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Troppo spesso non affrontiamo serenamente un problema.

Dipende dal problema, dalle preoccupazioni, dai timori.

Il problema si può trasformare in dramma, e allora c'è poco da sperare nella calma che, invece, sarebbe necessaria, indispensabile. L'ansia s'impadronisce di noi, cadiamo preda della sfiducia, ci sentiamo perduti.

Nulla e nessuno potrà salvarci.

I progressi della tecnica e della scienza non saranno in grado di farci uscire dal nostro labirinto, dalla spirale che ci attanaglia sempre più.

Si pensa a tutto, meno a quello che è ragionevole e giusto.

Isolarci.

Oppure, farla finita. Tanto 'finiti' lo siamo.

O meglio, non siamo mai incominciati.

Il sipario è calato definitivamente.

Più esattamente: non si è mai alzato.

^^^

Ecco, il dramma di Cesare era proprio questo: non si è mai alzato!

I racconti degli amici, dei compagni, le letture, lo stesso studio delle scienze, l'anatomia, i piccoli principi della fisiologia umana studiati in classe, dicevano degli impulsi sessuali, dei desideri, delle attese, degli appagamenti.

Lui s'era sempre appartato.

All'epoca del 'chi ce l'ha più grosso' aveva ascoltato le varie misure, più immaginarie e sperate che reali, sia di quando era floscio che quando era eretto.

Erezione, orgoglio del maschio, vanto degli adolescenti.

Ognuno aumentava sempre più il numero di 'quante se ne doveva fare', prima metterlo a tacere.

E, pur non ammettendolo, erano per lo più interventi 'in solitaria' che non veri e propri rapporti con l'altro sesso.

Poi c'erano le costruzioni fantasiose, di Tizia –ma non vi dico il nome perché sono un gentiluomo- che lavorava di bocca come una dea (ma chi glielo aveva detto che le dee erano dedite alla fellatio?), o di Caia -anch'essa innominata- che aveva certe manine....

Senza parlare delle fantasie più sbrigliate che inventavano amplessi sognati, con giovani o mature compiacenti. Mai che fossero andati con una professionista del sesso!

Ormai erano anni che Cesare si tormentava. Lui sentiva l'attrazione per l'altro sesso, e percepiva le sane pulsioni della sua età, ormai matura per incontrare la femmina, ma... niente, il suo era sempre irrimediabilmente inerte.

Lo aveva misurato e rimisurato, ovviamente in stato di riposo, e aveva constatato che non era più corto di quanto millantavano gli altri. Si, ma perché non si ergeva?

Monica, la bella bionda del secondo banco, che stava preparandosi, spesso con lui, alla maturità, gli aveva dimostrato una particolare simpatia. Era bello baciarsi, era anche delizioso carezzarsi. Lui rabbrividiva quando sentiva il vellutato dei piccoli seni, l'incresparsi dei riccioli del pube, quando la frugava curioso e interessato, e si beava al respirare affannoso della ragazza, al mugolare dolce, ai palpiti del piacere.

Monica gli aveva messo le sue manine delicate sulla patta; abbassata la zip, s'era intrufolata nel boxer, ed aveva avvolto il fallo inerte, stringendolo infruttuosamente.

Un breve incontro, soppiantato da più consistenti prospettive.

Decise di provare con una professionista.

Fu impacciato, indeciso, reticente.

La procace competente s'appellò alla sua esperienza, alla sua ars erotica, ma non ottenne alcun risultato. Cesare eiaculò senza raggiungere l'erezione.

La ragazza fu comprensiva, tenera, e gentile. Gli consigliò di parlarne a casa e di esaminare l'opportunità di consultare un medico.

Parlarne a casa! Con chi?

Col padre che era morto da sei anni?

Con la madre?

Come avrebbe potuto trattare tale argomento con la mamma? Con l'ancor giovane Sabrina, che aveva certamente i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, e che, a quanto gli risultava, non era stata con nessun altro uomo dopo la scomparsa del marito?

Si, ma che c'entrava l'età e la vedovanza?

Quale importanza aveva l'essere Sabrina uno schianto di donna con certe tette e certe gambe che quelle di Monica, pur seducenti, erano solo la brutta copia?

Ma, perché non confidarsi con la mamma, la bellissima mamma, che quando moveva le natiche faceva ribollire il sangue degli astanti maschi ed amareggiare donne?

