IL Censore

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ULISSE
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Lo guardò fissamente.

"Perché non si ferma a pranzo da noi? A casa dei miei. Potrà assaggiare l'agnello allo zafferano e il dolce al formaggio fresco il pardulas."

"Sarei certamente di troppo."

"Assolutamente no. Lei mi ha portato una lettera di Gavino, che poi è quasi la verità."

"Mi tempesteranno di domande."

"Lei sa bene come cavarsela, ho visto!"

"Accetterei ma a una condizione."

"Quale?"

"Che possa ricambiarle la cortesia a Cagliari."

"Ci vado raramente."

"Questa sarebbe l'occasione per farlo."

"Con quale scusa?"

"Andare al Provveditorato agli Studi. Conosco qualcuno... sa, io a Roma sono al Ministero della Educazione Nazionale, in Viale Trastevere."

"Ma no?"

"Si."

"E' professore?"

"No, dirigo la sezione affari legali."

"Un pezzo grosso."

"Una delle tante rotelline."

"Lo sapevo che avrei dovuto chiamarla 'dottore'!"

"Ecco, adesso mi piace, quando scherza."

"Ma, a Cagliari, cosa fa?"

"Quando verrà a trovarmi glielo dico."

"Ha casa sua?"

"Quella dei miei genitori. In via Regina Margherita, all'angolo dia Via Bonaria. Le scrivo il numero del telefono, se non mi trova c'è Cecilia, una specie di governante tuttofare, che viene per alcune ore al giorno a tenere in regola le mie cose."

Cercò in tasca un foglietto, scrisse il numero del telefono. Lo dette a Lucia.

"Senta, cominci a venire a pranzo da noi, e io penserò se e come accettare il suo invito."

"Può venire con una parente, un'amica."

Lo guardò in modo enigmatico.

"Primum meditari deinde deliberare."

"Fido in te."

Quel breve scambio di frasi, ambigue e trasparenti nel contempo, concluse una schermaglia sempre più velata di accenni interessati e maliziosi.

La natura, a volte, purtroppo quasi mai, fa incontrare esseri che evidentemente si completano a vicenda. Sono, come si dice, fatti l'uno per l'altro. Dicevano i latini: facillime perficere. Più realisticamente, in alcuni paesi dell'Africa orientale, si dice che ogni toppa vuole la sua chiave. Il colorito dialetto napoletano, fa dire ad Aniello, rivolto alla donna che desidera, tengo i cunfietti che fanno pe' te.

Luca era sorpreso della sua reazione. Non gli era capitato mai che una donna lo attraesse in quel modo. Era una frenesia.

Lucia gli parlò amabilmente.

"Lei comprende che, pur desiderando farle vedere ciò che di bello può offrirle il mio paese, non posso uscire con lei. Le suggerisco di bighellonare un po', per conto suo, di andare a visitare l'antica chiesa di Santa Lucia –la mia santa- che è la più antica del paese, e di rivederci qui alle dodici e trenta. Ci sarà mio padre, e insieme andremo nella villetta dei miei."

Quella voce lo accarezzava, gli dava i brividi.

Luca si alzò, per prendere commiato.

Gli tese la mano.

Lui la tenne tra le sue, guardandola negli occhi.

Scese le scale.

Al portone, nel muro, notò una maiolica, che recava una frase, come se fosse scritta a mano: 'De mei no ti pighis mai sentimentu'.

^^^

Luca era rientrato in sede, al lavoro.

Non riusciva a distogliere il pensiero da quanto aveva vissuto la domenica precedente.

Lucia, a tavola, era seduta accanto a lui, sembrava abbastanza serena. Ogni tanto gli sorrideva. Quando, con semplicità e naturalezza, le posò una mano sulla coscia, sul leggero tessuto di cotone che le fasciava, la sentì irrigidire, poi rilassarsi. Con delicatezza, quasi con una carezza, la donna allontanò quella mano da lei. Ma lui percepì il tepore della gamba che s'era accostata alla sua.

Luca era turbato. E non dimenticava di riflettere sui vent'anni di età che lo separavano. Gli sembravano più importanti del fatto che lei era sposata.

Si sorprese a tale pensiero. Che voleva dire l'età? Mica doveva sposarla. Ma si accorse che stava fantasticando su un ipotetico futuro, come se Lucia dovesse essere la donna della sua vita.

Forse lo era.

Che fare? Doveva telefonarle? Non sapeva nemmeno se avesse il telefono. L'impresa paterna, però, di sicuro l'aveva.

