Urmia Stella D'Oriente

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Il Maitre aveva riservato un tavolo d'angolo, da dove si dominava la sala senza essere visti. Lo champagne era in fresco nel secchiello argentato. Le coppe attendevano scintillanti, riflettendo la fiamma della candela. Guardò Hans e al di lui cenno di assenso riempì le coppe. Si rivolse a Urmia in inglese e lei gli rispose in inglese, come se non avesse compreso il commento che l'uomo aveva sussurrato in arabo nel vederla.

Lo champagne era proibito dal Corano, ma Urmia trascurò la regola. Ormai!

Cena leggera, con champagne appena centellinato. Caffè arabo.

Bighellonarono intorno alle vetrine della galleria, si fermarono appena al tavolo che esponeva giornali di tutto il mondo.

Hans indicò un gioiello esposto in una bacheca. Urmia gli prese la mano e s'avviò all'ascensore.

Erano ancora così quando entrarono nella suite. La donna si staccò da lui, gli gettò un bacio con la punta delle dita e entrò nella sua camera. Chiuse la porta.

Hans rimase un istante senza saper cosa fare, poi andò nella propria camera, gettò la giacca sulla poltrona accanto al tavolino, sfilò la cravatta e la pose sulla giacca, dopo fu la volta della camicia. Quando uscì dal bagno indossava i soli pantaloncini del pigiama. Sedette sul letto pensando a quello che era accaduto negli ultimi giorni. Le cose stavano prendendo una piega inaspettata. Lui non aveva ben valutato gli eventi né li aveva saputi gestire. Una frase buttata là, per cortesia, per galanteria, era all'origine di quanto stava avvenendo. Poi tutto gli era sfuggito di mano, ed era stato travolto come in un film di cui sentiva di essere interprete malgré lui.

Urmia era bellissima, affascinante, sexy, desiderabile, certo, ma lui, all'inizio non aveva puntato nemmeno a una fugace avventura. Ora erano insieme, e aveva acquistato anche per lei un biglietto per il suo Paese.

Donna affascinante, e lui, che conosceva quasi esclusivamente 'professioniste', si sentiva a disagio fino a paventare il realizzarsi di quello che pur desiderava. Temeva il ripetersi, come troppo spesso gli capitava nel momento meno opportuno, di ciò che lui giustificava con l'improvvisa caduta di desiderio, ma questa volta lo avrebbe ridicolizzato, e non se la poteva cavare, certo, con qualche bigliettone in più e una generica scusa.

Urmia sembrava essere stata assalita dal 'pudore dell'ultimo minuto', e questo, in fondo, lo traeva d'impaccio. Aveva risposto ai suoi baci languidamente, voluttuosamente, appassionatamente, s'era lasciata cullare sulle ginocchia come una bambina in cerca di rifugio, aveva indossato un abito che la rendeva ancor più desiderabile, era stata dolcissima, tenera. Poi era andata nella sua camera e aveva chiuso la porta. Forse il suo vero fine era fuggire dal marito, da Bandar Abbas, e ogni mezzo era utile.

Sulla porta apparve Urmia.

In una lunga vestaglia, ampia, ricca di fili d'oro intessuti in una trasparentissima seta fucsia. Capelli sciolti, serici, lucidi. Le labbra dischiuse sui candidi denti.

Hans s'alzò di scatto, sorpreso da quell'improvvisa apparizione celestiale, e a disagio per il suo abbigliamento.

La donna gli si avvicinò sorridendo, gli si rifugiò tra le braccia cercandogli avidamente le labbra, aderendo a lui col ventre fremente, mentre le piccole unghie gli sfioravano lievemente la schiena nuda. Si allontanò appena, per far cadere la vestaglia, e tornò a stringersi a lui, eccitandolo con lenti e sapienti movimenti del pube e delle gambe. Indietreggiò fino alla sponda del letto. Vi si sdraiò, le gambe semiaperte, le narici frementi, le braccia tese verso Hans che, intanto, s'era liberato dell'unico indumento che indossava. Le mani s'incontrarono, le dita s'intrecciarono. Lo attrasse su di sé, gli afferrò il sesso, con prepotenza, lo condusse con avidità in sé, ingoiandolo, inarcò le reni, alzò le gambe incrociandogliele sulla schiena, stringendolo ritmicamente, sollevando il bacino. Si sentì invasa da un tepore che non la dissetava, seguitò a muoversi, ad agitarsi, a stringerlo sempre più, a strofinarsi a lui, gemendo, sussultando, con un rantolo che finì in un gorgogliare roco.

