Milena

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ULISSE
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Zorça mi fece entrare subito e chiese se volessi un caffè. Si, ne avevo bisogno.

Dissi a Roberto che ritenevo utile di indossare la tuta. Avrebbe celato la divisa, e forse era meglio così.

"Si" -disse Roberto- "credo anche io che sia meglio."

Levai la tuta dalla borsa, la scossi per togliervi qualche arricciatura, la indossai rapidamente, chiudendola fino alla gola. Misi la bustina nella borsa.

Zorça portò il caffè.

Quando le restituii la tazzina mormorò "sretan put", buon viaggio, e tornò in cucina.

Salimmo in auto.

"Forse è meglio che guidi io" -dissi- "così, in tuta, sembrerò il meccanico. Tu e la signora potete accomodarvi sui sedili posteriori."

"Bene!"

Rispose Roberto. Aprì lo sportello per far salire la moglie, lui sedette dietro di me.

Partimmo.

La strada era completamente libera, incrociammo pochissime auto, una corriera e qualche carro.

Mantenevo una velocità moderata e costante.

"Devo correre di più?"

"No, va bene così."

I coniugi Ricci sedevano alquanto rigidi, ognuno vicino allo sportello. In mezzo avevano posto la sacca con la mia bustina.

In poco più di un'ora giungemmo a Is2, quasi ai bordi del mare.

Al posto di controllo ci chiesero documenti e lasciapassare. Trovarono tutto in ordine. Ci dissero di lasciare l'auto davanti all'edificio Comando.

Sul campo, mimetizzati con delle reti, alcuni caccia. Un S81 era all'inizio della pista.

Roberto disse che potevamo salutarci li.

Sfiorò la guancia della moglie con un bacio, prese la valigetta di pelle dal portabagagli, mi strinse la mano.

"Piero" -disse- "ti affido Milena e Mario."

E si avviò verso l'aereo.

Milena disse che voleva vederlo partire.

Chiudemmo gli sportelli dell'auto e andammo ad appoggiarci alla rete metallica.

Vedemmo salire alcuni uomini sull'aereo, poi, per ultimo, Roberto.

Venne chiuso il portellone, le eliche urlarono sempre più forte. L'aereo fu scosso dalla potenza dei motori, si mosse piano, acquistò velocità, si alzò lentamente allontanandosi sul mare, verso sud-ovest.

Milena tirò un lungo respiro.

"Ho bisogno di bere qualcosa, Piero."

Possiamo andare allo spaccio del campo.

"No, non vorrei entrarvi, vorrei qualcosa qui. Un cordiale, roba del genere. Vada lei, per favore, io attendo in auto."

Aprii un po' la tuta per far scorgere la divisa. Fermai un aviere di passaggio. Mi indicò la mensa ufficiali e mi disse che li c'era anche un bar.

Il locale era vuoto. Bussai piano sul banco. Apparve un militare in camicia.

Gli dissi che ero un ufficiale del Comando Zona e chiesi se avesse qualcosa da bere, per tirarmi su.

"Una bottiglia, signore?"

"Si, se possibile, ma di cosa?"

Sorrise.

"Siamo in aviazione e qualcosa che viene da lontano c'è sempre. Vuole una bottiglia di cognac francese?"

"Autentico cognac?"

"Certo, signore."

Sparì per un istante e tornò con una bottiglia incartata in un giornale vecchio.

Gli chiesi anche dei bicchieri.

"Gliene posso dare uno solo."

Chiesi quanto dovessi pagare. La cifra mi sembrò modesta e lo pregai di accettare una piccola aggiunta per le sue sigarette.

Mi ringraziò.

Raggiunsi Milena in auto. Era accanto al posto di guida, le sedetti vicino.

"Allora?" Chiese.

Cominciai a scartare la bottiglia.

"Dovrebbe essere cognac francese." Seguitai a scartare. "Lo è, infatti, e di quello buono. Mi sono fatto dare anche un bicchiere. Ne verso?"

"Meglio che andiamo via di qui" -rispose Milena- "ci fermeremo fuori del campo."

Misi in moto, innestai la retromarcia, feci manovra, mi avviai all'uscita.

La guardia chiese di controllare il portabagagli. Si accertò del contenuto, salutò e alzò la sbarra.

Riprendemmo lentamente la strada del ritorno.

"Fermiamoci dopo la curva, ci deve essere uno slargo." Disse la donna..

"Come sta, Milena?"

