Viaggio Inaugurale

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ULISSE
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Non nascondo che non mi sarei aspettato una trattazione del genere, ed esposta con un certo distacco, mentre io m'andavo eccitando sempre più. In proposito, però, mi sbagliavo, perché Rosy prese la mia mano e la portò a constatare l'umidore della sua fichetta.

Quel contatto doveva averla maggiormente eccitata. (Non vi dico io!)

Si alzò in piedi, abbassò di nuova la zip del mio pantalone, e... disse tutto poggiandosi sul sedile di fronte, dopo essersi alzata la gonna.

Mi balzò in mente l'illustrazione di quel famoso libro orientale da lei citato, la riproduzione di una statua del tempio dell'amore, che dopo qualche istante rappresentava noi.

Entrai in lei non affrettatamente, ma fin quando potei.

Sentii accogliermi con caldi palpiti.

Le sue chiappette mi scaldavano il ventre.

Allungai le mani per afferrarle le tette. Quasi strappai i bottoni del vestito, sollevai decisamente i reggipetto.

Eccole, deliziose, sode, col loro capezzolone eretto. E la vagina si stringeva intorno al mio fallo.

Uno stantuffare che cominciò piano piano, come quando la locomotiva comincia a muoversi. Il fuoco che ha dentro causa il moto. Al principio lento, poi aumenta, sempre più, fino a divenire una corsa sempre più veloce per giungere alla stazione d'arrivo. E vi arrivammo insieme, rallentando, fino a fermarci. Ma il fuoco seguitava ad ardere, lo stantuffo a fremere, la guaina che l'accoglieva a pulsare, in attesa che la corsa ricominciasse.

Seguitavo a tormentarle le tette, ogni tanto le carezzavo le chiappe.

Sgusciai da lei, lentamente.

Le passai le dita tra le natiche, sentii il mio seme spandersi in quel solco caldo ed allettante, le contrazioni del suo buchetto. Vi infilai, piano, un dito. Si strinse intorno ad esso. Con l'altra mano la frugai davanti, le titillai il clitoride. Era tutto un palpitare. Mi ripromisi che avrei cercato di avere la mia prima esperienza infilando il mio coso li, nel buchetto, al posto del dito. Ma dovevo scegliere il tempo. E non sapevo che sarebbe stata anche la sua prima volta in materia.

Ci ricomponemmo alla meglio, sedemmo sul divano.

Mi buttò le braccia al collo.

"Mario, dolcissimo Mario, sei stato bellissimo. Non avevo mai goduto così.

E' certo, siamo toro e giumenta, la coppia perfetta."

L'ora, il dondolio del treno, e tutto il resto ci fecero addormentare, abbracciati. E restammo così, a lungo.

Eravamo quasi a Salerno quando fui destato, piacevolmente, da qualcosa che stava accadendo.

Rosy andava realizzando un altro dei suoi ricordi dell'erotismo indiano. E' certo, aveva detto, siamo toro e giumenta, la coppia perfetta.

Era attaccata con le mani alla reticella, aveva alzata la gonna e fermata in vita, era riuscita ad estrarre il mio fallo eretto dai pantaloni, (e non m'ero svegliato forse perché credevo di stare sognando), e ci si stava impalando golosamente.

Quando le sembrò di essere stata completamente penetrata, (sentiva il mio glande premere sul fondo della vagina), si lasciò andare lentamente, staccando le mani dalla reticella, e cominciò a muoversi.

Non credo che la sua posizione fosse una delle più comode, ma quello che contava per lei, era farsi una bella galoppata a cavallo del mio pisellone.

Le posi le mano sui fianchi, poi sulle belle chiappe.

Aveva il corpetto slacciato, le tette fuoriuscenti.

Riuscii ad agguantare un capezzolo turgido tra le mie labbra e a succhiarlo.

Le pareti della vagina s'erano impadronite del mio sesso come sanguisughe, e lo poppavano, sempre più freneticamente.

Rosy sembrava rantolare, un rumore roco e profondo usciva dalle sue labbra, la testa rovesciata indietro, gli occhi socchiusi. E non riuscì a soffocare il grido che proruppe da lei quando fu in preda ad una serie di orgasmi rapidamente susseguentisi, quasi parossistici quando il mio seme esplose in lei. Sembrò che anche la sua testa e il suo grembo esplodessero.

Poi si gettò su di me, e giacque.

Era stato bellissimo, ma ora, dopo, mi venne in mente che qualcuno avrebbe potuto aprire la porta. Qualcuno della ferrovia.

