L'Arrampicatore

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The pusher.
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L'ARRAMPICATORE –I-

Si crede di ricordare, a volte, invece, si inventa, anzi si crea. L'immaginazione suggerisce quello che potrebbe essere accaduto, la fantasia fa costruire eventi vagheggiati ma mai verificatisi.

O, forse, da sconosciuti angoli remoti della mente, emergono episodi inconsciamente registrati? O si tratta di racconti ascoltati e criptoricordi che si fondono e confondono per sostenere che siano realmente accaduti tali eventi, verosimili, forse anche veri?

Credo che ciò accada prevalentemente quando ci si riferisce al sesso.

In materia è un continuo 'arrampicarsi'. Si parte da una base e si cerca di salire sempre più in alto. Ciò si verifica anche nell'elevarsi socialmente.

Chi non conosce qualche 'arrampicatore sociale'?

Allora, perché non parlare anche di 'arrampicatore sessuale'?

*** * ***---

Primi incontri...

Il primo incontro con la femmina è stato con Angela, la balia. Aveva tette magnifiche, turgide, e capezzoli, lunghi e duri come ulive appena colte, dai quali stillava un latte tiepido e dolce che mi inebriava. La notte mi metteva a dormire sulla sua pancia, con i piedini che, movendosi in continuità, la titillavano tra le gambe, nel suo folto e setoso boschetto di riccioli scuri. Si agitava, ogni tanto, gemeva, stringeva e allargava le gambe, si chinava a baciarmi sul capo, a lambirlo con la sua lingua guizzante. Poi, emetteva un lungo respiro, e potevamo dormire.

***

Serico grembo, petto sodo, mani che carezzavano, gemiti soffocati. Tutto nel letto di Franceschina, la rossa, quando, di nascosto dai miei genitori, andavo a rifugiarmi da lei. Anche sulla sua pancia mi piaceva stare, ma questa volta non erano i piedini a vellicarla tra cosce beanti e beate, ma il mio piccolo pistolino che andava a rifugiarsi, irrequieto, deliziosamente, in quel caldo accogliente. Franceschina stava bene attenta che non m'intrufolassi troppo, ma a un certo punto smaniava come presa da leggere convulsioni, stringendomi a lei e soffocando i gemiti che le urgevano in gola. Qualche volta si divertiva ad afferrare il cosino e a carezzarlo tenendolo stretto nella sua mano. Altre volte lo scambiava per il capezzolo d'una mucca. Io la lasciavo fare, perché mi piaceva molto. Era bello quel suo fuoco di pelo rosso, tra le gambe. Ed era strano com'era fatta. Io ero curioso, e lei si lasciava esplorare, con lo sguardo, con le dita, con la lingua.

Ma dovette tornare al paese, Franceschina, e mi mancò molto.

***

Ero curioso di sapere se anche Liliana era dotata degli stessi attributi che aveva Franceschina. Tra le gambe c'era più o meno la stessa cosa, ma di dimensioni più ridotte e senza tutti quei peli. Le tette, poi, erano appena accennate. Non le dispiaceva quando gliele carezzavo. Più diffidente era quando le passavo la mano tra le gambe. D'improvviso si alzava e se ne andava. Quando le proposi di farmi mettere il mio cosino vicino alla sua cosetta, dapprima rifiutò, poi disse che andava bene, ma solo per una volta, infine era lei a chiedermi di farlo, ma con garbo, e baciandola nel contempo. Intanto, andavo apprendendo quello che normalmente interveniva tra un maschio e una femmina, e come utilizzare le differenze che li distinguevano. Notizie, comunque, sommarie, lacunose, incomplete, non sempre esatte.

***

Doveva passare del tempo prima di tornare sull'argomento. Con l'altro sesso, intendo.

