L'Arrampicatore

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L'atterraggio dell'aereo era previsto tra dieci minuti. E fu in perfetto orario. L'ingegner Kovac scese, elegante e ineccepibile, con i neri capelli perfettamente in ordine, la persona eretta, sorridente. Tacchi sui quattro centimetri, tailleur inappuntabile. Non era molto alta, ma tutto era deliziosamente proporzionato. Gli occhi splendevano come sempre, con riflessi metallici iridescenti, purissime pietre di profondo azzurro.

Quanti anni aveva più di me? Quindici, dieci. A vederla così sembrava appena uscita dal più esperto dei visagisti, dopo un tonico bagno ristoratore. Quanti anni? Scossi la testa. Era inutile indagare. Sembrava appena entrata nel rigoglio della maturità. Una quarantenne, al massimo. Ma sapevo che li aveva superati da molto. Forse, i quarant'anni li aveva quando ero stato assunto, dopo un lungo colloquio con lei, quindici anni prima.

Mi tese la mano, affabile, resisté un po' prima di lasciare che prendessi la sua borsa piena di documenti. Ci avviammo verso l'auto. Sorrise a chi la salutava con lievi cenni del capo. Le assicurai che il suo bagaglio l'avrebbe raggiunta immediatamente in albergo. Filammo via rapidamente, entrammo in garage e da lì, in ascensore, l'accompagnai alla sua suite.

"Venga da me tra mezz'ora, per favore. Bene?"

"Certamente."

Le consegnai la borsa. Un lieve inchino. Attesi che entrasse nel suo alloggio. Il bagaglio stata giungendo.

Bussai delicatamente alla porta. La sua voce, calda, gioviale, m'invitò a entrare.

"Venga, Piero!"

Era la prima volta, mi sembra, che mi chiamava per nome e non usando il mio cognome, facendolo precedere dal titolo accademico.

Era seduta nel salotto-studio della suite, su un divano color turchese. Il basso tavolino era ingombro di carte. Di fronte, due poltrone dello stesso colore.

Tolse gli occhiali, depose sul tavolo il documento che stava leggendo, mi tese la mano. Notai che s'era cambiata, indossava uno chemisier semplice ed elegante.

"Non le dispiace se la chiamo Piero?"

"Tutt'altro. Grazie."

"A me piace molto essere informale, ma spesso sono costretta, invece, ad assumere una esteriorità che non mi è congeniale. Sono di origine ungherese, come sa, e noi siamo gente cordiale, a volte chiassosa. Basta ricordare la nostra danza popolare più nota, la czarda. Si ballava nelle osterie. Czarda, infatti, significa proprio osteria."

"Un paese splendido, il suo."

"Lo conosce?"

"Ho avuto occasione di andarvi alcune volte, e ne sono rimasto incantato. Paesaggio ammaliante, popolo ospitale e caloroso, cucina eccellente, vini inebrianti..."

Sorrise.

"Mi sta facendo insuperbire..."

"Ne ha ben ragione."

"Noi ugro-finnici, asiatici, siamo orgogliosi delle nostre radici. Abbiamo sempre vivo il concetto tribale. Scusi, sto divagando..."

"L'ascolto con molto interesse, anche perché mi consente di apprezzare un affascinante lato della sua personalità che non conosco, e non potevo conoscere."

"E' vero. Lavoriamo per anni insieme, ma i nostri rapporti rimangono purtroppo nei limiti di stereotipi convenzionali. Non è solo il tempo che ci manca, e che ognuno teme di lasciarsi andare, di mettere a nudo le proprie debolezze. Per questo assumiamo troppo spesso la corazza dei 'duri'."

"Ha perfettamente ragione, ma non crede che faccia parte del ruolo di ciascuno?"

Mi guardò intensamente.

"Per me il problema è proprio l'equivoco dei 'ruoli'. Perché ognuno di noi, a volte, crede di dover rispettare un 'ruolo', uno e uno solo, e dimentica che, invece, ogni situazione richiede il suo ruolo. Lavoro, società, famiglia, affetti, passioni... sono momenti diversi di una stessa vita che richiedono atteggiamenti differenti."

"Non per adulazione, ma sono pienamente d'accordo con lei. Non è facile, però saper cambiare atteggiamento a seconda della circostanza."