"Bene, grazie, ma sento di aver bisogno di qualcosa che mi dia forza. Non moralmente, no, proprio per vincere un certo senso di stanchezza."

Mi fermai sotto gli alberi.

Aprii la bottiglia e mi accinsi a versare del cognac nel bicchiere.

"Molto poco, Piero, poco, meno di un dito."

Feci come mi aveva detto, le porsi il bicchiere. Lo prese con entrambe le mai, ne centellinò lentamente il contenuto. Mi restituì il bicchiere.

"Ora a lei, Piero."

"Veramente non ne vorrei, devo guidare."

"Solo un po', altrimenti rischio di passare per alcolizzata, ai suoi occhi."

Sorrise stranamente, quasi con mestizia.

Misi un po' di cognac nel bicchiere. Mentre stavo per bere mise la mano sul mio braccio e mi fermò.

"Bevendo dove ho appena bevuto io saprà tutti i miei pensieri, i miei propositi."

Sorrisi.

"Belli?"

"Per me si, non so per lei."

Lasciò libero il braccio. Bevvi. La guardai sorridendo.

"Pensieri bellissimi, signora, propositi seducenti."

"Perché ha detto seducenti?"

"Così, mi è venuto spontaneo."

"Guidi piano, per favore, molto piano."

Chiusi bene la bottiglia, l'adagiai sul sedile posteriore. Mi avviai lentamente.

Milena appoggiò la testa allo schienale, allungò le gambe, chiuse gli occhi. Parlò a bassa voce.

"Come si sente a portare in auto, accanto a sé, una vecchia signora?"

"Glielo saprò dire quando mi capiterà."

"Grazie, Piero, lei sa sviare il discorso, ma ha capito bene che parlavo di me. Perché io mi sento una vecchia signora, specie quando c'è lei. Del resto lei è così giovane. Sa, io non ho mai conosciuto, affettivamente intendo, un ragazzo della sua età. Mi sono sposata a 23 anni, con un uomo che ne aveva, e ne ha, molti più di me."

"Pentita?"

"Non lo so, perché non so se e cosa posso aver perduto. Mi sembra di essere nata vecchia, di non aver avuto giovinezza. Lei conta di sposarsi?"

"Credo, signora, a tempo e luogo. Adesso, a 23 anni e con la vita che faccio il matrimonio mi sembra lontanissimo. Finora sono stato fortunatissimo. Poco dopo essere stato nominato ufficiale sono stato promosso per merito di guerra. Non durerà sempre così."

"Roberto dice che lei ha una maturità caratteriale e comportamentale che molti quarantenni le invidierebbero e una preparazione molto al di sopra della media. Sa che la chiama il piccolo genio? Ma lei è quarantenne anche con le ragazze?"

"Mah! Roberto mi vede con gli occhi dell'amicizia. Io credo di essere perfettamente normale, in tutto."

"Sono veramente lieta che con Roberto vi scambiate il tu: E se lo facessimo anche tra noi?"

"E Roberto come la penserà?"

"Per adesso iniziamo, vuole? Poi lo chiederò a Roberto, e se in lui prevarrà la gelosa diffidenza del siculo, davanti a lui continueremo a usare il lei. Che ne dici?"

La guardai assentendo con la testa.

"Grazie, bravo. Adesso mi sento meno vecchia!"

Mi baciò sulla guancia.

Presi la sua mano e la baciai.

"Ragazzo" -disse- "se lo fai ancora avrò bisogno di altro cognac."

"Le presi di nuovo la mano, ne baciai il palmo."

Si alzò sul busto.

"Tu guarda avanti."

Mi baciò sulla bocca. Non la lasciai allontanare. Sempre facendo attenzione alla strada le strinsi i capelli della nuca e le morsi leggermente le labbra.

"Adesso il cognac lo devo prendere io." Dissi.

"Mi sta scoppiando il cuore, Piero. Senti."

Prese la mia mano e se la poggiò sul petto.

L'auto sbandò leggermente.

"Attento, Piero, stiamo andando fuori strada!"

In effetti, stavo perdendo la direzione e il controllo di me. Milena in quel momento non aveva neppure vent'anni.

C'era una stretta carrozzabile che portava in una radura contornata dagli alberi, protetta da alte siepi. La imboccai, condussi l'auto fuori della vista della provinciale. Fermai.

Scesi, aprii lo sportello posteriore, mi sedetti e presi la bottiglia.

"Ci vuole un goccio...."

Milena mi raggiunse. Mi tolse la bottiglia dalla mano e si mise sulle mie ginocchia. Mi abbracciò, mi baciò freneticamente, come a dissetare un'arsura antica.

