Granelli Di Sabbia

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Gli diceva che lei idolatrava il suo signore e che era felicissima di imparare la sua lingua così avrebbe potuto meglio dirgli quanto lo amava.

A casa accolsero favorevolmente la proposta di Piero, e così l'indomani Sumi divenne allieva indigena delle suore della Consolata.

Quando il camion, sul quale aveva avuto l'autorizzazione di viaggiare grazie ai buoni uffici del colonnello Rossetti, la riportò a casa, era divenuta diversa. Il suo vecchio abito era nella borsa di paglia e lei indossava una gonna rossa e una camicetta bianca, con ai piedi bassi sandali color cuoio. Erano moderne le suore, e le avevano fornito un vestitino veramente civettuolo. Poi, rimasti soli, Sumi mostrò a Piero, curiosa e ridendo, le mutandine che le avevano fatto infilare, ma disse che per nulla al mondo avremmo messo quella cosa che le avrebbe schiacciato il petto. Le sue tette rigide e nere erano coperte dalla sola blusa.

A casa, comunque, avrebbe, almeno fino a quando non potesse disporre di un altro vestito 'taliano', seguitato a indossare la sua futa, per non sciupare il regalo delle suore.

La sera, prima di infilarsi a letto, come sempre appassionata e dolce, chiese a Piero se lui preferiva 'Sumi abascià' o 'Sumi taliana'.

Piero sciolse il cordone della futa e la lasciò cadere per terra e rispose che lui voleva Sumi, e basta.

L'indomani le portò due vestitini del tipo 'chemisier', uno celeste e un altro giallo, e un paio di sandali, che gli aveva procurato Aga Alexaniàn.

Sumi era fuori di sé per la gioia, e li provò immediatamente, cambiandosi dinanzi a tutti, subito, dimenticando, anzi non curando, che le mutandine che le avevano dato le suore, in ben tre esemplari, lei indossava solo quando andava a scuola.

In effetti, quella nudità non sorprese nessuno. Gli indigeni, di ogni età, quando andavano al ruscello, o si lavavano con l'acqua del pozzo, erano come li aveva fatti la mamma. Ci volle ancora del tempo perché osservassero le norme che quotidianamente gli altoparlanti diffondevano, logicamente in amarico, rivolgendo agli 'abascià Addis Ababa'.

Lungo le strade, specie quelle non particolarmente trafficate, si potevano vedere donne, spesso con pesi in testa, che si accoccolavano improvvisamente e quando si alzavano lasciavano chiari segni del contenuto vescicole di cui s'erano liberate. Lo stesso facevano gli uomini, con naturalezza, magari seguitando a parlare con gli amici, e quando il solito altoparlante disse che dovevano avvicinarsi a una siepe a un muretto, furono scrupolosi osservanti, solo che vi si avvicinavano volgendo la schiena a quello che sarebbe dovuto essere un riparo dagli sguardi degli altri. Che male c'era? Quella era una funzione che facevano tutti, pure l'Abuna, e certamente anche il Viceré.

Le attenzioni di Piero per Sumi, e la richiesta di un permesso per usare mezzi di trasporto riservati agli italiani, rilasciati dall'intendenza militare, non era gradita a Roberta.

Si guardò bene dal fare una scena di gelosia, per tema di perderlo, ma lo mise in guardia contro le malattie e la dubbia buona fede delle popolazioni locali. Piero ascoltò con diplomatica attenzione, e assicurò che avrebbe tenuto in buon conto quelle considerazione.

Anche lui, del resto, non voleva perdere quel delizioso e ardente scrigno d'amore che lo accoglieva sempre con seducente impazienza, confermando il proverbio che il buon brodo è quello che fa la gallina e non la pollastrella.

A proposito di pollastrelle, Piero seguiva compiaciuto la continua trasformazione dell'acerba Paola in un'avvenente ragazza con sempre più evidenti ed attraenti attributi femminili.

I mesi trascorrevano, in fretta.

