Viaggio Inaugurale

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A maiden journey.
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Sono Mario.

Mi chiamo come mio zio, il fratello di mia madre, che è anche il mio padrino di battesimo. Ha diversi anni più della mamma, e la tratta sempre come la 'sorellina'. Teneramente, affettuosamente, con aria protettiva ma non invadente. Tanto che mio padre gli è molto legato e si trova bene in sua compagnia, pur essendo un carattere alquanto introverso.

In effetti, zio Mario ha delle ottime doti, oltre ad essere un gran bell'uomo, e si fa benvolere da tutti. O quasi.

L'accademia militare ne ha perfezionato il fisico ed impresso al suo carattere doti pregevolissime, come il saper ascoltare, essere capace di analisi e sintesi, e saper raggiungere conclusioni positive.

La scuola di applicazione, successivamente, ne ha migliorato ed affinato le capacità professionali, sì che é uno dei più giovani generali dello Stato Maggiore, con importanti e delicati incarichi in ambito internazionale.

Erano venuti a trovarci, lui e zia Rosaria, la moglie, più giovane di lui di diversi anni, ed eravamo stati, specie io, molto contenti di poterli riabbracciare e trascorrere alcuni giorni con loro, nostri ospiti. Zio Mario godeva di un periodo di riposo. Erano sbarcati a Genova, dopo una breve crociera, e lui avrebbe dovuto raggiungere un comando interalleato, in Germania, dove si sarebbe trattenuto alcune settimane. Aveva già spedito, in quella sede temporanea, il suo bagaglio e le sue cose, e, una volta riaccompagnata zia Rosy (si faceva chiamare così) nello loro bella casa di Catania, avrebbe preso l'aereo per Berlino.

La loro residenza era Catania, città di zia Rosy, e l'avevano scelta anche per la vicinanza alla base di Sigonella che era un po' l'epicentro dell'attività dello zio.

Eravamo in salotto, dopo cena, a fare quattro chiacchiere.

Zio si rivolse a me.

"Non sei mai stato a Catania, vero Mario?"

"No, è vero, ma so che è una gran bella città."

"Perché non mi risparmi l'avanti e 'ndré di andare e tornare e non accompagni tu la zia a Catania? Così potresti visitarla, e, nel contempo, lei si sentirebbe meno sola, anche se, lì, ha qualche parente e alcune amiche."

Guardai papà e mamma.

Papà si dichiarò subito d'accordo. Mamma disse che, forse, non era il caso di disturbare Rosy.

Zia Rosy rilevò che per lei sarebbe stato un piacere, non un disturbo, fare da guida al nipotino.

In effetti, tanto 'ino' questo nipote non era, coi suoi diciannove anni, un metro e ottantasei d'altezza, e un fisico che erano in molte a definire atletico.

Solo, aggiunse, che lei non voleva viaggiare in aereo e il viaggio sarebbe stato abbastanza lungo.

Comunque, fu deciso che avrei accompagnato la zia Rosy a Catania, mi sarei fermato qualche giorno per visitare la città (e i dintorni, aggiunse Rosy) e poi sarei tornato a casa per riprendere la frequenza della facoltà, dopo le prossime vacanze natalizie.

^^^

Niente aereo, dunque, ma treno!

Inoltre, zia Rosy non voleva viaggiare in Eurostar, lei desiderava uno scompartimento, con poche persone, o possibilmente nessun'altra oltre lei e il suo accompagnatore, e a tale proposito era anche disposta ad acquistare tutti i posti!

Ci assicurarono che in quel periodo, nel giorno che avremmo scelto, e con quel treno, che impiegava quasi diciotto ore da Milano a Palermo, era possibile che in prima classe ci fossero scompartimenti quasi vuoti.

L'addetto alle prenotazioni, corregionale di zia Rosy (e dove non sono?) disse di capire tutto (beato lui!) e che avrebbe dichiarato completo lo scompartimento, tanto di posti negli altri ce ne erano a iosa. Anzi, avrebbe fatto mettere il cartello 'riservato' sperando che un improbabile affollamento non lo rendesse inutile.

Fu il mio primo incontro con quel particolare modo di 'intendersi' e di 'aiutarsi a vicenda', che sapeva tanto di clan.

Caro Mario, riflettei, ti aspetta un lungo e non troppo rapido viaggio.

Certo che zia Rosy di capriccetti ne aveva a bizzeffe, e non invidiavo il suo Mario, il marito.

Mi accorgo che non ho ancora descritto zia Rosy.

