La Sorgente

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Qualcosa, però, si muoveva nel cervello.

Era come la lotta per superare un ostacolo, per rimuoverlo, per cercare di aprire una chiusa che impediva all'impeto del torrente di scorrere nel suo letto naturale.

La sorgente era li, lo sentiva, ma gorgogliava su sé stessa, non riuscendo ad avviarsi, lenta o travolgente, alla foce naturale.

Ci sarebbe voluta una 'mina' per consentirle di dar sfogo alla sua potenza soffocata.

Cesare tornò nella sua camera.

Di una cosa si stava rendendo conto.

Il suo problema, forse, non aveva più l'incognita che lo aveva sempre terrorizzato. E se si riesce ad identificare il termine ignoto, non è poi difficile giungere alla soluzione.

Doveva procedere per tentativi.

Assumiamo S come valore incognito e procediamo. Dobbiamo ottenerne la validazione, cioè la prova dell'esattezza dell'asserzione.

Si, ma come fare a dire alla madre che la si voleva vedere nuda, accertare se il carezzarla, baciarla, titillarla, poteva condurre alla rimozione del famoso 'blocco'?

Bisognava essere cauti, per non rischiare possibili e comprensibili reazioni. Irrimediabili.

Un altro pensiero gli sfiorava la mente.

Anche la mamma, a quanto sapeva, non era stata con nessun altro uomo domo la morte del marito.

Che avesse un 'blocco' anche lei?

Che il suo fosse un male ereditario?

Sabrina, intanto, era uscita dal bagno, sempre in accappatoio, passando dinanzi alla porta del figlio si affacciò, sorridente.

"Come va, Cesarino? Tutto bene?"

"Tutto bene, grazie."

Era convinto che dalla scollatura dell'accappatoio s'erano viste benissimo le splendide tette materne, quelle con la ciliegina.

Era all'affannosa ricerca di come rendersi conto dell'eventuale esistenza di quello che ormai aveva definito il 'blocco' della madre, e di accertare se la madre fosse la causa del suo.

Arzigogolava espedienti più o meno fantasiosi.

Finì che doveva provarne uno, anche se non era certo dell'esito.

Poteva benissimo lamentare un certo disturbo, interamente inventato, ma non era detto che la madre avrebbe reagito nel senso da lui ipotizzato.

Non perse tempo.

Andò dalla mamma.

Era seduta alla toilette, ancora in accappatoio, e spazzolava i capelli.

Lo vide dallo specchio.

"Cosa c'è?"

"Mamma, lamento un piccolo disturbo, ma mi trovo a disagio, con te. Non so se a causa delle visite mediche e degli accertamenti."

"Di cosa si tratta?"

Sabrina s'era voltata, e questa volta l'accappatoio era veramente semiaperto, con tette in vista.

"Beh... veramente... non so come dirtelo."

"Ma se non lo dici alla tua mamma..."

"Ecco, vedi, alla base del glande provo un forte bruciore, nel solco balanico, e mi dà fastidio anche se lo tocca il prepuzio."

Sabrina non si meravigliò della proprietà del linguaggio di Cesare, perché con tutte quelle frequentazioni mediche erano più che edotti nella nomenclatura dei genitali maschili.

"Vieni qui, fammi vedere."

"Ma..."

"Dai, sciocchino."

Si avvicinò. Sabrina abbassò pantaloncini e boxer.

Il pene del suo figliolo era di rispettabili dimensioni, anche se in stato di perfetta quiete.

Lo prese, delicatamente abbassò il prepuzio, e si chinò ad esaminare la parte che Cesare aveva detta dolente.

Le sembrava del tutto regolare, nessun segno di arrossamento.

Passò delicatamente il dito intorno al solco, alzò e riabbassò il prepuzio, forse più del necessario, ma stava inavvertitamente uscendo dal ruolo di madre per entrare in quello di femmina, giovane e sana, con troppo lunga astinenza sessuale.

Cesare seguiva attentamente quella manovra, e non gli dispiaceva.

Il glande s'era impercettibilmente inturgidito, ed era divenuto più violaceo del solito.

"Aspetta, che ti metto una pomatina disinfettante."

Era un modo per seguitare a carezzare quel coso, attraente anche nella non rigidità. Avvertiva, sopiti ma non spenti, naturali desideri. Qualcosa si stava agitando in lei, inaspettatamente e, per di più, col sesso di suo figlio.

