Viale Del Tramonto

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On the way out...
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a me me piace l'omo attempatello

........a tanti giovenotti che ciò intorno.

(Trilussa, Parla cor boccetto)

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VIALE DEL TRAMONTO

(...on the way out...)

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Il solito rito della mattina.

Passava molto tempo a radersi, a massaggiarsi il volto con creme speciali, a curare le unghie, a cospargere di miracolosi unguenti le piccole macchie scure delle mani. Poi infilava i guanti di filo bianco e andava a vedere le ultime notizie alla televisione.

Trascorsi i minuti stabiliti dalla cosmetologa, toglieva i guanti, si recava nella sua camera doveva aveva preparato biancheria e vestito, e cominciava quella che chiamava mentalmente la "vestizione".

Anche quando era magistrato nell'indossare i paramenti osservava una procedura con regole ben precise.

All'Università gli volevano bene, le sue lezioni erano affollate, spiegava in modo chiaro e preciso, unendo alla profonda dottrina la lunga esperienza di giudice. Era affabile, cordiale, amichevole, sempre disponibile, facile alla battuta. L'aspetto non incuteva soggezione. Vestiva con ricercatezza, ma senza affettazione od ostentazione, e soprattutto aveva buon gusto: un'eleganza sobria e piacevole.

Gli allievi, pur apprezzandolo e rispettandolo, lo avevano soprannominato El Azzìm.

Lui lo sapeva, e un giorno, dopo aver scritto una frase sulla grande lavagna, si firmò El Azzìm.

Gli batterono le mani.

"Anche Dante" -disse- "chiamava così chi cercava di vestire con una certa proprietà, cioè le persone che pongono lo studio loro in azzimare la loro persona."

Un mormorio di simpatica approvazione concluse la lezione.

Ricordava tutto ciò, con un lieve sorriso sulle labbra, mentre dava l'ultimo tocco di spazzola ai pochi capelli argentei rimasti, si guardava ancora allo specchio, e si apprestava ad uscire.

Una casa troppo grande per lui. Ormai era solo. Marta, la figlia, aveva seguito le sue orme, ma era andata a finire alla Virginia Union University, dove aveva sposato Bob, un collega della facoltà di botanica.

Lisa, la moglie, riposava da tanti anni, ormai, nel piccolo cimitero del loro paesello arrampicato sui pendii dell'Appennino toscano.

Solo e senza voglia di fare granché.

Si era ripromesso che, una volta libero dagli impegni della Cassazione e dell'Università avrebbe condotto delle ricerche e avrebbe, soprattutto, chiosato delle interessanti sentenze.

Aveva accatastato molti libri sui tavoli dell'ampio studio, aveva anche dato un titolo al suo primo lavoro: "Implicazioni civili dell'estradizione", ma era l'unica cosa scritta.

Si guardò nello specchio dell'ingresso, aprì la porta di casa, infilò la chiave nella toppa, chiuse la porta, girò la chiave, la sfilò dalla serratura, la ripose nella tasca posteriore dei pantaloni.

Spinse il bottone per chiamare l'ascensore e attese che giungesse al piano. Vi entrò, premette il pulsante con la "T" e si lasciò portare giù.

Il portiere si chinò in un saluto deferente e cordiale.

"Buon giorno professore."

"Buon giorno Pietro, dica a Linda, quando viene, che non prepari nulla per il pranzo. Andrò a mangiare al Circolo."

Uscì dal portone.

Si guardò intorno, quasi fosse indeciso sul dove andare.

Voltò a sinistra, come tutte le mattine, e s'avviò alla piazza. La traversò, entrò nel bar.

Eva era alla cassa.

Lo salutò col solito sorriso, che le illuminava il volto.

Si alzò e andò al banco. Si rivolse a Enrico, il robusto giovane che serviva i clienti.

"Al professore ci penso io, Righé."

Senza attendere nulla, preparò un caffè, un po' lungo, vi aggiunse qualche goccia di latte freddo, e lo servì, senza zucchero, come era uso prenderlo il professore, rimanendo di fronte a lui.

Il vecchio lo assaggiò.

"Ottimo, Eva, come sempre. Lei ha mani di fata."

"Troppo buono, professore. E' che so come lei lo vuole, il suo caffè macchiato."

Valerio Maggi, il professore, lo sorseggiò lentamente, poi rimise la tazzina sul ripiano.

Eva uscì da dietro il banco e, mentre tornava alla cassa, si fermò a sistemare una scatola di caramelle sullo scaffale. Si sollevò sulla punta dei piedi, alzò le braccia per raggiungerla. Tutto il suo corpo si protese.