Ecco, ad essere sinceri, la femmina che più lo conturbava, lo eccitava mentalmente, pur sempre senza riflessi concreti, era proprio Sabrina. Ma quella era la mamma, e lui, certo non l'avrebbe avuta mai come femmina!

Comunque, prese il coraggio a due mani, e decise che quella sera le avrebbe parlato. Ancora non sapeva come avrebbe cominciato!

^^^

A cena le disse che 'dopo' aveva qualcosa da dirle, o meglio da chiederle.

'Dopo', andarono a sedere sul morbido divano dinanzi alla televisione.

Diversamente dalle altre volte, Sabrina non l'accese.

"Allora, Cesare?"

"Sono a disagio, mamma, è un argomento delicato. Un problema che mi tormenta da tempo infinito."

"Ti tormenta?"

Lui annuì. E il suo volto passava dal pallore all'acceso.

"Si, mamma."

"E perché non me ne hai mai parlato?"

"Lo capirai."

"Ti prego, non farmi stare sulle spine."

"Mamma... non riesco... a... ad andare con una donna!"

Lo disse tutto d'un fiato.

"Come?"

"Non mi riesce."

"Non ti piacciono le donne?"

Sabrina era sgomenta. Suo figlio, forse, le stava confessando d'essere gay!

"No, mamma, mi piacciono, e molto."

La donna tirò un sospiro di sollievo.

"Ti prego, tesoro, spiegati meglio."

"E' facile, mamma. Il mio è un problema meccanico. Io mi eccito solo con la mente, non c'é corrispondenza col resto."

"Ma ci hai provato?"

"Si."

"Per favore, spiegati meglio."

"Mamma è difficile dirlo a te, sei una donna."

"Per te, Cesarino, sono la mamma."

"Si, ma..."

"Niente ma. Vuoi che ti aiuti?"

"Si, per favore."

"Hai paura?"

"No."

"Ti vergogni?"

"No."

Sabrina credette di capire.

"Ma, il tuo sesso raggiunge la possibilità di, come dire, fare l'amore?"

Lui avvampò.

"E' questo, mamma, resta inerte."

La donna rimase pensosa per qualche secondo.

"Nessuna preoccupazione, tesoro, domani andiamo dal medico."

^^^

Anamnesi familiare e personale, visita obiettiva e accertamenti vari, esclusero anomalie anatomiche o funzionali. L'irrorazione dei corpi cavernosi, accertata con l'apposito mezzo di contrasto, assicurò la pervietà dei vasi. I riflessi erano ottimi.

Il medico, andrologo e neurologo, esaminati i referti, ebbe una lunga conversazione a quattr'occhi con Cesare, e a conclusione di tutto, gli disse che non c'era nulla di organico.

Volle, però, incontrare Sabrina.

Cominciò con lo spiegare il meccanismo dell'erettibilità, ma era solo un mezzo per affrontare l'argomento.

"Vede, signora, suo figlio sta bene, salvo l'inconveniente per cui siete da me. Cominciamo ad esaminare il meccanismo che in Cesare s'inceppa.

L'erezione si ha per la vasodilatazione provocata dal rilassamento dei vasi arteriosi e dei muscoli lisci dei corpi cavernosi del pene, che si inturgidiscono di sangue, e viene mantenuta dalla contrazione delle vene drenanti che impediscono il deflusso del sangue stesso.

Il 'comando' che la regola parte dal sistema limbico, nel cervello, attraversa le vie nervose del midollo spinale e giunge all'area dei genitali. Questo sistema è un insieme funzionale di zone del cervello che regola anche gli impulsi e i comportamenti emotivi.

E' stato accertato, come le dicevo, che anatomicamente tutto e in regola. Solo che quel tale 'comando', anche se parte, non viene eseguito, e non certo per questioni organiche.

Quindi si tratta di una disfunzione meramente psicogena.

Potrei anche prescrivere qualche farmaco a base di apomorfina o sildenafil, ma preferisco aspettare.

Qualche collega potrebbe suggerire delle sedute di analisi per identificare il 'blocco' che impedisce a Cesare l'erezione del pene, ma la ritengo una cosa lunga, dispendiosa, e non indispensabile."

Sabrina lo seguiva attentamente, con ansia.

"Allora, professore?"

"E' possibile identificare questo benedetto 'blocco' osservandolo bene, continuamente, e nessuno meglio di lei può farlo.