Rosy si alzò. Asciugarmi il fallo con l'interno della gonna stava divenendo un'abitudine.

Poi mi sedette accanto.

Questa volta fui io a cercare di riprendere un aspetto esteriore passabile.

"Come faccio, Mario, ad aspettare ancora... ti voglio sempre... continuamente. Mi giudicherai certo una assatanata, ma non è così, ti giuro. Pensa che nella mia vita non ho conosciuto nessun altro uomo, prima di te, che non fosse mio marito. Ero vergine, verginissima, quando mi ha sposata. Ora, solo ora, mi sembra di essere nata alla vita. Non lo avrei mai immaginato. Eppure, quando siamo giunti a casa tua, giorni fa, ho sentito un improvviso rimescolio, in me, al solo vederti, che mi ha profondamente turbata. Volli credere che fosse una cosa passeggera. No, e non so cosa mi stia accadendo, ma sono pazza di te, come se ti avessi agognato da sempre. Nessun ostacolo mi trattiene.

Ti ho trascinato nel bagno, come una puttanella da due soldi. Non mi ero messo le mutandine. Te ne sei accorto? Era tutto premeditato. Dovevo sentirti in me, subito. Ed è stato ancora più bello di quanto immaginassi. Non credevo di poter provare simili sensazioni, di raggiungere un godimento che non sapevo esistesse. Vedi, mentre ti parlo mi eccito. Baciami."

Un bacio passionale, travolgente.

Sentimmo qualcuno armeggiare alla porta.

Ci ricomponemmo.

La serratura girò, la porta si aprì, fu accesa la luce.

Un nuovo controllore, questa volta, però, con insegne dorate del suo grado, solo sul berretto. Lui vestiva in borghese, con un badge di riconoscimento sulla giacca.

"Prego, biglietti."

Guardò il cartello attaccato al vetro. Si rivolse a noi.

"Siete voi i destinatari della riserva? Avete un documento in proposito?"

Scuotemmo la testa.

"Allora, deve essere quanto meno scaduta la 'riserva', perché nei documenti in mio possesso non risulta. Devo rimuovere il cartello, quindi."

E lo strappo'.

Controllò i biglietti.

S'affacciò in corridoio.

"Prego, possono accomodarsi qui, c'è posto."

Apparvero due suore, una anziana, l'altra molto giovane.

Entrarono sorridendo, sistemarono il loro piccolo bagaglio sulla reticella, sedettero di fronte a noi, tirarono fuori due libretti, si misero a leggerli.

Dunque, finita la 'privacy' e terminato il buio favoreggiatore.

E ancora molte ore di viaggio.

Ma forse tutto ciò non era male.

Era opportuna una pausa, perché l'inizio era stato turbolento e travolgente, e prima o poi saremmo stati sorpresi con le drammatiche possibili conseguenze che si possono immaginare.

Sussurrai all'orecchio di zia Rosy che dovevamo cercare di dormire un poco.

Chiusi gli occhi, ma quella vicinanza, il suo tepore, il suo profumo e... tutto il resto, non mi fecero appisolare.

Aprii gli occhi. Zia Rosy stava fissando le suore.

Forse lo sentirono, perché la più anziana chiuse il libro e le sorrise.

"Andate lontano?"

"A Catania."

"Anche noi, così ci faremo compagnia. Arriveremo verso le dieci, se Dio vuole, vero?"

"Si, poco prima delle dieci."

"Siete di Catania?"

"Si, madre, io sono di Catania" –era sempre la zia a parlare, io restavo in silenzio- "ma mio nipote no, mi accompagna a casa per non farmi viaggiare sola."

La suora mi guardò, mi sorrise, annuì compiaciuta.

"E' un bel nipote, una bella guardia del corpo."

Rosy sorrise anche lei.

"Si, lo é."

E batté la sua manina sulla mia, che tenevo sul divano.

Un contatto delizioso.

Rimase un po' così, prima di levarla.

La suora riprese a leggere.

Ricordai che avevamo acquistato delle riviste. Mi alzai, le presi dalla borsa, le porsi a zia Rosy.

Ne aprì una, cominciò a sfogliarla. Mi indicò qualcosa, mi avvicinai a lei.

Non doveva mostrarmi nulla. Era solo per parlarmi, a bassissima voce, appena un soffio.

"Mi dispiace, Mario. Ho ancora tanto desiderio di baciarti."

