'Villa Marta', cioè che la villa é mia perché tu, Marta, adesso sei mia."

Appena entrati in camera, mi riversò sul letto, alzò la gonna, mi strappò le mutandine si sbottonò i pantaloni e premette violentemente per entrare in me. Il mio bacino, la mia vagina, erano contratti. Urlavo. E lui spingeva, imprecava, bestemmiava.

"Apri, bagascia" -gridava roco- "apri, non fare la troia."

Credevo d'impazzire. Mi schiaffeggiò con violenza, riuscì a entrare, come una furia. Uno stantuffo infuocato che distruggeva tutto al suo passare, un torrente di lava incandescente.

Quando ebbe finito, si tirò su e lasciò cadere per terra i pantaloni.

"Vatti a lavare" -urlò- "e torna presto, nuda. Ti voglio nuda, senza niente addosso. Ti devo far sentire il seguito dell'assolo di tromba. Vedrai, ora fai la schizzinosa ma poi mi pregherai di trombarti, con la gnocca che ti gocciola di desiderio. Va, fa presto."

E fu sempre così brutale.

Il medico disse che poteva trattarsi di frigidità derivante dalla mia invidia per il pene. Non accettavo il maschio, secondo lui, perché avrei voluto io stessa essere un maschio e penetrare negli altri.

Ho cercato di credergli, ma non vi sono mai riuscita.

Era vero, però, che al solo pensiero che un uomo potesse sfiorarmi, sentivo come se una mano mi tormentasse il grembo, m'irrigidivo.

Tutto inutile, di fronte ai ceffoni di Amedeo.

Dopo la sua morte, a mala pena ho sopportato la vicinanza d'un uomo, la sua stretta di mano, fredda o cordiale che fosse, il baciamano,

A ben pensarci, Mario non mi ha mai provocato reazioni spiacevoli. Ho ballato con lui, mi ha preso sottobraccio, ci siamo baciati sulle guance, nel salutarci. Era il marito di mia figlia. Era naturale.

Ma é anche naturale quello che la sua mano mi ha fatto provare? E la dolorosa contrazione per l'improvviso cessare di quella carezza, all'apparire di Luisa?

Ero in preda a una sensazione nuova, mai provata: non il timore di essere invasa, ma lo sgomento di restare vuota.

Avrei voluto che quella mano avesse percorso ogni centimetro della mia pelle, e non solo quello.

Sì, erano istinti naturali, pulsioni fisiologiche, normali, ma la morale corrente non mi consentiva di appagarli in tal modo.

Se era 'naturale', allora, significava che tutto ciò era sempre esistito in me, che non lo aveva provocato 'lui', ma solo risvegliato, scongelato, tolto dal freezer. Questo, quindi, l'avrebbe potuto fare chiunque altro.

Dovevo concludere che si trattava del 'desiderio di un maschio' per soddisfare le mie risorte necessità fisiologiche? La cosa migliore, di conseguenza, era di provvedervi senza coinvolgimenti sentimentali.

Se hai fame, vai a mangiare. E cosa cerchi? Cibo buono, locale pulito, servizio confortevole. Non ci metti di mezzo, certo, il cuore. Quindi, bagnino, giardiniere, o altro giovane di sana e robusta costituzione sarebbe stato atto alla bisogna, purché non puzzasse e sapesse usare bene... l'attrezzo. No problema.

Il bagnino, aitante, giovane, bello e gentile, era a due passi

Marta lo guardò, ma ebbe un brivido di repulsione pensando di 'andare a letto' con lui. Gli disse di avvicinarsi. Lo ringraziò per come aveva sistemato il capanno degli attrezzi, addirittura gli tese la mano, gliela strinse con molta cordialità, la trattenne un po' nella sua, ringraziandolo ancora. Non sentiva più la nausea che avrebbe provato in precedenza. Tutto qui.

Rientrando, si soffermò a guardare il giardiniere, il robusto ragazzo che aiutava a pulire la piscina. Nulla. Non si sarebbe sfamata con loro.

