Il Raggio Verde

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ULISSE
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Mi avvicinai al suo letto, sollevai appena la camicia.

Del resto, se si fosse svegliata le avrei detto che stavo accertando la corrispondenza del nomignolo alla realtà. Volevo vedere se anche 'lì' era veramente rossa. Non riuscivo a scorgere un bel niente. Allungai la mano. Era un cespuglio foltissimo, lunghi riccioli, alcuni serici, altri alquanto cresposi. Erano belli, comunque, al tatto, ed invitanti. La mano non riusciva a controllarsi, proseguiva. Erano tantissimi, quei riccioli. Procedendo, con relativa cautela, sentii perfettamente il delinearsi del suo sesso... le grandi labbra, tiepide, morbide e nel contempo consistenti. Era meraviglioso poter insinuare un dito tra esse...

Franceschina si scosse, sobbalzò, abbassò la mano per coprirsi con la camicia, incontrò la mia mano, saltò a sedere, le gambe un po' dischiuse, le mie dita strette tra le sue...

"Oddio, chi è?"

"Shhh... parla piano... sono io... non accendere..."

"Sei tu Pierì?... Ma che... te sei impazzito..."

Cercai di allungare la mano e di carezzargliela. La scostò decisamente.

"Sei bellissima, Franceschina, bellissima... volevo vederti... ammirare il fuoco che hai tra le gambe..."

"Ma và a guardà tu' madre..."

Si fermò un momento.

"Scusa... scusa... nun volevo di'... scusa... ma che c'entra quella santa donna della signora..!"

Ne profittai per insistere nella carezza.

Franceschina aveva lasciato le mie dita, ed ora, profittando che era seduta e che le grandi labbra erano naturalmente dischiuse, prosegui cautamente e sentii l'umido delle piccole labbra, caldissime.

"Peccato che non la posso vedere..."

Adesso la sua voce era cambiata. Aveva toni incerti, esitanti...

"E mo', Pie', che vorresti fa?"

"Stare un po' con te..."

"Ma tu sei tutto matto..."

Le mie dita frugavano, avevano incontrato il clitoride, lo titillavano, lo sentivano fremere. Franceschina si era un po' sdraiata sul cuscino.

Ecco, il dito era entrato nella vagina, la percorreva in giro in giro, entrava e usciva. Lei aveva rovesciato la testa, dalla scollatura si indovinavano, più che vedere, due tette veramente portentose... mi chinai a baciarle, lambirle, presi un capezzolo tra le labbra e cominciai a ciucciare...

"Nun fa' così, per favore.... Nun ce la faccio.... Madonna, da quanto...."

'Pipillo' stava impazzando nei pantaloni.

All'improvviso sentii la mano di Franceschina carezzarlo.

Una mano sul suo sesso, la bocca piena del suo capezzolo, e l'altra mano febbrilmente sbottonò i pantaloni, sciolse la cinta... con movimenti degni di un contorsionista riuscii a togliere tutto, anche le mutandine.

Franceschina che stava gemendo sordamente, lo aveva afferrato con forza, lo stava menando freneticamente... Mi mossi, mi sistemai tra le sue gambe, in ginocchio. Lei lo portò, tremante, all'ingresso palpitante della vagina. Lo infilai quasi con irruenza, fin quanto potei, ed insieme cominciammo a sobbalzare, sempre più voluttuosamente, col suo gemito che aumentava ed io che...

Voce roca, affannata...

"Attento, Pie'... attento... tiralo fuori...."

Ma non si fermava, e neppure io... Un colpo di reni, più forte del solito, il suo bacino che si inarcava e mi veniva incontro, e mi scaricai impetuosamente in lei che, dopo sussulti incontenibili, e deliziose contrazioni della vagina che mi munsero voluttuosamente, s'era abbandonata, priva di forze.

Ma fu un attimo. Si riebbe subito.

"Che hai fatto, Pie'... che avemo fatto..., nun l'hai tirato fora... e adesso?"

Mi spinse, mi sollevai, mi misi a sedere sul letto.

S'era alzata di colpo, aveva preso la vestaglia e se l'era messa addosso.

"Nun te move, sta' qui, bono... Io vado ar bagno della signora, cerco la robba che se fa lei gli sciacqui, le irrigazioni, dice per nun restà gravida... ce provo puro io... speramo bene..."

E scomparve, richiudendo la porta dietro di sé. Rimasi sdraiato sul letto.

Una scopata così non l'avevo mai fatta.