Tra compagni di classe, invece, le dissertazioni sul proprio organo genitale erano pluriquotidiane. Ogni occasione era buona. Ognuno ne parlava come esperto della materia, e speso erano solo fantasticherie. Non diciamo, poi, quando si trattava del rapporto con le femminucce. Se Casanova ci avesse ascoltato sarebbe andato a nascondersi per la vergogna. Al nostro confronto era un dilettante. Per allontanare gli altri dalle nostre disquisizioni, stabilimmo di usare una specie di gergo. Per cui, il sesso maschile era Garibaldi, invincibile eroe dalla camicia rossa, e quello femminile era Roma, nella quale, come si sa, Garibaldi entrò trionfalmente. Un altro gruppo, avevamo saputo, aveva usato Topolino e Topolina, dimostrando scarsa fantasia. Ormai eravamo 'anziani', il ginnasio ci aveva fatto entrare nelle classi miste, e il giudizio sulle compagne, spesso smorfiosette, era sempre su base estetica, e ipotetica valutazione sessuale. Per non farci capire da loro invertivamo le sillabe. Invece di dire 'bona' dicevamo 'nabo'. Ma le fanciulle lo sapevano perfettamente, perché il loro più lusinghiero giudizio su uno di noi era 'cofi' o, addirittura, 'coficira', arcifico. L'insegnante era giovane, prosperosa, e risparmiava moltissimo sulla stoffa, sia in lunghezza che per le scollature. In una delle nostre assemblee estemporanee l'avevamo battezzata la 'topona'. Qualche dissidente (non mancano mai) la chiamava più dialettalmente 'sorcona' o anche SPQR che, poi, stava per Sorcona Paola Queri Romana, utilizzando nome, cognome e luogo di nascita della prof.

Rosetta prometteva bene. Alla sua età era già un tipino che attirava l'attenzione dei più grandi, dei licealisti, e anche di qualche prof pomicione. Lei lo sapeva e, quando lo riteneva necessario, sculettava più del solito. Durante la gita scolastica, una di quelle brevi che durano una giornata, feci in modo di sedermi vicino a lei, e non appena l'autobus partì mi feci prendere da tale sonno che caddi con la testa sul suo petto, sulle sue tettine precoci. Lei mi circondò il capo col braccio morbido, e teneva la sua mano sulla mia guancia. Ogni tanto respiravo più profondamente, muovevo il viso e le sfioravo il capezzolo che le labbra dischiuse. Lei mi stringeva ancor più. Garibaldi non era insensibile a tutto ciò. Rosetta stese il soprabito sulle nostre gambe, vi infilò la mano sotto e si accertò che l'eroe dei due mondi non evadesse, tenendolo ben stretto.

Viterbo apparve troppo presto.

Al ritorno fu Rosetta a cercarmi. Rimise il soprabito nella stessa posizione, e mi raccomandò di non dormire. Fu la mia mano a cercarla. Ecco Roma... ed ecco Porta Pia... che tepore, che deliziosa lanugine, mentre i provvidenziali sobbalzi dell'autobus nascondevano i sussulti di Rosetta che sembrava volersi impadronire del povero Garibaldi che si agitava nella sua prigione.

***

Certe cose accadono nella realtà, ma se le leggi in un romanzo sorridi per la incredibile fantasia del narratore.

Mio padre doveva andare a Parigi per un convegno di lavoro. Erano invitate anche le mogli. La mamma non conosceva la ville lumière, e si rammaricava di non poterlo accompagnare. Una tale occasione, forse, non si sarebbe più ripresentata. Il programma era allettante: ospitati al 'George V', gite organizzate per le signore, spettacoli raffinati, cene di gala... L'intoppo ero io, a chi affidarmi?

Zia Lisa salvò la situazione.

La chiamavo 'zia', ma non sapevo bene perché. Mia madre era figlia unica, mio padre aveva solo fratelli. Comunque, molto spesso zia Lisa compariva, restava a pranzo da noi, accompagnava la mamma a fare shopping. Non sapevo bene cosa facesse. Forse, anche per l'età, non era ancora laureata, non mi sembrava che avesse un'occupazione. Viveva da alcuni parenti, ed era sempre fresca, allegra, briosa. Ogni volta che veniva a trovarci, dopo avermi calorosamente baciato, mi guardava e mi diceva: "Come sei cresciuto, ma sai che se proprio un bel giovanotto?" E via ancora un suo umido bacio, con le labbra rosse e carnose. Era proprio una bella donna, zia Lisa, con un corpicino che attirava attenzione e desideri, con delle splendide gambe che avevo potuto ammirare in tutta la loro bellezza quando venne a trovarci al mare.

Mia madre poteva accompagnare il marito, a Parigi. Lei si sarebbe trasferita da noi e avrebbe pensato a me durante l'assenza della coppia. Mirka, del resto, l'avrebbe aiutata durante il giorno.

Partirono il pomeriggio del sabato, così avrebbero avuto la domenica a loro disposizione.

La sera la casa mi sembrava vuota.

Zia Lisa mi chiese se volessi andare al cine.