Il suo volto era serio, teso.

Prese da un cassettino laterale un tubetto, ne svitò il tappo, fece uscire un po' della pomata che mise sull'indice destro.

Con due dita della sinistra abbassò il prepuzio, e cominciò a spalmare con quella crema il solco, che era in più che perfette condizioni.

Avvolse il fallo con tutta la mano.

Sentiva il pulsare delle vene. Anche se parzialmente, molto limitatamente, il sangue affluiva. Il blocco non aveva ceduto, ma certo c'era qualche infiltrazione. Si notava una parvenza di parziale tumescenza.

Non sapeva se seguitare o smettere.

L'espressione di Cesare era di piacere, la guardava fisso, senza parlare.

Decise di smettere.

"Per ora credo possa bastare, Cesarino, rivestiti."

Quel 'per ora' rimbombava nelle orecchie del ragazzo.

'Per ora', e poi?

Lui rimase di fronte alla madre, frugandola cogli occhi nella scollatura dell'accappatoio.

Sabrina se ne era accorta. Non si mosse.

Dunque, Cesare, la guardava, e in un certo modo.

Inoltre, non era rimasto inerte ai suoi toccamenti.

Che c'entrasse lei con quel famoso 'blocco' che li stava facendo impazzire?

Anche lei non era stata indifferente a quel contatto.

Cosa stava capitando loro?

"Grazie, ma'. Spero che quel fastidio mi passi presto. Che dici, ci vorrà dell'altra pomata?"

"Vedremo. Adesso mi vesto, preparo un po' di cena. Che dici, dopo, di andare al cine?"

"A vedere cosa?"

"Non so, scegli tu."

^^^

Al Cine Club si proiettava il remake d'una vecchia pellicola, interpretata da Lea Massari, Le souffle au coeur, il soffio al cuore, Cesare l'inserì in una terna che propose alla madre.

Sabrina gli chiese se sapesse più o meno la trama del film, e lui asserì che ne aveva sentito parlare, in occasione di un dibattito sul cinema del passato, senza ricordare, però, né contenuti né giudizi. Allora non era interessato al cinema serio, doveva essere stato quando era ancora alle elementari e aveva una maestra che tutti ritenevano alquanto strana. Del resto, coinvolgere ragazzini di quell'età in un cine-forum era per lo meno fuori del comune.

La sala di proiezione non era molto lontana, potevano andarci a piedi.

La serata calda consigliò vestiti leggeri, ma Cesare suggerì alla madre di portare qualcosa da indossare qualora, nel cine, l'aria condizionata mantenesse una temperatura troppo bassa.

Era una vecchia sala, già dopolavoristica, in un certo senso ammodernata, e intorno alla platea avevano ricavato una specie di palchi, con le pareti separatrici alte meno di due metri, dove si poteva mettere la poltroncina come si voleva, sempre che l'affollamento lo avesse permesso.

Per non stare a stretto contatto di gomiti con qualche vicino dal... profumo troppo evidente, scelsero uno di quei palchetti, quasi di fronte allo schermo.

Ci sarebbe da domandarsi se la proposta di Cesare e la scelta di Sabrina fossero proprio fortuite, perché, guarda caso, si trattava del rapporto tra madre sola e il figlio adolescente, affetto, appunto, da quella particolare cardiopatia. Avvenimenti e circostanze trascinavano i due ad un amplesso, che era anche il primo del ragazzo.

Cesare avvicinò la sua poltroncina a quella della madre e poggiò il braccio sulla spalliera di lei. Aprì la mano e gliela mise sulla spalla, sentendo il vellutato e il calore della pelle.

Si spense la luce, le solite presentazioni e poi, preceduto da ringraziamenti ai realizzatori del re-make, iniziò il film.

La mano scese all'ascella, le dita cercarono timidamente l'attaccatura del seno, la carezzarono, si spinsero oltre, le dita palpeggiavano timorosamente, sempre pronte a ritirarsi precipitosamente.

Sabrina guardava fissamente lo schermo, non sapeva se e come reagire. Del resto quella mano non la infastidiva, tutt'altro. Forse solo come risposta naturale a un qualunque contatto esterno, sentì i capezzoli ingrossarsi e sporgere, strofinare la stoffa della blusa. Uno struscio piacevole con non sgradevoli riflessi sulla muscolatura del grembo interno. Sensazione quasi dimenticata.

