IL Censore

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The Censor.
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Luca Sanna voltò più volte tra le mani la gialla busta che recava l'intestazione 'Ministero della Guerra – Distretto di....'.

Era diretta proprio a lui, l'indirizzo non ammetteva incertezze. Cognome, nome, indirizzo.

La perplessità, comunque, era più che altro l'aggrapparsi alla speranza che non dovesse toccare a lui, almeno per il momento, quello che, del resto, andava rapidamente interessando e coinvolgendo tutto il Paese: richiamo alle armi.

Proprio adesso che, finalmente, poteva considerarsi a posto. Vincita del concorso per il conseguimento della qualifica superiore, superamento del periodo di prova, assegnazione a una gradita sede in continente, prospettive di carriera abbastanza lusinghiere.

Era ancora giovane, aveva appena (lui insisteva su quell'appena) quarant'anni, e stava pensando che era ben l'ora di formare una famiglia. Intanto saltava di fiore in fiore, anche se, a volte, le spine non mancavano.

Aprì la busta.

Lo informavano, col solito linguaggio burocratico, che il tale giorno doveva presentarsi al Distretto Militare di..... (la sua città natale) dove gli sarebbe stata comunicata la destinazione da raggiungere immediatamente.

Il tale giorno era dopodomani.

Il Direttore Generale asserì di essere rammaricatissimo per dover fare a meno di una così preziosa collaborazione, ma era fiducioso, anzi certo, che le cose si sarebbero risolte presto e bene e che lui, il dottor Sanna, sarebbe stato fra breve di ritorno. Concluse con tanti auguri e gli disse di fargli avere notizie.

Il tempo di preparare la valigia, di spolverare la divisa, che per fortuna aveva messa da parte, e di avvertire il portiere che sarebbe stato fuori non sapeva quanto a lungo. Dette un po' di soldi a Concettina, la donna che lo accudiva, affidò a lei le chiavi dell'appartamento, e assicurò che le avrebbe fatto avere notizie non appena possibile.

Civitavecchia...., poi a casa.

A casa per modo di dire. I vecchi genitori erano andati a vivere con la sorella, la prima figlia, in Valle d'Aosta, e, quando lui aveva telefonato per avvertirli della novità, s'erano raccomandati di far pulire bene l'appartamento, chiuso da tanto tempo, incaricando Cecilia, la figlia della loro domestica d'un tempo. Era una donna fidatissima, e conosceva casa e abitudini.

Buon viaggio e tanta fortuna.

Quale sarebbe stata la destinazione da raggiungere immediatamente?

Nel Distretto Militare c'era molto movimento, per fortuna la 'matricola ufficiali' non era affollata, anzi.

Lo accolse il capo ufficio, un vecchio maggiore che aveva fatto la guerra 15-18, decorato, molto compenetrato del suo lavoro. Lo salutò cordialmente, gli dette una nuova busta gialla, che oltre al suo cognome e nome, preceduto dal grado (capitano di cpl –complemento-) recava un vistoso timbro: SEGRETO.

Il Maggiore, però, questo segreto lo conosceva.

Gli disse di aprire la busta.

Luca eseguì, lesse ansiosamente, desideroso di conoscere dove sarebbe andato a finire.

Sorpresa, il Capitano di fanteria di complemento Luca Sanna era destinato all'ufficio censura di quel capoluogo.

Luca chiese quale delucidazione, se possibile.

"Certo" –rispose sorridendo il maggiore- "comprendo che voi non siate contento, vi sarebbe piaciuto raggiungere un reparto in zona operativa, come si dice, ma bisogna obbedire."

Luca, in effetti, non ambiva affatto la zona operativa.

"L'ufficio censura è sistemato nel Palazzo delle Poste. L'incarico, in ogni caso, è delicato. Si tratta di aprire la corrispondenza in arrivo e partenza, comunque di leggere anche quella su cartolina, per evitare che vengano trasmesse o ricevute informazioni che devono essere considerate riservate, anzi segrete, ai fini della sicurezza della Patria. Dicevo delicato perché, oltre a cancellare, ricoprendo parole e frasi sospette di infrangere la riservatezza, con apposito inchiostro indelebile, bisogna anche valutare se si possa sospettare la non buona fede di destinatario e/o mittente. Chiaro?"

Luca annuì, più per cortesia che per convincimento.