L'affare Harar s'era risolto favorevolmente a chi attendeva di vedersi assegnata la rappresentanza della vendita e assistenza dei veicoli della nota fabbrica torinese. Piero era un aiuto a tempo parziale della sede di Addis Abeba di quella società Sumi apprendeva con eccezionale rapidità, e già sapeva leggere e comporre qualche frase, in italiano, con espressioni dolci e poetiche, domandando spesso come avrebbe potuto esprimere questo o quel sentimento, soprattutto di figlia, sposa, madre. Aveva conquistato il cuore delle suore, aveva voluto seguire anche delle lezioni di cucito, sapeva fare la calza, cucinare alcuni cibi italiani, stirare, tenere in ordine il guardaroba. In meno di due anni, dicevano le suore, aveva appreso quello che per le altre avrebbe richiesto una vita.

Sumi aveva scarse e vaghe cognizioni religiose. Ufficialmente apparteneva alla Chiesa Copta, ma non l'aveva mai frequentata. Aveva partecipato alla festa del Timkat, l'Epifania, senza, però, neppure sapere di cosa si trattava.

Un giorno chiese a Suor Maria Adelaide cosa ci voleva per mangiare anche lei quel piccolo biscotto bianco che le suore mangiavano durante quella cerimonia che chiamavano la Santa Messa. Così dimostrava di non aver ricevuto nessuno dei sacramenti che pur esistono nella Chiesa Copta, come l'Eucaristia.

Le suore ne parlarono col sacerdote e questi ascoltò attentamente Sumi e le disse che sarebbe stato bene, per lei, fare una chiccchieratina con padre Paulus, missionario ma etiope, e dopo si sarebbe visto cosa fare.

Sumi era esaltata al pensiero di poter abbracciare la stessa religione di Piero, e disse al giovane che si voleva battezzare e chiamare come lui, volle conoscere chi fosse Piero, nel cattolicesimo. Quando seppe che era il primo dopo Gesù, e sentì parlare di Pietro e di Paolo, quasi sempre nominati insieme, concluse che lei si doveva chiamare Paolo, per stare sempre insieme a Pietro, Piero, ed accettò il nome Paolo, visto che Paolo era riservato agli uomini.

Poche lezioni di catechismo, data la perspicacia e acuta intelligenza della donna e fu ammessa al solo battesimo, per concessione del vescovo della diocesi, alla presenza di Leben e della famiglia, avendo per padrino Piero.

^^^

Le nuvole politiche andavano sempre più addensandosi nel cielo d'Europa.

L'invasione dell'Albania, aprile 1939, aveva reso i rapporti tra Francia e Inghilterra da una parte e Italia dall'altro, estremamente delicati, anche se si cercava di mascherare la tensione.

Era logico che un eventuale conflitto si sarebbe esteso a tutti i territorio dov'era la bandiera italiana, e l'AOI era circondata da possedimenti che erano colonie o protettorati franglo-francesi.

Si doveva tornare in patria.

Quando sentì parlare di questa decisione, Sumi, cioè Paula, rimase basita, svuotata, priva di forze.

Se ne andava.

Piero, pur sapendo che la sua relazione era, ormai di dominio almeno familiare, cercò di contrabbandare la sua proposta, cominciando a dire che, certo, come, ormai, Paula li conosceva, come sapeva le loro abitudini, come era benvoluta dai più piccoli, separarsene era proprio una iattura (si, parlò proprio di disastro), perché non portarla con loro in Italia? Si era già informato, ci volevano alcuni documenti che lui, grazie alle sue amicizie, avrebbe ottenuto in poco tempo, e le avrebbero concesso un lasciapassare.

Il padre disse che ci avrebbe pensato.

In effetti, Paula era divenuta una di loro.

I piccoli pregarono il papà di non farli separare da Paula.

L'indomani fu chiesto a Paula se era disposta a seguirli in Italia e cosa avrebbe detto, in proposito, Leben.

La ragazza scoppiò a piangere.

Il padre di Piero la guardò con dolcezza.

"Capisco, non vuoi lasciare la tua famiglia."

"No, signore, piango per la gioia. Io in Italia. Con voi?"

"Si, ma Leben?"

"Lui certo d'accordo, io tornerò a trovarli o li chiamerò in Italia."

"Si, ma devi chiedergli il permesso, lui deve dare consenso."

"Lui, darà permesso, io detto che avrei dato metà della mia vita per venire con voi, e non sapevo niente, e lui detto che non dovevo dare niente, perché lui avrebbe dato tutta sua vita per vedermi contenta."