Il desiderio di sentire delle dita che le titillassero i capezzoli, la portò ad avvicinarsi a Cesare, per consentirgli di allungare ancor più la mano.

Movimento spontaneo, non deliberato, ma ebbe l'effetto auspicato.

Ora il capezzolo era stretto e lasciato, ritmicamente, in una successione ininterrotta di piccoli pizzichi. E anche le sue gambe cominciarono a dischiudersi e serrarsi, nervosamente.

Fu spontaneo appoggiargli la mano sulla gamba, molto in alto.

Sullo schermo si susseguivano le inquadrature, per lei senza senso.

Cesare si sentiva invaso da sconosciuti ed incalzanti impulsi.

Una strana imprudenza stava subentrando alla sua consueta cautela.

Quando si accese la luce, Sabrina pose sulle gambe la leggera giacchetta che aveva portato, lui si scostò alquanto, ma non lasciò del tutto la presa.

Tornò il buio.

Commendatrix obscuritas, oscurità protettrice.

L'altra mano di Cesare azzardò ad adagiarsi sulla coscia della donna, che fu pronta a ricoprirla con la giacchetta, e si spostò leggermente, per accoglierla meglio laddove le gambe si congiungevano.

Vestito leggero, perizoma inconsistente, morbidi riccioli del tutto riconoscibili al tatto.

Le dita di Sabrina sfiorarono la patta di Cesare, ebbero la sensazione di un leggero movimento. Insistettero, delicatamente. Si, non si sbagliava.

Quando, sia pure con molte evanescenze e controluce, si comprese bene cosa facessero, nel film, madre e figlio, la mano della donna afferrò i fallo semiflaccido di Cesare e quella di lui artigliò le grandi labbra, con prepotenza.

Alla parola 'fine' si rialzarono, insieme, e senza guardarsi in faccia, in silenzio, s'avviarono all'uscita.

Lui la prese sotto braccio, lei posò la sua mano su quella di lui, rientrarono a casa.

Nel tinello.

"Ho sete, Cesare, prenderesti dell'aranciata, nel frigo?"

Sedette sul divano.

Dopo poco lui rientrò con due bicchieri pieni del liquido arancione. Ne porse uno alla madre.

Le fu accanto.

Con aria molto seria, e senza guardarlo, lei gli disse che aveva la sensazione che il fastidio da lui lamentato fosse attenuato.

Cesare assentì.

"Forse, Cesare, è bene mettere un altro po' di pomata. Stenditi sul letto, indossa i pantaloncini del pigiama, la vado a prendere, ti raggiungo subito."

Cesare andò nella sua camera, si svestì, infilò i pantaloncini, si mise sul letto.

Sabrina non si vedeva. Non ne comprendeva il motivo, era così semplice prendere il tubetto e tornare. Era ansioso di risentire quelle deliziose dita sul suo sesso.

Aveva tardato perché anche lei s'era preparata per la notte. Era in vestaglia e pantofole.

Sedette sulla sponda del letto.

Tirò giù le mutandine.

Il fallo di Cesare non era del tutto... abbattuto.

Lo guardò, senza poter nascondere del tutto il compiacimento che le provocava quella constatazione.

Un flash goliardico e ironico le attraversò la mente: eppur si muove!

Stessa operazione iniziale della volta precedente, ma con la variante che lo impugnò subito nel centro, non con due timide dita, ed anche l'abbassamento del prepuzio fu abbastanza deciso. Non aprì neppure il tubetto della famosa pomatina, ma si abbassò ad osservarlo, vicinissima con gli occhi, ed anche con le labbra, fino a sfiorarlo, casualmente, come se fosse un accostamento involontario e fortuito. Un breve contatto, ma sufficiente per sentire che quel coso le andava crescendo in mano, rapidamente, fino a raggiungere ragguardevoli proporzioni.

Cesare guardava sbigottito, anche dalla sua selva nera, ora, s'ergeva un poderoso albero, e svettava prepotente.

Il prodigio era accaduto.

Era guarito!

Quasi.

C'era ancora quella seconda parte che lo tormentava.

La deliziosa Sabrina lo aveva guarito, ma lui sentiva che non era completamente al di fuori di quel blocco che lo aveva tormentato per anni.