* * *

Mario le andò incontro sorridendo. Le prese entrambe le mani e, tenendola un po' discosta la guardò con insistenza, con qualcosa che non gli aveva mai visto negli occhi.

"Sei stupenda" -disse- "una visione che incanta."

E la baciò sulle guance, vicino agli angoli della bocca, più a lungo del solito. Lei rabbrividì di piacere, avrebbe voluto lambire quelle labbra che la sfioravano, provocanti.

Dunque era proprio vero, disgelo dei sensi, violento risveglio, ma decisamente e violentemente orientato.

La prese sottobraccio, e la condusse verso il divano di vimini, sotto il porticato. La stringeva a sé, sfiorandole il seno con le dita aperte.

Sedettero vicini.

"Ho fatto l'amore con Luisa" -disse con naturalezza, fissandola- "ma tra le mie braccia c'eri tu."

Lei lo guardò, sgomenta, sperduta, ma pur invasa da un'ansiosa felicità che non aveva mai conosciuto.

Mario proseguì, implacabile, impietoso.

"Si, c'eri tu, ma non é la stessa cosa, perché quello che puoi darmi tu é unico. Lo sai bene. Ti voglio, Marta. Vorrei averti qui, subito, in questo momento. Farei tutto per averti. Farò di tutto."

Lei si sentì invadere da un tremore irrefrenabile. Non erano state ingenue carezze occasionali, ma un messaggio, chiaro e forte, con la certezza che sarebbe stato compreso, con la presunzione che sarebbe stato accettato. E un messaggio era stato anche il balcone che, ieri, lui aveva lasciato aperto. Per farsi vedere nudo, sul letto, con Luisa..

L'aveva visto, infatti, nella frenetica danza che l'aveva ubriacata, eccitata.

Il medico le aveva detto: "Il sesso é strano, può perfino sembrarti una cosa sporca, ma più spesso ti avvince e domina come e peggio d'una droga, e ti svincola da qualsiasi inibizione alla ricerca del piacere, della voluttà."

Osservando Mario e Luisa dimenarsi avvinghiati, si sentiva invasa dal furente desiderio di fare l'amore, dal bisogno irrefrenabile d'un maschio. Poi, più tardi, aveva compreso che non era proprio così. Non voleva un uomo, ma quell'uomo. Era decisa a tutto per averlo, non c'erano ostacoli che la spaventavano.

Ripeteva mentalmente le parole di Mario. Non se le aspettava. Temeva di aver frainteso, di aver udito quello che lei voleva sentire, e non quello che era stato effettivamente detto. Il pallore aveva ingrigito la sua abbronzatura.

"Mario" -e la voce era roca, insicura- " non prenderti giuoco di me, non credo di meritarlo. Non puoi parlarmi così... e poi ridere di me coi tuoi amici, forse anche con Luisa. Io credo..."

Non la lasciò terminare.

"Marta, lascio Luisa e andiamo via insieme, lontano, senza tornare mai più in questi luoghi. Lo sai anche tu che sei tu la mia 'donna' e sono io il tuo 'uomo'. E' così. Siamo solamente un uomo e una donna. Io voglio solamente te. E' strano e non dovrei dirtelo, perché può sembrare una contraddizione, ma non sento che quanto sta accadendomi mi allontana da Luisa. mi sembra di poter vivere una delle antiche leggende, un racconto d'oriente: ...divisero lo stesso pane, la stessa acqua, la stessa tenda, lo stesso giaciglio. Felicemente, in serena pace e amore. I figli, e i figli dei loro figli, benedissero sempre le loro radici, lodando e ringraziando il Signore clemente e misericordioso..."

"Adesso fammi andare" -disse lei, alzandosi- "non riesco a capire nulla."

Entrò in casa.

Mario andò a tuffarsi nella piscina. Nuotò furiosamente, a lungo, fino a quando Luisa, in camicia da notte e con gli occhi ancora pieni di sonno, lo chiamò dal balcone.