^^^

3 PARTENZA

Quella che fino ad allora era sembrata una situazione di 'quiete', confermò il detto che un solo granellino di sabbia sconvolge il deserto.

Basta che un granellino di sabbia si sposti e tutta una duna muta il suo aspetto, e coinvolge le altre dune, e il moto si trasmette, dilaga, all'infinito, sì che tutto il deserto cambia aspetto.

O è il vento a smuovere la sabbia, il ghibli, il simùn, o quelli di deserti lontani.

Il vento carezza con energia il suolo e solleva nuvole composte da infiniti granellini, e li trasporta lontani, su altre terre, sul mare dove molti precipitano e vanno sempre più giù, fino in fondo, a trasformarsi nell'impalpabile rena degli abissi. O ancora più lontano, ad arrossare immacolate vette bianche.

Granellino di sabbia che sconvolge un sistema che ha vissuto ere d'immobilità.

Cosa era la partenza della famiglia di Piero?

Nulla.

Ma coinvolgeva e sconvolgeva situazioni ritenute immutabili.

Una partenza che comportava distacchi. Distacchi forse definitivi.

Roberta era sgomenta.

Il suo mondo crollava, il suo sogno svaniva, i suoi anni, improvvisamente, si abbattevano su lei, la seppellivano.

La bella ed esuberante donna che si sentiva nel periodo più lussureggiante della sua vita, scaldata dal giovane sole del suo amante che le dava il dono del continuo fiorire, diveniva una vecchia moglie rinchiusa in sé stessa, incurante di apparire piacevole, rinsecchita nell'animo, nel sesso.

Roberta sentiva che non era lei a morire, ma il suo mondo scompariva per sempre.

Erano stati brevi anni che significavano un'eternità.

Era riuscita ad avere la chiave della piccola foresteria. Un basso edificio, poco più d'una capanna, con due sole camere, per chi, ufficiale di passaggio, avesse avuto bisogno d'un alloggio.

Non fu neppure particolarmente cauta e circospetta quando vi si recò, nelle prime ore del pomeriggio, il giorno prima della partenza di Piero. E poco dopo fu raggiunta da lui.

Sembrava una furia scatenata, nei suoi assalti amorosi, come se volesse distruggerlo, annientarlo, assorbire in sé e conservarlo per sempre in lei.

Quando fu tramonto avanzato, pallida, discinta, uscì lasciando tutte le porte aperte, mentre Piero cercava di sgattaiolare dal cancelletto posteriore.

Da quell'incontro, usciva una vecchia, una donna che mostrava il doppio della sua età, col seno pendente e le turgide labbra della sua vulva appassite, raggrinzite.

Anche a Piero dispiaceva quel distacco. Roberta gli aveva donato voluttuose e indimenticabili sensazioni, la loro passione era divenuta sempre più perfezionata, raffinata. Ma lui aveva solo 20 anni e tutta la vita dinanzi a sé.

Leben e la sua donna, erano perfettamente coscienti che molto probabilmente la separazione da Sumi-Paula, sarebbe stata definitiva, ma si consolavano pensando che sarebbe andata a vivere in un luogo migliore, in una famiglia che dimostrava di volerle bene e, soprattutto, con l'uomo che amava, che idolatrava e che la trattava come una regina.

Quanto sarebbe durato?

Comunque ritenevano che fosse meglio così, invece di andare a finire chissà dove, chissà con chi, a fare la schiava di un uomo che per tutta casa le avrebbe offerto un misero tukul.

Del resto anche suo nonno, insieme a molti altri, era partito, tanti anni prima, dalla sua terra, dal suo mare di Kismaayo, per giungere, dopo un lunghissimo e fortunoso viaggio, tra gli eucaliptus di quella città posta ad oltre duemila metri d'altitudine.

Paula sentiva la sofferenza del distacco dalla famiglia, ma questo, in ogni caso, era nel suo destino: lasciare padre e madre ed essere la donna di un uomo. In un altro luogo, in un'altra casa.

Era felice di andare con Piero, ma tormentata dal pensiero che chissà come si sarebbe comportato nei suoi confronti una volta tornato in patria, tra la sua gente, in quei luoghi incantevoli che lei aveva intravisto in qualche 'Giornale Luce' prima dei films proiettati nella piccola sala della Consolata, o quell'unica volta che Piero l'aveva condotta al 'DUX', il cinema della città riservato agli italiani.