"Cerca di riposare un po'. Appoggia la testa sulla mia spalla."

"Si, ma tu dammi la mano."

Chiuse la rivista e se la pose sulle gambe.

Si rivolse alle suore.

"Mi sento stanca, ma non riesco a riposare. Esco, e non del tutto, da un forte esaurimento nervoso, che mi ha tormentato ed è giunto senza che ne sappia il motivo. Questa è anche la ragione per cui non posso viaggiare in aereo. Sono ancora vittima di una noiosa ma incontrollabile claustrofobia. Mi sento sempre in pericolo, ho bisogno della protezione di qualcuno. Ho tanto bisogno di dormire. Ci proverò."

La suora giovane la guardò, preoccupata.

"Vuole che spegniamo la luce?"

"No, grazie, leggete pure. Mi appoggerò a mio nipote e spero di assopirmi."

Poggiò la testa sulla mia spalla, mi prese la mano e se la portò in grembo, stringendola, sotto il giornale.

Le suore si guardarono, ma senza lasciar trapelare nulla dall'espressione del volto.

Il treno proseguiva verso sud.

Le dita di zia Rosy sembravano volermi trasmettere i suoi pensieri, erano in continuo movimento. Soprattutto, premevano la mia mano sul suo grembo che mi sembrava sentire palpitare. O forse era solo la mia immaginazione.

Le suore avevano ripreso a leggere.

Zia, però, allentò la stretta, cominciò a respirare profondamente. Si era addormentata.

La suora anziano mi guardò e sussurrò in un soffio.

"Si è addormentata, meno male, poverina. Si vede che ha bisogno di lei. Forse se non sentisse la sua mano, a proteggerla, non riposerebbe."

Tornò cogli occhi sul suo libro.

^^^

I vagoni erano stati imbarcati sul traghetto.

Le manovre, e il relativo rumore, avevano svegliato zia Rosy, che mi sorrise, poi si voltò alle sempre immobili suore e sorrise anche a loro. Si alzò, andò al finestrino. Eravamo vicini alla scaletta che conduceva ai ponti superiori.

"Vorrei prendere un caffè. Mi accompagni, Mario?"

Si rivolse alle suore.

"Perché non vengono anche loro? A quest'ora qualcosa di caldo ci vuole."

"Veramente, signora, noi preferiamo non muoverci, ma loro vadano pure. Certo."

"Gliene porteremo due, sperando che non si raffreddino molto."

"Lei è molto gentile. Quand'è così, posso pregarla di acquistarli per nostro conto e farli mettere nel termos?"

"Certo."

La suora aprì la capace borsa che aveva accanto a lei, ne trasse un piccolo termos, lo dette a zia Rosy.

"Non preoccupatevi" –proseguì la suora- "alle vostre cose pensiamo noi. Lasciate qualche oggetto sui vostri posti."

Salutammo e ci avviammo nel corridoio. Giungemmo allo sportello, lo aprimmo. Faceva fresco ma il freddo di Milano è tutt'altra cosa.

Salimmo la scaletta, ancora un'altra, e giungemmo dov'era il bar.

C'era abbastanza gente. Il tepore era piacevole.

Zia Rosy aveva preso la mia mano. Sembravamo due adolescenti a passeggio.

C'era un piccolo tavolo libero, in un angolo. Andammo a sederci.

"A me, Mario, un bel cappuccino e vorrei anche una brioche. Per favore, prendi anche il caffè alle suore."

Il termos lo aveva già dato a me, in precedenza.

Tornai dopo poco, con un vassoio sul quale fumavano due tazze di cappuccino, e v'era anche un piatto con delle belle brioches calde, due con la crema e due con la marmellata, e, in più, il termos nel quale avevo fatto mettere ben quattro tazzine di caffè.

Sedetti di fronte a lei.

Le sue gambe vennero subito a infilarsi tra le mie.

Mi guardò maliziosamente.

Fu contentissima delle brioches, disse che erano proprio come piacevano a lei. Dopo la piccola colazione rimanemmo un po' a guardare fuori.

Il traghetto s'era avviato verso Messina.

Pensammo che le suore erano in attesa del caffè, e tornammo nello scompartimento. Nel salire sul vagone, zia Rosy si voltò verso me e mi baciò rapidamente, di sfuggita.

Le suore accolsero con visibile piacere il caffè, dissero che erano due abbondanti tazzine, ed insistettero, senza riuscirvi, nel volerci rimborsare la spesa.