"Voi, Sanna, sarete il più elevato in grado, quindi avrete più lavoro che gli altri. Ora vi accompagno dal colonnello comandante del Distretto, e sarà lui stesso, domattina, a insediarvi nell'incarico. Buon lavoro."

Ultimo piano del Palazzo delle Poste, ampie finestre, bella vista sul mare. A Luca era stata assegnata una discreta stanza, spartanamente arredata. Gli altri lavoravano in due ampi vani, dall'altra parte del corridoio.

Avevano già stabilito di suddividere subito la corrispondenza in quella 'imbustata' e l'altra, sia in partenza che in arrivo. Ogni gruppo controllava una sezione: 'arrivi', 'partenze'.

Il colonnello indisse una piccola riunione, pregando di informare delle sue raccomandazioni anche quelli attualmente assento perché di turno.

La prese da lontano.

Censori erano coloro che si interessavano del censimento patrimoniale, sovrintendevano la finanza pubblica, ma anche controllavano il comportamento pubblico e i costumi dei cittadini. Ricordò Catone, il 'censore', appunto che aveva l'idea fissa 'delenda Cartago', distruggere, cancellare, Cartagine, pericolo, minaccia per Roma.

A loro, novelli censori, il compito di cancellare quanto poteva costituire pericolo, minaccia, per la sicurezza del Paese.

Ci fu perfino un cenno di applausi di chiara matrice ruffianeggiante. Era sempre il Comandante del Distretto...

"Ed ora, caro Sanna, al lavoro!"

Il colonnello si avviò all'uscita, accompagnato dallo zelante e ossequioso aiutante e da Sanna fino allo scalone.

Un lato positivo era la non obbligatorietà di vestire la divisa, anzi per sviare mancanze di fiducia in merito al controllo della corrispondenza, era vivamente raccomandato (leggesi 'ordinato') di indossare abiti borghesi.

Luca, rimasto solo, tirò un lungo sospiro liberatorio.

Il colonnello gli aveva detto che poteva fruire della mensa ufficiali, al Distretto, ma lui preferiva andare a casa, non lontana, dove Cecilia gli faceva trovare pranzo e cena.

Gran parte della corrispondenza che doveva controllare lo coinvolgeva. Non riusciva a rimanere indifferente alle confidenze, ai sentimenti, alle passioni, a tutto quanto gli scritti testimoniavano. Specie quelli provenienti da impersonali numeri di 'Posta Militare', o indirizzati a quella arida sigla: P:M:.....

Dov'era?

Le frasi, dalle più raffinate alle più rozze, erano sempre simili nella sostanza: mi manchi... i bambini chiedono dove sei... la notte non passa mai... smanio i tuoi baci, le tue carezze, la voluttà che sai darmi...

Grafie eleganti o incerte.

Pensieri realistici nella loro crudezza: addurmire sulle tue zinne bianche... sentire il calore della tua.... Il vuoto che hai lasciato mi tormenta... smanio.... Impazzisco...

Qualche accenno al luogo dove lui era: censurato!

Un commento negativo, un improperio sulla situazione che aveva imposto la lontananza: censurato!

Questo governo...: censurato!.

E, ad essere burocratici, si dovrebbe anche segnalare il nominativo al locale segretario politico.

Luca cancellava la frase, scuoteva il capo, anzi in genere annuiva, e dimenticava il tutto.

Ogni tanto era lei che mandava una fotografia, da sola o coi bambini. In genere erano persone modeste, lo si vedeva anche dal vestire, ma spesso c'erano splendidi esemplari di ragazze, di donne nel fiore degli anni e lontane dal loro uomo.

La busta, del sergente Gavino Ruma, era più voluminosa del normale. Una lunga lettera appassionata, piena di ricordi, di speranze, di frasi appassionate, e la fotografia del giovane sottufficiale, con casco e giubba di pelle, accanto a un piccolo carro armato, un 'L3'. Sullo sfondo s'intravedevano alcune case. Quella foto era assolutamente proibita, includeva un mezzo bellico, lasciava scorgere un panorama... Quella dedica: 'A Lucia, nel primo anno del nostro matrimonio' sarebbe finita in cenere. Del resto, non era prudente chiudere un occhio, far finta di non aver visto. Intanto c'era il timbro, sulla busta, che provava il controllo della censura, e poi non si può escludere che un postino fanatico e zelante non si prenda la briga di indagare sul contenuto e denunciare a chi di dovere l'omissione.