Cosa sarebbe stata lei per Piero, con tutte le pallide ragazze che lo avrebbero circondato?

Di positivo c'era che sarebbe finita la storia con Roberta, la maledetta vecchia sciarmut italiana. Perché per lei quella donna era peggio d'una sciarmut, d'una puttana. gli portava via il 'suo' uomo e gli faceva persino tanti regali.

Preparava accuratamente le poche cose da prendere con sé, ed aveva riempito un sacchetto con le foglie che le aveva dato il vecchio achìm per aiutarla a non rimanere incinta.

Piero le regalava molto spesso una moneta, perché comprasse qualcosa per sé, ma lei aveva conservato religiosamente i talleri in una grande scatola di latta. Non ne aveva speso neppure uno. Come avrebbe potuto privarsi di qualcosa datale da Piero?

La scatola era quasi piena. In due anni ne aveva raccolti parecchi, almeno duecento. Ora lei sapeva contare, perché in quei due anni aveva persino superato gli esami di quinta elementare, e il Vescovo le aveva impartito la Cresima, madrina suor Maria Adelaide, e datale la prima Ostia Consacrata.

Era la religione di Piero, anche se lui l'osservava tiepidamente, ed era naturale che fosse anche la sua.

Per tornare alla sua Comunione, non comprendeva come fare l'amore con l'uomo che si amava potesse costituire peccato, quindi nulla aveva detto al sacerdote che ne raccoglieva la confessione.

Decise di dare i talleri ai genitori, era il regalo d'addio.

Il valore ufficiale del tallero era di cinque lire, ma gli indigeni che potevano lo acquistavano alla borsa nera per 12,50. Duecento talleri, quindi, 2500 lire, una vera e propria ricchezza per due servi abissini, considerando che era l'epoca in cui si cantava 'se potessi avere mille lire al mese!'

In casa Marini c'era poco o nulla da portare via.

Ogni cosa, masserizie, vestiario, gioielli, tutto, giaceva in fondo al mare, nella stiva della nave la cui esplosione era costata la vita della giovane sposa e madre.

Marco e Carla erano contenti, a modo loro, di tornare in Italia.

Non avevano chiare idee di dove sarebbero andati e come sarebbe stata la loro vita. Li consolava sapere che Paula era con loro. Anche se appena diciottenne, si comportava più come una mammina che non come sorella maggiore.

Carla aveva otto anni, aveva finito la terza elementare.

Un po' chiusa, amava principalmente i giuochi solitari, e parlava con i fiori, con le farfalle.

Marco stava per compiere quattordici anni, ed aveva, con un certo anticipo, ultimati i quattro anni inferiori dell'Istituto magistrale. L'unico esistente, allora, e riconosciuto come 'statale' a tutti gli effetti.

Scolasticamente parlando, era Piero che aveva la prospettiva di dover affrontare gli esami di due anni.

S'era accuratamente preparato, è vero, ma gli esami sono sempre un'incognita.

E giunse il momento della partenza.

L'indomani!

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Leben corse accanto al treno fin quando l'aumento della velocità lo lasciò indietro e, appena dopo la prima curva, lo fece uscire dalla vista di Paula che, al finestrino, con lo sguardo sbarrato osservava il panorama che scorreva velocemente. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Il vuoto provocato dal distacco dai genitori era riempito dal contatto di Piero che, dietro lei, la stringeva a sé, amorevolmente.

"Attenta, Paulina, che ti va il carbone negli occhi, dobbiamo chiudere il finestrino."

La ragazza assentì silenziosamente, s'allontanò, si voltò ed esaminò attentamente l'interno dello scompartimento.

C'era anche una lampadina, al centro, ma era spenta.

Marco e Carla stavano parlottando, il padre leggeva il giornale.

Piero la prese affettuosamente per il braccio e la fece sedere sul divano, accanto a lui.

Seguitava a guardare.

"Vuoi andare nel corridoio?"

Piero le teneva una mano sulla spalla.

"Ahò!"

Gli parlava in amarico, come a non voler lasciare tutto.

Uscirono nel corridoio.

Si diresse, sempre stretta a Piero, verso la piattaforma. C'era una porta, vicina allo sportello per l'accesso dei viaggiatori.