E certo lo sapeva anche la donna, perché si liberò lentamente della vestaglia, così come tanti anni prima aveva fatto della camicia, si pose a cavallo di lui, come quella notte con l'altro, e lo accolse in sé, lentamente, ma completamente, fin dove la pur cedevole vagina poté contenerlo.

E, con lui che non sapeva cosa fare, cominciò una incredibile voluttuosa cavalcata, mentre gli prendeva le mani e le portava sui suoi fianchi sul suo seno.

Aveva gli occhi sbarrati, Cesare, le nari frementi, e l'accompagnava col lieve ondeggiare che la natura gli dettava.

Non avrebbe mai immaginato sensazioni simili, né che una donna sapesse così mostrare il suo piacere, darlo e riceverlo, con lunghi incalzanti gemiti, che terminarono in un grido di vittoria, mentre si gettava, affranta e voluttuosamente felice sul petto di lui.

Lo sentiva ancora duro e possente in sé, anche dopo il dirompente getto che l'aveva deliziosamente invasa.

Lo avvinghiò con le gambe, si voltò su di un fianco, sempre stringendolo bene in lei, e si voltò ancora, tirandolo su di sé.

Intrecciò le gambe sul dorso, inarcò il bacino.

Non ebbe bisogno di dirgli nulla.

Quel vigoroso inesauribile maschio era 'nato imparato' iniziò a stantuffarla con passione, con controllato impeto, ma lei sentiva che il glande andava sempre a bussare sul portio, come a volerlo dischiudere e penetrare anche l'utero. I muscoli della vagina erano impazziti. Si contraevano e rilassavano, mentre il ventre era travolto dai palpiti, e lei muoveva la testa qua e là, ebbra di piacere.

Un incontro straordinario, tra un essere giovane e vigoroso che aveva finalmente 'sbloccato' l'impedimento che fino ad allora gli aveva impedito di dimostrare la sua virilità, e una femmina, nel pieno della sua maturità, che aveva soffocato i suoi sani e fisiologici appetiti sessuali per lunghi, interminabili, tormentosi anni.

Incontro di due energie troppo a lungo represse.

L'appagamento di Sabrina, completo e totale, aveva superato ogni precedente esperienza, facendola impallidire al confronto.

Cesare era deliziosamente inesauribile, la colmava e dissetava come mai avrebbe potuto sperare.

I suoi orgasmi si susseguivano incredibilmente, non sapeva che ciò le sarebbe potuto accadere, si sentiva sprofondare sempre più nel piacere, quasi in deliquio, di naufragare meravigliosamente nel mare della voluttà.

"Cesare... Cesarino... mi fai morire... precipito nel nulla... nel vuoto... oddio... oddio..."

Aveva gli occhi chiusi e ansimava.

Cesare moderò l'andatura, si fermò, sempre occupandola col suo grosso, rigido e infaticabile fallo, inondandola del suo inesauribile seme.

Forse pesava, così, su lei.

Si mise di fianco, poi supino.

Quasi in preda ad una sorta di ipnosi, fu Sabrina a mettersi nuovamente su lui, ingurgitando di nuovo in sé quel gonfio irriducibile arnese. Gli giacque sul petto e si assopì, o forse seguitò a vivere quel trance meraviglioso, quel rapimento, quell'estasi.

S'addormentò decisamente, sfinita, voluttuosamente affranta.

Era la prima volta che riposava in quel modo, col ventre ancora invaso da ciò che l'aveva saziata.

Meravigliosa coltre di carne, col seno che gli premeva il petto, il pube che avvertiva l'altro pube, il fallo avvolto in una tunica vibrante che lo carezzava incessantemente.

S'addormentò anche lui, anche se non pago del tutto.

^^^

A Sabrina sembrò di stare lentamente uscendo da una nube confusa e meravigliosa. Come un aereo esce da una fitta, impenetrabile nebbia.

Era certa di aver sognato.

Cosa?

Pian piano tornava alla realtà.

Era ancora notte fonda, la camera era rischiarata dalla luce del comodino, che avevano lasciata accesa.

Dov'era?

Bocconi su qualcosa di piacevole, e con una incantevole sensazione tra le gambe.

Tra le gambe!

Si riscosse, si alzò sui gomiti.

Giaceva su Cesare!

E lui dormiva, beato, supino, con un'espressione paradisiaca sul volto.

Andava ricordando tutto.

Riemergeva dal delirio dei sensi.