Luca aprì il cassetto della scrivania e vi mise la foto. Rilesse la lettera. No, non si accennava alla foto. Non se la sentiva di distruggerla.

Copiò su un foglietto l'indirizzo della destinataria, Signora Lucia Ruma, San Gavino, Via...n. ... e lo conservò nello stesso cassetto.

Il giorno dopo, sabato, prima di uscire, la sera, prese foto e foglietto li mise in una busta, e conservò il tutto nella tasca della giacca.

L'indomani, domenica, era di riposo.

Si era a metà maggio, il tempo era splendido, invitava a fare un salto alla spiaggia.

Scese al piano terra, andò alle 'partenze', salutò gli impiegati di turno, gironzolò distrattamente, si fermò al quadro degli orari di inoltro.

Il treno per San Gavino partiva alle otto e dieci, e impiegava poco più di un'ora per coprire i cinquanta chilometri che lo separavano da quel paese, che era a metà strada per Oristano.

Il treno fermava a tutte le stazioni:Elmas,Assemini,DecimomannuVillasor, Serramanno, Samassi, Sanluri e finalmente San Gavino, sul colle si stagliavano i ruderi d'un castello.

Poca gente era scesa, o salita, nelle altre stazioni. Qui i passeggeri erano più numerosi.

Appena fuori della stazione, comprese il perché delle numerose persone che erano scese dal treno con lui. Il paese era in festa. Il manifesto, a cura del 'Comitato' premetteva che data la situazione i festeggiamenti sarebbero stati molto ridotti, ma non si poteva rinunciare alla processione, e si ringraziava l'Associazione 'Crocus' per il generoso contributo.

Si fece indicare la strada dove voleva andare, era poco distante dalla piazza, sul lato destro della Chiesa, quella adornata con lampadine e festoni.

Incontrò una guardia comunale, chiese della Signora Lucia Ruma.

"La maestra Ruma abita nella casa del marito, ma lui è alle armi."

La guardia lo guardò preoccupato.

"Qualche brutta notizia?"

"No, devo solo fare un'ambasciata alla signora."

Salutò e proseguì.

La casa era abbastanza vecchia ma ben tenuta, sul portoncino verde scuro la targhetta d'ottone indicava, su due righe. 'Gavino Ruma - geometra'. A fianco il tirante della campanella.

Luca guardò l'orologio. Poco più delle dieci. Forse era troppo presto per bussare alla casa di una signora. In quel momento l'uscio si aprì ed apparve una donna vestita di nero, alla foggia del paese. Era abbastanza anziana.

"Volete qualcosa?"

"Cerco la maestra Ruma, ma... forse è troppo presto..."

"No, oggi è festa, e si va tutti in piazza, in chiesa, ci si incontra coi parenti, cogli amici... Voi chi siete?"

"Devo consegnare alla signora una lettera del marito."

"Aspettate, la chiamo subito."

Si affacciò alla scala interna e chiamò:

"Lucia c'è un signore con una lettera di Gavino."

Si voltò a Luca.

"Io sono la zia, la sorella della madre, l'aiuto per le piccole faccende della casa, Lei non vorrebbe, ma io sono più cocciuta..."

Sulla porta, intanto, era apparsa una giovane, bruna, dall'aspetto decisamente bello.

Prima ancora che Luca potesse parlare, lo invitò a salire.

"Venga, non resti sul portone. La precedo"

Iniziò a salire le scale, offrendo allo sguardo di Luca l'affascinante spettacolo delle sue tonde e nervose natiche che si muovevano nell'aderente vestitino di cotone. Uno splendido culetto proprio all'altezza degli occhi di lui, che suscitava comprensibili pensieri e desideri. Più giù, due snelle gambe, nude, i cui polpacci ingrandivano e rimpicciolivano col salire dei gradini. Luca non aveva ancora fatto caso alle tette, ma da quel che si vedeva dovevano essere incantevolmente in armonia col resto.

Non s'attendeva di essere ricevuto da una ragazza di quel tipo. Aveva pensato a una donnetta di paese, magari un po' sfiorita, in modesti abiti da mercatino.

Questo era un gran bel tocco di figliola.

