Urmia Stella D'Oriente

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L'uomo che le sedeva accanto si chinò appena verso di lei: "Meglio andare a godersi il sole" -sussurrò- "a prendere un caffè..." E senza attendere risposta la prese sottobraccio, l'aiutò ad alzarsi, la condusse fuori. In punta di piedi. Appena fuori della sala, emisero, insieme, un lungo sospiro liberatorio e scoppiarono a ridere.

"Mi chiamo Benjamin Aurole, e qui ci devo venire per scrivere un articolo per il giornale, ma lei é veramente interessata agli Irochesi?"

La guardò con aria interrogativa, ironica.

Era un bel giovane, bruno, simpatico, in un abito sportivo di buon taglio.

"Sono Urmia Mueller. Grazie per avermi detto l'argomento della conferenza" -gli disse con un sorriso incantevolmente sbarazzino- "e per avermi spinta ad uscire dalla sala. Da sola non ne avrei avuto il coraggio. Adesso, però, devo lasciarla. Lousan fra poco sarà a casa e cercherà la sua mamma. Adieu!"

Benjamin le porse un biglietto.

"E' per il concerto di domani mattina, venga, é bellissimo. L'aspetto."

Le prese la mano e ne baciò dolcemente il palmo.

Lei s'allontanò senza voltarsi.

IV

Pierre attendeva nel salotto.

Gli avevano detto che madame non era ancora rientrata. Forse non l'attendeva o aveva dimenticato l'appuntamento.

Desiderava un drink, un caffè, qualcosa d'altro?

Pierre rifiutò cortesemente, e quando rimase solo s'avvicinò al mobile posto di fronte alla finestra, sovrastato da un grande specchio antico. Sul ripiano, incorniciato d'argento, il volto splendido d'una donna. Occhi profondi, sguardo languido e denso di promesse. Chissà per chi, pensò Pierre, e andò a sedersi sul divano.

La porta s'aprì ed entrò l'originale del ritratto, molto più bello di quanto appariva in fotografia.

Pierre s'alzò e le andò incontro guardandola intensamente negli occhi, per trasmetterle con tutte le sue forze il suo improvviso e prepotente desiderio di averla.

Lei gli tese la mano, con un sorriso che non riusciva a nascondere il suo turbamento. Aveva ricevuto il messaggio e ne era sconvolta, assalita da un'onda che la stava travolgendo e alla quale, pur dovendolo, non poteva e non voleva sfuggire.

Pierre le baciò la mano e la trattenne tra le sue mentre la conduceva verso il divano. La fece sedere e le si mise accanto, vicinissimo, sentendone il tepore del corpo attraverso il vestito.

"Madame, sono Pierre Parmier."

Urmia sorrise, immobile, rigida.

"Lo so, monsieur Parmier, Hans mi ha parlato spesso di lei."

"Madame, la prego, mi chiami Pierre. Hans non verrà domani perché un'imprevista riunione ad alto livello lo ha costretto a partire subito. Dato che dovrò raggiungerlo, mi ha chiesto di mettermi a sua disposizione e di accompagnarla durante il viaggio, perché desidera mantenere la promessa di farle visitare Roma."

Lei aveva lasciato la sua piccola mano tra quelle, molto curate, di lui e si sentiva protetta, sicura, come se lo avesse conosciuto da sempre. Il calore di Pierre, che le premeva sull'anca, la invadeva lentamente, deliziosamente, la eccitava violentemente.

La sua voce era calda, alquanto arrochita.

"Dev'essere stata davvero improvvisa la partenza di Hans" -disse- "se non ha avuto il tempo di avvertirmi. Ha mandato lei con l'incarico di impacchettarmi e di portarmi da lui, come un oggetto, e solo per mantenere la promessa. Credo che non andrò a Roma... Pierre."

Lo aveva chiamato per nome, guardandolo diritto negli occhi, stringendogli le mani, con le narici frementi.

Prima di rispondere, Pierre portò la mano della donna alle sue labbra.

"Madame..."

"Urmia..." Lo interruppe lei.

"Urmia, Roma é bella, la conosco bene perché mia madre é romana e l'italiano é la mia seconda lingua. Hans sarà occupato, certo, ma io le mostrerò l'incanto di quella città. Mi faccia questo regalo, venga a Roma. Con me."