Vede, 'blocco emozionale' è anche quello che determina la paura degli esami. Le cause che provocano tali blocchi possono essere moltissime, le più frequenti sono 'infelici esperienze', 'complessi di inferiorità' e in campo sessuale i 'sentimenti di colpa'.

Quello che le chiedo è di stargli molto vicino, affettuosamente, e se nota qualcosa di interessante di riferirmelo.

Sono certo che Cesare uscirà, uscirete tutti, da questo non piacevole tunnel."

Sabrina annuì, assicurò la sua massima cura. Ringraziò, raggiunse Cesare in anticamera e uscirono dallo studio del medico.

Quando furono in auto, Cesare chiese alla madre ciò che il medico le avesse detto.

Lei assunse un atteggiamento quasi allegro.

"Che per fortuna sei sano come un pesce, e che si tratta di cosa abbastanza comune (mentì pietosamente) e certamente passeggera. Ci vuole buona volontà da parte di tutti."

"Di tutti?"

"Certo, tutti devono concorrere a favorire quella che, anche se impropriamente, possiamo dire la guarigione."

Cesare alzò le spalle.

"Dove andiamo, ma'?"

"A che punto sei con la preparazione per la maturità?"

"Molto bene... ma adesso non me la sento proprio di mettermi subito a studiare."

"E' quello che penso anche io. Visto che il tempo è bello, che ne diresti di andare a mangiare pesce fresco al mare?"

"Per me va benissimo."

Sabrina s'avviò all'autostrada per l'aeroporto, poi avrebbe imboccata quella per Civitavecchia e sarebbe uscita al casello per Fregene. C'era un grazioso ristorante, rinomato, appunto, per la genuinità e la freschezza dei prodotti ittici.

Cesare sembrava assorto nei suoi pensieri, ogni tanto guardava la madre, e cercava di trarre rassicurazione dall'espressione del volto di lei.

Sabrina aveva deciso di apparire sempre serena e fiduciosa.

Il suo viso perfetto sembrava quasi allegro.

Il figlio ne stava apprezzando i lineamenti delicati, il taglio degli occhi, le labbra perfette, la gola liscia e alabastrina. In effetti era bella la mamma. Bellissima. Sembrava una giovinetta. Guidava con calma, eretta sul busto, col seno ben evidente, e poi il ventre piatto e le cosce che s'intravedevano ben tornite, nella gonna, come le snelle gambe che si muovevano, alla bisogna, per comandare i pedali.

Una gran bella donna.

Lui ne ricordava vagamente le fattezze quando, piccolissimo, andava nel suo letto, al mattino, stava un po' tra i genitori e poi lei si alzava, toglieva la camicia da notte e s'avviava al bagno. Quelle splendide tette con la rossa ciliegina, e tutti quei capelli in mezzo alle gambe erano confusi, nella sua mente, nebulosi.

Ci fu, poi, quella volta che dormì proprio con loro, fin dalla sera, perché era terrorizzato dai tuoni, e dal bagliore dei lampi che filtrava attraverso le persiane.

Sentì la voce del papà.

"Che fa, dorme Cesarino?"

"Si, dorme."

"Vieni."

La mamma scoprì il marito.

Lui era già nudo, e il 'pipì' s'ergeva dalla foresta del suo pube come il più grosso albero del bosco. Sabrina tolse la camicia, gli si mise a cavallo, e fece entrare nella sua pancia quel voluminoso palo, dimenandosi poi, e mugolando, fino a buttarsi su di lui palpitante e sudata.

Cesarino seguì tutto, con gli occhi socchiusi.

Anche lui aveva, tra le gambe implumi, un arboscello che svettava prepotente. Poi s'afflosciò. E da allora non tornò mai più a innalzarsi.

Quando mamma Sabrina s'addormentò, si abbracciò a lei e con le labbra cercò la dolce ciliegina della tetta.

Ecco, avrebbe voluto vedere se quella ciliegia era come allora.

Forse si, perché né il reggiseno né il vestito, la facevano scomparire del tutto.

Fregene.

Mare calmo, acqua abbastanza limpida, invitante.

Spiaggia deserta, solo un ombrellone.

Clima verso il caldo.

Mancava poco a mezzogiorno.

Lasciarono l'auto dinanzi al ristorante, entrarono.

Il proprietario conosceva Sabrina da quando, bambina, vi andava coi genitori. Poi l'aveva accolta col marito, ora lei era sempre e solamente in compagnia del figlio.