"Come una silfide." Pensò Valerio, mentre l'ammirava.

Le gambe perfette, i fianchi rotondi, il ventre piatto, il petto prominente, florido, sodo, il viso rivolto verso l'alto, i lunghi capelli neri con riflessi metallici ("Ala di corvo" si disse il professore), che cadevano sulle spalle tornite.

Eva si voltò, si accorse di essere osservata, sorrise, tornò alla cassa.

"Cosa fa di bello questa mattina, professore?"

Valerio si avvicinò alla cassa, guardò Eva, scese con gli occhi nella generosa scollatura.

"Di bello ho ben poco da fare. Mi piacerebbe stare un po' qui, a vedere la gente che entra, cosa sceglie, cercare di conoscerla attraverso i gusti, le preferenze..."

"Stia qui, professore, mi farà compagnia."

"E le intralcerei il lavoro..."

"Ma no, se viene vicino a me c'è tutto lo spazio per i clienti. Venga qui, c'è anche un seggiolino per lei."

"Grazie, Eva, preferisco restare in piedi. Ma non sarò io a fare compagnia a lei, bensì lei a me."

Andò vicino ad Eva.

Era seduta su uno sgabello senza spalliera. La schiena diritta, le natiche rotonde bene in evidenza.

Valerio la carezzò con gli occhi, dalla nuca ai fianchi, alle gambe affusolate, alla turgidità del seno.

Eva avvertì quello sguardo su di lei, lo sentì materializzarsi: una mano che le scendeva lungo il corpo, si soffermava a sfiorarle la schiena, il petto. Percepì l'irrigidirsi dei capezzoli, il piacevole contatto con la seta della camicetta le provocava deliziosi brividi per tutto il corpo. Ora la mano era sul suo ventre, tra le sue gambe. Le dischiuse e le serrò, istintivamente, mentre era invasa da uno struggente languore.

Si voltò a guardare Valerio, con occhi sfolgoranti che dicevano la sua bramosia, la sua concupiscenza.

Scosse piano la testa. Eccitarsi così, alluparsi come un'assatanata, per un uomo anziano, forse più vecchio di suo padre.

Valerio le pose una mano sulla coscia.

"Sta bene, Eva?"

"Insomma, professo'"

Sentiva che la testa le girava.

(Oddio, mo' vengo... nun me capita manco quanno scopo co' Cesare.)

Valerio ritirò la mano.

(Rimettecela, smuciname...)

Si voltò al banco.

"Enrico, portami un bicchiere d'acqua."

Il professore la guardò, un po' preoccupato.

"Va meglio?"

"Mica tanto, professore. Ma è l'età."

Valerio sorrise.

"La gioventù, vuol dire."

"Ma se ho un figlio di sedici anni..., e fra poco ne compirò trentasette..."

Lui seguitò a sorridere.

"Lei è una bambina Eva. Non sto a dirle i miei anni. Sono in pensione, e nella mia professione ciò non avviene presto! Cosa sta a parlare di età. Lei è giovane e bella, leggiadra e snella come una silfide..."

"Come che?"

"Una silfide, una gentile fanciulla, sottile, agile, genio dell'aria, dei campi, dei boschi."

"Io credevo che era una malattia! Come parla bene, professore, starei sentirla per ore, incantata. Per questo i suoi allievi le vogliono bene."

"Grazie, ma all'Università non parlavo di mitologia, di soggetti campestri, pastorali. Non leggevamo le Bucoliche."

"Scusi, professore, cos'è che non leggevate?"

"Le poesie pastorali di Virgilio."

"Ah!"

"Eva, lei impersona mirabilmente il ruolo assegnato al suo nome, Eva, la donna per antonomasia, la compagna di Adamo, dell'uomo. Ma certo l'Eva dell'Eden non era squisitamente raffinata e graziosa come lei. "

"Professore, io non capisco tutto quello che dice, ma sento che me piace e me fa arrossi'."

"Sa come dice Ariosto? Nel bel viso s'arrossì l'Angel beato! "

"Ma io non sono un Angelo, professore, e tanto meno beata."

"Non voglio adularla, Eva, né lusingarla.

Lei è veramente un Angelo, essere di giovanile bellezza, e la gioventù è di per sè beata, sostiene giustamente Leopardi, perché dà piacere ."

"Bisognerebbe intendersi su cosa significa piacere, professore."

"Il Piacere, è anche il titolo di un libro di D'Annunzio, molto di moda tanti anni fa. Non è di mio gusto, ma è intessuto sul vero significato della parola: soddisfazione dei sensi e dell'intelletto.