Aveva poggiato la mano sulla gamba della donna, che inarcò la schiena percorsa da un brivido, presa da una sensazione sconosciuta, dalla smania da averlo subito, ora, lì, dalla improrogabile urgenza d'una fregola improvvisa, dalla voracità imperiosa del suo sesso che si contraeva spasmodicamente, dolorosamente vuoto.

S'alzò di scatto, andò alla porta, la socchiuse, chiamò la cameriera: "Marie, venga qui con Lousan, per favore."

Restò vicino alla porta, senza guardare Pierre rimasto sul divano.

Lousan e Marie entrarono dopo pochi istanti. Il bambino salutò Pierre con un gesto familiare. Urmia lo prese per mano e si curvò su di lui, ponendo in risalto la tornita flessuosità del suo corpo.

"Lou, la mamma va a Roma, da papà, starà fuori pochissimo. Partirà domattina presto, con questo signore. A te penserà Marie e io ti porterò un bel regalo. D'accordo?"

"Va bene, mamma, ma come si chiama questo signore?"

"E' monsieur Parmier. Adesso dà un bacione alla mamma e saluta monsieur. Io vado a cena con lui e quando domani partirò tu starai ancora dormendo. Per questo ci salutiamo adesso."

Il bambino abbracciò forte la mamma, la baciò sulle guance. Fece 'ciao' a Pierre e uscì con Marie.

"Salgo a preparare la valigia, Pierre" -disse Urmia senza allontanarsi dalla porta- "mi aspetta qui?"

"Sono certo che potrò esserle utile..."

Rispose l'uomo, e s'alzò avvicinandosi a Urmia.

Lei lo guardò senza parlare, uscì nell'ingresso, cominciò a salire al piano di sopra e con una mano tolse il fermaglio dai capelli che le avvolsero le spalle in un lungo mantello serico. Entrò nella camera, seguita da Pierre. Chiuse la porta, girò la chiave. Si tolse i vestiti, con furore, e si gettò riversa sul letto, di traverso, col ventre sussultante, le gambe dischiuse.

"Adesso, Pierre, adesso... subito... per favore, subito... Pierre..."

E mormorava parole che Pierre non capiva, in una lingua sconosciuta.

Si liberò degli abiti, con sveltezza ma ordinatamente, s'avvicinò alla donna che gli tendeva le braccia, che gli prese le mani e lo tirò su di sé.

"Entra in me, Pierre... subito, in me... così... sì... così."

E intrecciò le gambe snelle sulla schiena di lui.

* * *

Urmia giaceva nuda. Gli occhi aperti guardavano il soffitto, il respiro ancora lievemente affannoso.

Era stato meraviglioso Pierre, appagante come non mai. No, il sentimento non c'entrava per nulla, in tutto questo. Solo sensi, pulsioni, istinto, esigenze del sesso, fame di sesso, attrazione fisica, il richiamo del maschio. Conferma della totale appartenenza al regno animale, dell'essere schiavi delle imperiose leggi della natura.

Pierre, poggiato su un fianco, la guardava con sorpresa, interesse, curiosità. Non aveva mai conosciuto una donna così. Ripensava alle volte che, di fronte all'insopportabilità di Hans, lo aveva guardato in faccia, con un sorrisetto a fior di labbra, mentre con la mente si proponeva di fargli il peggiore degli sfregi, 'scopargli la moglie', soprattutto sodomizzarla. Quell'imbecille razzista viveva con una non ariana, aveva un figlio mezzo sangue, e lui gli avrebbe scopato la moglie, solo per sfregio, e mentre la scopava le avrebbe sussurrato, senza farsi capire: "alla faccia di quello stronzo... beccati questo... beccati questo..."

Aveva preparato tutto accuratamente.

Appena incontrata l'aveva fissata con falsa concupiscenza, le aveva trasmesso un messaggio di cupidigia, di bramosia. Tutta finzione. Le aveva tenuto la mano tra le sue mani, s'era premuto al fianco di lei. Tutta scena.