"Forse è meno complicato di quanto si immagina, se si è capaci di non trascinare lo 'status' richiesto da una situazione in altri contesti."

"Mi sembra di comprendere."

"Non voglio tediarla con queste elucubrazioni. Desidero chiederle se gradisce di cenare con me. In tal caso non modifico quanto ho detto al Maitre. Una cosa abbastanza leggera: filetti di pesce in bianco, con patate al vapore, molta frutta, un gelato, vino bianco. Ungherese, of course..."

Sorrise.

"Per me va benissimo."

"Allora, mi dica qualcosa che possa essermi utile per l'incontro di domani col ministro del petrolio."

Aprii la borsa e ne estrassi una cartella con alcuni fogli.

"Venga a sedere vicino a me. Potremo leggere insieme."

Che profumo delizioso.

La sua testa era vicinissima alla mia, i capelli mi sfioravano il volto. Sentivo il tepore del suo corpo. Non m'era capitato di considerare il compassato ingegner Kovac come femmina. E lo era, fortemente. Sbirciavo nella sua scollatura, chiedendomi se indossasse o meno il reggipetto. Credo che alla sua età dovesse portarlo. Chissà se aveva le tette 'appese'. Forse no, dava la sensazione d'essere ben soda. E poi, non era una tettona. Scesi alle gambe che venivano fuori dallo chemisier. Snelle, ben tornite. M'ero avvicinato a lei, con avvedutezza, pronto ad allontanarmi ad ogni suo piccolo cenno. Le cosce si toccavano. Rimase a lungo a leggere la stessa pagina, troppo a lungo. Girò il foglio e posò la mano sulla gamba, sfiorando la mia con le dita. Ma tu guarda se dovevo eccitarmi proprio col mio vicepresidente! Con una donna bella ma non certo giovanissima, e con le bellissime ragazze che attendevano solo un cenno per venire a scaldare il mio letto in cambio di pochi dirham. Se le cose andavano avanti così, sarei certamente sceso al bar, dopo la cena, e ne avrei rimorchiata qualcuna, per farmi passare la smania che m'aveva preso. Aveva dei bei lineamenti, Marika, occhi meravigliosi, labbra attraenti. Chiuse l'incartamento, si volse appena verso me, col ginocchio che premeva fortemente sul mio. Tolse gli occhiali.

"Ottimo lavoro, Piero. Complimenti. Ci sono tutti gli elementi per insistere nel nostro punto di vista. Anche se l'incontro col ministro è del tutto riservato e non ufficiale, gli chiederò di consentire che anche lei vi partecipi. Mi saranno di prezioso aiuto le sue osservazioni, e nello stesso tempo io potrò concentrarmi di più su quello che dovrò dire, senza preoccuparmi dell'espressione del ministro e del suo assistente."

Guardò l'orologio.

"Credo che stiano per portare la cena. Non le ho detto che ho chiesto di servirla in camera. Non le dispiace, vero?"

"Tutt'altro. Così non ci allontaneremo dalle scartoffie."

"No, caro Piero, queste le lasciamo. Adesso cerchiamo di assumere un ruolo salottiero, magari con qualche pettegolezzo. Non dimentichi che sono sempre una donna."

"Lo è splendidamente."

Mi prese le mani, sorridendo.

"Lei è piacevolmente amabile, ma i miei anni li ho tutti..."

"Non vorrei apparire un adulatore, ma le assicuro che il suo fascino è veramente ammaliante, irresistibile."

"Non dica cose del genere, Piero. Un giovane come lei che parla a me di 'fascino', di irresistibilità'. Di che altro?"

"Di sex-appeal!"

Sorrise divertita.

"Che caro. Come sa deliziosamente prendere in giro una tardona. Del resto le ho proposto io di essere salottiero. Bravo."

"M'accorgo che sto forse abusando della confidenza che lei mi concede, ma le assicuro che non ho detto nulla più di quello che penso. Che sono serio come non mai. Sincero."

"Ragazzo, non mi lusinghi. Anche io ho le mie debolezze, pur non essendo più giovane. Sa che lei mi sta causando una certa inquietudine?"

"Mi perdoni..."

"No, è piacevolissima. Un vellichio che avevo quasi dimenticato..."

Mi guardava negli occhi, con una espressione tra il sorpreso e l'estasiato, scuotendo leggermente la testa.