Stavamo tornando sulla terra ferma.

Ancora due ore e saremmo giunti a destinazione.

Non posso nascondere la ridda di pensieri che attraversavano la mia mente.

Cosa mi attendeva?

La domanda potrà sembrare sciocca, ma non è detto che quella fregola scatenata, specie della prima volta, nella toilette, sarebbe durata.

La casa poteva imporle tutt'altro atteggiamento.

I luoghi nei quali viveva col marito, il talamo coniugale, potevano bloccarla.

In tal caso cosa significava per me?

Primo pensiero: avere a fianco un gran tocco di fica, di cui, tra l'altro conoscevo l'esuberanza e la passionalità, e dovermi dedicare al sesso solitario.

Secondo pensiero: in fondo, non stava bene scopare la moglie del proprio zio.

Terzo pensiero: forse è meglio che torni subito a Milano.

Conclusione: manco per niente, rimango a Catania e vediamo come va a finire, non sarò certo io a rinunciare una donna del genere, sola, col marito lontano. Del resto, o io o zio, lei avrebbe scopato sempre con un Mario!

Quello che è certo, che solo pensando a lei venivo assalito da incontenibili erezioni, ma era giorno, c'erano le suore, eravamo in un luogo pubblico.

Ci voleva pazienza.

Wait and see, staremo a vedere!

^^^

Un sorriso per tutto saluto, alle suore, e mi affacciai al finestrino per chiamare un portabagagli. Così aveva voluto zia Rosy.

All'autista del taxi dette un indirizzo.

"Andiamo alla 'fortezza', signora?"

"Si."

Quando fummo in auto, le chiesi che significava, nel caso, 'fortezza'.

"E' un gruppo di villette, ben custodite e sorvegliate, per motivi vari. Poi ti spiegherò. Sono poco discoste dal mare, ai piedi della collina, e molte hanno accesso diretto al mare e una propria darsena, anch'essa molto protetta."

Il taxi si districava discretamente nel traffico, che a me sembrava caotico, con veicoli d'ogni genere e continui strombazzamenti di clacson. Poi imboccammo una strada meno battuta, e dopo qualche minuto giungemmo dinanzi a un cancello fornito di solidi pannelli metallici che non lasciavano scorgere nulla.

Zia Rosy prese dalla borsetta uno strano aggeggio, che capii essere un apriporta elettronico, compose una cifra e il cancello si aprì lentamente.

"Adesso può entrare, ma la prego di guidare molto lentamente, Si fermi ai piedi della scala che porta alla veranda."

L'autista era serio, compunto, nascondeva una evidente curiosità, e sembrava compiere un rito particolare. Si fermò dove zia Rosy gli aveva detto.

Scese, prese il bagaglio, lo depositò vicino alla porta centrale della veranda.

Zia Rosy pagò la corsa, con una generosa mancia, e gli disse di uscire lentamente. Avrebbe pensato lei a chiudere il cancello.

La porta della veranda era di vetro, e si vedeva che era molto pesante, del tipo safety and bullet-proof glass. In teoria avrebbero dovuto resistere ad ogni tentativo di scasso. Evidentemente tutto doveva rispondere, altre aperture, infissi, eccetera, allo stesso criterio. Chissà, forse perché zio Mario faceva parte dello Stato Maggiore interalleato.

Un'altra composizione numerica sullo stesso arnese, malgrado due serrature facessero bella mostra sulla parte metallica della porta, e si aprì, scorrendo all'interno della parete.

Seguitavo a capirci sempre meno.

Inoltre, non c'era nessuno ad attenderci.

Evidentemente zia Rosy si accorse del mio stupore.

"Vieni, Mario, ora accendo le luci. Dentro sicuramente staremo bene perché la temperatura è costantemente regolata."

Presi il bagaglio e lo portai dentro.

"Non c'è nessuno, zia?"

"Il guardiano è nella piccola casa al di là della strada, ed io sono aiutata nel disbrigo degli impegni casalinghi, dalla moglie e dalla figlia del guardiano che, tra l'altro, fa anche da giardiniere. Quando lo riteniamo, lo facciamo alloggiare nella piccola dipendenza che sta dietro la villetta, dove c'è posto anche per un'altra famiglia. Ma tuo zio preferisce starsene solo soletto. Del resto, come vedi, siamo discretamente protetti da ogni sorpresa, e siamo anche sotto la diretta sorveglianza delle forze dell'ordine. Puoi sentirti sicuro."