Introdussi una mano sotto la gonna la poggiai sul liscio tepore della coscia. Si tese come una corda d'arco. Salii ancora. Deglutì a fatica. Cercò di allontanarsi.

"Andiamo a casa, Piero. Andiamo a casa."

Si alzò, scese e tornò al posto di prima.

"Andiamo a casa, Piero. Guida lentamente, carezzami dolcemente."

Ripresi la strada larga. Con la sinistra tenevo il volante. La destra, nascosta tra le sue gambe, la frugò curiosa, ne sentì il fremere, l'estasi, l'abbandono, come in deliquio. Ritirai la mano. Presi a guidare velocemente.

Dopo poco eravamo a casa.

Zorça ci venne incontro, senza pronunciare parola. Mario corse verso la madre.

"Perché papà deve restare sui lavori?"

"Deve assistere al collaudo, caro. Ma si tratta solo di qualche giorno."

Io indossavo ancora la tuta.

Non sapevo cosa fare.

Milena era pensierosa, come preoccupata. Fece un lungo sospiro.

"Zorça, il Tenente Orsini ci farà compagnia a cena e dormirà qui. Prepari la stanza degli ospiti, quella grande, così starà più comodo."

Si volse a me.

"Lei vada pure a rinfrescarsi, come farò io. Ci vediamo in soggiorno per l'aperitivo. A più tardi."

Un po' frettolosamente, quasi bruscamente, andò verso le scale, salì al piano di sopra.

Zorça mi fece cenno di seguirla. Mi avrebbe mostrato la camera.

"Ma lei non ha nulla signor Tenente. Le procuro io qualcosa da indossare per la notte e per radersi. Adesso salga pure in camera e si metta a suo agio."

Rimasto solo, tolsi la tuta, la giubba, la camicia. Andai nel bagno. Aprii il getto della doccia che stava sulla vasca, vi misi sotto la testa, e lasciai che il fresco dell'acqua scorresse a lungo.

Ero in una situazione imbarazzante.

Roberto, prima di salire sull'aereo, mi aveva detto: "ti affido Milena e Mario." Non aveva ancora raggiunto la quota di crociera e già gli baciavo la moglie!

Avrei dovuto dire che non potevo restare, che ero di servizio.

Dovevo tornare a casa, farmi invitare a cena da Anna e Lenka, e andare a letto con una di loro. Credo che toccasse ad Anna.

Potevo andare da Dora, la dolcissima Dora, e farle dimenticare la promessa fatta in confessione.

Scossi la testa.

Non potevo, non dovevo accostare Dora alle altre. Erano completamente diverse. Dora era l'amore.

Forse la più adatta a scacciare questi miei pensieri sarebbe stata Regina. Ma chissà dov'era!

Bussarono alla porta.

Zorça portava un pigiama, nuovo, una vestaglia ancora piegata dopo essere stata lavata e stirata, un paio di pantofole, e una borsa col necessario per la barba, dentifricio, spazzolino, sapone.

Apparve mentre mi asciugavo i capelli.

"Metto tutto sul letto, signor Tenente?"

"Si, grazie, Zorça."

Sorrise e uscì.

Mi sedetti sulla sedia, ai piedi del letto, e seguitai ad arzigogolare.

Se me ne fossi andato, però, non so quali reazioni dovevo attendermi da Milena. O sarebbe stata contenta? Quanto era accaduto, a ben pensarci niente di importante, poteva considerarsi un momento di debolezza.

Andai allo specchio, mi pettinai.

Milena, però, veramente un bel tocco di donna. I suoi anni non significavano nulla. Si, era proprio una bella donna. Attraente, desiderabile. I suoi gesti, il suo parlare, i suoi occhi denotavano passione, calore. Quando l'avevo baciata, tenendola per i capelli della nuca, il suo sguardo mi aveva detto il suo desiderio prepotente, impellente. Quando l'avevo carezzata, lievemente, a lungo, il suo vibrare aveva svelato il suo godimento.

Roberto mi aveva detto: "ti affido Milena e Mario."

Più pensavo a Milena e più i miei sensi si accendevano.

Cercai di convincere me stesso che era solo curiosità: una donna, sposata, che aveva tanti anni più di me.

Che sciocco, però, pensare che Lenka, Anna, la stessa Regina, e perfino Dorina, avrebbero potuto farmi dimenticare Milena. Sarebbe stato placare sensi, certo, una distensione, un rilassamento. Ma, in ogni caso, si trattava pur sempre di un surrogato, una sostituzione in modo approssimativo che, comunque, non mi avrebbe appagato.