Quello che mi aveva colpito, ed ora tornava alla mente con forza, era la sua frase: "Ma và a guardà tu' madre..." Il pensiero corse a lei, a mamma, alla foresta verde, di giada, e l'unii alle ultime parole di Franceschina: "se fa gli sciacqui, le irrigazioni, dice per nun restà gravida..."

Fui percorso da un brivido, per tutto il corpo.

Franceschina rientrò. Era calma, ora. Mi diede un asciugamano e disse di pulirmi bene, di andare anche io al bagno, lavarmi, orinare per pulire l'uretra e, se avevo coscienza di sapermi controllare, al momento opportuno, di... tornare.

Ero di ritorno dopo poco. Non ci fu bisogno di parole. Penetrai ancora in lei.

Mi sembrava diversa, più bella, più calda, più sensuale, più gentile, intensamente affettuosa, passionale, calda, tenera...

Ma nel cervello ritornavano quelle parole... tu' madre... e quando stavo per perdere ogni freno, sentii la voce... per nun restà gravida.... Uno sforzo sovrumano... e lo tirai fuori, impiastricciandole il grembo, ma non potevo mettere incinta... mia madre.

Sul cuscino vidi un intenso raggio verde incorniciare un volto. Non riuscivo a distinguerne le fattezze, mutavano, ora era Franceschina, ma più spesso mamma.

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Quello che potrei chiamare il caso 'red-cunt' impresse una determinante trasformazione alla mia esistenza. Infatti, segnò l'inizio di una certa regolarità nella mia vita sessuale. Fu indispensabile fornirmi periodicamente di profilattici, con grosso sacrificio economico e rinunciando a qualche cinema od altra distrazione, ma ne valeva assolutamente la pena perché Franceschina era una amante sempre più appassionata ed esuberante. Aveva anche delle manifestazioni di gelosia rusticana.

Ogni tanto, afferrava energicamente 'Pipillo' nella sua mano e guardandomi mi diceva che se avesse saputo che lo davo ad altre 'femmene' me lo avrebbe tagliato!

Credo che i miei avessero sentore di qualcosa, ma non andarono mai oltre le generiche raccomandazioni di 'stare attento', 'curare la salute', non 'abusare delle proprie forze'.

Quando, con un sorriso incantevole, abbracciandomi teneramente, me lo diceva la mamma, mi sentivo agitato e confuso. 'Pipillo' si ergeva voglioso, si beava al tepore del suo grembo, e il pensiero andava sempre alla foresta verde, a come sarebbe stato meraviglioso, per 'lui', inoltrarsi nella valle delle delizie che custodiva.

Quando ripensavo a ciò mentre ero con Franceschina lei andava in estasi nel sentirmi più vigoroso e bramoso, più avido, e dovevo prestare molta attenzione a non pronunciare il nome dell'altra. Quelle volte, dopo una prima impetuosa e appassionata scopata, dopo che il serbatoio del profilattico aveva violentemente vibrato in lei, battuto nella sua vagina, mi ripulivo accuratamente, e rientravo, libero da ogni impaccio, cercando di durare il più a lungo possibile per stimolare le voluttuose contrazioni della sua vagina; poi, all'improvviso, lo sfilavo e lo appoggiavo sul suo grembo, inondandola di me.

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Era una 'esterna', era stata trasferita a Roma da poco, veniva dal Sud. Capitò a fianco a me al compito di Latino, alla maturità. Con sorpresa di tutti il testo latino era di Lucio Apuleio, tratto dal IV libro delle Metamorfosi.

Sed ego te narrationibus lepidis anilibusque fabulis protinus avocabo. Et incipit. Ma ora io voglio distrarti con piacevoli racconti e con favole da vecchie." E cominciò.

La ragazza mi guardò, con occhi smarriti, e mi sussurrò: "Cosa è?"

"Lucio Apuleio."

"Non ne conosco nemmeno l'esistenza.'"

"Io lo conosco, ma a scuola lo abbiamo appena sfiorato."

"Consegnerò in bianco."

"Aspetta, cercherò di passartelo. Mi chiamo Piero."

"Io sono Letizia."

Riuscii a tradurre il testo con una certa facilità ed anche darne copia a Letizia.

L'attesi fuori, mi venne incontro sorridendo.

"Non so come ringraziarti... Sai, per me é la seconda volta che ci provo e se fallisco anche quest'anno ci devo rinunciare. I miei ci tengono tanto.

"Ma non sei di Roma."

"No, vengo dalla Calabria. Ciao, ci vediamo domani, mio padre mi aspetta."