Si, risentiva nelle orecchie la sua voce rocca e affannata che, mentre precipitava nel vortice della voluttà, sussurrava Cesare... Cesarino...

Si, lei, godendo languidamente, invocava il figlio che le aveva riempito il sesso. Meravigliosa invasione!

Oddio, s'era accoppiata con suo figlio.

Ora la mente andava schiarendosi.

Era stata lei a provocarlo.

Ma come le era potuto balenare in mente di 'ispezionare' il pene del figlio!

Cercò, ipocritamente, una giustificazione: era malato, Cesare, aveva una disfunzione erettile che da criptogenetica era divenuta psicogena.

Lei, però, aveva percepito che qualcosa accadeva sotto le sue dita.

E accadeva anche a lei: il suo grembo palpitava, la sua vagina, dopo tempo immemorabile, stillava i suoi umori, si contraeva.

Benedetta inventata balanite!

Aveva capito che la rimozione del 'blocco' era lei.

Non sapeva, però, come lei avesse potuto causarlo.

Nello stesso tempo, dopo essere rimasta quasi del tutto insensibile alle attenzioni di infiniti uomini, aveva compreso che era scritto nelle stelle che solo il frutto di sé stessa l'avrebbe potuta saziare. Una specie di cannibalismo traslato: cibarsi, sfamarsi, della propria carne.

Più tornava con la mente all'accaduto, più era dibattuta tra la meravigliosa voluttà vissuta e lo sgomento per quanto era successo.

Si abbarbicava sempre più all'ottenuto 'sblocco'.

Voleva perfino convincersi che, in un certo senso, s'era sacrificata a tale scopo, superando tabù, veti, proibizioni, sfidando condanne morali, religiose...

Però, finiva col concludere, com'è stato bello! Non ne poteva più di quella interminabile castità!

Un'altra angoscia andava invadendola: non avrebbe più provato quelle emozioni, non avrebbe più rinnovato quegli orgasmi, sarebbe precipitata nuovamente in una ancor più crudele e tormentosa vedovanza.

Il suo vedovo sesso (vedovo sito, avrebbe detto Dante) sarebbe rimasto tale, per sempre.

Intanto, non lo era adesso, perché anche nel sonno Cesare tornava ad ostentare la dimostrazione della sua poderosa virilità.

Lei lo sentiva, e come!

E, pur beandosene, si doleva per la prevedibile imminente perdita.

Cesare dormiva.

Movendosi con felina cautela, impercettibilmente, s'acconciò in modo di sentirlo ancora in lei. Rimase quasi ferma. Il suo ventre sembrava immobile, ma la vagina andava contraendosi, sommando alle pulsioni della natura, la sapienza della femmina passionale. Era come un lungo e lento mungere, che raggiunse preso il suo orgasmo e il naturale epilogo mascolino.

Ad un certo momento lui le afferrò le natiche, e lei s'abbandonò a quella che, era certa, sarebbe stata la sua ultima galoppata erotica.

Quando s'acquietò, e cercò ancora una discolpa, finì col pensare, cinicamente, che tanto il tabù era stato violato, e qualora ci fosse stato peccato non era il numero a influire sull'importanza.

Cominciava a filtrare la luce dalle persiane.

Sabrina smontò da cavallo, restò col capo sulla spalla di Cesare, la gamba sul sesso di lui.

Doveva fargli un certo discorsetto.

Cercava come cominciare.

Lui era in silenzio, anche perché sentiva un certo disagio a chiamarla mamma.

Gli carezzò il volto.

"Visto, Cesarino, che sei guarito? Perfettamente?

Ricordi quando venivi dalla mamma a mostrarle il ditino con la 'bua'? E mamma lo baciava, e prendeva in braccio il suo bambino, lo cullava, lo consolava, e lui, d'improvviso, guariva?

Anche adesso la tua mamma ti ha guarito.

Vedrai, quando andrai con la tua ragazza, con le altre donne, del tuo passato disturbo non ti rimarrà neppure il ricordo..."

Cesare alzò la testa, la guardò allarmato.

"Ma io non voglio andare con nessun'altra donna, voglio te. E' da sempre che ti voglio."

"Come, 'da sempre'!"

"Si, da quando ho visto te che ti toglievi la camicia, montavi su tuo marito e ricevevi il suo grosso coso tra le tue gambe, e ti dimenavi... ti dimenavi.. ed io da allora ho capito che non desideravo nessuna femmina che non fossi tu."