Spulciò gli elenchi. Ruma Gavino, geometra, aveva il telefono.

Avrebbe dovuto chiamare il centralino e farsi passare quel determinato numero.

Troppa pubblicità, troppe tracce: numero del telefono di partenza....

Era in pena. Lucia non si sarebbe fatta viva.

Lui poteva andarla a trovare di nuovo?

Era giovedì.

Quando tornò a casa per il pranzo, Cecilia gli disse che aveva telefonato la signora Lucia Ruma. Sarebbe stata a Cagliari domenica mattina, arrivava col treno.

"Non ha detto niente altro?"

"Niente."

Altro dilemma: doveva far preparare un pranzo a casa o era meglio invitarla al ristorante?

Altra incertezza: sarebbe stata sola o in compagnia?

Ancora un interrogativo: se aveva detto di andare al Provveditorato, perché di domenica?

Lui, così tranquillo, di solito, mai ansioso, si sentiva in preda ad una smania che non aveva avvertito nemmeno prima di incontrare la donna con la quale doveva affrontare la prima esperienza sessuale della sua vita.

Raccomandò a Cecilia di tenere tutto in ordine, di essere preparata per un pranzo speciale per la domenica.... E mille altri superflui suggerimenti che la donna ascoltava con rassegnata pazienza.

La stazione ferroviaria era poco lontana dalla sua abitazione, meno di ottocento metri. Vi si precipitò per consultare l'orario. Nei giorni festivi c'era un treno da San Gavino che arrivava alle 10,30, quello successivo nel primo pomeriggio Con quale sarebbe arrivata?

In un momento di... lucido intervallo... si rese conto di quanto fosse scriteriato. Ma come, di pomeriggio? E che ci sarebbe andata a fare? Per pochi minuti!

Fin dal sabato Luca si assicurò che ci fosse un taxi alla stazione. Poi pensò che era meglio noleggiare un'auto, senza autista. Sempre per rispetto alla riservatezza. Ormai, segretezza, riservatezza discrezione, stavano quasi diventando una idea fissa per lui. Altra idea fisse, ma secondaria. Lucia sovrastava tutto e tutti.

E così, domenica alle 10 del mattino, parcheggiata la 508 scura, ben tirata a lucido, già era in attesa del treno.

^^^

Lucia fu la prima a scendere dalla littorina.

Appariva ancora più giovane. Una giovinetta dal volto serio ma dalle movenze agili, sembrava non toccare la terra. L'abito chiaro, a grossi fiori, la rendeva ancor più radiosa, quasi allegra. Una grossa sacca di pelle le pendeva dalla spalla.

Vide subito Luca. Gli sorrise, lo salutò con la mano, come a un vecchio amico, un parente, un...

Luca le tolse la sacca, con cortese insistenza. Strinse la mano curata che gli veniva porta. Sentiva il desiderio di abbracciarla.

La ringraziò per essere venuta.

"Sola?"

"Ho dovuto vincere qualche perplessità, ma poi ho ricordato tutte le volte che nel passato ho viaggiato senza scorta o chaperon, e me la sono cavata benissimo."

"Venga, fuori ho l'auto, vorrà certo darsi una rinfrescatina, anche se il viaggio non è troppo lungo, ma alla fine si sente sempre la necessità di ristorarsi, in un certo senso. Un buon caffè o una bibita completeranno il tutto."

"Ha un'auto?"

"In un certo senso. La prendo quando mi serve."

"E dove andremmo?"

"Se non ha niente in contrario, a casa mia. Pochissimi minuti."

"Lei è solo?"

"A quest'ora dovrebbe esserci Cecilia."

"Forse sarebbe meglio che vada direttamente dalle Suore, sono certa che per me avranno posto."

"Sono informate del suo arrivo?"

"No, ma non credo che trovino difficoltà ad ospitarmi."

Erano, intanto, già saliti in auto e stavano quasi arrivando a casa di Luca.

"Guardi, siamo, qui. Salga un momento, alle monache può telefonare e, se crede, può anche rassicurare i suoi che sta benissimo."

Stette in forse per qualche istante, poi si rivolse a lui, che intanto s'era fermato accanto al portone.

"D'accordo."

Il vecchio ascensore, cigolante, li portò fino all'ultimo piano.

Luca aprì la porta di casa, avvertì Cecilia che erano arrivati, la fece accomodare nel salottino che in quel periodo fungeva anche da studio. Posò la sacca sul divano.