Non so se casualmente o meno, ma aveva lasciato sulla sua toilette, nella camera degli ospiti, una foto che la ritraeva, sia pure 'artisticamente', non del tutto vestita. Unico ornamento, i suoi capelli lunghi e le sue mani.

Non era molto alta, ma di forme armoniose e perfette.

Si capivano sode tette e un culetto alto e prepotente che sembrava sfidare il mondo.

Gambe snelle, ben tornite.

Era intorno ai '35', ben portati.

Quel culetto a 'mandolino', mi sorpresi a pensare, era proprio invitante, ed io, in fondo, sentivo di avere il plettro adatto per farlo vibrare.

Sciolta nei movimenti, vestiva con sobria eleganza e gusto, ma anche con una certa civetteria che certamente lei controllava dati gli sguardi di zio Mario.

Ora, però, zio Mario non c'era, e, guarda caso, la camicetta aveva allacciato qualche bottone in meno, la gonna saliva inavvertitamente molto più su del ginocchio, quando sedeva, e le gambe accavallate mostravano una bella coscia che doveva essere liscia e soda.

Mamma arricciava il naso, ed ogni tanto domandava a mio padre se era proprio il caso che io accompagnassi Rosy a Catania.

Non che la cosa mi fosse sfuggita, ma zia Rosy cominciava ad essere vista da me, dopo la partenza del marito e le smorfie di mamma, come quello che in effetti era: una bellissima donna, attraente e stuzzicante, con alcuni atteggiamenti alquanto provocanti. In fondo, accompagnare un 'tocco' di quel genere sarebbe stato un sogno per molti. Per me era realtà.

Cominciai ad essere più gentile, premuroso, con lei. Quasi galante.

Mi sorrideva incantevolmente, e quando in casa eravamo solo noi non curava affatto di stringere la vestaglia, sotto la quale, si vedeva benissimo, che reggiseno e slip non erano abbondanti. Ci fu, poi, la volta che lasciò aperta la porta della sua camera e si mise ad ammirarsi allo specchio, vestita di niente.

Zia Rosy era decisamente arrapante, e la mia reazione fu naturale e prepotente.

Era veramente un gran bel pezzo di fica. Per non parlar del culo!

Starle vicino, nel viaggio, sarebbe stato certamente piacevole. E poi, qualche 'passaggio' poteva anche scapparci.

Anzi, pensai di provarci subito, e quando acquistai il nuovo CD, la invitai a ballare un vecchio tanto argentino, Plegaria, per vedere come avrebbe reagito.

La reazione ci fu.

Quando la strinsi a me, si strinse ancora di più, e a mano a mano che la mia patta rivelava la mia eccitazione, il suo grembo sembrava cercarla, accoglierla, provocarla. Ci mancò poco che non dovessi andare a cambiarmi. Ma lei aveva mutato espressione, le sue nari vibravano, il respiro era alquanto affannoso, e non per il ballo.

Meno male che i miei erano andati per le spese e Ninetta, la cameriera, era occupata in cucina.

^^^

Partenza l'indomani.

I miei ci accompagnarono alla stazione, fino al vagone. Mamma, anzi, salì, con la sua solita mania di voler vedere se tutto fosse in regola. Quando lesse il cartello 'riservato' ci chiese cosa volesse significare. Zia Rosy fu pronta a rispondere che non lo sapeva e che forse avrebbe viaggiato con noi qualche pezzo grosso o chissà chi.

Mamma non sembrò troppo convinta. Anzi, andò a domandare al ferroviere chi fosse il personaggio del 'riservato'. Le rispose che non lo sapeva.

Per fortuna era l'ora della partenza.

Saluti, baci, abbracci. Una lunga serie di raccomandazioni, con un ripetuto 'mi raccomando, comportati bene con Rosy' che aveva tutta l'aria di un messaggio speciale. Risposi con lo stesso tono che non doveva preoccuparsi, speravo che la zia non avrebbe avuto motivo di lamentarsi di me.

Finalmente il convoglio si mosse.

Mettemmo degli oggetti personali vari sui posti di fronte a noi, ed anche su quello accanto ai nostri, vicino al corridoio. Avevamo chiuso la porta scorrevole e tirate le tende. Avevo anche cercato di girare il nottolino quadrato della serratura, ma non vi ero riuscito.

Era quasi buio del tutto. Mancava poco alle cinque del pomeriggio.