"Piero, sarà il profumo di jasmine, l'essere in questa terra, o qualcosa d'altro, ma sento che il nostro salotto è un po' troppo frivolo."

"Scusi, se permette la lascio."

Strinse le mani. Si rabbuiò.

"No, che dice. Non adesso.... Dobbiamo cenare... ci attende il tocai..."

Bussarono alla porta, entrò il cameriere col carrello.

"Posso apparecchiare, Madame?"

Marika assentì, in silenzio.

Preparato il tutto l'uomo chiese se volevamo essere serviti.

"Grazie" –disse Marika- "faremo noi. Ripassi più tardi."

L'accompagnai vicino al tavolo, scostai la sedia, l'aiutai a sedere. Mi carezzò la mano. Mi chinai e le sfiorai il collo con le labbra. Sentii che s'irrigidiva. Si voltò e mi porse le labbra. Deliziose. Un bacio sconvolgente. Non sapevo se seguitare o...

Prese lei l'iniziativa.

Si alzò. La cena poteva attendere. Mi prese per mano, s'avviò nel vano adiacente, dov'era il letto. Si voltò verso me, mi tolse la giacca, la cravatta, sbottonò la camicia.... S'interruppe per lasciar cadere a terra il vestito. La strinsi a me, ancora un bacio, mente indietreggiava verso il letto. Con le mani le slacciai il reggiseno. Belle tette, ancora sode e tonde. Via le minuscole mutandine. Magnifico e prosperoso sesso ornato di folti riccioli biondo scuri. Mi slacciò la cinta. Via i pantaloni, il boxer...

Sul letto le baciai i capezzoli, la carezzai tra le gambe, profondamente. Incontrai il prepotente 'bouton d'amour' che vibrava frenetico.

"Adesso... adesso..."

Volle essere penetrata, subito, venendomi incontro col bacino, e serrando le gambe sul mio dorso, mentre le mani, stringendomi le natiche, ne guidavano i movimenti...

"Si... così... così... coooooooosìììììì!"

E giacque sfinita.

Fu una notte di passione indicibile. Non immaginavo tanto fremere, tanto ardore, in una donna non più giovanissima, né pensavo che potesse essere così bella, che il suo corpo fosse così eccitante, sodo, palpitante. Una voluttà che non conoscevo.

Diavolo d'un ingegnere!

***

...sunset boulevard...

Mi accorgo che, tutto sommato, anche se variano i particolari, la sostanza è sempre la stessa. Un uomo e una donna, o meglio un maschio e una femmina, che ripetono, vogliosi, ciò che è all'origine della loro stessa esistenza.

Esseri che respirano, mangiano, devono e desiderano accoppiarsi.

E' un piacere, un godimento, alla portata di tutti. Belli o brutti, ricchi o poveri e, entro certi limiti, giovani o meno giovani.

Non credo che ci sia appagamento più completo –usiamo termini asettici- d'un rapporto sessuale.

'Sentirlo dentro', mi disse una giovane contadinella.

'Sentirlo dentro', confermò il suo ragazzo.

Il problema è quando 'vorresti', ma l'ingravescente età nol consente.

In questo la natura non è stata equa.

Lei può ricevere sempre, ad ogni età e ad ogni età finisce col godere.

Lui può raggiungere qualcosa, uno scolorito piacere, stimolando soprattutto la fantasia, ricordando e risentendo gli altrui fremiti sotto l'ancora esperto tocco di rinsecchite ma sensitive dita. Ma... con chi?

Meglio non pensarci. Si rischia un'ossessione, il ridicolo con sé stessi.

Ecco, allora, che ti sorprendi a fissare forme che ricordi, immagini, attraverso le vesti, od anche senza. Fianchi ondeggianti, seni sussultanti. Volti nei quali cerchi, e soprattutto imprimi, lineamenti che affiorano dalla memoria.

Devono essere eloquenti gli sguardi, devono svelare il malinconico lavorio della mente, se quelle giovani forme indugiano in atteggiamenti eccitanti, provocatori. Piccole perfidie. Come offrire coriacee leccornie a chi non ha più denti. Oppure è un senso di generosa bontà: aiutarti a sognare, a rivivere nella fantasia la deliziosa realtà d'un tempo.

Lilly, a volte m'appariva splendida.

Ma lo era?