Mi salutò e scappò via.

Era veramente carina, anzi bella. Doveva avere qualche anno più di me, non che lo dimostrasse, ma era la seconda volta che affrontava la maturità.

Mentre si allontanava, a passo svelto, rimasi affascinato dalla sua persona, dai suoi capelli, dal modo di camminare. Tale e quale la mia mamma!

Credo che questa identità abbia guidato, più o meno senza rendermene conto, il mio comportamento da quell'incontro.

Nei giorni successivi la pregai di sedersi accanto, le 'passai' tutti i compiti scritti, la invitai a venire da me a rileggere le materie per gli orali, e lei doveva sostenere più esami di me essendo esterna. Insomma fummo vicini, molto vicini.

Presentai Letizia alla mamma; la mamma ci portò da bere, qualche pasticcino, la trattava molto affettuosamente.

Chiesi a mamma se non rilevasse una notevole somiglianza tra lei e Letizia.

Mi rispose che sì, certamente, ma Letizia era molto più giovane di lei. Ribattei che per me lei era più bella, e anche più giovane.

"Amore filiale, Piero, amore filiale."

"No, mamma, tu sei bellissima e giovanissima."

"Tra un mese sono quaranta!"

Già, non sapevo l'età di Letizia.

Conseguii una lusinghiera maturità, Letizia riuscì faticosamente a strappare il minimo, ma sembrava pazza di gioia. Quando andammo a leggere i risultati, malgrado la sala fosse piena di studenti, amici, genitori, parenti, si aggrappò letteralmente al mio collo e mi baciò con evidente trasporto.

"Grazie Piero... grazie... se non c'eri tu sarebbe stata la ulteriore e definitiva sconfitta, in materia. Un altro dei miei fallimenti."

E scoppiò a piangere, a singhiozzare.

Ero a disagio, molti mi conoscevano...

Finalmente, riuscii a calmarla e dissi che l'avrei accompagnata a casa.

Non abitava lontano dalla scuola.

Un bel edificio, distinto. Dinanzi al portone feci per salutarla.

"Sali un momento, mia madre sarà lietissima alla notizia, e vedrai che è un tipo in gamba. Io le ho parlato del tuo determinante aiuto."

"Ci sarà anche tuo padre?"

"Credo di si, ma lui, quando è a casa è sempre nel suo studio, con le carte che si porta dietro dalla Corte..."

"Dalla 'Corte?"

"Si, è magistrato, e ci siamo trasferiti a Roma per la sua promozione. E' molto chiuso in sé stesso, specie da quando gli ho dato certi dispiaceri..."

"Quali?"

"No, non ora... te lo dirò. Ma papà è buono, e mi vuole bene. Sono io che gli ho dato delle delusioni."

Salimmo, aprì una giovane domestica, Letizia mi condusse nel salotto e disse alla ragazza di avvertire la madre.

Dopo un po' entrò una signora, abbastanza giovane, ma soprattutto elegante. Un bel volto e un discreto personale. Mi alzai.

"Mamma, questo è Piero, il compagno di cui ti ho parlato."

Mi tese la mano, curata, e strinse la mia.

"Beh, Letizia... allora?"

"Promossa, mamma, promossa!"

La donna sospirò profondamente e strinse tra le braccia la figliola.

"Finalmente Letizia... finalmente... devo dirlo subito a tuo padre."

Uscì dal salotto.

La donna di servizio venne a chiedere se gradissi qualcosa da bere, aveva dell'aranciata fresca.

Ringraziai ma dissi che andava bene così.

Letizia mi chiese del mio futuro, glielo accennai.

Lei, forse, avrebbe tentato di iscriversi a Legge, come suo padre, ma c'erano tanti 'ma'!

"Scusa, Letizia, ma credo che debbo andare. Ti prego di salutarmi tua madre."

"Mi spiace, sarà stata trattenuta da papà."

"Possiamo vederci anche se gli esami sono finiti?"

"Certo."

"Che ne dici se domani andiamo al Pincio a prendere un gelato?"

"Per me va bene."

"Vengo a prenderti alle 10?"

"D'accordo... ti do il mio numero di telefono. Io ho il tuo."

Me lo scrisse su un foglietto, dal blocco che era sul tavolo. La salutai, tornai a casa.

Già sapevano tutto, papà era stato informato dal Presidente della commissione, suo collega.

L'abbraccio di mamma fu fantastico, e la sua bocca, nell'agitazione del momento, sfiorò le mie labbra. Mi sembrava un sogno. Sentire il suo calore, le sue labbra.....