Zia Rosy, vicina al finestrino, mi disse di spegnere la luce grande, e di lasciare solo quella azzurrina.

Era abbastanza caldo lo scompartimento, ma zia chiese che le ponessi la pelliccia sulle gambe. In effetti il vestito era piuttosto leggero e molto corto.

"Sai che ho freddo, Mario? Senti..."

Prese la mia mano e la portò sul polpaccio.

In effetti non era caldo.

Ritenni opportuno accertarmi anche della temperatura del ginocchio e lo carezzai lievemente con la mano. Per scaldarlo, le avevo detto. Lei mi ringraziò, sorridendomi seducentemente.

Si cominciava proprio bene, ed eravamo appena partiti.

Rosy mi disse che avremmo avuto modo di conoscerci meglio, e mi chiese di parlarle di me.

Mise affettuosamente la mano sulla mia –quella del ginocchio- e con nonchalance la portò sulla coscia, sotto la gonna. C'era la calza, ma il contatto era lo stesso delizioso. Un tepore incantevole e invitante.

Era molto vicina a me.

"Collant?"

"No, mai. Autoreggenti. Senti."

Salii ancora e incontrai l'elastico vellutato che teneva ferma la calza. Oltre, la carne nuda, serica, meravigliosa. Rimasi così, in attesa che mi dicesse di togliere la mano. Non lo disse.

Il treno aveva acquistato velocità. Fuori era sempre più buio.

Si alzò, si pose a guardare fuori del finestrino, sorreggendosi con entrambe le mani alle maniglie.

Ero rimasto seduto.

"Vieni a vedere come corrono le luci, Mario."

Andai dietro di lei, non osavo accostarmi più di tanto, ma furono le sue alte e tonde natiche a venirmi incontro e farmi sentire la loro emisferica saldezza. Già ero arrapato, ora, poi, i pantaloni sembravano voler scoppiare. Il movimento del treno faceva il resto, ma erano soprattutto i suoi ondeggiamenti a farmi impazzire. E la cosa durò abbastanza per incitarmi a metterle una mano sul petto. Fu accolta entusiasticamente, come dopo lunga attesa, e il bel culetto aumentò la sua voluttuosa attività.

La fermata di Piacenza giustificò la mia spinta. O la sua? E così quando ripartì di nuovo.

Il treno stava riavviandosi lentamente.

Si voltò verso me.

"Devo andare al bagno, mi accompagni?"

Uscimmo nel corridoio, non c'era nessuno, andammo in fondo, sulla piattaforma. Gli scompartimenti erano semivuoti.

La toilette era libera.

"Va, zia Rosy, ti aspetto qui."

Mi tese la mano.

"Entra con me."

Credetti di stare immaginando. Entrare con lei?

Intanto, aveva aperto la porta e mi aveva tirato con sé. La richiuse.

Senza parlare, con una sconosciuta espressione nel suo bellissimo volto, gli occhi fiammeggianti, le labbra tumide e tremanti, abbassò di colpo la zip del mio pantalone, vi infilò la mano, armeggiò per liberare la mia prepotente erezione dalla prigione dello slip, alzò il vestito –era nuda sotto- mise un piede sull'orlo del vaso, e portò il glande all'ingresso palpitante della sua vagina, sporgendosi per farsi penetrare il più possibile.

Sembrava la sarabanda indemoniata di una ossessa infoiata. S'era aggrappata a me, con le braccia al collo, e si dimenava senza controllo. La sorreggevo per le natiche che si contraevano e rilassavano rapidamente trasmettendo il loro moto all'interno di quel grembo avido e affamato dove le contrazioni si susseguivano, voluttuose, voraci, come una instancabile mungitrice che avvinghia il lungo capezzolo che ha imprigionato.

L'orgasmo giunse di colpo, con gridolini e fremiti che raggiunsero l'acme quando svuotai in lei il frutto della mia giovinezza e della lunga continenza.

Sembrò affogare in quell'onda, e gli occhi, estatici, mostravano appena il nero della pupilla, vitrea.

Il tutto non era durato molto. Del resto con quell'impeto la conclusione non poteva che essere abbastanza rapida, ma non per questo meno inebriante.

Sembrò acquietarsi.

Mi baciò sulla bocca, introdusse la sua lingua saettante nella mia, cercandomi golosamente.

Poi, pose i piedi per terra, si allontanò lentamente e coll'interno della gonna asciugò il mio fallo non del tutto quiescente, lo ripose teneramente nell'interno dei pantaloni, rialzò la zip.