"Allora, già sanno che sei rientrata e conoscono la mia presenza."

"In un certo senso si, ma non distinguono le persone. Adesso godiamoci un po' di privacy e dopo avviserò Agatina, la figlia del guardiano, che sono tornata. Penso che sarà meglio andare al ristorante, per mezzogiorno. Prenderemo la mia auto. Tu vorrai fare una doccia, vero? Prendi la tua valigia. Le camere sono al piano di sopra. A me non serve nulla, ho tutto nella mia camera."

Salimmo l'ampia scala, girammo a destra.

"Ecco," –disse zia Rosy- "questa è la mia camera e la tua è di fronte. Buona doccia. E' quello che farò anche io. Troverai tutto il necessario. Quando sarai pronto puoi scendere nel soggiorno. Ciao."

Neanche una stretta di mano, non una carezza, un bacio, dopo le intemperanze ferroviarie...

Comunque, la camera era ampia, luminosa, e nel bagno c'era veramente tutto, anche accappatoio e pantofole di spugna.

Fui presto sotto la doccia. Ci voleva proprio dopo un viaggio così lungo e... movimentato. Specie per alcune parti del corpo.

Me la presi con comodo. Tolsi dalla valigia quanto mi serviva e fui presto pronto.

Uscii per scendere nel soggiorno. Chissà a che punto era zia Rosy. Di fronte, la porta era aperta. Lei era sdraiata sul letto, a pancia sotto, senza nulla addosso, il lenzuolo molto arricciato. A vederla così, mi sembrò che Crepax l'avesse presa a modella per la sua Valentina.

Era incantevole.

Ebbi la tentazione di entrare e baciarla.

Almeno baciarla.

Forse riposava.

Cercai di convincere 'lui' che non era il momento.

Scesi.

Accesi il televisore ma nello schermo vedevo solo lei, nella sua incantevole nudità, come mai l'avevo vista, e chissà se avrei potuto ammirarla così.

Mi vennero in mente alcuni versi d'un poeta spagnolo. Non ricordo chi. Era un madrigale dedicato a lei, all'encantadora.

Si, zia Rosy mi ammaliava.

Non so quanto tempo rimasi così, e non mi accorsi che era giunta alle mie spalle, silenziosamente. Mi mise le mani sugli occhi, mi rovesciò la testa, posò le sue labbra carnose e ardenti sulle mie. Le dischiuse, saettò la sua lingua che sapeva di miele, e mi frugò golosamente, deliziosamente.

La presi per la mano e la feci sedere sulle mie gambe. Tornai a baciarla, con più passione di prima, e le stringevo una soda e tentatrice tetta.

Si staccò, affannata.

"Dopo, amore, dopo. Sto morendo dalla fame, e non solo di te."

Si alzò, mi prese per la mano. Attraverso una scala interna scendemmo in garage, dov'era la sua elegante auto sportiva.

"Vuoi guidare?"

"No, grazie, con te vicina non riuscirei. Inoltre non saprei dove andare."

Aprii lo sportello per farla salire in auto. Lo richiusi, andai dall'altra parte, mi sedetti accanto. Ancora pulsanti da spingere, sia per la saracinesca dell'autorimessa che per il cancello d'ingresso, e voltò a sinistra. Non c'era quasi nessuno.

"Vedrai, Mario, andremo in un posticino che spero ti piacerà. Vicino al mare. Oggi il tempo è bello, tiepido, senza vento. Siederemo presso la vetrata, a vedere il mare che s'infrange sugli scogli neri, e ti farò assaggiare una deliziosa aragosta.

Ancora qualche chilometro, ed ecco il ristorante. Sul mare, su palafitte di cemento.

Come ci videro arrivare, uscì un omino e aprì lo sportello dalla parte di zia Rosy. Lei gli dette le chiavi. Entrammo. Non c'era molta gente. Ci venne incontro un signore abbastanza elegante, rotondetto e bassetto, con piccoli baffi neri. Salutò zia Rosy con deferenza. Lei mi presentò.

"E' mio nipote, Saro, starà qualche giorno con noi."

Saro sorrise, compito, ed ammirai la sua discrezione, perché non fece alcuna domanda: nipote come? E il generale dov'era?

Evidentemente in quella zona si viveva così: si guardava senza vedere, si ascoltava senza sentire, e soprattutto non si parlava.

Il tavolo era in angolo, come aveva detto la zia, accanto alla vetrata.

Saro era rimasto in attesa della comanda.

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