Vi sono tanti gradi di piacere, da quello dell'utopiaplatonica fino a impazzire, ed è impazzire d'amore, perdere il senno, il controllo di sé stessi, travolti dalla passione."

"Professore, ma lei perché non dà lezioni private?"

"Di che?"

"Di parlare, di come incantare, affascinare, far impazzire..."

"Ma ci sono già tanti pazzi..."

"No, professore, non quelli. Far impazzire nel senso di togliere ogni capacità al cervello, ammaliare."

Valerio sorrise.

"Ci penserò, ma non credo che avrò molti allievi, posto che io sia capace a insegnare qualcosa in materia."

"Ma la prima alunna sarei io, professore."

"Lei, Eva, non ha bisogno di lezioni per ammaliare, incantare, affascinare, stregare, sedurre, estasiare, inebriare... "

"Come no! Io ho detto una parola e lei ne ha dette tante, una più bella dell'altra."

Valerio cominciava a sentiri a disagio. La conversazione, iniziata con innocente galanteria, in omaggio alla bellezza travolgente di Eva, al meraviglioso spettacolo del suo corpo, stava divenendo una magico incantamento, teso ad irretire, a circuire la preda per divorarla e saziarsene.

La preda. Eva? Lui? Sorrise.

Come poteva, Eva, considerare lui una preda! Lei, giovane e bella, desiderata da chissà quanti! Lui preda di Eva? Che meschina, ambiziosa, velleitaria presunzione!

Eva sua preda? E con quali artigli avrebbe potuto ghermirla, quali zanne avrebbe potuto affondare in quella meravigliosa carne palpitante! Divenne serio.

"La sto disturbando, Eva. Non voglio distrarla. Mi scusi per le chiacchiere sciocche. Arrivederla."

Eva lo guardò sgomenta. Forse aveva sbagliato qualcosa. Forse il professore non sarebbe mai più tornato in quel bar, avrebbe deluso la sua attesa d'ogni mattino, d'ogni pomeriggio.

Gli avrebbe telefonato, gli avrebbe chiesto scusa. Ma di che cosa? Mica poteva aver indovinato, il professore, l'effetto dello sguardo che aveva posato su di lei, la sensazione provocatale dal breve contatto della mano sulla coscia.

Gli avrebbe telefonato, con una scusa che doveva ancora inventare.

(Ha proprio ragione il professore, come dice Belli

Doppo ch'Adamo cominciò co' Eva

tutte le donne se sò fatte fotte.

E io me chiamo Eva, perchè nun lo dovrebbe fa'?)

Valerio, in vestaglia da camera, era in poltrona a leggere il giornale.

Sentì suonare alla porta.

A quell'ora, alle quattro del pomeriggio, quando ancora faceva caldo! Non aspettava nessuno. Ed era strano che il portinaio non avesse avvertito.

Andò dietro la porta, girò piano il coperchio dello spioncino.

Su pianerottolo, Eva, con ben in mostra una tazza-thermos.

Aprì, seguitando a tenere in mano giornale e occhiali.

"Posso, professore? Ho pensato di portarle personalmente il caffè del pomeriggio. Il suo decaffeinato. Posso?"

Senza attender risposta, entrò.

"Prego, Eva, si accomodi, Ma non doveva disturbarsi, più tardi sarei passato io, come al solito. Sa, è giugno, e questa è un'ora ancora abbastanza calda. A casa sto bene, anche perché c'è l'aria condizionata. Prego, entri pure. Scusi come mi trova, ma non attendevo visite."

La precedette nello studio, dov'era prima.

"La ricevo qui perchè nel salotto non ho sollevato le tapparelle."

"Non si preoccupi, professore, conosco bene la casa. Vado in cucina a versare il caffè in una tazzina."

"Ma non si disturbi, posso bere dal recipiente che ha portato."

"Non è proprio adatto a lei, professore."

Si allontanò, chiudendo la porta dietro di se.

Valerio rimase in attesa.

Il tempo ragionevole per andare in cucina, prendere una tazzina, versarvi il caffè dal thermos, e tornare, era abbondantemente trascorso.

Valerio si alzò, aprì la porta, uscì nel corridoio.

Dalla camera sul fondo udì la voce di Eva.

"Sono qui, professore, sono qui."

Parlava dalla camera da letto.

Lui vi andò, sorpreso.

"Mi scusi, professore, ma la porta era aperta e non ho saputo resistere alla curiosità. E' una camera bellissima. Non ne avevo mai visto così."