-----

Non avevo una mia auto, del resto a quel tempo solo i cosiddetti 'straricchi' erano in possesso di auto a poco più di diciotto anni.

Letizia scese giù, abbozzammo uno sfuggevole bacetto sulla guancia, mi sorrise, poco distante c'era la fermata dell'autobus che ci portò a Piazza del Popolo, poi le scale verso il Pincio e il 'lusso' di sedere alla 'Casina' che allora andava per la maggiore. Ordinammo granita di caffé con panna e cialdoni. Letizia divenne pensierosa. Le presi una mano.

"Qualcosa non va?"

Un profondo sospiro, mi fissò.

"Io ti sono infinitamente grata, Piero, senza te non avrei superato l'ostacolo che già mi aveva respinta, e sto benissimo con te, ma..."

"Oddio, Letizia, i 'ma' mi spaventano, preoccupano... allora?"

"Non so se facciamo bene a vederci. Anche mamma mi ha fatto riflettere. Tra l'altro ha sottolineato che io ho qualche anno più di te..."

"E allora?"

"Non è solo questo... devo dirti qualcosa, ma sono a disagio. Anzi, peggio, mi vergogno...arrossisco..."

Le strinsi la mano e la carezzai.

"E' una cosa così grave?"

Annuì, e gli occhi le si empirono di lacrime.

"Allora non dirmi nulla."

"Devo... devo... Ti prego, non interrompermi..."

"Sarò muto."

Cominciò a voce bassa, guardando la sua mano, sul tavolino, che seguitavo a carezzare.

"Sono passati degli anni, frequentavo la penultima classe del liceo, ero debolina in latino, il professore si offrì di impartirmi delle ripetizioni..."

Si fermò, tirò su col naso.

"Insomma...inutile tergiversare... ad un certo punto... scoprii che ero incinta..."

Mi accorsi che ,involontariamente, le avevo stretto la mano.

Mi guardò, diritto negli occhi.

"Si... e solo perché avevo ceduto al suo fascino... una volta... una volta sola... Dovetti dirlo alla mamma. Immagina: città nel sud, padre magistrato, madre professoressa... Lo scandalo avrebbe travolto tutto e tutti... Fu deciso che mia madre ed io ci saremmo recati in un'altra città per avere conferma del mio stato, non era possibile recarsi da un medico nel luogo dove abitavamo. Per maggior cautela scegliemmo addirittura Zurigo. La visita, per me, fu umiliante, imbarazzante, mi sentii violata una seconda volta, offesa, oltraggiata... ma dopo altri e approfonditi accertamenti, e tenuto conto di certi miei disturbi, il professor Ziegler ci comunicò che 'il prodotto del concepimento, di poco più di sei settimane, non era vitale', era necessario, ed anche urgente, liberarsene. Lui suggeriva un raschiamento, e abbastanza presto, prima di possibili complicazioni che avrebbero potuto compromettere la mia fertilità, per sempre.

Ero talmente confusa che non sapevo se disperarmi o gioire: perdevo il mio bambino... ma non ci sarebbero state le prevedibili conseguenze per una maternità senza padre legittimo. Sarei stata una ragazza madre, e a quel tempo, in casa mia!

Ci fu una lunga e concitata telefonata tra mamma e papà.

Mamma concluse che quella era la 'volontà di Dio'.

Quindi, raschiamento. Il mio corpo subiva violenza dopo violenza, trauma dopo trauma. Fu deciso che dovevo ristabilirmi completamente, e andammo in un piccolo paese delle Alpi svizzere, dove restammo quasi un mese.

Al ritorno a casa, seppi che avremmo dovuto trasferirci per qualche tempo, in attesa della ulteriore promozione di papà."

Letizia rimase in silenzio, con la testa bassa. Le carezzai dolcemente i capelli.

"E' tutto finito, Letizia. Sei brava, bella, forte, devi pensare all'avvenire, non al passato. Guardami, per favore...sorridimi..."

Alzò il capo, gli occhi pieni di pianto, tirava su col nasino, si sforzò a farmi un sorriso. Era bellissima. Avrei voluto baciarla.

In quel momento il cameriere stava portando le granite.

Quello sfogo creò un legame particolare, tra noi, quasi una complicità.

Dapprima lei disse che ora che sapevo tutto avrei certo troncata la nostra amicizia. La rassicurai, affettuosamente, amorevolmente e mi venne da dirle che tra noi, forse, c'era qualcosa di più di una semplice amicizia.