Hans era in balia di quella magnifica femmina, oggetto, più che partecipe, della passione, dell'impeto, della foga che lo travolgevano.

Ora le era accanto. Le carezzava dolcemente il ventre.

Lei ansimava, pronunciava parole in una lingua che lui non comprendeva. Poggiò la sua mano su quella di Hans.

"Quì c'é tuo figlio, Hans. Lo concepisco vicino alla mia terra, lo metterò al mondo nella tua terra. E' il sigillo che ci unirà per sempre."

III

Le giornate si susseguivano grigie, uniformi, noiose, monotonamente uguali. Hans usciva presto, al mattino, e tornava a sera inoltrata quasi sempre con una borsa gonfia di documenti che consultava dopo aver frettolosamente cenato.

Urmia non riusciva più a sopportare questo genere di vita.

Si era iscritta a un corso per migliorare la conoscenza della lingua locale, era stata cordialmente accolta all'Ospedale pediatrico dove s'era offerta come volontaria. Fra l'altro, il permesso di guida del suo Paese non era valido in quello stato e lei aveva sempre rimandato di conseguire quello che le avrebbe permesso di condurre l'auto. Gran parte del suo tempo fuori casa, quindi, lo trascorreva in attesa di taxi e mezzi pubblici e su di essi.

Hans era tormentato dalla fretta: s'alzava in fretta, si preparava in fretta, usciva in fretta, a volte senza nemmeno salutarla. Le poche volte che notava la presenza della donna, a letto, faceva tutto in fretta, come quando osservava uno dei suoi tanti doveri.

Urmia era seduta sul divano dello studio.

"Hans" -disse- "lavori troppo, sei sempre immerso nel tuo lavoro. Forse non ti sei accorto che alcuni vestiti mi vanno un po' stretti..."

"Dev'essere l'aria di questa città il nostro cibo" -la interruppe- "non vi sei abituata. Ma non preoccuparti, esci e compera quello che ti serve."

"Hans" -proseguì sarcastica- "é l'effetto dell'aria del Kuwait. Devo andare in pre-maman..."

Lui alzò la testa dalle carte che stava consultando, la guardò con aria sorpresa, interrogativa.

"Hans, te l'ho detto nello stesso istante che l'ho concepito. Aspetto tuo figlio."

"Scusa, Urmia, é vero, ma la maternità non ha fatto che aumentare ancora la tua bellezza, e mi ha fatto dimenticare tutto il resto. Ho seguitato a fare l'amore con te... forse, dato il tuo stato... non avrei dovuto farlo, vero? A te dà fastidio? Vuoi che io dorma qui, sul divano?"

Non avrebbe smesso di parlare se lei non lo avesse interrotto.

"Hans, ora più che mai sento il desiderio, il bisogno di averti. Ma tu hai così poco tempo da dedicarmi, per tenermi tra le tue braccia, cullarmi... Lo capisco. Forse ho fatto male a venire con te. Tu hai bisogno di sentirti completamente libero. Ho pensato che sarà bene che mi trovi un'occupazione, appena possibile. Ho confidato tutto a mio padre, e lui ha compreso quale e quanto amore io nutra per te. E' un uomo che pensa in modo occidentale e moderno. Mi ha telefonato preannunciando una sua prossima visita, e sono certo che sarà felice di divenire nonno. Io non voglio costituire un peso per te, sotto tutti i punti di vista. Mi basterà tuo figlio. Lui mi parlerà di te in ogni momento, e tu sarai in lui."