Preferivo non uscire, vedere un po' di televisione. Ero triste. Mi sentivo solo, abbandonato. Mi tenne vicino a lei, abbracciato, per tutto il tempo dello spettacolo. Quando fu il momento di andare a riposare mi guardò con dolcezza. Lei, certamente, o forse, si sentiva tanto mamma. Conoscendomi dalla nascita e pur dicendomi ogni volta che diventavo sempre più 'giovanotto' non considerava il momento né i turbamenti della mia adolescenza.

"Non essere triste, Piero, vedrai che domani ci divertiremo. Vuoi dormire nel lettone con me?"

Sgranai gli occhi per lo stupore, ma seppi bene celarlo. Dormire nel letto con quel tocco di figliola! Sicuramente era uno scherzo.

"Davvero, zia Lisa?"

"Sicuro, bambino mio. Se ti senti più sicuro, meno solo, se ti fa passare la tristezza..."

Ero nel letto della mamma, al posto di mio padre. Zia Lisa era andata al bagno. Rientrò indossando una cortissima e abbastanza trasparente camicia da notte. Rosa, scollata, con ampio giro manica che lasciava generosamente scorgere il bellissimo seno. Mi sorrise, entrò nel letto. Spense subito la luce.

"Buonanotte, Pierino."

Quasi si distese su me, dandomi il bacio della buona notte.

Che profumo delizioso.

Doveva essere stanchissima, perché dopo qualche minuto si sentì il suo respiro profondo. Un lieve ronfare, come una gattina che fa le fusa. Allungai guardingo la mano, ne percepii il calore ancor prima di sfiorarla. Era su di un fianco, e mi dava il dorso. Scesi un po'. La corta camicia era al di sopra dei fianchi.Non indossava altro. La pelle vellutata era calda e morbida. La perfetta rotondità della natica diceva che aveva raccolto le ginocchia sul ventre. Cominciai ad avvicinarmi lentamente, impercettibilmente. Mi fermai per sfilarmi i pantaloni del pigiama, con gesti inavvertibili, per tema di svegliarla. Le fui accanto. Non seppi resistere all'imperiosa tentazione di esplorare il solco allettante che divideva i suoi glutei. Era tiepido, meraviglioso. Mi accostai ancora, vi introdussi la testa del mio fallo spasmodicamente eretto. Una sensazione mai provata, paradisiaca. Spinsi appena. La sentii muovere. Mi spaventai. Ma lei si avvicinò ancor più a me, senza che il ritmo del respiro variasse. Stavo impazzendo per il piacere. Allungai la mano verso il grembo, stese appena le ginocchia. Scesi nel folto del pube, più giù. Ebbi la sensazione che aprisse le gambe per accogliere la mia mano. Non era solo impressione. Il mio sesso le pigiava il fondo schiena, tra le natiche che avevano preso a ondeggiare lentamente, avanti e indietro, stringendosi e rilassandosi nel contempo. Le mie dita vellicavano la protuberanza che s'era inturgidita tra le sue gambe, scendevano a lambirne le contrazioni, mentre l'altra mano le tormentava il seno, il capezzolo. Così, fino a quando fui invaso dal primo vero godimento sessuale della mia vita. Con zia Lisa. Le carezze sfumarono pian piano, s'arrestarono.

Zia Lisa si voltò verso di me, mi prese il volto tra le mani, posò le sue labbra sulle mie, le fece dischiudere, e sentii la sua lingua guizzare come una dardo infuocato. Si allontanò appena.

"Non avevo capito quanto fossi diventato uomo, e quali fossero le tue pulsioni. Scusa. Non dovevo provocarti, facendoti venire a letto con me."

"Scusa tu... sei così bella... non ho saputo resistere... è stata una cosa che non immaginavo... grazie... e... scusami."

Accese la luce, mi scrutò nel volto. Esprimeva beatitudine, estasi.

"Sei affascinante, Piero. Ti rincresce?"

"Rincrescermi? No, assolutamente. Sono a disagio per essermi comportato così... provo un senso di vergogna, di turbamento verso di te. Forse ho distrutto tutto, mi sono comportato indegnamente. Ho rovinato tutto, vero?"

"Non hai rovinato nulla. Ora c'è un piccolo segreto tra noi, solo nostro."

"Mi perdoni?"

"Cosa dovrei perdonarti?"

"Quello che ho fatto."

"Perdonarti per avermi dimostrato la tua ammirazione, che ti piaccio, ti attraggo, ti eccito? Una donna è sempre lusingata da tutto ciò. Sei stato contento?"