Ebbe un sobbalzo. Mi guardò con espressione triste.

"Cosa ti passa per la mente, Letizia?"

Adesso la sua voce era dura, quasi aspra.

"No, sono io che chiedo a te quali strani pensieri stai carezzando!"

"Non capisco."

"Ma è chiaro. Tu immagini che quello che mi è successo è perché io sono una ragazza facile, leggera, compiacente, cedevole, facilmente abbordabile..."

Le presi una mano, con forza.

"Basta! Basta! Non dire sciocchezze, non hai capito nulla, non ricordi nulla... non ricordi come ho cercato di esserti vicino dal primo momento che ci siamo incontrati? Non voglio, certo, rinfacciarti nulla, ma ho cercato solo di aiutare una splendida ragazza in difficoltà... Tu non immagini nemmeno quali sentimenti io nutra per te che, fra l'altro, sei la incantevole copia giovane della mia fantastica mamma! Basta!"

Gustammo i gelati, in silenzio, ognuno rimuginando qualcosa nella mente.

Fu lei a rompere il ghiaccio.

"Buono, vero?"

"Molto buono."

"E' bello, qui."

"Se vuoi, possiamo andare al laghetto."

"Si, mi piace."

Chiamai il cameriere, pagai, ci alzammo.

Dovevamo camminare un po', ci avviammo lentamente. Letizia si mise sottobraccio. Era bello sentirla così vicina.

Finalmente, entrammo nel vialetto che conduceva al lago, sostammo nei pressi dell'imbarcadero. C'erano piccole barche da noleggiare.

"Ti va di fare un giretto in barca?"

"Si, si, mi piace."

Feci cenno all'addetto, ci fece salire in barca, dette una spinta, ci avviammo verso il centro.

Letizia era di fronte, appoggiata con le mani dietro, il seno sembrava esplodere nella leggera camiciola, il vento, ogni tanto, sollevava la gonna. Una visione incantevole, la fissavo e improvvisamente la vidi avvolta in una luce verde, un raggio che la rendeva radiosa, bellissima, un volto meraviglioso. Aguzzai la vista... ma quella non mi sembrava Letizia... era mamma!

"Hai un aspetto diverso dal solito, Piero, come se tu fossi abbagliato..."

Ebbi un soprassalto, ma fui capace di uscire subito da quel trance.

Era Letizia. Cercai di sorriderle.

"Abbagliato da te, cara..."

"Fammi posto vengo lì."

La panca era stretta, i nostri corpi si toccavano, percepivo il suo tepore, e il suo profumo mi piaceva, ricordava quello di mamma.

Fu spontaneo cingerle i fianchi... Appoggiò la testa sulla spalla, e mi chinai a baciarle i capelli.

Il contatto stava sempre più eccitandomi, nel contempo, però, la mano che le sfiorava il fianco trasmetteva alla mia mente la sensazione che stessi carezzando mamma... e questo accendeva maggiormente la mia fantasia e la mia voglia incontenibile, un desiderio tormentoso...

Il piacere di essere insieme a Letizia mi impensieriva: come sarebbe andata a finire questa storia?

Sarebbe stato un semplice flirt? Una breve relazione, tanto per appagare i sensi? Del resto, cosa altro poteva essere!

Sulla strada del ritorno, verso il Muro Torto, dove passava l'autobus che ci avrebbe riportato verso casa, le nostre teste si avvicinarono, le labbra si sfiorarono, e ci baciammo, con tenerezza più che con voluttà.

Letizia aveva occhi bellissimi. Si strinse a me.

"Sto sbagliando tutto, Piero.. lo so che tra noi non potrà mai esserci niente di serio..."

Tornato a casa andai alla ricerca di mamma. Stava in camera sua, vicino all'armadio. Volevo, dovevo, accertarmi se c'era somiglianza di forme tra la ventenne Letizia e la mia splendida mamma quarantenne, o poco più.

Sì, erano molto simili, ma mentre carezzavo con gli occhi la deliziosa figura della mia mammina, notavo che Letizia era solo una copia, abbastanza ben fatta, ma soltanto una imitazione, che non poteva sostenere il paragone con l'insuperabile originale.

Mi avvicinai a lei, alle sue spalle, l'abbracciai, le mani si posarono timidamente sul suo petto, la mia patta sentiva il sodo tondeggiare delle sue natiche meravigliose, non potei controllare l'eccitazione che mi invadeva, la strinsi a me, e le dita le abbrancarono energicamente le tette.

ULISSE
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