Erano arrivati nella stanza adibita a ingresso-tinello. Arredata con semplicità ma con buon gusto, e si comprendeva il desiderio di contornarsi di oggetti graziosi, di fiori.

Lucia si voltò sorridendo.

Un volto ovale, con neri occhi profondi, sopracciglia fine e ben disegnate, labbra piccole, appena carnose. Tutto in regola, e tutto decisamente attraente.

Il petto, poi, era evidentemente eccitante, chissà se se ne rendeva conto. Forse si.

"Prego, si sieda."

Gli indicò il divano, sedette accanto a lui.

Luca aveva notato che, malgrado le severe direttive del partito, che imponevano l'uso del 'voi', la ragazza parlava rivolgendosi col 'lei'.

"Dunque, Sig.?"

"Sanna... Luca Sanna. Scusi se non mi sono ancora presentato."

"Lei ha una lettera di Gavino."

"Veramente non è proprio una lettera... si tratta di una fotografia.... Comunque, eccola."

Trasse di tasca la busta e la dette a Lucia.

La donna la guardò, notò che era senza indirizzo, per di più aperta. Interrogò Luca con lo sguardo e, senza attendere oltre, estrasse la foto e la osservò. La girò, lesse la dedica, la voltò di nuovo. Nessuna particolare espressione nel suo viso, tanto meno di sorpresa, gioia, contentezza.

"Gliela ha data Gavino?"

"Come ha certamente notato dalla dedicata è destinata a lei. Non mi chieda di più perché in materia non posso esserle preciso."

"Lei conosce Gavino?"

"Mi scusi, Signora, sentivo il dovere di consegnarle la foto e l'ho fatto. Se la importuno vado via subito."

Lucia si alzò, mise la foto sul tavolo che era al centro della stanza. Si voltò verso Luca.

"Scusi i modi, ma non capisco.. Vorrei poterle offrire qualcosa da bere. Una malvasia? Ho degli ottimi sospiri di Ozieri, o una specie di caffè di guerra?"

"Non si disturbi..."

"Nessun disturbo, tutt'altro."

"Allora un caffè."

Lucia andò nella cucina, la stanza accanto, e dopo qualche minuto tornò col vassoio, due tazzine, zuccheriera e piattino con dei lunghi biscotti, tipo savoiardi. Appoggiò tutto sul tavolinetto accanto al divano e tornò a sedere. Porse una tazzina a Luca, chiese quanto zucchero, ne versò un cucchiaino, un altro lo mise nella sua tazzina, offrì i biscotti che Luca rifiutò garbatamente.

"Sono curiosa di apprendere come sia venuto in possesso della fotografia. Di sapere qualcosa di lei, della sua strana visita. Chi è, da dove viene, cosa fa. Dal cognome direi che è Sardo."

"Sono Sardo, si, ma da molto tempo vivo a Roma, ora sono a Cagliari per ragioni di un incarico che spero sia di breve durata. Mi scusi, ma non posso dirle altro sul come sia in possesso della foto. Le assicuro, niente di misterioso, e tanto meno di inquietante. Ma non mi sembra che l'abbia accolta con particolare entusiasmo."

Lucia alzò le spalle.

"Né entusiasmo né disapprovazione."

Luca cercò di sviare il discorso.

"So che lei è maestra. Insegna?"

"Per fortuna si, almeno sono occupata."

"Da quel che vedo è giovanissima, come ha fatto ad avere subito il posto?"

"Grazie per il giovanissima, ma il mese scorso ho compiuto i venti. In quanto al posto, sono supplente, l'ho avuto subito per la mancanza di maestri quasi tutti chiamati alle armi. Sa, io ho studiato, a Cagliari, alle magistrali, all'Eleonora d'Arborea ed ero a pensione dalle Suore Rosminiane. Avrei voluto seguitare, perché mi piaceva, e mi piace ancora, studiare, specie le materie letterarie. Ero bravina... ma i miei non sono stati d'accordo."

"E poi, immagino, c'era il fidanzato."

"Allora non lo conoscevo nemmeno Gavino. L'ho incontrato proprio alla festa per il mio diploma. Era riuscito, qualche anno prima, a diventare geometra e lavorava col fratello di mio padre, ingegnere, che ha un'impresa edile. Non ho capito subito che lo avevano adocchiato come possibile marito. Io non ci pensavo proprio, anche se sapevo, con un certo fatalismo rassegnato, che la mia strada era quella: sposalizio, figli, casa..."

