l’oasi di Elda

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La donna li salutò cordialmente. Disse che se volevano andare a Parenzo li avrebbe fatti traghettare sulla riva opposta del canale. Avrebbero potuto ammirare un campanile come quello di Venezia.

Gianni ringraziò. Sarebbe stato per un'altra volta, ora dovevano andare.

Uscirono, salirono di nuovo in auto. Si avviarono per tornare in paese ma, girato l'angolo, Gianni si fermò sotto un gigantesco albero frondoso. Attrasse a sé Elda, la baciò appassionatamente sulla bocca, sul collo, sulle braccia, dove la scollatura lasciava intravedere il solco del seno. La ragazza gli lisciava la nuca, lo stringeva a sé, si sentiva sempre più invasa da un turbamento sconosciuto, da una bramosia ignota, da un'estasi incantevole. Le sembrava precipitare in un vuoto delizioso e poi risalire verso vette d'intenso rapimento. Sentiva Gianni che continuava a baciarla, a carezzarla. Non riusciva a controllare i suoi sussulti, i fremiti, l'ardore del suo ventre, di tutto il suo essere che vibrava come l'arpa sotto il tocco di dita celestiali.

Poi giacque, sfinita, affranta.

Gianni la stringeva tra le braccia.

Lo guardò come uscisse da un sogno incantevole.

"Cos'è accaduto, Gianni?"

"Un bacio."

"Solo un bacio?"

"Solo un bacio, si."

"Ho vissuto sensazioni di paradiso, ne potrei morire di gioia. Forse ne morirò. Si, morirò tra le tue braccia, sul tuo cuore. Potrai vantarti raccontando che tua moglie è morta di te."

"Allora mi sposi?"

"Si."

"Quando?"

"Adesso..."

Elena li accolse con l'esuberanza che poneva in tutte le sue manifestazioni affettive. Chiamò Eufemia, la figlia, perché venisse a salutare la cugina.

Sembravano della stessa età. Eufemia aveva trent'anni, era medico. Bellissima, d'un biondo incantevole. La mamma non raggiungeva i cinquanta, ma ne dimostrava dieci di meno. Anche lei alta, di forme seducenti, ma il suo biondo tendeva al platino. Aveva dedicato la sua vita al marito, ora al Comando Supersloda come richiamato, alla figlia, ai fiori, al mare.

Fece entrare l'auto nel giardino, indicò a Gianni dove parcheggiarla.

"Venite, carissimi. Mi sorella mi ha telefonato, ha preannunciato la vostra visita, Mi ha parlato di Gianni. Sono certa di aver compreso che tra voi, ragazzi, c'è del tenero. Bravi, sono proprio contenta. Non perdete tempo, altrimenti finite come Eufemia che non sa decidersi."

La figlia l'interruppe.

"Mamma, sta mica a dire scemenze."

"Ma si, cara, non sai deciderti. Trovi difetti in tutti quelli che ti scodinzolano intorno. E dire che sei un tocco di figliola, con una professione lucrosa, e con qualcosa da parte..."

"Mamma... non parlare come se si trattasse di cani."

"D'accordo, d'accordo. Su entriamo in casa."

Si avviò verso la veranda della bella villa, non lontana dal mare.

"Ho fatto preparare per voi, amatissimi ospiti, le camere al primo piano. Sono comode, tranquille. Ognuna col proprio servizio. Noi siamo al secondo. Eufemia, però, sta quasi sempre nel suo studio, nel padiglione realizzato qualche anno fa."

Gianni cercò di schernirsi.

"Signora, la ringrazio, ma io posso andare nell'albergo che sta nella Piazza del Comune."

"Si fermi qui, ragazzo mio. L'albergo non può offrirle quello che potrà avere qui. E vedrà che al momento di partire mi ringrazierà per non esservi andato. Adesso, una rinfrescatina, nelle vostre camere, e a tavola tra un quarto d'ora."

Gianni fece un piccolo inchino.

