Viale Del Tramonto

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Poi tutto era cambiato. Nessuno poteva immaginare quello che provava lei quando Valerio la spogliava, la carezzava, la baciava. Con le sue dita inebrianti, la lingua che la lambiva dalla testa alle calcagna, che s'intrufolava, intrigante, stuzzicante, dappertutto. I denti che la mordicchiavano facendola fremere di passione.

Gli aveva dovuto raccomandare, più volte, di non mettere troppo vigore in quei piccoli morsi, di non segnare con le unghie la sua pelle delicata,, di non succhiare troppo. Ma l'interno delle sue cosce recava segni di denti, così le sue natiche; i suoi capezzoli erano violacei.

Da tempo, la sera, a letto, proprio quando non poteva farne a meno, spegneva la luce e lasciava che Cesare si sfogasse: una botta e via.

"Che d'è" -le aveva chiesto il marito- "nun te piace più? Non voi più che te bacio la micetta? Che t'è successo? Ma che, c'è n'artro?"

Ma non insisteva più di tanto. Lo ficcava dentro e in pochi secondi aveva finito.

Eva s'alzava e, malgrado la pillola, per maggior sicurezza andava a farsi le irrigazioni con una soluzione di acido lattico, come le aveva suggerito un'amica.

Scosse un po' la testa.

Manco cento Cesari le avrebbero potuto dare quello che le dava Valerio. Adesso, in questo momento, era presa dal desiderio pressante di sentire le sue labbra tra le gambe, stringergli la testa per accoglierlo, fremente, fino ai travolgenti spasmi del piacere.

Quel bambino non era il frutto d'una scopata "a norma", incredibile.

Sì, non vedeva l'ora di sentirsi palpata, impastata, di percepire le contrazioni frementi che le procurava il tocco della sua lingua, quelle dita che entravano e uscivano da tutta sè stessa.

Il sacerdote ripetè:

"Come avete deciso chiamarlo?"

Si scosse, come se uscisse da un'incantevole sogno, sorrise.

"Valerio. Valerio, come il padrino."

Il bambino guardava intorno, con grandi occhi scuri. Fissava le persone, muoveva appena le labbra, quasi volesse parlare. Non pianse mai.

Dopo il rito, mentre erano sul sagrato, Cesare si avvicinò a Valerio.

"Professore" -disse- "ho fatto preparare qualcosa, solo per gli intimi, allo Sheraton. Venga in auto con noi."

Al momento dello champagne, Eva chiese a Valerio di dire qualcosa.

Lui dapprima cercò di sottrarsi, poi, con gli occhi lucidi, si alzò.

"Auguro al piccolo Valerio di vivere sano e sereno. E vi ringrazio, amici, per avermi dato questa gioia. Io non ho figli maschi e, questo bambino, questo figlioccio, corona la mia attesa durata una vita. Lo sento come un figlio. Purtroppo l'età non mi consentirà di goderne a lungo la compagnia, ma permettetemi di farmi ricordare da lui con un piccolo gesto."

Prese dalla tasca una busta e un pacchetto.

"In questa busta, che consegno a Cesare, c'è l'atto di donazione di un piccolo appartamento, a Fregene, di fronte al mare, dove il piccolo potrà andare a passare le vacanze, con la famiglia."

Dette la busta a Cesare, che si asciugò, commosso, gli occhi.

"E questo è un pensierino per la mamma di Valerio. Perché ricordi sempre quanto ha fatto felice un vecchio signore che sempre più si avvicina al porto conclusivo della sua esistenza."

Consegnò il pacchetto a Eva.

La donna lo scartò lentamente.

Una scatola di pelle blu.

L'aprì, e apparve uno splendido collier di rubini. Si portò la mano alla bocca con un lungo oooooh!

Gli altri si avvicinarono, e restarono sbalorditi per la ricchezza del dono.

Eva si volse a Cesare che la guardava con gli occhi sgranati.

"A Cè, tu permetti, vero? Per me il professore, specie adesso che ha battezzato il ragazzino, è un padre."

Si avvicinò a Valerio e lo baciò sulle guance.

Gli sussurrò all'orecchio:

"Aspetteme domattina, Valè. Me metterò la collana, solo quella. Vojo superà la prima vorta che l'avemo fatto!"

Cesare si volse sorridendo a parenti e amici.

Al suocero che gli era vicino mormorò:

"A pa', ma sai che tu fija è 'na dritta? Tratta er professore come si fusse più che er padrino er padre der regazzino. E intanto ha rimediato la casa ar piccolo e pe' lei 'na meravija da principessa, che nun se poteva aspettà manco si je l'avesse data.

Si nun fosse che quello ce l'ha più moscio d'un gelato squajato, sarei geloso."

Si voltò al giovane banconista che gli era accanto.

"E tu che ne dici, Righé?"

Righetto alzò le spalle, senza dir nulla, seguitando ad ammirare il piccolo Valerio tra le braccia de quer tocco de fica della sora Eva, che era du' anni che nun scopava più co lui.

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Ulisse

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