Il ruolo, invece, s'era completamente e improvvisamente invertito. Urmia aveva posseduto lui. Con calore, passionalità, veemenza, incurante di lui. S'era goduto il maschio che attendeva da sempre. Se ne era saziata, golosamente, ingordamente. Razza e religione non c'entravano affatto. La femmina araba, islamica, aveva capito che quello era il suo maschio, e nulla importava che fosse Ebreo, come Pierre. Forse era proprio l'incoscio richiamo della stessa razza semita a farle desiderare irresistibilmente quell'uomo. E lo aveva goduto. Era paga. Almeno per il momento.

Girò il capo verso Pierre: "M'inviti a cena?"

"Non hai cenato?"

Chiese ironico Pierre.

"E' stata solamente l'entrée, chéri" -rispose sorridendo- "bisogna arrivare al... gateaux!"

* * *

Urmia guidò l'auto direttamente nel garage dell'Albergo dove aveva preso alloggio Pierre. Aveva assicurato che il Ristorante era molto raffinato.

In ascensore chiese a Pierre se avesse con sé la chiave della camera. "E' meglio che io lasci da te il mantello, prima di scendere a cena."

La cameriera aveva già preparato per la notte.

"Perché hai le grand lit? Ho sconvolto i tuoi programmi?"

"No" -rispose Pierre- "non hai sconvolto il mio programma, hai sconvolto me. Meravigliosamente sconvolto."

Urmia, toltosi il mantello, s'era seduta sul letto. Gli tese la mano.

"Ti voglio, Pierre."

Si rovesciò indietro, le gambe fuori dal letto, alzò il vestito, sotto non indossava niente.

Pierre fu subito eccitato. Gettò la giacca sul pavimento, lasciò cadere i pantaloni. Le fu sopra. Atteso, accolto dal palpitare del grembo che lo mungeva voluttuosamente, dalle gambe che gli serravano i fianchi. Quando si abbandonò, sfinita, ricordò la promessa che mentalmente aveva fatto a Hans. Indipendentemente da quanto era accaduto, doveva farlo. Ebbe come un violento ritorno di fiamma. .

Sfilò il vestito a Urmia, la carezzò piano mentre la faceva voltare, lentamente, fino a quando non fu a pancia sotto. Le sollevò le natiche tenendola per i fianchi. Lei donna lasciava fare, quasi abbandonata a sé stessa. Era carponi, sulla sponda del letto, con le braccia sotto la testa.

Pierre era in piedi, con le dita raccolse dalla bocca abbondante saliva, ne avvolse il glande e lo poggiò tra i glutei della donna.

Urmia sollevò un po' la testa e si voltò verso di lui, sorpresa ma con gli occhi ancora pieni dell'estasi di pochi istanti prima.

"Est-ce que monsieur désire le dessert? Serve-toi, cheri! Tu seras le premier et l'unique à le gouter, à parcourire cette voie la!"

E s'adoperò per facilitarlo a penetrarla.

Pierre godé doppiamente pensando a Hans.

E per Urmia fu una inimmaginabile scoperta. Le piacque. E fu felice di provare tale sensazione con Pierre.

Poi fecero la doccia, insieme, con naturalezza, come se lo avessero fatto sempre.

E' scritto: '...si lavino ambedue con acqua...'

* * *

Durante la cena non gli tolse lo sguardo da dosso. Lo guardava estasiata, gli prendeva la mano, desiderava lambirla, strofinarsi a lui, annusarlo.

"Pierre, mettiamo il tuo bagaglio nella mia auto e vieni a casa mia. Domattina partiremo da lì, staremo ancora insieme le poche ore della notte."

La fissò senza rispondere. Cercava, nella mente, un motivo valido per declinare l'invito, che pure lo lusingava, senza dare la sensazione d'un rifiuto. La stanchezza accumulata, quel sentirsi svuotato, l'età non più verdissima, quanto era meravigliosamente accaduto, la brevità del tempo trascorso dai tumultuosi incontri con Urmia, avrebbero potuto svelare la sua naturale debolezza e deludere quella giovane e fremente femmina.

"Pierre, voglio solo dormire tra le tue braccia."

Poche ore prima non si conoscevano, ora sembrava che avessero passato insieme una vita.

Le sorrise scuotendo appena la testa.

* * *

Entrarono in casa curando di non fare il minimo rumore. Salirono le scale, in silenzio. Passando dinanzi alle porte, Urmia tese l'orecchio per accertarsi, dal respiro, che Marie e Lousan dormissero.