"Non l'attirava avere una sua famiglia?"

"Si, ma quando l'avessi deciso io e con chi avessi scelto io. Questo sapevo che era scritto nel mio destino, come nel destino della pecora è scritto che prima o poi andrà al macello."

"Perché, allora, non si è opposta ai disegni dei suoi?"

"Le ho detto, fatalismo, rassegnazione. Visto che non potevo studiare, tanto valeva la pena contentarli, i miei. Mio zio non aveva figli, e Gavino poteva rappresentare, per lui, la continuazione dell'impresa. Per Gavino era come vincere la lotteria. Per me era liberarmi dalle pressioni familiari, pur sapendo che sarei sempre stata vincolata all'autorità maritale che come lei, Sardo, sa bene, è molto forte, specie in queste campagne. Per fortuna, Gavino è partito ben presto, richiamato alle armi. Come sergente, perché, a suo tempo, non era riuscito a superare il corso per allievi ufficiali di complemento! Tutto qui, caro signor Sanna... o devo chiamarla dottor Sanna?"

"Ci sarebbe differenza?"

Alzò le spalle.

Mentre Lucia parlava, senza particolari accenti della voce, Luca la esaminava attentamente.

Si, era veramente una bellissima ragazza, con qualcosa di malinconico nel volto, negli occhi, e un corpicino deliziosamente armonioso, meravigliosamente proporzionato.

Quando era andata in cucina, era tornata, s'era seduta sul divano, chinata per porgergli la tazzina, lo zucchero... era stato possibile valutarne la grazia, l'avvenenza, la sensualità provocante. Piccole tette ben appuntite, ventre piatto, e del culetto già si era accertato.

Si, lo attraeva. Moltissimo. Quello che temeva era che la sua progressiva e incontrollabile eccitazione non divenisse evidente.

Luca si arrapava facilmente.

Era una delle sue caratteristiche, nota agli amici.

L'altra era una certa, come dire, la persistenza di tale stato, anche dopo aver cominciato ad appagare i suoi sensi. Gli dicevano che univa l'eccitabilità del mandrillo alla solidità e resistenza del toro. Per questo lo chiamavano scherzosamente 'manro': mandrillo toro!

"Scusi, signora, forse sono indiscreto e indelicato, ma sarei indotto a ritenere che non ci sia, tra lei e suo marito, quel sentimento che generalmente unisce due coniugi. Misto di amore e passione..."

"Diciamo che io da studentessa sapevo che dovevo studiare. Da maestra conosco ciò che mi compete, e da moglie osservo –stavo per dire subisco- i doveri del mio stato. Credo di aver detto già troppo, specie con una persona che conosco da pochi minuti. Mi meraviglio con me stessa, perché è una cosa che non ho mai rivelato, neppure in confessione."

"Allora è una... tortura."

"Forse è esagerato usare tale parola. Diciamo che è un doveroso adempimento..."

Quella confidenza aveva su Luca uno strano effetto, era spinto a confortarla. A modo suo, stringendola tra le braccia, carezzandola, baciandola e....

Si schiarì la voce.

"Non intendevo rattristarla, forse era meglio se non fossi venuto, vero?"

"E' lei che si è importunato a fare una gita fuori programma..."

"No, io sono stato ampiamente premiato dall'aver fatto la sua conoscenza."

Lucia accennò un fugace sorriso.

Quant'era bella, desiderabile.

"E' la prima volta che viene a San Gavino?"

"Si. E' un bel paese, abbastanza grande. Ho visto i resti di un castello, e ho letto che oggi si festeggia il Santo Patrono."

"Si, San Gavino, festeggiamenti in tono minore, a causa della guerra. Quello che lei ha visto è il Castello dei Monreale, ha una lunga storia, nella quale entrano pure i Giudici di Arborea. Qui ci sono vecchie iscrizioni in lingua sarda arborense. Ma la sto tediando."

"E' interessante, e poi lei è così precisa, e la sua voce si scalda a parlare della sua terra.

Passando ho visto la sede del Comune, è bella."

"E' del 1861."

"C'è qualcosa di caratteristico del paese?"

La coltivazione del crocus sativus, lo zafferano, ma ora i consumi sono precipitati. E poi i piatti tipici locali."

ULISSE
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