"Le obbedisco, signora, convinto della preziosità del suo consiglio. Nel pomeriggio, però, vorrei fare un giro in paese, come fossi un turista. Per non destare più curiosità del necessario, la prego di consentire a Elda di accompagnarmi in questa passeggiata."

"Lei deve chiederlo a Elda, non a me."

"Lo farò se questa graziosa...minorenne otterrà il nulla osta della zia, non meno incantevole della nipote."

Elena fece un eloquente gesto con la mano.

"Va là, Gianni. Lei la sa lunga. Capisco come Elda la guardi con adorazione. Andate pure a spasso, avete la mia benedizione."

Elda s'avvicinò a Gianni, lo prese per la mano. S'avviarono verso la scala interna, per salire al primo piano.

Il pranzo era stato ottimo, la conversazione aveva toccato diversi temi, dalla situazione bellica, al panorama internazionale, alle particolari condizioni dei territori oggetto di varie e non chiare rivendicazioni.

Elena aveva abbandonato quella sua aria scanzonata, spensierata, allegra.

"E' il nostro problema di sempre. Prima del Patto di Londra, lo spirito irredentista della nostra gente. Eravamo guardati con sospetto, forse giustamente, perché eravamo estranei al potere dominante. Dopo la vittoria del 1918, a fianco di Francia e Inghilterra, la rivendicazione italiana di quel Patto., la mediazione del Presidente degli Stati Uniti, Wilson, la pace di Saint Germain, e siamo al settembre 1919. Divenuto territorio italiano, i fascisti ci hanno spesso trattati da cittadini di categoria inferiore, da tenere d'occhio. Adesso, Josip Broz, armato dalla Russia, con la connivenza dei suoi alleati, ha armato gruppi di fanatici che terrorizzano, con l'aiuto di pochi adepti che vivono tra noi, le popolazioni di queste terre.

Ma è meglio parlare d'altro."

Il discorso era scivolato su argomenti più piacevoli. Era sempre Elena ad animare i discorsi.

"Elda, la mamma mi ha detto che intendete affrettare i tempi, volete sposarvi al più presto. Avete già deciso dove? Dove risiedete? Forse, essendo Gianni un ufficiale non credo sia il caso. C'è sempre il pericolo di qualche malintenzionato che voglia manifestare la sua protesta."

"Non ancora s'è deciso niente, zia."

"Perché non scegliete un santuario? E' così bello. V'è qualcosa d'intensa spiritualità, in quei luoghi. Sembra d'essere ancor più vicini a Dio."

"Ci penseremo, zia."

Elena aveva trovato un argomento che l'appassionava.

"Del resto, Gianni è di Firenze, tuo padre fa, di solito, scalo e sosta a Livorno, avete il bel Santuario di Montenero. Senza parlare di Pisa, di Lucca... E' logico che io, Eufemia e lo zio verremo al tuo matrimonio. Sarebbe anche un'occasione per muoverci un po'. Ci facciamo portare a Trieste dal Parenzi, che è sempre tanto gentile, e di lì, in treno, una lunga gita: Venezia, Bologna, Firenze, Livorno. Può darsi che Eufemia incontri qualcuno che le vada a genio."

"Mamma, sei monotona, sembra proprio che ti voglia liberare di me."

"No, Perlina bella, è che desidero cullare i miei nipotini."

Gianni disse che era ora di andare nel centro del paese, e lungo il mare.

Elda si allontanò per pochi minuti, tornò più allegra e vivace che mai.

I due giovani salutarono, assicurando che sarebbero tornati, molto prima della cena. Uscirono dal cancello, si allontanarono, tenendosi per mano.

Elda e Gianni erano seduti sul dondolo, sotto la veranda. Eufemia, nello studio, visitava alcuni pazienti. Elena era in casa, forse in camera sua o in cucina ad aiutare Luisa, che preparava la cena.