Andò davanti al grande specchio dell'armadio, piroettò, restò ad ammirarsi con aria soddisfatta.

Fece cenno con la mano.

"Venga qui, professore, voglio vedermi nello specchio insieme a lei."

Valerio le si mise alle spalle. La sovrastava di una buona mezza testa.

Eva gli prese le mani e se le portò al petto, premendole. Si accostò a lui, con le sue procaci rotondità, strofinandosi con le natiche.

"Le piacciono 'ste chiappe, professo'? Ma allarghi la vestaglia..."

Portò mani dietro e scostò i lembi della vestaglia.

Valerio ebbe un attimo di sbigottita titubanza. Poi decise, le strinse il petto, prese i capezzoli tra le dita e li titillò dolcemente.

La donna, senza voltarsi, gli allungò una mano tra le gambe, l'infilò nel boxer.

"E' in pensione..." -sospirò l'uomo- "s'è ritirato anche lui."

Eva lo palpeggiò, con l'altra mano si sollevò il vestito, unico indumento che indossava.

"Povero pulcino mio, adesso lo tengo al caldo."

E lo strinse tra i glutei.

Valerio, a modo suo, era eccitato, avrebbe voluto possederla, penetrarla, ma sapeva di non esserne in grado Sentiva violento il desiderio di carezzarla, di baciarla, di morderla.

Eva lo stringeva nel suo meraviglioso solco di pesca vellutata.

Allontanò le mani di Valerio che le tormentavano voluttuosamente il seno, sbottonò il vestito, lo sfilò dalla testa e lo gettò per terra.

Rimase completamente nuda.

Lo specchio accolse la sua splendida figura, e i movimenti sensuali dei suoi fianchi.

La mano di Valerio cercò, golosa, tra le belle gambe della donna, che si aprirono per accoglierla. Frugò nel nero cespuglio che nascondeva il piccolo bocciolo che s'eresse prepotente non appena sfiorato.

La donna alzò la testa verso di lui.

"Che cerchi? Er ciccetto de valpelosa? Lo senti come palpita? Percorila tutta, la valle, fino alla grotta der teremoto..."

Lo prese per i fianchi e senza staccarsi da lui, andò verso il grande letto. Vi si gettò così, a pancia sotto, cercando di sentire il più possibile le dita che la carezzavano sempre più freneticamente.

Si voltò di scatto. Sbalzandolo da quella sella smaniosa. Gli tolse la vestaglia, il boxer, la maglietta. Lo rovesciò sul letto, gli si mise a cavallo, con le gambe bene aperte.

La sua voce era roca.

"Vie' qui, piselletto mio, vie' da Eva, sarcicetta bella, inguilletta bona che t'engoio come n'ostrica, te succhio come un ghiacciolo, asperzorio dorce, benediceme co' l'acqua santa...."

E tenendolo tra due dita, col pollice cercava di farlo entrare nella vagina, così, con appena una parvenza di erezione.

"Vieni, piselletto, che temetto ner budello come se fa co' la carne che s'insacca."

E tanto fece che riuscì a mantenerlo in lei, aiutandosi con le sue lunga dita frenetiche, muovendosi infoiata, convulsamente, con smania crescente.

"Quanto sei bbono professò, me stai a fa' godé come nun m'era capitato mai. Te sei accorto che so' già venuta du' vorte? Ecchime, professo'... ecchime, e sento che pure tu stai... ecchime... si... viè co' me... Anvedi quanto è bello...."

Rimase un po' così, poi si gettò su di lui. Sudata, scarmigliata, ansante, fremente, con i fianchi che si muovevano ancora, strofinandosi su di lui.

Gli prese la testa fra le mani, lo baciò appassionatamente. Cercò la sua lingua, la succhiò avidamente.

"Nun capisco più niente, Valè... mo' so' che vo' dì impazzi d'amore. Significa perde conoscenza, sprofonna' ner piacere, sentisse morì d'amore. Ma non lo sò si è amore... nun è manco 'na scopata, si volemo di' come stanno le cose, ma è stata mille vorte più mejo de la mejo scopata. Io lo sapevo che non basta er pisello pè fatte gode, c'è vo' er cervello, er pensiero, devi da gode co' chi stai, lo devi fa' co' tutto, co' la fica ma soprattutto co' la testa."

Valerio le carezzava la schiena, le natiche.

"Valè, mica lo sapevo che se uno non... come se dice... insomma nun s'ingrifa der tutto poteva pure ..., scusa, nun trovo le parole giuste... "

" Avere l'eiaculazione."