S'era fatto grande, Cesare, un bel giovanotto, dall'aria un po' triste.

Premurosissimo verso la madre, si preoccupava di tutto.

Se non l'avesse saputo, Romolo, il padrone, non avrebbe mai detto che quello schianto di pupa era la madre di quel ragazzone, l'avrebbe ritenuta una 'buongustaia' che si faceva golosamente un uomo di dieci anni più giovane di lei.

Andò loro incontro.

"Buon giorno dottoressa, come mai da queste parti, in un giorno feriale?"

"Buon giorno, Romolo. Una breve fuga dal caos della capitale. E, se possibile, anche un pranzetto di quelli che sa preparare sua moglie.

Infatti era la 'sora Ersilia' a presiedere la cucina e, quando non c'era molta gente, come quel giorno, era lei a preparare piatti caserecci, senza menù.

"Che fate, in attesa dell'ora giusta, prendete un po' di sole? Non c'è quasi nessuno, sulla spiaggia, e quell'unico ombrellone è il mio. Andate a godervi sole e mare, vi porto un aperitivo."

Sabrina guardò Cesare che, con l'espressione del volto, le disse di essere indifferente.

"Cesare, per favore, va a prendere la sacca che è nel portabagagli. C'è un mio costume e un telo."

Il ragazzo prese le chiavi che la mamma gli porgeva e s'avviò verso l'auto.

Sabrina si rivolse a Romolo.

"Dove posso cambiarmi?"

"La numero uno è aperta e pulita, e la chiave è nella toppa."

"Grazie."

Cesare era tornato con la sacca.

"Perché non chiedi a Romolo se ha un costume per te?"

"No, grazie, preferisco rimanere così, all'ombra dell'ombrellone. Toglierò solo le scarpe per evitare che si riempiano di sabbia."

Andò a sedere sulla sedia con fondo e spalliera di tela, di quelle che chiamano 'regista', e guardava intorno, la sabbia, il mare, le cabine, l'edificio del ristorante, senza veder nulla.

Tornava alle parole del medico, della madre: tutto in regola, dal punto di vista anatomico, e presto quel non indifferente 'inconveniente', come era stato definito il tormento che lo angosciava, sarebbe stato solo un ricordo. Gli avevano indicato un piccolo puntino luminoso nel futuro, mentre il presente era oscurità totale.

Era così intento a rimuginare, che notò Ornella solo quando gli fu vicina, in un due pezzi veramente mozzafiato.

Gli sorrise, andò a distendersi sulla sdraio che aveva coperta col telo portato da casa.

Cesare la carezzava cogli occhi, si soffermava a contemplarne i minimi particolari, a snebbiare il ricordo della mamma che si toglieva la camicia prima di impalarsi su quel maledetto 'coso' paterno.

Socchiudendo gli occhi, immaginava di vederla senza costume da bagno, come la Maya denuda.

No, molto più bella e coi capelli d'oro antico.

Anche il suo tosone doveva essere dello stesso colore.

No, certamente più scuro.

Chissà se era morbido come seta o deliziosamente crespo.

Sabrina, da sotto gli occhiali scuri, seguiva l'attento esame del figlio, e cercava d'interpretare i quasi impercettibili mutamenti di espressione che si alternavano sul suo volto, mentre con le mani carezzava i braccioli della sedia.

Chissà cosa pensava Cesarino, e perché la guardava così.

Cercò di rompere il silenzio, che faceva risaltare maggiormente il tenue rumore dell'onda che s'infrangeva a riva.

"Che dici, Cesare, posso ancora andare con questo costume o non è adatto alla mia età?"

Il ragazzo ebbe come un soprassalto.

"In che senso?"

"Voglio intendere che non so se sia conveniente per una mamma matusa."

"Non scherzare, stai benissimo. Ma che matusa se sembri una ragazza in cerca di..."

Stava per dire 'marito', ma si fermò in tempo. Non toccava mai quell'argomento, con la madre, non ricordava mai il padre, l'omone dal grosso palo sacrilego e profanatorio.

Ma perché sacrilegio, profanazione, non era quello che facevano un maschio e una femmina e quindi moglie e marito? Non era quello che lui avrebbe tanto voluto fare e che, maledetta sorte, non gli riusciva?

Ah! Avesse potuto farlo con la femmina che stava su quella sdraio!

Questo pensiero gli folgorò la mente, lo sconvolse.