Indossai la giubba e scesi.

Milena era in salotto. Vestita di blu, i capelli sciolti sulle spalle, le splendide gambe accavallate.

Sedetti accanto a lei, sul divano.

Il tono della sua voce era basso, caldo.

"Sai Piero che sono un'accanita lettrice?"

"Che genere?"

"Mi piace tutto, mi piace leggere. E anche scrivere. Ho scritto dei brevi racconti. Chiederò il tuo parere."

"Saranno certamente interessanti, belli."

"Non lo so. Vedrai tu.

Ho letto i libri più svariati. Per un certo periodo, abbastanza recente, sono andata a frugare tra i titoli più intriganti. Sai come mi è venuto in mente? Ho ricordato quando ci facevano studiare, a scuola, il Decamerone, e ho voluto leggerlo in edizione integrale. Così è stato per Chaucer. Mi ha incuriosito Petronio e il suo Satyricon. Allora ho rammentato Ifigonia in Tauride, la parodia che girava nascostamente nelle aule universitarie, e che certamente conosci anche tu. Ce la passavamo con la massima prudenza, ed eravamo così sciocche che ci chiedevamo se c'era qualcosa di verosimile.

Ho letto Ovidio, l'Aretino, Sacchetti, Straparola, Brantome, D'Annunzio, Miller, Lawrence, Mantegazza, Pitigrilli, Freud, Zola, Schwarz. Le Mille e una notte, che sono in parte di origine indiana, mi hanno indotto a conoscere gli aforismi sull'amore, il Kamasutra. Ma, per me, il più bel libro erotico é Chin P'Ing Mei, Fiore di Prugno del vaso d'oro. Lo hai letto?"

"No, non ne conoscevo nemmeno l'esistenza."

Si alzò con un profondo sospiro.

"Andiamo un po' fuori. La sera è calma. A me piace il buio della notte, e a te?"

"Veramente io preferisco vedere."

"Materialista! Andiamo."

La villetta era circondata da un giardino, ben curato. Dietro la casa era stato costruito un gazebo con un tavolino, due sedie, una panca.

Milena si mise sottobraccio e intrecciò le sue dita con le mie.

Andammo a sedere sulla panca del piccolo chiosco.

Mi carezzò il collo, la guancia, mi passò le piccole dita sulla bocca, sporse le labbra che accolsi subito tra le mie, ed esplorò con voluttuosa sapienza la mia bocca con la sua piccola lingua guizzante.

Prese la mia mano e la infilò sotto la gonna. Il vestito era l'unico indumento che indossava. Fece di sì con la testa, fin quando non sentii dischiudersi il morbido cespuglio tra le sue gambe. Mi fece alzare, senza lasciare la mia bocca e senza che io abbandonassi il tepore del suo sesso. Alzò la gamba e la poggiò sul mio fianco, muovendosi languidamente. Staccò piano la testa dalla mia.

"Questo è lo Jataveshtitaka, l'attorcigliamento d'un rampicante, una fantasia dell'amore, dettata dalla passione, che culmina, al momento opportuno, in una deliziosa penetrazione.

Ora il momento sarebbe opportuno, ma non lo è il luogo."

Si strinse ancor più a me.

"La poesia orientale è dolce e convincente:

Io sono la tua cerva, Lingam,

fammi sentire il frullo del passero

nella fremente Yoni.

Poni le mie gambe sulle spalle,

nascondi il mio sbadiglio

con l'arma del tuo amore,

perch'io la serri come tenaglia,

per goderne la possanza.

Guarda l'amore della tigre,

prendimi com'è presa lei,

tu che hai dita e non artigli,

artiglia il mio seno

mentre cerchi il fondo

che non raggiungerai."

Le ultime parole furono mormorate tra sospiri di piacere, fino a che la voce non finì in un roco gorgoglio nella gola. Abbassò la gamba, rimase avvinghiata a me, con la testa sulla spalla, ansante. Le carezzai i capelli.

La poesia era bella, avrebbe detto il mio professore d'Italiano, al liceo, ma era una poesia... in cerca del concreto.

Ci sedemmo ancora un po', poi rientrammo.

Zorça venne avvertì che la cena era pronta.

* * *

Non mangiai molto, e neppure Milena.

Mario aveva sonno e sarebbe andato a riposare.

Zorça sparecchiò e sparì in cucina.