"Infinitamente."

"Lo rifaresti?"

"Come faccio a risponderti..."

"Sii sincero. Lo rifaresti?"

"Come potrei negarlo..."

"Anche subito?"

Annuii con la testa.

Tolse la camiciola che indossava, spense la luce.

"Vieni su di me... così... lasciati guidare..."

Le sue dita avevano tocchi lievi. Condussero il mio sesso vicino al suo, si fece penetrare lentamente....

Concordammo che una lieve influenza mi aveva impedito di andare a scuola. La maggior parte del nostro tempo la trascorrevamo a letto. La settimana volò in un attimo.

Non potrò mai dimenticare quella gita dei miei genitori.

***

...e così...

"Sicché, l'anno venturo sei di maturità?"

Anna Raab era stata compagna di scuola di mia madre. Ogni tanto veniva a trovarla, quasi sempre senza preavvertirla e senza far caso all'orario. Qualche volta si fermava a pranzo. Aveva infinite cose da raccontare, ma le diceva, quasi bisbigliando, solo alla mamma. Era stata la più piccola della classe, e la più minuta fisicamente. Anche adesso dimostrava molto meno dei quasi quaranta. Con i suoi abiti leggeri, un po' scampanati, dalle ampie scollature incrociate, sembrava più una studentessa che una prof.

Da quanto la mamma aveva detto a mio padre, Anna non andava molto d'accordo col marito. Un austero avvocato, dall'aria compassata, che non avevo mai visto sorridere. Molto gentile, di poche parole, interveniva sempre con calma e profondi ed equilibrati pareri. Oltre l'avviata e lucrosa professione, occupava ogni spazio del tempo libero nello studio della civiltà ebraica, che, da buon giudeo, riteneva, e non del tutto a torto, tra le più antiche della terra. Certo che non era facile vederli uniti dagli stessi interessi, dallo stesso modo di concepire la vita. Anna era effervescente, brillante, esuberante. Forse anche troppo per la sua età, e per essere docente nel liceo israelita.

"Si, l'anno prossimo, di questi tempi, sarò 'sotto esami'. Speriamo bene."

"Vedrai che sarai tra i primi. Sei preparato, intelligente, simpatico. Se ti posso essere utile in qualcosa, specie nelle materie che insegno, considerami a tua disposizione."

"Grazie. Sicuramente ne profitterò."

"Non fartene scrupolo. Ho molto tempo a disposizione, e, in ogni caso, per te ne troverei sempre."

Anche quella volta era capitata all'improvviso. Mamma era fuori per delle compere, con Mirka. Non avrebbe tardato. Infatti, dopo poco s'udì aprire la porta e apparve.

Affettuose accoglienze, come al solito.

Io salutai e tornai nella mia stanza, a mettere a posto i libri scolastici. L'anno era finito. Mi attendevano le vacanze.

Mia madre venne a chiamarmi.

"Piero, vieni. Anna ti deve chiedere una cosa."

"Cosa?"

"Vieni, te lo dirà lei. Sii gentile."

"Sono sempre gentile."

Il 'mmmmm' della mamma non condivideva tale mia affermazione.

Anna era seduta sul divano, con in mano la tazza del te. La depose sul tavolino, mi guardò.

"Siedi un momento, Piero, devo chiederti un favore. Spero che vorrai farmelo."

Feci un eloquente segno col capo. Voleva dire tutto e nulla.

"Devo andare nella nostra casa di montagna, per annotare cosa far fare in attesa di riaprirla per le vacanze. Elia, mio marito, non può allontanarsi neppure per un'ora dal suo lavoro, e le cose non sono prorogabili. Ti chiedo la cortesia di accompagnarmi. Tua mamma è d'accordo, manca solo il tuo placet. Non ti allontanerò a lungo dalle tue amicizie. Al massimo due giorni. Partiamo al mattino e torniamo la sera successiva."

La cosa non mi entusiasmava, ma non avevo solidi e validi argomenti per rifiutarmi. Pensai che, visto che dovevo subire, tanto valeva apparire gentile e disponibile.

"Certo, ne sono felice. Poterle essere utile mi fa sempre piacere."

"Allora, domattina alle nove. Va bene?"

"Benissimo."

Anna ringraziò, baciò la mamma, per dimostrarmi quanto mi fosse grata baciò anche me, e se ne andò.

La mamma si disse soddisfatta e che mi ero comportato da vero gentiluomo, quale dovevo sempre essere.