Lo guardava col volto triste, gli occhi pieni di lacrime, con dolore e rassegnazione. Hans non l'amava, non le voleva bene, era pentito di averla condotta nella sua casa. Lo sentiva. La fugacità dei loro rapporti sessuali lo confermava. Era quello che lei aveva letto nei romanzi, una 'sveltina', 'una botta e via'. Per lui era come quando mangiava: non sapeva cosa mangiava e alla fine non ricordava neppure se avesse mangiato o meno. Quell'accostamento al cibo le fece tornare alla mente la definizione di 'appetito sessuale'. Si, lei desiderava l'uomo, aveva fame di uomo, ma rimaneva sempre insoddisfatta. Come chi pregusti un lauto e succulento banchetto ed abbia solo un insipido antipasto. Ricordi di scuola: 'dopo il pasto ha più fame che pria'. Solo che lei non aveva mai un vero pasto. Avrebbe voluto saziarsi di Hans, farne una vera scorpacciata, fino a sentirsi sfinita. La sua giovane ed esuberante natura cominciava a farle considerare se, poi, era proprio vero che solo in Hans avrebbe potuto trovare quanto desiderava. Un proverbio della sua terra dice che non c'é amore senza sesso ma ci può essere sesso senza amore. Se la tua fonte é arida chiedi al tuo vicino di farti dissetare alla sua. A Bander Abbas non aveva conosciuto l'orgasmo. Quella notte, in Kuwait, ne fece la meravigliosa scoperta, ma forse solo per la forza della sua volontà. Aveva voluto vivere fino in fondo, intensamente, quel senso di liberazione totale che la rendeva così disponibile ad essere felice, a godere.

Hans s'avvicinò a lei, la guardò con dolcezza, con un lieve sorriso sulle labbra, una luce di felicità negli occhi. La bellissima Urmia gli avrebbe dato un figlio. Quella splendida creatura, da lui così poco curata, che lo metteva a disagio quando incontravano gli altri, perché non sapeva come presentarla, era la madre di suo figlio. La baciò sugli occhi, sulla bocca, sul collo. Sbottonò la camicetta, carezzò il seno, baciò i capezzoli, li tenne a lungo tra le labbra succhiandoli dolcemente, mentre le dita facevano scorrere la chiusura della gonna, abbassavano maldestramente le piccole mutandine. La sua lingua scese sul ventre, in grembo, si fece strada tra i morbidi cespugli della valle dell'amore, ne lambì le pareti, si soffermò sul colle dell'ebrezza, corse verso il precipizio della voluttà, risalì lentamente e tornò giù di nuovo, ancora ed ancora, mentre lei gli passava le sottili dita tra i capelli, accompagnando discretamente il movimento del capo. Era una cosa meravigliosa, che attendeva da sempre. Quella lingua palpitante la frugava, la sconvolgeva nell'intimo, nel più profondo del suo essere, dolcissima rugiada vivificante, carezza paradisiaca, che l'inebriava, la faceva godere nel languore voluttuoso che l'invadeva.

Hans la prese in braccio, la portò nella loro camera, sul loro letto. Si liberò dei vestiti, le fu sopra, la penetrò con lentezza esasperante, sentì le palpitanti contrazioni di lei che l'attirava sempre più profondamente in sé. Movimenti lenti e lunghi, dosati, sapientemente corrisposti da quella meravigliosa creatura uscita dalla schiera delle al-hur per il piacere del suo signore.

Giacque esausta, come non mai, gli prese la mano e la baciò. "Signore" -gli sussurrò con affanno- "se la tua sazietà é come la mia, ciò é la completezza concessaci dalla grazia di Dio, clemente e misericordioso. Allah akbar!"

* * *

Husayn era venuto a visitare la figlia, ma il motivo ufficiale del suo viaggio era un altro. Per la sua gente, infatti, Urmia era colpevole di vivere con un kafìr, un uomo di un'altra fede. Ciò é contro lo scritto, perché nessun uomo che non sia soggetto alla legge di Allah può aver come moglie una donna musulmana.

Husayn aveva vissuto gran parte della sua vita in occidente, nel Paese dove risedeva Urmia. Lì aveva studiato, partecipato agli immancabili movimenti studenteschi, assorbito Cartesio, Voltaire ed altri, assimilandone il pensiero. Si era perfezionato negli Stati Uniti. Questo gli faceva comprendere e tollerare determinate realtà che erano in pieno contrasto con la religione, gli usi, le tradizioni della sua gente. La sua preparazione e la sua esperienza gli avevano fatto raggiungere un posto di preminenza nella finanza del suo Paese e ciò lo portava a girare il mondo. Quando aveva salutato la moglie, prima di partire, Amina l'aveva fissato a lungo, in silenzio. Lui la rassicurò: "Le porterò il tuo abbraccio, sta sicura, e non le mancherà nulla. Urmia é nostra figlia, la luce degli occhi miei."

Hans e Urnia erano andati ad accoglierlo all'aeroporto.