Si sollevò, poggiando sul gomito, e lo guardò, sorreggendosi la testa con la mano.

"Scusa, avere che?"

"Emettere il liquido seminale."

"Ah, si! è quello che volevo dire. Scusa se ho parlato in dialetto, prima, ma in certi momenti non riesco a dominarmi."

"Sei stata meravigliosamente spontanea, e sono felice che tu non sia rimasta penosamente delusa."

"Delusa de che? T'ho detto che è stato mejo de le mejo scopate. Valè, tu che dici, può attacca'...?"

"Certo in un vecchio, la parte del liquido seminale destinata alla fecondazione, non è come quella di un giovane, ma in casi del genere le gravidanze sono più frequenti di quanto si creda."

Si soffermò un momento, pensoso.

"Ma tu, Eva, prendi la pillola, vero?"

"E che, so' matta? E' un mese che te faccio il filarino, che aspetto che tu m'invitassi a casa tua. Che credi che non m'ero accorta che me te facevi coll'occhi? Alla fine l'iniziativa l'ho presa io. Ma lo sai che dopo l'ultima volta che ho avuto le regole mie non me so' fatta avvicinà da Cesare? E non me farò toccà mai più, se ce riesco, o almeno fino a quando lo dico io. Fino a quando ricompare il barone rosso, o quanno so' certa d'esse gravida. Io pe' avè un figlio tuo me lo sarei ingoiato quer coso li, quer liquido come l'hai chiamato tu. E se nun riesce come avemo fatto oggi, e come faremo sempre, me lo faccio iniettà dar dottore.

A Valè, io me farei fa' tutto per avè un figlio tuo."

Gli si accostò all'orecchio, parlando piano, con tono complice.

"Accarezzame ancora, Vale'...."

Gli era sopra, senza poggiarsi su lui, reggendosi sulle ginocchia.

"... senti come so' bagnata... scenni... lentamente... più giù... senti come se move er bucetto... sfottilo piano cor dito... bravo, così... lo senti? sì, spignilo drento... a Valè, è 'n paradiso... "

Si lasciò cadere di colpo, respirando forte.

"Lo sai, Valé, che nun m'ero mai fatta toccà, lì...."

Si mise supina, guardando il soffitto.

"Aspetta, torno subito."

S'alzò e si diresse al bagno. Lasciò la porta aperta. S'udì lo scroscio dell'acqua del bidet.

Tornò dopo poco, ostentando spavaldamente la sua nudità.

Salì sul letto, si sdraiò con la testa vicino ai piedi di Valerio, gli baciò l'alluce, lo succhiò. Si mise sull'uomo, quasi carponi, col sesso sul volto di lui.

"Baciame Valé, baciame là, baciame er grilletto..."

E cominciò a ciucciare il pene flaccido di Valerio.

Valerio rivelò una particolare esperienza nel cunnilingus, lingendo con consumata perizia il sussultare frenetico che palpitava tra le gambe della donna, finchè lei s'abbandonò sazia e sfinita.

Andò a baciarlo sulle labbra.

"Che lingua Valé, mejo de centomila cazzi. Nun me reggo manco sdraiata. Ma mo devo d'annà via. Me dispiace, ma nun posso mancà troppo. Si viè Cesare me sgama... Però te porterò presto n'antro caffè:

Ciao Valè."

E prima che lui potesse rispondere, lo baciò ancora sulla bocca, scese dal letto, infilò il vestito, calzò le scarpe e andò via.

Valerio udì chiudersi la porta di casa.

* * *

Nella chiesa c'erano parenti e amici, ma non troppa gente.

Vicino al fonte battesimale: il sacerdote, il bambino con i genitori e il padrino.

Dopo i riti introduttivi, il sacerdote chiese:

"Come avete deciso di chiamarlo?"

Eva teneva il piccolo in braccio, guardava l'acqua lustrale, ma la sua mente era lontana.

Pensava al concepimento di questo figlio e scuoteva la testa, stringendo amleticamente le labbra. All'insensato e insano rapporto che la legava al vecchio Valerio. Aveva fatto la posta a uno che era più vecchio di suo padre, e ne era rimasta presa. Ci doveva essere qualcosa di sbagliato in lei. Era stata travolta da un fascinoso incantesimo, un seducente magnetismo al quale non riusciva, e non voleva sottrarsi. Era attratta da quell'uomo come la falena dalla fiamma. Anche se doveva rimanere incenerita. E pensare che aveva iniziato quella storia con una ben diversa ragione: il vecchio la concupiva, lei se ne era accorta. e il vecchio aveva un sacco di soldi.

ULISSE
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