Non lo so.

Forse m'inebriava la sua giovane età, e prevaleva su tutto.

Ma era veramente giovane?

Per me si.

Mi soffermavo a contemplarla cercando di pensare se, a suo tempo, l'avrei ammirata e concupita come ora mi sorprendevo di fare.

Avrei desiderato di averla? Di carezzare il suo seno, di insinuarmi in lei, bramoso di sentirla mia?

Concludevo affermativamente, ma era una conclusione, comunque, del momento attuale.

Lilly aveva ben altro da pensare.

Quando mi giunse l'invito della Fondazione, scossi il capo, mestamente rassegnato. Ancora una rinuncia. Come avrei potuto presenziare alla cerimonia d'apertura? Viaggiare da solo non era pensabile, e nessuno sarebbe stato disposto ad accompagnarmi.

Lilly s'accorse della mia amarezza.

"Qualcosa non va?"

Le accennai il fatto e le difficoltà.

"Dov'è la Fondazione?"

"A Venezia."

"Che bello. Però è lontano..."

"Con l'aereo in un'ora ci si arriva."

"Quanto starà via?"

"Neanche un minuto, perché da solo non ci posso andare."

"Altrimenti, quanti giorni rimarrebbe a Venezia?"

"Non più di due giorni. La cerimonia cui desidererei partecipare, anche per rivedere amici di tanti anni, è nel pomeriggio. La sera il solito ricevimento inaugurale, e l'indomani potrei già tornare..."

Lilly era di fronte a me, in piedi, pensierosa. Sorrise e s'allontanò per sbrigare le solite faccende. Sentii che parlava al telefono. Strano, di solito non mi chiedeva se attendevo qualche comunicazione. Dopo un po', non ricordo più con quale pretesto, mi tornò di fronte, mentre leggevo il giornale.

"Potrei accompagnarla io."

"Tu?"

"Se si tratta solo di due giorni, mio marito è d'accordo. Per il resto penso io. Predispongo tutto per bene. Quando sarebbe?"

"Sabato prossimo."

"Benissimo, proprio quando mio marito è anche libero dal lavoro."

"Sei sicura di volerlo fare?"

"Certo... non sono mai stata a Venezia, e tanto meno in aeroplano."

La guardavo tra l'incantato e il sorpreso. Lilly che s'offriva di accompagnarmi in un viaggio, sia pure brevissimo, di ore.

"Ti ringrazio, Lilly. Adesso penso alle prenotazioni e confermo la mia presenza."

Ero felice. Forse tornavo in Fondazione per l'ultima volta. Ero ansioso e commosso. In pochi minuti prenotai l'aereo e due camere al Danieli, parlai col segretario del convegno. Chiamai Lilly.

"Tutto a posto. Sabato mattino, però, dobbiamo partire da qui abbastanza presto perché l'aereo parte alle nove."

"Nessun problema, alle sette e mezzo vengo a prenderla. Andiamo con la mia auto..."

"No, meglio il taxi. Non ci sono problemi di parcheggio."

"Credo che dovrò comprarmi qualcosina per non farla scomparire..."

"Pensaci tu, sarà il mio regalino per la tua disponibilità."

"Non c'è bisogno."

"Lo sai che sono cocciuto. Devi contentarmi anche in questo."

"Venerdì pomeriggio andrò dal parrucchiere."

"Brava. Giovedì shopping, venerdì parrucchiere, sabato e domenica Venezia."

"Creda che sto tremando... forse sono una sfacciata."

"Ma che sfacciata. Sei la mia salvatrice, mi permetti di realizzare un mio vivo desiderio."

Tornò al suo lavoro. Presi il libretto degli assegni e lo riempii, a suo favore, con una generosa cifra.

Quando tornò, prima di andar via, glielo consegnai. Lo guardò, spalancò gli occhi.

"Con questo mi compro un corredo... ma è troppo... "

"Va bene così, Lilly."

"Tanto lo so che con lei non si discute. Arrivederci a domani."

Io ero già pronto. In una valigetta avevo posto il minimo necessario per la breve assenza. Sentii aprire la porta d'ingresso. Non la riconoscevo. Lilly era veramente bella, indossava una semplice tenuta da viaggio, sobria ed elegante. Le stava benissimo. I capelli in perfetto ordine, un lieve trucco ne esaltava la grazia.