La camera era avvolta dalla luce soffusa filtrata dal rosa dei paralumi. Inondava l'alcova, si rifletteva appena negli specchi e tornava sul letto, dove erano nudi, con solo un leggero lenzuolo che lasciava semiscoperto il seno di Urmia.

Era distesa su un fianco, appoggiata sul gomito, con la testa nel palmo della mano, i capelli sparsi sul petto di Pierre che, con le mani intrecciate sotto la testa. stava, immobile, guardando nel vuoto.

"Buon riposo, Pierre."

Gli sussurrò. Si chinò su di lui, lo baciò sulla bocca, gli passò la lingua sulle labbra, la introdusse tra i denti che si dischiusero lentamente. Col capezzolo, gli sfiorò il petto. La mano libera lo carezzò lungo il corpo, lievemente, sapientemente. Incontrò il sesso, ancora non sazio, turgido, prepotente. Ebbe un brivido, sentì contrarsi il ventre.

'Voglio solo dormire tra le tue braccia', aveva detto, ma questo sarebbe avvenuto dopo, forse.

Gli montò sopra, lo attrasse in sé, voracemente, golosamente. Cominciò a muoversi lentamente, accompagnandosi col dondolio della testa, i capelli sul petto di Pierre, gli occhi socchiusi. Un mormorio indistinto usciva dalle sue splendide labbra, una nenia sconosciuta, un lamento dolce e trascinante, uno struggente inno al piacere che andava sempre più invadendola, sommergendola, travolgendola, sfinendola. La bocca dischiusa, il volto rapito in un'estasi inebriante, il grembo insaziabile.

* * *

La sveglia li richiamò alla realtà.

Erano profondamente addormentati: Urmia tra le braccia di Pierre. Gli voltava la schiena. Lui la teneva stretta, una mano artigliata sul seno, l'altra tra le gambe. Urmia si voltò verso di lui, pigramente, gli s'incollò addosso, completamente nuda, deliziosamente tiepida.

"Restiamo così Pierre" -disse senza aprire gli occhi- "é meraviglioso."

Pierre la baciò sulle palpebre..

"Si, é meraviglioso, incantevole, favoloso, voluttuosamente eccitante, ma l'aereo non ci attenderà oltre l'orario stabilito."

Le carezzò la schiena, e si svincolò dolcemente dalla stretta possessiva.

"Sei crudele, Pierre. Sottrai la fonte delle delizie a chi arde per la sete."

E sedette sulla sponda del letto.

Fuori era ancora buio.

Non scambiarono molte parole. Si prepararono in fretta e scesero in garage. Avrebbero fatto colazione in aereo.

Urmia sedette alla guida, mise in moto, spinse il pulsante dell'apertura automatica della rimessa e uscì lentamente sulla strada bagnata dall'umidità della notte. I lampioni erano ancora accesi, circondati da un alone opalescente. Rimasero in silenzio lungo tutto il non breve percorso.

Invece di andare al parcheggio dell'aeroporto, Urmia proseguì verso l'edificio delle partenze e si fermò davanti a una delle porte scorrevoli. Tirò la leva che apriva il portabagagli e scese.

Pierre la seguì, pensando che la donna intendesse scaricare il bagaglio e parcheggiare dopo. Alzò il coperchio e guardò Urmia: "E la tua valigia?"

"Non c'é" -rispose freddamente lei- "io non parto. Non vedo Hans da diversi giorni, e vorrei non rivederlo mai più."

La sua voce divenne tremante, bassa, profonda, passionale.

"Come potrei, Pierre, andare a Roma, stare con lui mentre tu sei li, a pochi metri da me senza che io ti possa avere. In un momento la mia vita é radicalmente e definitivamente cambiata. Forse era già scritto che dovesse accadere, solo che attendevo te. Un fuoco sconosciuto s'é impadronito di me, ma solo tu puoi domarlo. Dopo te, anche il miele mi sarà amaro. In meno d'un giorno ho vissuto tutta la mia esistenza. Sarà quello che sarà, e ciò dipenderà solo dal tuo volere. Addio Pierre."

Gli prese la testa fra le mani, lo baciò sulla bocca, tormentandogli le labbra, salì in auto e partì sgommando.