Mi guardò, disfatta e sorridente.

"Non ne potevo più, Mario. E' stato meraviglioso. Mi hai saziata e riempita come anelavo. Vorrei che quello che hai lasciato in me restasse per sempre.. anzi no..." -sorrise maliziosamente- "fino alla prossima volta, cioè prestissimo!"

Si rassettò.

"Esci prima tu, mi fermo un momento."

L'attesi in piattaforma.

Uscì.

Tornammo nel nostro scompartimento, si mise in braccio a me, mi baciava teneramente, mi carezzava. Volle sentire la mia mano sui riccioli neri del suo pube, le mie dita ancora in lei, rorida del mio seme.

Ci stavamo fermando a Parma.

Avevamo moltissime ore di viaggio.

Per quanto la cosa mi avesse deliziosamente sorpreso e si prestasse a rosee e allettanti aspettative, temevo che se fossimo ancora... tornati alla toilette... prima o poi qualcuno ci avrebbe visto.

Per fortuna s'addormentò. E dormì a lungo, molto a lungo.

Passò l'addetto al vagone ristorante, serie unica, prenotai due posti.

Erano passate le otto di sera, la carezzai per svegliarla, le dissi che dovevamo andare a cena.

"Dopo, caro, dopo."

"Siamo in treno, zia Rosy, dopo chiude il ristorante."

Si scosse, sorrise, mi baciò.

"Vado al bagno. Accompagnami."

Forse l'espressione del volto le disse qualcosa.

"Questa volta, però, resta fuori."

Avevamo lasciato Bologna, per Firenze.

^^^

Quando giungemmo nel WR erano quasi tutti a tavola. A noi erano stati riservati due posti, di fronte, in fondo al vagone, dalla parte opposta a quella dalla quale eravamo entrati, dove già sedeva una coppia abbastanza anziana. Lei, un volto piacevole contornato di candidi capelli, sedeva nel senso contrario alla marcia. Lui, anche egli canuto, aveva robuste spalle. Risposero cordialmente al nostro saluto. Lui fece il cenno di alzarsi.

Il cameriere chiese cosa desiderassimo da bere.

Mi consultai rapidamente con Rosy.

Minerale naturale, e bianco di Salaparuta.

I nostri commensali scelsero acqua frizzante e Soave.

La signora, ogni tanto, scambiava sguardi col marito. Fin quando, non potendo più contenere la curiosità, non domandò se andassimo lontano.

Rosy rispose amabilmente che eravamo diretti a Palermo.

Da come ci esaminavano ero certo che si chiedessero quale legame c'era tra me e zia Rosy. Durante il nostro passaggio tra i tavoli, s'erano uditi sussurri. Credo che gli uomini invidiassero me e le donne la zia.

Rosy aveva ancora l'aria un po' sognante che le era rimasta sul volto dopo la travolgente scopata di poco prima, un'impronta che il riposo non aveva cancellato.

Era bellissima, seducente, attraente, fortemente desiderabile. Sprizzava sesso da ogni poro, da ogni gesto. Una vera sexy lady.

"Io salterei il primo, Mario. Che dici?"

La vecchia coppia faceva finta di guardare fuori, la nera campagna che non si vedeva, ma si comprendeva che seguivano attentamente il nostro parlare.

"Credo sia meglio che tu mangi un po' di pasta, zia, a pranzo hai voluto solo la pietanza."

Quando udirono che la chiamavo zia si guardarono in volto, e lei alzò scetticamente le sopracciglia.

Sicuramente, avrà pensato dentro di sé, ma che zia a e zia a chi lo volete far credere!

Comunque, era sempre mia zia, Rosy, anche dopo quello che era accaduto in precedenza, e tale sarebbe comunque rimasta.

Mi risuonavano nelle orecchie le sue parole: la prossima volta... prestissimo...

Vuoi vedere che quella che in principio, quando zio Mario mi aveva proposto di accompagnarla a Catania, era sembrata una scocciatura si sarebbe tramutata in un periodo bellissimo? Una scorpacciata di scopate da star bene per un anno? Non vedevo l'ora di ammirarle dal vero le tettine, di carezzarle quel bel culetto del quale avevo già apprezzata la consistenza. E... tutto il resto.

Vuoi vedere che Catania sarebbe divenuta la mia città preferita?

Cacchio, che impeto e che passionalità quella splendida brunetta che aveva nelle vene il fuoco dell'Etna.