"Ho lasciato una borsa da viaggio dal portiere. La prenderò quanto scenderemo."

"Non chiamarmi un vecchio patetico ma sei veramente uno schianto!"

"Che dice. Con tutte le belle donne che lei ha certamente conosciuto!"

Il portiere annunciò che era arrivato il taxi.

Lilly guardava tutto con molta attenzione. Fu felice quando le dissi, sull'aereo, di sedere accanto al finestrino. Cercava di darsi un contegno, di apparire disinvolta. Quando iniziò il decollo poggiò la sua mano sul mio braccio e strinse finché non fummo in quota. Poi restò così. Ogni tanto mi guardava, felice, come una bambina. Mi disse che avrebbe raccontato tutto, appena tornata a casa. Angelo, suo figlio, di diciassette anni, desiderava tanto volare. Aveva in mente di fare il pilota, per questo aveva scelto l'istituto aeronautico.

La discesa verso Venezia l'incantava, ma s'aggrappava a me come per proteggersi dalla sensazione di vuoto che le dava l'atterraggio.

Altra sorpresa, appena sottolineata da un gridolino di gioia, quando s'accorse che ci aspettava il motoscafo dell'albergo. Ancora una nuova sensazione che, però, fu superata, poco dopo, nell'entrare nella maestosità del Danieli.

Le due camere erano adiacenti.

Rimase letteralmente incantata dalla vista che si godeva dai balconi. Di fronte, San Giorgio Maggiore, a sinistra il Lido, sotto, attraccati alla riva, i vaporetti, le motonavi per il Lido, le gondole, i motoscafi. La gente che camminava verso San Marco o ad ammirare il Ponte dei Sospiri. I piccioni che volavano in cerca di cibo. Mi guardò estasiata.

"E' tutto così bello... come potrò sdebitarmi?"

L'avevo presentata come la mia assistente, e avevo curato che la conversazione non la coinvolgesse su temi che certamente ignorava. Si era comportata in maniera esemplare. Al ricevimento fu garbata e riservata. Aveva con sé la piccola pochette che al mattino, dopo la visita a Piazza San Marco, le avevo comprato in Merceria, prima di giungere a Rialto. Tornammo in Albergo abbastanza tardi, con qualche coppa di spumante che ci rendeva più allegri del solito.

Lilly era l'espressione della felicità ne sprizzava da tutti i pori, dagli occhi, dal suo muoversi. Ci demmo la buonanotte. Mi guardò a lungo, con una certa espressione di devota gratitudine.

Ero con gli occhi aperti, nel buio della camera appena interrotto dal chiarore che filtrava dal balcone. La tenda sul fondo –non sapevo che nascondesse una porta di comunicazione- si mosse, Lilly apparve in vestaglia. Socchiusi gli occhi, facendo mostra di dormire, volevo proprio vedere cosa stesse cercando. Si avvicinò al letto, lentamente, con gesti lievi scostò le coperte, lasciò cadere la vestaglia e, nuda, s'infilò accanto a me.

"Mi faccia dormire tra le sue braccia... Ho sempre compreso i suoi sguardi... Sono qui... Mi baci... m'accarezzi... mi stringa a sé... così... Grazie!"

Si mise in braccio a me. Portò una mia mano sul suo piccolo, delizioso seno, sui suoi turgidi capezzoli. L'altra la rinchiuse tra le gambe.

Mi sentii travolto da una valanga di sensazioni, pervaso da turbamenti perduti nella memoria, il cuore balzarmi in gola, le labbra, le mani, cercare bramosamente i sentieri del piacere, i meandri, le sinuosità, la serica accoglienza del suo ventre. Mi parve sentirla vibrare, fremere, palpitare... In effetti accoglieva le mie carezze, sempre più sensuali, col crescente ondeggiare e sussultare delle natiche che forse credevano, speravano, di risvegliare il letargo del mio sesso. Vissi, in quel momento, il tormento della debolezza, della senescenza... per un attimo ebbi la sensazione di essere in lei, di liberarmi d'una forzosa astinenza troppo a lungo subita.

Non avrei mai immaginato di provare ancora quello che, malgrado tutto, Lilly seppe donarmi. Forse per l'ultima volta.

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1 Commenti
AnonymousAnonimopiù di 19 anni fa
BRAVO!

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