"Prego, si accomodi, faccia come se fosse a casa sua. Questa é casa sua. Non faccia complimenti."

Lucia si avviò ad uno dei due grandi balconi.

"Posso aprire?"

"Certo."

Fu lui ad affrettarsi a spalancare la porta-finestra. Era tutto pulitissimo, le piante ben curate. Cecilia era preziosa.

Lucia si affacciò, guardò intorno, a sinistra il molo chiudeva il porto, oltre c'era Santa Maria Bonaria, a destra la stazione Ferroviaria.

"Ma sa che è un incanto? Una vista stupenda. Ma, così vicini al porto, non teme per eventuali azioni militari?"

"Spero di sfuggirne le conseguenze."

"Affascinante, veramente affascinante."

"Ora lo è molto di più."

Lo guardò interrogativamente.

"C'è lei a rendere insuperabile la visione."

"Grazie, ma non è obbligato a galanti bugie."

"Mi sono concesse serene e obiettive constatazioni?"

"Ho capito, vuole scherzare."

"Mi creda, mai più serio."

Rientrarono. Lucia si guardava in giro, interessata, forse semplicemente curiosa.

Luca le chiese se preferisse un caffè o una bibita.

"Prima vorrei profittare della sua offerta e darmi una rinfrescata. Devo prendere la sacca."

"Venga, le mostro dove. La sacca gliela porto io."

Quando Lucia tornò nel salotto era più fresca e fiorente che mai.

Un corpo meraviglioso.

Splendido volto, incorniciato dai lunghi capelli corvini su un collo scultoreo che continuava nelle spalle perfettamente disegnate, nel provocante piccolo seno appuntito, nei fianchi deliziosi, nelle snelle gambe tornite.

Manro si riaffacciava prepotentemente.

Luca le andò incontro, le prese entrambe le mani, rimase in muta contemplazione, che lei non sfuggì. Anzi poggiò tutto il peso del corpo su un'anca, come in posa. Luca lasciò una mano e le girò intorno, come in un passo di danza. Che fianchi, che magico fondo schiena. (Lui, in effetti, pensò: che culo!).

Lucia non disse nulla. E quando lui le chiese cosa desiderasse da bere, scelse un caffè, aggiungendo che era attratta dalla promessa che fosse ancora quello d'un tempo.

Sedettero sul divano.

Cecilia giunse col vassoio, i caffè, dei biscottini.

Luca aveva preparato un lungo discorso, con preambolo, farsi accurate, parole meticolosamente scelte, e aveva provato anche l'intonazione della voce. Ora, però, aveva dimenticato tutto. Di fronte a quella maestra era uno scolaretto confuso e impappinato.

Cercò un modo per iniziare.

"Senta..."

Non sapeva se doveva dire signora o poteva chiamarla confidenzialmente per nome. Optò per la forma ufficiale.

"Senta... signora. Come lei ha visto, la casa è abbastanza grande. Sarei lieto se accettasse la mia ospitalità, invece che quella dell'istituto delle suore. Cecilia le preparerebbe la camera degli ospiti, quella che io occupavo da giovane...."

Non sapeva come proseguire.

Lei avvertiva quella tensione. L'aveva percepita dal primo momento che l'aveva incontrato, come qualcosa che le era entrata nel sangue: calmante ed eccitante nel contempo. La vicinanza di Luca la faceva sentire pericolosamente protetta. Pericolo? Quale? Non era una minaccia, piuttosto una salvezza. Salvezza? Da cosa?

Sono in un labirinto –si diceva Lucia- ma sono io ad esserci entrata. Non riesco a trovare la via d'uscita. Non è vero, sono bugiarda con me stessa, so bene come uscirne, e so anche che potrei tornare indietro, finché non è troppo tardi.

Tornare indietro? Perché?

Ma lui non mi aiuta, almeno mi desse la mano, mi facilitasse il cammino.

Il quel momento sentì che Luca le prendeva la mano, la stringeva tra le sue.

Ecco, l'eccitante distensione. –Seguitò a pensare Lucia.- La protezione, la sicurezza. Che delizia, vorrei che non mi abbandonasse mai. Ma come è discosto... Devo trovare il modo...

Lui le si avvicinò, i loro fianchi si sfioravano.

La guardò come a volerle leggere dentro.

"Allora? Posso dire a Cecilia di preparare la camera?"

Lucia deglutì a con difficoltà. Annuì, in silenzio.