Erano le nove in punto quando si udì la voce di Anna, al citofono. Mi attendeva giù. Il tempo di salutare l'onnipresente genitrice, di prendere la sacca, e la raggiunsi subito.

Aveva una bellissima automobile, Anna, una Jaguar coupé ultimo modello. A me, in effetti, piaceva molto. Era un po' l'auto dei miei sogni.

"Ciao, Piero. Metti dietro il bagaglio e sali."

Dentro era ancor più bella. Comoda, accogliente, rifinitissima. Mi guardavo intorno, compiaciuto. Glielo dissi.

Tutto preso dall'auto, non m'ero soffermato su Anna. Quando la guardai era tale la mia espressione che mi sorrise.

"Cos'è, hai visto uno spettro?"

"Un'apparizione. Quasi non ti riconosco. Sembri la sorella minore, molto minore, di Anna. Cosa hai fatto?"

"Deve dipendere dall'auto nuova. Un auto bella mi fa apparire meno brutta."

"Non dire sciocchezze."

"Ricorda che sono stata compagna di classe di tua madre."

"Si, ma hai un'aria così sbarazzina. Con quella vorticosa mini, poi. Ma tuo marito non dice niente?"

"Ne profitto quando sono lontana da lui."

"E quella maglietta che sembra ti sia stata spruzzata addosso con la bombola spray."

"Sei in vena di galanterie oggi?"

"Constato, solamente constato. Posso essere indiscreto?"

"In che senso?"

"Sono curioso."

"Se è una curiosità lecita, va bene. E' una cosa che chiederesti anche a una tua compagna?"

"Certo."

"Allora, fuori!"

"Scusa, ma esaminando il tutto, devo dedurre che non usi reggiseno."

Mi guardò con finta severità.

"Deduzione esatta. Contento?"

"Contentissimo della risposta, ammiratissimo per il resto. Sembra che sotto quella maglietta ci siano le forme d'una venere greca."

"Ci siamo con la galanteria. C'è altro?"

"Non per il momento. Anzi, guardando bene... anche le gambe sono della stessa modella."

"Grazie."

L'auto si disimpegnava egregiamente nel traffico, senza strappi, senza sussulti. Merito della perizia della guidatrice. S'avviava alla periferia.

"La tua casa è a Roccaraso?"

"Si. Ci sei mai stato?"

"Mai. Quanto è distante?"

"Duecento chilometri. Speriamo di arrivare per il pranzo."

Le guardavo insistentemente le gambe, snelle, nervose ma non magre, con ginocchia soavemente rotonde e cosce affascinanti. Mi ricordavano quelle di zia Lisa, meno carnose, forse più sode. Ero tentato di accertarmene. Il pensiero di zia Lisa trascinò altre considerazioni, suggerì idee affascinanti. Fantasie, solo fantasie d'un giovane sempre eccitato e presuntuoso.

Alla stazione di servizio, mentre l'addetto avrebbe provveduto al pieno, andammo a prendere un caffè. Anna sembrava una ragazzina. Ancheggiava provocante, forse inconsapevole di suscitare tante voglie in un adolescente. Prima di risalire in auto, si chinò a controllare una gomma. Fu spontaneo osservare che aveva veramente un bel culo. Io non avevo mai dimenticato quello di zia Lisa e di quanto fosse accogliente.

Riprendemmo la strada, a velocità sostenuta, senza correre troppo, però.

"Un soldo per i tuoi pensieri, Piero."

"Scusa. E' vero, sono un pessimo conversatore."

"Cosa rimugini, nella mente?"

"Sai bene che una piccola scintilla provoca un grosso fuoco."

"Cioè?"

"Miraggi, sogni irrealizzabili, aspirazioni irrealizzabili."

"Aspirazioni?"

"Forse è più esatto dire desideri."

"Assolutamente irrealizzabili o poco probabilmente?"

"Cambia?"

"Sostanzialmente."

Scossi la testa, in silenzio.

"Allora?"

"Vedi, qualche volta dimentico la mia età e rischio di divenire ridicolo, di guardare troppo in alto."

"Prova a volare alto."

"Ma posso bruciarmi le ali."

"Bisogna vedere se il rischio vale la candela."

"Non lo so. Io sfiderei il rischio, ma temo di essere deriso."

"Chi non osa non raggiungerà mai la vetta. Non devi mai temere la derisione, è un basso sentimento che dimostra la pochezza del dileggiante."

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