Gianni stringeva a sé la ragazza, e le sussurrava qualcosa che lei ascoltava, assorta, lievemente accigliata, col volto leggermente infiammato e gli occhi sfavillanti. Gli carezzava, piano, la mano che le poggiava sul fianco.

Le mordicchiò leggermente l'orecchio. La sentì fremere.

Le chiese bisbigliando:

"Allora?"

Lei rimase pensosa, con un tumulto interiore che la turbava, indecisa, esitante. L'alito tiepido di Gianni le sfiorava il collo, le dita la carezzavano. Sentiva il cuore impazzito che sembrava scoppiarle. Provò di nuovo la sensazione percepita quando lui l'aveva baciata. Sprofondava in un mare di delizie, volava verso vette d'insormontabile beatitudine. E questo per il solo essergli vicina. Sospirò profondamente.

"No, Gianni, non lascerò la porta aperta.

Debbo essere io a volerlo, a decidere, a scegliere il momento. Devo essere sicura di quello che faccio. Devo riflettere, capire se mi lascio vincere dai sensi. Distinguere la passione dall'amore, quello vero, che solo riesce a mantenere uniti due esseri, per sempre.

Sii tu a non chiudere l'uscio della tua camera, perché un raggio di luce, splendente, mi indichi la via della felicità. Il mio cuore e la mia mente guideranno i miei passi."

Alzò il volto verso di lui e lo sfiorò con un bacio.

Tutt'intorno era silenzio profondo.

Dalle finestre filtrava il chiarore della luna, che pennellava di smeraldo l'erba delle aiole. All'orecchio giungeva il mormorio del mare, come il gemito della riva baciata dalle onde, che si ritiravano e tornavano a baciarla, senza mai fermarsi, dissetando la rena con mille rivoli di spuma biancheggiante.

Una porta s'aprì, cauta, guardinga. La snella figura, coi lunghi capelli sciolti, attraversò il corridoio, fu colpita dal lungo raggio luminoso che l'investì, s'introdusse furtivamente nella camera, lasciò cadere in terra vestaglia e la vaporosa camici da notte, entrò nel letto.

Eufemia s'alzava prestissimo, ogni mattina. Era sua abitudine girare per casa, come ad accertarsi che fosse tutto in regola.

La porta della camera di Gianni era socchiusa.

Guardò dallo spiraglio.

Lei, vestita solo dei suoi capelli biondi, era riversa su Gianni, che dormiva profondamente, supino, e con una mano le avvinghiava il fianco. Sul volto di Elda, poggiato sulla spalla di lui, aleggiava la beata espressione di un completo, meraviglioso, appagamento, di gioioso benessere, di felicità. Il viso dell'assetato che, dopo aver vagato nel deserto arido, ha, finalmente, placato la sua arsura alla fresca fonte dell'ombrosa oasi dei suoi sogni.

Sorrise, soffermandosi a lungo ad ammirare la coppia, chiuse la porta, senza fare il minimo rumore.

Andò nel suo studio.

Quella mattina Mussolini e Hitler s'incontrarono a Feltre.

Il suggerimento di zia Elena fu attentamente valutato.

Dati i tempi, bisognava tenere conto della difficoltà dei trasporti e della tranquillità dei luoghi, anche per tale motivo, gli inviti dovevano essere limitati ai soliti pochi intimi. V'era, poi, da pensare al dove brindare agli sposi.

Per Elda, sarebbero intervenuti solo i genitori e la zia Elena col marito e la figlia. Un po' più di gente era prevista da parte dei Sabatini.

Tenendo conto che il padre di Elda sarebbe stato a Livorno ai primi di settembre, che i Sabatini erano di Firenze, e i loro parenti vivevano tra Firenze e Livorno, la scelta del Santuario di Montenero sembrava la più razionale.

Furono tutti d'accordo. S'intesero benissimo, per lettera, per telefono, anche per radio. Flora Sabatini, madre di Gianni, pretese che Elda le desse subito il tu.