Quelli che occupavano gli altri scompartimenti (erano tutti al completo) avevano seguito curiosamente il passaggio di una indigena, dai tratti somali, insieme a un bianco. Era rarissimo che un indigeno viaggiasse in prima classe.

Paula interrogò Piero con lo sguardo: dove si andava attraverso quella porta?

Piero l'aprì, le mostrò la ritirata, il lavandino.

Lei sorrise lievemente, arrossendo appena.

Fino ad allora non aveva mai usato un WC, ma sapeva come si doveva fare.

Tornarono al loro posto.

Incurante della presenza degli altri, si raggomitolò felinamente e poggiò la testa sulla spalla di Piero, mentre guardava la campagna fuggire velocemente.

Il viaggio fino a Gibuti durava più di 24 ore.

Era stata lei a provvedere alle cibarie necessarie e a riempire tre thermos di caffè. Nella grossa scatola di cartone, restata nel corridoio, accanto alla loro porta scorrevole, c'erano numerose bottiglie d'acqua. Non mancava nulla, neppure la cioccolata che piaceva tanto a Carla.

"Carla, vuoi riposare un po' in braccio a me?"

Sapeva che la bimba amava farsi cullare da lei.

"Più tardi, grazie, adesso sto bene così. Questa sera, però, devi farmi dormire vicina a te!"

"Certo, tesoro, certo."

Si sporse verso lei per carezzarla sul volto.

^^^

A Gibuti faceva caldo, ed era alquanto caotica. Paula non capiva niente, né il dialetto locale, né la lingua che parlavano i bianchi. Anche le insegne erano per lei incomprensibili.

Da Piero si era fatta descrivere il mare, la nave, ma non comprendeva cosa, in effetti, fosse una barca così grande. Le aveva viste, in fotografie, ma non riusciva ad immaginarsele.

Era smarrita, confusa, e quando giunsero all'albergo, dove gli italiani non erano particolarmente graditi, comprese che qualche cosa non andava, perché l'uomo del banco, più nero di lei e orrendamente brutto, la indicava e scuoteva la testa. Papà Marini superò ogni difficoltà col passe-partout che vale in tutto il mondo, e rimuove ogni ostacolo:la mancia.

La direzione dell'albergo aveva potuto riservare aux italiens una sola camera, per fortuna con annesso servizio, dove s'allineavano cinque lettini che, volendo, potevano essere divisi in due gruppi dal paravento che era in un lato. Furono anche avvertiti che era obbligatorio consumare i pasti in albergo, e fu consegnato un menù che non consentiva scelta.

Paula confabulò con Piero per dirgli che lei non avrebbe potuto dormire dove dormiva anche il 'grande padrone', per rispetto verso di lui.

L'interessato comprese la perplessità della ragazza, e le sorrise dicendole che non c'era problema, loro dovevano considerarsi una famiglia, e una famiglia dorme tutta nello stesso tukul. Il paravento avrebbe separato Carla e lei dai tre maschi.

Per fortuna che, se tutto fosse stato regolare, si sarebbero imbarcati il pomeriggio successivo.

Piero scese nella hall, chiese di telefonare, chiamò l'agenzia marittima, e profittando del suo ottimo francese che mascherava l'essere italiano, ebbe gentili e chiare spiegazioni. Il Victoria era in perfetto orario. Loro si dovevano trovare alle 16 precise all'imbarcadero della lancia che li avrebbe portati sotto bordo.

La nave, infatti, sostava al largo.

L'auto era guidata da uno yemenita, che malediva ininterrottamente, les sales français, la sale voiture française, les sales routes de cette sale ville, e finiva con un sonoro merde!, per ricominciare subito la filastrocca.

Per lui era tutta una schifezza.

Era una grossa auto, sul tetto della quale aveva caricato il bagaglio.

Giunti al porto si fermò a fianco a quella che, più che una lancia era una vecchia e ondeggiante maona con parapetti costituiti da paletti e corde.

Naturalmente, per l'autista anche le chaland, la chiatta, era uno chaland de merde.

I dollari che ricevette gli illuminarono gli occhi, e s'affrettò a scaricare il bagaglio, a sorridere a tutti, a indicare la bianca nave, al largo, le magnifique bateau blanc, le bateau italien, dont le nom est victoire!

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