"Preferisce pranzare qui o andare in un posticino quieto e appartato?"

Ora stava riprendendo il controllo di sé. Questa decisione le aveva ridato energia.

"Forse è meglio fuori."

"Allora faccio preparare la cena. Ma la servirò io, perché Cecilia a una certa ora torna a casa sua."

"Ah! Per servire a tavola ci sono io, non si preoccupi."

La grande pendola segnava quasi mezzogiorno.

Luca si assentò per dare disposizioni a Cecilia. Tornò immediatamente.

"Senta, mi permette di chiamarla Lucia?"

Dal volto di Lucia si sarebbe detto che aveva vinto una 'tappa'.

"Certo... certo..."

"Lei, logicamente mi chiami Luca."

"Ma..."

"Non mi faccia sentire un matusa..."

"No... che idea, è un brillante giovane..."

"Grazie per ambedue i complimenti. Li terrò bene a mente. Che dice, vogliamo andare? Dovremmo scegliere tra un tipico ristorante della città vecchia o qualcosa nelle immediate vicinanze. Non sul mare; purtroppo, è occupato dai militari."

"Dove vuole lei... per me va bene tutto."

Poco fuori dell'abitato, subito dopo il bivio per Capoterra, nel rustico edificio, antica osteria d'un tempo, non c'era tanta gente. Furono subito condotti in un angolino ombroso e appartato. Il grezzo tavolo fu prestamente apparecchiato, alla casalinga, e l'uomo, col pizzo del grembiule raccolto nella cintura, era in attesa della comanda.

Luca chiese a Lucia cosa desiderasse. Lei si chinò all'orecchio dell'uomo e sussurrò qualcosa.

Luca trasmise il desiderio della donna, come fosse il piccolo segreto della bambina: gnocchetti alle arselle e pesce alla griglia. Raccomandò che il vino fosse fresco e buono, e anche della minerale, allo sguardo dispiaciuto dell'oste ripiegò sulla gassosa, ma sempre fresca.

Non aveva compreso quel bisbigliare nell'orecchio, ma Lucia si affrettò a spiegargli che era abituata a sottoporre agli altri, superiora, genitori, marito... i suoi desideri. Mai direttamente al cameriere.

Strano in una ragazza che sembrava alla moda, spigliata, decisa.

Tutto fu ottimo. Lucia sorseggiò pochissimo vino, piacevolmente, per lei, allungato con la gassosa. Anche Luca bevve poco.

L'oste, dopo il tradizionale bicchierino di mirto, che lei assaggiò appena, suggerì di trattenersi sotto il pergolato, dietro l'edificio.

Era un luogo accogliente, con una specie di divano dondolante, ricoperto di cuscini, sul quale andarono a sedere. Molto vicini.

Durante il pranzo la conversazione era stata futile: ricordi di scuola di Lucia, il suo rammarico per non poter seguitare gli studi, al Magistero. Poche cose da parte di Luca: qualche accenno al lavoro, confidò che era richiamato alle armi, con noioso incarico speciale. Le chiese se conoscesse Roma. No, non si era mai allontanata dall'isola. Certo che le sarebbe piaciuto visitarla, forse anche viverci. Il poco che sapeva le veniva dai giornali illustrati, uno per la verità, e dal Giornale Luce quelle pochissime volte che andava al cinema.

Ora, sul dondolo, Luca, ancora una volta, le teneva la manina tra le sue.

"Lucia, lei crede al coup de foudre?"

"Paolo fu folgorato sulla via di Damasco: ebbe un'apparizione divina che trasformò la sua vita. Santa Teresa cadeva in estasi quando aveva paradisiache visioni. Si, ci credo."

"Da quello che sto per dirle può dipendere tutto, per me."

Sentì che la mano di lei lo stringeva. Lo guardava fissamente, attentamente. Proseguì.

"Io sono affascinato da lei, Lucia, innamorato, incantato, irrefrenabilmente attratto... "

La voce di Lucia tremava, esprimeva una emozione a mala pena contenuta, pur volendo sembrare naturale."

"L'avventura con una giovane donna che ha il marito lontano, il passatempo per il periodo di richiamo, una relazione di comodo, mulier temporaria..."

"Basta! Non hai capito nulla... Scusi, non sono riuscito a farmi intendere..."

La sua voce si ammorbidì. Era incerta, ansiosa.

"Cosa dovrei capire?"

"Che sono pazzamente innamorato di te, che ti chiedo di lasciare tutto e tutti, di restare con me, per sempre..."