"Mario, é tardi. Io mi sono riaddormentata, dopo. Aspettami, che vengo giù a fare qualche vasca."

* * *

Marta decise di tornare a casa. Disse che doveva partecipare a delle riunioni alle quali non poteva assolutamente mancare. Sarebbe partita nel pomeriggio, ma contava di essere di nuovo al Forte dopo un paio di giorni.

"Domani devo essere in sede anch'io" -disse Mario- "partiamo insieme domattina molto presto."

"Devo essere a casa questa sera" -rispose Marta- "per consultare i documenti, altrimenti domani, in consiglio, non saprei cosa dire."

Luisa ci pensò un po', perché le dispiaceva passare la notte senza il marito, ma poi intervenne: "Mario, perché non vai insieme alla mamma, oggi, invece d'una alzataccia domani? Potrai fare un bel sonno, questa notte, senza me... e ti farà bene."

"Se per Marta non é un disturbo viaggiare con me, sono d'accordo. A che ora si parte?" Chiese il giovane.

"Subito dopo il caffè," -disse Marta- "ed ho apprezzato molto la tua... finezza, Mario. Temi di disturbare tua suocera, viaggiando con lei. In effetti é un modo gentile per farmi capire che, se possibile, tu con me non viaggeresti, ma quella guastafeste di Luisa ti ha messo nei guai. Se ti fa piacere posso anche dirti che... é un disturbo, ma lo sopporto molto volentieri perché sarai tu a guidare. Ines sarà in ferie fino a lunedì. Si parte dopo il caffè, d'accordo?"

Mario s'alzò e fece un profondo inchino: "Si, badrona, dobo cafè, sghiavo negro brondo."

"Dopo aver visto Drum, il Mandingo, io mi guarderei dagli schiavi neri." Disse ridendo Luisa.

"Forse sono gli schiavi a doversi guardare dalle padrone." Osservò Marta.

* * *

Uscirono lentamente dalla villa, imboccando la strada, semideserta a quell'ora.

Mario guidava lentamente.

Marta indossava una gonna ampia, molto leggera, stretta in vita da una fascia piuttosto alta, e una camiciola color pesca, con una vertiginosa scollatura che aveva strappato un fischio d'ammirazione a Luisa.

"Certo che così, mamma, povero Drum."

Imboccarono l'autostrada al casello della Versilia.

"Vuoi che corra?" Chiese Mario.

"Come ritieni opportuno." Rispose la donna.

"Opportuno?"

Lui annuì con la testa.

"Va bene il climatizzatore o hai freddo?"

"Non sono fredda."

"Devo controllare..." e le mise una mano sulla coscia, sentendo il tepore della carne attraverso la stoffa.

"Controllo, certo, ma dell'auto, se vogliamo arrivare a casa sani e salvi." Disse lei, senza muoversi.

La mano sparì sotto la gonna. Lei si sistemò meglio nel comodo sedile. Tirò un po' avanti il bacino.

Le dita, alla ricerca di qualcosa, non trovarono ostacolo, furono accolte da una massa di riccioli morbidi e setosi che si schiusero accoglienti.

Mario si voltò di scatto, interrogandola con lo sguardo, ma la donna, col capo sul poggiatesta, gli occhi chiusi, respirava affannosamente. La camicetta, semiaperta, mostrava il seno, nudo, palpitante.

La carezza voluttuosa divenne insistente. Lei vibrava come un'arpa, e con la mano frugò tra le gambe di lui, strinse forte. Di colpo s'abbandonò completamente, come svenuta, seguitando, però, a carezzarlo. Era la prima volta che aveva desiderato toccare il sesso maschile. Avrebbe voluto baciarlo, lambirlo, mangiarlo, ingoiarlo, per farne carne della sua carne.

"Marta" -le sussurrò- "é la più bella risposta che potevi darmi, la promessa che non osavo sperare. Sto per diventare l'uomo più felice del creato."