Husayn, alto, elegante, disinvolto, non aveva ancora cinquant'anni. Quando apparve sulla porta, Urmia gli corse incontro e si chinò per baciargli la mano. Lui la ritrasse e strinse a sé la figlia, meno forte di quanto avrebbe voluto, però, per la gravidanza che sapeva. Tese la mano a Hans e la strinse vigorosamente.

Un giovane, impeccabilmente vestito, attendeva a rispettosa distanza. Husayn gli consegnò la valigetta che aveva con sé e gli parlò in Azerbaijani. L'uomo s'inchinò con deferenza e si allontanò.

"Noi possiamo andare" -disse rivolgendosi alla figlia- "Syro penserà al resto e mi aspetterà in albergo."

Fuori l'attendeva la limousine della Mel Bank, con l'autista e un incaricato dell'Ambasciata che lo accolse con profondo rispetto.

Hans disse che lo avrebbe seguito con la sua auto, e che se Urmia lo desiderava poteva stare col padre.

Husayn rispose sorridendo che la donna non deve mai lasciare il suo uomo e lui non voleva separarsi dalla figlia. Per questo, sarebbero andati tutti con la limousine. Bastava dare le chiavi dell'auto al giovane dell'Ambasciata e Hans l'avrebbe ritrovata nella rimessa dell'Albergo.

"O forse ti stanchi troppo?" Chiese premuroso alla figlia.

"Nessuna stanchezza, e sto benissimo con voi due!"

* * *

Il direttore dell'Albergo si dichiarò felice di rivederlo. Lo trovava in splendida forma. Gli era stata riservata la solita 'vip suite'. Gli augurava buona permanenza.

Era un appartamento molto accogliente: isolato dai rumori della strada, munito di ogni comfort.

Urmia bevve avidamente le notizie che il padre le portava da casa. Si informò minutamente di tutti e di tutto. Abbassò la voce quando gli ripeté che era profondamente commossa e grata per la comprensione e il perdono dei genitori per il suo comportamento, e voleva tornare a spiegarne le ragioni, già lungamente scritte e ancor più dettagliatamente esposte in telefonate che sembravano non dover mai finire.

Husayn fece cenno con la testa e con le mani che la figlia non doveva proseguire oltre. Sentiva che era profondamente commossa e non voleva turbarla, specie in quelle condizioni.

"Assez" -disse- "va bene, cara, va bene. Io e tua madre crediamo di aver compreso le tue ragioni. Lei ed io ne abbiamo parlato a lungo. Riteniamo che alla base di tutto vi sia un nostro errore, mio e di Amina, che ci atteggiamo a 'moderni' ma agiamo secondo anacronistici usi, perseverando nell'errore tipico della nostra generazione: credere che quello che noi riteniamo essere il bene dei nostri figli sia veramente il bene che loro vogliono. Vorrei che Hans non mi consideri, per quello che ho detto, un cinico, un dissoluto, un rinnegatore della mia fede. Cerco di essere un uomo pratico, soprattutto rispettoso delle scelte degli altri. A parte tutto, credo che sarete lieti di apprendere che il matrimonio tra l'uomo di Bandar Abbas e Urmia é stato annullato."

Urmia gli prese le mani e gliele baciò, Hans sorrise chinando il capo.

"Voi" -riprese Husayn- "siete liberi di vivere come desiderate, ma ritengo che, almeno per il momento, non sia consigliabile una vostra visita a Tabriz.

Scusate se affronto subito un argomento molto delicato, e se dico tutto e subito, ma vorrei, in seguito, dedicare il poco tempo che potrò stare con voi al piacere della famiglia e non alle chiacchiere. Avete già in mente un nome per la creatura che nascerà?"

Hans rispose senza esitazione: Louis Mueller, se sarà un maschio, di Hans Mueller e di Urmia Hamdan Divani. Se sarà una bambina si chiamerà Louise. Urmia ed io siamo d'accordo."

"E non vedo come e perché non dovrei essere anch'io d'accordo" -disse Husayn- "ma vi sarò molto grato se al nome di Louis vorrete aggiungere, sia pure separato da una virgola o da un trattino, Hasan. Io e Amina ne saremo felici. Se, invece, sarà una femmina, ci piacerebbe che Louise fosse anche Fatima."

E guardò fisso la coppia, col sorriso sulle labbra e una luce ferma e decisa negli occhi.

Hans e Urmia si scambiarono un'occhiata.

"Sarà un vero piacere, per noi, venire incontro ai vostri desideri, monsieru Hamdan."