Milena mi morse il lobo dell'orecchio.

"Verrò da te fra mezz'ora."

S'alzò e salì in camera.

Uscii un po' fuori.

Quando rientrai Zorça mi dette la buonanotte.

Avevo appena indossato il pigiama quando Milena apparve in una splendida vestaglia rosa.

Chiuse la porta a chiave. Restò li vicino.

"Piero, io ti voglio da sempre. Ti bramo.

A volte Roberto mi chiedeva come mai fossi così passionale, in questi ultimi tempi, nel fare l'amore. Non gli rispondevo, tiravo su le spalle. La sua voce mi disincantava, perché l'amore l'avevo fatto con te.

Non avrei mai sperato che il mio sogno si potesse realizzare, che tu stessi con me. Non mi interessa perché lo fai, l'importante, per me, è che tu lo faccia. Sono vecchia ma sempre un po' romantica, pur nel desiderio di saziarmi di te.

Non sorridere se ricordo ancora le parole di poeti lontani:

Tutto di me ti appartiene,

qualunque cosa tu desideri l'avrai.

Scruta tra l'erba del mio prato,

e sfiorala lieve,

con la mano, con le labbra.

Guarda il mio piacere

che rende candida e sinuosa

la strada che ti attende.

Giuoca a lungo

intorno all'ingresso,

prima d'affrontare

l'intimità della rocca.

Vorrei tenerti

per sempre prigioniero,

ma tu sfuggi dalla rocca

ed io ti voglio ancora.

Il mio respiro è lieve,

è solo un mormorio delle mie labbra.

Io sono affaticata ma non doma."

Mi fissò con le nari frementi, gli occhi splendenti.

"Ti desidero pazzamente, Piero. Adesso."

Lasciò cadere la vestaglia, la camicia, giacque sul letto.

* * *

Era quasi giorno.

Milena era su di me. La testa sulla mia spalla, il seno sul mio petto, il ginocchio sul mio sesso. La mano intorno al collo. I capelli sparsi.

Credevo dormisse. La guardai, aveva gli occhi aperti.

Quando si accorse che ero sveglio anch'io sorrise, senza muoversi.

"Non vorrei lasciarti più. Ho vegliato il tuo sonno, forse troppo breve per te, vero? Sei bellissimo.

Io sono distrutta.

Ho vissuto sensazioni, emozioni, piaceri che nessun scrittore saprebbe mai descrivere. Che non immaginavo.

Ma devo viverle ancora.

Me lo prometti?"

La strinsi a me, la baciai sulla bocca.

"Certo, amore. Sei meravigliosa, sono sicuro che non esiste altra donna, al mondo, come te."

Si voltò sulla schiena, si mise a sedere sul letto, infilò la camicia da notte, la vestaglia.

Si chinò su di me, mi baciò. Mi strinse le labbra tra le sue dita. Sussurrò, come parlando a sé stessa:

"The best fuck I never had."

Era il sopravvento di Miller sui poeti orientali.

Mi venne istintivo risponderle: "I reamed out every wrinkle in yuor cunt!"

Spalancò gli occhi, come spaventata, poi scosse la testa sorridendo. Aprì la porta e uscì.

* * *

Dovevo andar via presto. Prima che Mario si alzasse.

Quando scesi, però, Zorça era già al lavoro. Mi disse che il caffè era pronto. Lo presi in fretta, salutai, mi avviai verso il centro del paese.

Qualche vecchina si avviava alla chiesa. Il bar apriva in quel momento.

Non dovevo avere un buon aspetto.

Il padre di Dora mi salutò.

"Finito il servizio Signor Tenente? Si vede che ha lavorato tutta la notte. Mi scusi se glielo dico, ma ha un viso stanco e, se mi permette, anche preoccupato. Venga a bere qualcosa."

Lo ringraziai, ma proseguii.

In effetti c'era qualcosa che mi turbava. Mi tornava sempre alla mente la voce di Roberto: "ti affido Milena e Mario."

La notte, però, era stata al di là di ogni aspettativa. Mi meravigliavo io stesso di come fossi riuscito a non disilludere le ardenti aspettative di Milena. Non era stato facile. Lo dovevo soprattutto al suo comportamento esaltante, stimolante, eccitante, alla sua sbrigliata fantasia e iniziativa erotica. Se il tempo e la natura lo avessero permesso, credo che avrebbe voluto sperimentare tutte le descrizioni che aveva letto nei suoi tanto amati libri.

ULISSE
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