Già, Sabrina lo metteva in subbuglio, gli confondeva le idee.

Doveva scacciare quel pensiero, che lo metteva in crisi!

E lo faceva da quella stramaledetta notte.

Lo bloccava.

Avrebbe voluto essere lui al posto del padre!

Ma non doveva nemmeno fantasticarlo!

Doveva scacciare tale chimera, ucciderla!

Sembrava in preda a un incubo, il suo volto esprimeva spavento, terrore.

Sabrina si mise a sedere, si alzò, gli andò vicina.

"Cesare, che hai? Come ti senti?"

Gli carezzò il volto.

Il suo pube era all'altezza degli occhi del ragazzo.

Lui ne sentiva il profumo. Che fu come un balsamo che lo riportò alla realtà.

"Niente, mamma, niente, sto bene."

L'afferrò per i fianchi e nascose il volto rigato di lacrime nel grembo della madre.

"Cosa c'è, bambino mio. Cosa c'è?"

Deglutì, si schiarì la voce, asciugò gli occhi col dorso della mano.

"Sto bene, mamma, grazie."

Dalla porta del ristorante, Romolo disse che tra cinque minuti si sarebbe andati in tavola.

^^^

Quando si proietta un'immagine, a volte, essa appare inizialmente confusa, sfocata, poi, automaticamente o manualmente, si aggiusta in modo che risulti nitida, sempre più nitida, ma senza andare oltre, altrimenti ritorna la scarsa lucidità.

Cesare cercava di essere come sempre, anzi ancora più spontaneo, ma qualcosa gli turbinava nella mente.

Immagini sfocate, appunto, che improvvisamente divenivano nitide per ripiombare subito nell'evanescenza. Si dissolvevano, tornavano limpide, si sfuocavano nuovamente. Incessantemente.

Il contatto col grembo materno aveva fatto scattare qualcosa in lui.

Un contatto da sempre inconsciamente desiderato.

Avrebbe voluto essere cullato dalla sua mamma, poggiare la testa su quel seno sodo ed accogliente e...

Qui tornava la nebbia.

Sabrina guardava il figlio, cercava di leggere, attraverso gli occhi, cosa stesse pensando. Perché, malgrado ogni sforzo per apparire disinvolto, era evidente che Cesare era tormentato da qualche intimo pensiero.

Forse era sempre lo stesso.

Ma l'aveva commossa quel sentire il volto del suo bambino, rigato dal pianto, rifugiarsi nel suo grembo, quello che lo aveva concepito, fatto sbocciare, dato alla luce.

Gli argomenti della loro conversazione apparentemente naturale, erano i più fatui, non si accennò assolutamente alla visita medica, neppure quando erano sulla via del ritorno. Si parlò degli esami, della facoltà da scegliere, del fatto che Cesare era, ormai, un neo maggiorenne, ma che per la mamma restava sempre il suo bambino.

Gli carezzò teneramente il volto.

Lui le posò la mano sulla gamba, in alto, quasi all'inguine, e la tenne così, a lungo.

Erano di nuovo a casa.

Ognuno nella propria camera.

"Penso di fare una doccia, c'è sempre un po' di sabbia dopo essere stati al mare."

Cesare andò a rinfrescarsi superficialmente, indossò un paio di pantaloncini avana e una T-shirt bianca.

La mamma passò dinanzi alla sua porta, diretta al bagno.

Era in accappatoio.

Sotto, logicamente, era nuda –pensò Cesare- meno vestita di com'era sulla spiaggia. Il mio volto non poggerebbe sulla stoffa, ma direttamente sull'oro che impreziosisce il suo scrigno.

Il ragazzo seguì l'impulso di andare ad origliare dietro la porta del bagno, dov'era entrata Sabrina.

Non si sentiva nulla, nemmeno lo scroscio della doccia.

Si abbassò, spiò attraverso la serratura.

Sentì il cuore balzargli in gola.

La donna gli mostrava le spalle, ma anche tutto il resto, la meravigliosa curva delle natiche e il piccolo ciuffo che s'intravedeva tra le gambe. Per non cadere si sorresse alla maniglia, Sabrina si voltò, guardò, poi andò a mettersi sotto l'acqua che incominciò a carezzarla.

La mano del ragazzo scesa alla patta.

Sentiva delle pulsioni, degli stimoli, ma non gli sembrò che la situazione fosse dissimile da quella di sempre.

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