"Si, sei completamente irragionevole."

"Da quando si chiede di ragionare all'amore, alla passione?"

Ora era dolce, tenera. La sua manina accarezzava il dorso di quella di Luca.

"Come puoi chiedermi che dia un taglio netto con la realtà?"

"Parli della forma, ma rispondi alla mia richiesta: potendolo, rimarresti con me?"

"Quando mi sei apparso Luca, ho capito che l'estasi divina di Teresa poteva anche essere provocata da una visione umana."

Si abbracciarono ardentemente, si baciarono freneticamente, a lungo.

Rimasero, poi, a guardarsi negli occhi.

E tornarono a baciarsi, golosamente

^^^

Luca pensava che non doveva forzare i tempi.

Aveva raggiunto un risultato insperato.

Aveva carezzato quel corpo voluttuoso, lievemente, senza indulgere a maggiori tentazioni. Aveva appreso di quel seno turgido, delle natiche sode e tondeggianti, del pube morbido e accogliente. Sfiorando.

Faceva di tutto per contenere la manifestazione del suo essere Manro. Non era facile. Lucia, così, per caso, distrattamente, aveva passato leggermente la mano sulla patta, senza insistere, senza soffermarsi, era forse una istintiva e bramosa ricognizione.

Lucia gli chiese di riprendere l'auto. Prima, però, doveva andare a... incipriarsi il naso.

Desiderava andare al cinema. A San Gavino non c'era.

Affiorava in lei la parte romantica, sentimentale: andare al cinema con il suo uomo. Come due fidanzatini.

La sala cinematografica era quasi vuota. Lucia preferì andare in galleria, ultima fila. Era un po' lontano dallo schermo ma ,data la non vastità del locale, si vedeva bene.

Entrarono pochi minuti prima dell'inizio.

Il 'Giornale Luce' era tutto un inneggiare alle forze armate, alle prodezze della marina, dell'aviazione, dell'esercito. Le notizie che Luca doveva censurare nelle scarne parole dei militari in zona d'operazione, di contro, erano tutte paurosamente tragiche: 'mancano le munizioni', 'siamo male equipaggiati', 'i mezzi del nemico aprono il fuoco da 250 metri, noi dobbiamo arrivare a meno di 100 per essere efficaci', 'i nostri carri sembrano fatti burro', 'serve benzina e mandano nafta'... e così via.

Poi cominciò il film. Lucia s'era soffermata sul titolo, 'Ossessione'. Gli attori, notissimi, l'attiravano.

Luca era indeciso se avvicinarsi a lei, o meno.

Lucia gli prese la mano e si fece abbracciare. Le dita di lui le sfioravano il seno. Gli poggiò la testa sulla spalla, lo guardò sorridendo, si mise a seguire i fotogrammi che si susseguivano sulla bianca tela, sul palcoscenico.

Di quando in quando un lieve bacio.

Fidanzatini al primo incontro.

Quando uscirono, cominciava ad annottare.

"Vuoi che restiamo fuori per la cena?"

Lei era rimasta pensosa, dopo aver visto il film.

Qualcosa di quella ossessione era anche in lei. In loro.

"Se hai qualcosa a casa preferirei tornare. Sei sempre del parere di ospitarmi?"

"Che domande, se posso... dico che prima lo desideravo, ora lo chiedo."

"Dittatore!"

"Supplice!"

"Va bene, hai vinto."

Lasciarono l'auto dinanzi al portone, entrarono, salirono al loro piano. Cecilia era andata via. Sul tavolo della cucina aveva lasciato un biglietto indicando cosa aveva preparato e dove trovarlo.

"Scusa, Luca, se potessi vorrei proprio fare una doccia. Servirà anche, spero, a schiarirmi le idee, mi sento confusa, come ubriaca."

"Sai dov'è il bagno. Vi troverai tutto il necessario, anche pantofole e accappatoio. Se hai bisogno di qualcosa devi tirare il cordoncino bianco vicino alla doccia."

"Grazie. Prenderò l'accappatoio e le pantofole, andrò nella camera che hai fatto preparare e li indosserò. Così non dovrò appendere i vestiti sui ganci della sala da bagno. Scusa ancora, ma a volte sono presa da piccole crisi di claustrofobia, posso lasciare semiaperta la porta?"

"Fa quello che desideri. Buona doccia."

Dopo non molto e Luca sentì lo scrosciare dell'acqua.

ULISSE
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