* * *

I mesi erano trascorsi rapidamente.

Hans era sempre più immerso nel suo lavoro, radioso per l'incarico che lo aveva elevato al livello di quelli che nella sua fanciullezza lo avevano evitato. Non aveva tempo, per il resto.

Luosan aveva i suoi piccoli amici, i suoi giocattoli, le festicciole, e nonno Huy. Non gli mancava nulla. Andava nella miglior scuola materna della città, con i figli e i nipoti dei VIP.

Urmia, da quando non aveva raggiunto Hans, a Roma, per un lieve disturbo, sembrava un'altra. Sempre gentile e premurosa, ma sempre più distaccata, quasi assente.

Hans attribuiva il mutamento della moglie alla nuova gravidanza, giunta malgrado le scrupolose cautele che lui aveva posto nei rari rapporti avuti con la donna. Doveva recarsi negli Stati Uniti per un paio di settimane, ne avrebbe informato Urmia rientrando a casa.

La moglie, però, spesso non c'era, tornava a sera inoltrata. Era tutta presa dal bridge, da conferenze che trattavano gli argomenti più astrusi, da concerti d'ogni genere, e si mostrava contenta di quella sua vita. La vedeva rincasare, da quelle uscite sempre più frequenti, cogli occhi ancora pieni dell'incanto della musica, o del rapimento del racconto, o dell'eccitazione del giuoco.

Hans seguiva con indifferente mutismo il come la moglie viveva la sua seconda maternità.

La sorprendeva, a volte, in poltrona, con un'espressione di beata felicità sul volto, con le mani sul ventre, a carezzare quello che si muoveva in lei. Solo Lousan sembrava essere rimasto nel cuore della donna. Lei gli faceva lunghi discorsi, sottovoce, sorridendo; gli prendeva la manina e la portava sulla sua pancia facendogli 'sentire' il fratellino che sarebbe venuto a fargli compagnia. Era sempre bellissima, Urmia, e sembrava voler dire a tutti: "venite e vedete, qui é custodito il figlio".

* * *

Urmia e Pierre avevano una piccola mansarda, arredata con coquetterie, piena di ninnoli orientali, col grande letto proprio di fronte alla finestra che dominava i tetti.

A volte, quando Pierre non poteva raggiungerla, si svestiva completamente, indossava sulla pelle nuda la vestaglia di Pierre, e si raggomitolava sul letto inebriandosi del profumo dell'uomo.

* * *

La camera della Villa del Sole sembrava una serra in piena fioritura.

Il bambino era bello, sano e robusto.

Urmia sembrava emergere da una riuscitissima cura di bellezza. Sprizzava felicità dai pori. Si voltava ad ammirare estasiata il suo piccolo. Lousan era vicino alla culla del fratellino.

"Lasciatelo qui per qualche minuto, mettelo tra me e il bambino."

Era un enorme cestino con splendidi fiori. Di gran lunga il più bello di tutti gli altri, numerosi, che aveva ricevuto. Sul biglietto che l'accompagnava, unicamente la firma: Pierre Parmier.

Hans poté raggiungerla solo il giorno successivo, portandole un collier con uno splendido rubino. Lei lo ringraziò e gli porse la guancia. Lo pregò di portare a casa il gioiello, lo avrebbe indossato al suo rientro.

Appena restarono soli disse di volergli parlare del neonato e del 'battesimo'.

"Forse per te é un fastidio dichiarare agli uffici anagrafici la nascita di un altro figlio, Hans, per questo ho pensato di dargli il mio cognome."

"No" -la interruppe l'uomo- "sarà come per Lousan..."

"Come vuoi" -riprese Urmia senza dargli il tempo di seguitare- "ma il battesimo deve esserci perché desidero che sia Cristiano."

Hans non batté ciglio.

"Sarà una cerimonia molto intima. Pochi amici e, naturalmente, le parrain. Chiederò a Parmier di essere lui il padrino di questo bimbo, é di razza ebrea, ma da tempo la sua famiglia ha abbracciato il cristianesimo. Parmier é l'uomo che incarichi spesso di sostituirti, e sembra che lo faccia bene e con ottimi risultati, Vero? Quale miglior padrino dunque, per Hans Pierre. Perché é così che si chiamerà, Hans Pierre. Padre e padrino."

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