"Vuol dire, cara, che ti conoscerò la vigilia delle nozze. Ma so tutto di te. Gianni mi ha portato delle bellissime fotografie, sei splendida."

"Grazie infinite, spero di essere considerata una figlia. Mi auguro che presto le cose si aggiustino e che il prossimo anno sia possibile, per voi, venire qui, nella mia terra, a conoscere il nostro primo bambino. Lo vogliamo subito."

Sarebbe stato un matrimonio in divisa: Gianni, il suocero, lo zio di Elda, e forse anche qualche altro parente.

L'architetto Sabatini prese gli accordi col Santuario. Un delizioso pranzetto intimo li avrebbe visti tutti raccolti nel refettorio, per particolare concessione del Superiore. Il papà di Elda. Il Comandante Cheli, avrebbe inviato per tempo qualche riserva della sua cambusa. Le bomboniere, elegantissime, di alabastro, riuscirono ad essere colmate con deliziosi confetti d'un rinomato laboratorio dolciario artigiano, lo stesso che avrebbe preparato la torta nuziale. Era rimasto da stabilire il viaggio di nozze.

La sera della cerimonia, gli sposi sarebbero andati nel miglior Albergo della città. L'indomani sarebbero partiti per Venezia, dove avrebbero trascorso una settimana. Poi... Gianni era atteso al suo Comando e dalle confuse vicende del dopo 25 luglio.

I Cheli, e la famiglia di Elena, sarebbero stati ospiti, per qualche giorno, dei Sabatini, nella loro casa di campagna, nella parte alta di Fiesole.

Elda e Gianna, letteralmente presi dal loro amore, non trascuravano occasione per vivere nuovamente la travolgente notte di Rovigno. Mai domi, mai sazi. Sempre alla ricerca smaniosa l'uno dell'altro.

Principio di settembre, giornata luminosa.

Dal Santuario si spaziava lontano, sul mare.

Tutto si era svolto alla perfezione, in serena letizia.

Quando il sacerdote chiese: "Accoglierete con gioia i figli che il Signore vi manderà?"

Elda esclamò Oh, si!, con gioia, guardando Gianni. Gli astanti sorrisero.

Raffinato il pranzo, squisiti i vini.

Poi il gruppo si sciolse. Ognuno prese la propria strada: Livorno, Firenze, Fiesole...

La sera, mentre gli sposi erano nel loro delizioso nido d'amore, la radio trasmise un comunicato del Maresciallo Badoglio: l'Italia aveva chiesto l'armistizio agli Alleati.

Dopo poco, s'udirono carri armati tedeschi sferragliare per le strade.

La nave del Comandante Cheli fu occupata dai Tedeschi.

Supersloda si disgregò.

Dai boschi di Planik, di Vojak, balzarono fuori orde inferocite, piene dell'odio che era stato diabolicamente inculcato in loro, con armi russe, inglesi, francesi, di ogni nazionalità. La stella rosse sul berretto, bandiere rosse con le scritte smrt, mrznja. Dilagarono verso sud seminando distruzione, spargendo fiumi di sangue innocente. Rancori privati, odio personale, vendette, antiche faide, riempirono le foibe. Il mare restituì corpi orrendamente mutilati, la violenza non risparmiò nessuno. Molti di quelli che andavano a caccia di talijanski, non parlavano hrvatskosrpsko. Agli alberi erano appesi resti umani, irriconoscibili, di persone martoriate, seviziate, irriconoscibili, con al collo un cartello scritto col rosso del loro sangue: izdajica. Spesso erano solo rivali più fortunati in amore, donne dalle quali erano stati respinti.

Di coloro che quella mattina erano nel Santuario di Montenero, nessuno percorse più le strade di Pazin, Zmini, Kanfanar, Rovinj.

Le graziose e civettuole ville di Elda e di Elena, furono invase, e poi abitate da qualche zapovjednik, che per la prima volta aveva una casa con zahod e telefòn.

Il primo dei numerosi figli di Gianni ed Elda nacque a Fiesole, nella sua oasi.

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