"Io e Amina ve ne siamo grati, ma devo ricordare a Hans che per lui sono Husayn, non monsieur Hamdan. Sai, Hans, Husayn era il fratello di Hasan e figlio di Fatima. E ancora un ultimo 'argomento delicato'. Urmia, pur rispettando i suoi doveri di sposa e madre, potrà certo dedicare una piccola parte di tempo alla raccolta delle notizie, che di volta in volta le chiederò, e che potrà rilevare dalla stampa economico-finanziaria locale. Per questo incarico le verrà corrisposto un assegno mensile che potrà, forse, esservi utile."

Husayn disse la cifra che inizialmente Urmia avrebbe percepito, aggiunse che a ciò avrebbe pensato la Mel Bank locale, e Hans sussultò perché era più di quanto guadagnava lui.

Seguì un certo silenzio. Lo ruppe Husayn: "Ed ora diamoci una rinfrescata. Di là c'é quello che può servirvi. Poi andremo al ristorante, credo che sia più allegro che non farci servire in questo salotto."

Si alzò e andò nella sua camera.

* * *

Hans era furioso verso sé stesso.

Aveva continuamente sorriso a Husayn, aveva seguitato a far cenni di assenso a ogni parola di lui. Era stato accattivante, ai limiti dell'adulazione. Non aveva saputo decisamente respingere l'offerta di danaro fatta in quel modo così contorto e strisciante. Era stato il cortigiano ai piedi del principe. Ancora una volta, di fronte al ricco e potente si era sentito inferiore. E lo era stato verso un asiatico, non uno della sua stessa razza pura. S'attaccava al fioco barlume d'indipendeza esteriore che aveva affermato col dire che il nome del nascituro era già stato scelto. Ma si era affrettato ad accettarne la barbara aggiunta.

In auto, tornando a casa con Urmia, stringeva le mascelle fino a sentirle dolere. Non avrebbe detto nulla alla donna di quello che gli passava per la mente. Meglio attendere la partenza di Husayn per mettere le cose in chiaro, per sottolineare che la sua gentilezza non doveva essere scambiata per debolezza.

Urmia era felice. Gli occhi le scintillavano. Hans era stato meravigliosamente affettuoso e gentile col padre. Gli avrebbe dimostrato tutta la sua gratitudine. Andò a letto indossando la sua più provocante e sexy camicia da notte. Bellissima anche nelle sua evidente maternità, anzi più bella che mai.

Hans si accostò al letto, la baciò in fronte, e le chiese scusa se doveva lasciarla per esaminare alcuni documenti. Andò nello studio, sedette dietro la scrivania e restò a lungo a pensare, a ruminare, con lo sguardo nel vuoto, senza neppure aprire la cartella che aveva davanti. Forse era stato frettoloso a dichiarare che il nome era già stato scelto e ancor più a sottolineare che quel ragazzino 'mezzo-sangue' si sarebbe chiamato Mueller.

* * *

Quando nacque, alla Mairie il bambino fu iscritto come Louis-Hasan Mueller. E lo chiamarono affettuosamente Lousan.

Un bambino molto bello, che ora correva nel giardino dell'esclusiva école maternelle offerta da 'nonno Hus', dove ogni mattina lo accompagnava lo scuola-bus, lo stesso che nel pomeriggio lo riportava nel vasto ed elegante appartamento di Rue de la Liberté.

Hans, Direttore della nuova società, dedicava a Lousan il poco tempo che riusciva a sottrarre al lavoro. Per Urmia, solo qualche parola, gentile, a volte formalmente affettuosa, ma senza amore, senza passione per la donna che si sforzava di considerarlo il suo unico uomo, anche se i rari momenti di distratta e frettolosa intimità la lasciavano sempre più triste e insoddisfatta.

Urmia insegnava il 'pharsi' a Lousan, e nonno Hus gli parlava in Azerbaijani.

Giorni vuoti, con la speranza di avere Hans a pranzo e in attesa del ritorno di Lousan. Mattinate dedicate ad annoiate visite a qualche museo, a cerebrali e presuntuose conferenze spesso pseudo-culturali.

* * *

L'oratore aveva una smorfia di dolore sul volto. Con voce bassa e monotona, incolore, cercava di convincere lo sparuto uditorio, della tesi che sosteneva a favore degli Irochesi. Qualcuno si dimostrava attento, anche se non capiva.