E nel suo incandescente cratere avrei volentieri fuso e rifuso la mia verga, che dopo ogni fusione sarebbe rifiorita più vigorosa che mai.

Rosy mi guardò.

"Cosa pensi, Mario?"

"Ricordavo il passato prossimo."

"Strano, anche io pensavo ai verbi, ma al futuro."

I due vecchi si scambiavano continuamente sguardi.

Lei non riuscì a stare zitta. Si volse a Rosy.

"E' suo nipote?"

Rosy assunse un'aria candida, innocente.

"Si, è il mio nipotino diletto."

Ma disse 'diletto' staccando bene 'di' da 'letto'.

In effetti mentiva, a letto, insieme, non eravamo stati mai. Almeno fino a quel momento.

Ora la domanda toccava a me.

"E lei, giovanotto, vuol bene alla zietta?"

"Come può pensare, signora, che non si possa volere più che bene a una zia del genere?"

Annuì con la testa, come se avesse compreso.

Ci disse che loro sarebbero scesi a Roma.

Quando ci alzammo, dopo aver pagato il conto. L'arzilla vecchietta ci salutò sorridendo e ci augurò una felice notte.

Rosy sembrò spontanea quando le ricambiò cordialmente l'augurio.

Di nuovo nello scompartimento immerso nel buio, con la sola piccola luce azzurra.

Un tenero scambio di baci e fugaci carezze, come due fidanzatini.

Passò il controllore. Zia gli chiese se per non essere disturbati era possibile chiudere la porta con la serratura quadrangolare.

L'uomo ci squadrò attentamente, senza alcuna espressione nel volto.

"Per caso ho una doppia chiave. Potete chiudervi dal di dentro, ma la controlleria può sempre aprire."

Le porse la speciale chiave ad incastro, uscì, chiuse lui la serratura.

^^^

Stavamo uscendo da Roma.

Ci attendeva una lunga notte, e sarebbe stata ancora notte, poco dopo le sei del mattino, al momento dell'imbarco della vettura sul traghetto che da Villa San Giovanni ci avrebbe portati a Messina.

Rosy aveva poggiato la testa sulla mia spalla, aveva gli occhi aperti, e nel lieve chiarore dello scompartimento potevo vedere che erano fissi su qualcosa di fronte, o nel nulla.

Le carezzavo dolcemente il volto, intrecciavo le dita nei suoi capelli.

Ciò mi portò a pensare ai foltissimi riccioli neri del suo pube che avevo appena sfiorato. E mi eccitò.

Di nuovo il dondolio del treno, il ritmico scandire delle ruote sulle connessioni delle rotaie: appena un ronzio, date le moderne tecniche. Ma era quel cullare che ti faceva pensare al molleggiare d'una comoda ed accogliente alcova.

Ogni tanto, dal finestrino, pur con la tendina abbassata, filtravano rapide lame di luci delle stazioni che attraversavamo, preannunciate e seguite dallo sferragliare sugli scambi.

"Conosci il kamasutra, Mario?"

Domanda improvvisa e inattesa.

"Si."

"Ti piace?"

"L'ho appena sfogliato."

"Hai trovato qualcosa d'interessante?"

"Tutto e nulla."

"Come sei laconico, evasivo.

Ricordi la classificazione delle donne e degli uomini?"

"Mi sfugge."

"Gli uomini sono suddivisi in categorie, secondo la dimensione del loro lingham: lepri, tori, cavalli.

Le donne, a seconda della profondità della loro yoni: cerve, giumente, elefanti.

Tu sei certo un toro, Mario. Ti ho visto. Soprattutto ti ho sentito.

Come mi classificheresti?"

"Non so, dillo tu."

"Io credo di potermi definire una giumenta. La mia cosina, mi sembra, non è smisuratamente ampia, ma é infinitamente ingorda. Di te.

E non a caso il kamasutra dichiara che l'unione tra il toro e la giumenta è la migliore.

Anche la forza dl desiderio, la passione, ha una sua graduatoria. Ed io sono certa che sono una di 'intense passion and full of desire'. Intensa passione e piena di desiderio.

Ancora non posso dire nulla di te. Quello che è accaduto, però, mi induce a credere che occupi il mio stesso posto nella graduatoria.

La terza considerazione kamasutrana si riferisce alla durata, the time, e questo, dopo la prima voluttuosa incontenibile sfuriata, mi riprometto di accertarlo. Io, per me, sono variabile, in materia, ma sono tendenzialmente portata a raggiungere il piacere con una certa sollecitudine."

ULISSE
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