Prima Comunione

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First communion.
  • October 2006 monthly contest
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Mattina della 'prima comunione'.

Si era deciso che avremmo tutti indossato la 'tarcisiana', una specie di tonaca bianca, lunga fino ai pie¬di con sulle spalle due strisce rosse, per evitare possibili esibizionismi di eleganze fuori posto.

L'avevo indossata, poi avevo preso dal barattolo un cucchiaino di nutella. Un po' ne era caduta addosso. Andai da mamma per chiedere aiuto.

Mi dette un sonoro ceffone! Poi, con massima facilità (un batuffolo di cotone con un po' d'acqua calda), tolse la macchiolina. Non si vedeva niente.

No. Si vedevano sulla mia guancia i segni del ceffone.

Avevo gli occhi pieni di pianto, guardandomi allo specchio. Non per il dolore, ma per rabbia.

Avrei avuto voglia di strapparmi tutto da dosso, e andarmene.

Inutile. Non conosceva dolcezza quella donna!

La odiavo. Si, la odiavo, anche se non sapevo bene cosa fosse l'odio.

'Prima Comunione'.

Ero andato a cercare sul vocabolario il significato di 'comunione'.

Il catechista mi aveva spiegato che era la prima volta che mi 'univo' a Gesù.

Quindi, comunione significa unione. Ma, proseguiva il vocabolario, significa anche 'congiungimento', 'accoppiamento', amplesso', 'coito', 'rapporto sessuale'. Avevo, allora, vaghe idee, in proposito, ma sghignazzavo nascostamente, volando con la fantasia.

Avevo poco più di dieci anni.

^^^

Erano trascorsi otto anni. Erano accadute tante cose, moltissime messe nel dimenticatoio.

Strano, quello schiaffo non lo avevo dimenticato, mi bruciava ancora.

Ogni volta che guardavo le belle mani, affusolate e curate, della mia bellissima mamma, risentivo il bruciore di quella mattina. Mi tornavano in mente le parole che avevo pronunciato allo specchio: "ti odio!" Ed ero pervaso, come allora, da un senso di rabbia.

Che mescolanza singolare e disordinata. Era naturale e logico che volessi bene a mia madre, ma c'era anche un sentimento di risentimento, mai del tutto cancellato. Io vivevo quel particolare sentimento di odio-amore, di cui si parla tanto. Odio, manifestazione della reazione per il dispiacere cagionatomi. Amore, difficile da spiegare, descrivere, specie quando si riferisce a lei, alla mamma, perché è desiderio e volontà di vederla, toccarla, sentimento che matura, si trasforma, si fissa sempre più nel campo del puro rapporto di piacere tra Io e Tu, e si propaga sempre più nella sfera sessuale in senso stretto, e sugli oggetti che soddisfano i bisogni degli impulsi sessuali sublimati.

C'era ancora della 'rabbia' in me. Cercavo di calmarmi, ma non sapevo come.

Aristotele scrive che 'l'uomo diviene calmo dopo che ha sfogato la sua rabbia su qualcun altro, soprattutto se può farlo su chi tale rabbia ha causato'!

Sfogare la mia rabbia su mamma? Come?

Era così incantevole, affascinante, attraente.

In effetti, devo riconoscerlo, c'era una considerevole componente sessuale nella mia ammirazione verso di lei. Quasi una adorazione.

La guatavo in ogni suo movimento, con un senso di gelosia perché anche gli altri potevano contemplarla.

Quando la stringevo con un abbraccio più vigoroso di quello che doveva essere, c'era, oscuramente, il desiderio di farle male, non solo di sentirne il calore, la morbidezza del suo corpo. Sottile, ma perfetto in ogni dettaglio.

La spiavo, ogni momento, furtivamente, cogliendo ogni occasione. Quando era nella sua camera per cambiarsi, aprivo appena uno spiraglio, senza farmi sentire, e la guardavo, osservandola segretamente, col desiderio di conoscere, di conoscerla, con bramosa cupidigia. Sì, concupivo quella donna, e nel contempo non riuscivo a cancellare un sordo e indefinibile l'odio verso lei, che covava in me da anni.

Dovevo trovare un modo, una soluzione, per uscire da quel tormento, da sentimenti contraddittori, incompatibili.

Inutile, quel ceffone chiedeva vendetta, solo sfogando la rabbia che seguitava a covare in me, avrei potuto riacquistare la calma. Anzi ci voleva qualcosa che trasferisse da me a lei, quella che per me era stata una umiliazione. Doveva sentirsi umiliata, oltraggiata.

Era, più o meno conscio, un pretesto per fare ciò che io consideravo impossibile, e per moltissimi era un vero e proprio tabù.

Deciso. L'avrei stuprata!

Sapevo anche quando e come.

Ogni due domeniche papà era di servizio, alla centrale, e lei, il mattino, poltriva a letto, fino a tardi.

Stuprata nel proprio letto coniugale, dal proprio figlio!

Che avrebbe potuto fare, a chi lo avrebbe raccontato?

La fantasia volava.

Immaginavo i titoli sul giornale:

"Bellissima quarantaduenne violentata dal figlio diciottenne! "Lui sostiene che si doveva vendicare per uno schiaffo ricevuto il mattino della prima comunione."

Prima comunione... primo incontro...

^^^

Avevo dormito poco e male.

M'ero alzato quando avevo sentito papà andare in cucina per la colazione. Lo avevo raggiunto, gli avevo augurato buon lavoro. Sarebbe rientrato l'indomani mattino. Turno di 24 ore.

Uscì, mi accertai che si allontanasse con l'auto.

Chiusi a chiave la porta d'ingresso.

Indossavo solo una leggera vestaglia da camera. Ero eccitato, ed agitato.

Non stavo commettendo un'azione passionale, spinto dal raptus d'un momento. Era tutto premeditato. Avevo perfino curato particolarmente l'igiene personale. Dopo la doccia una leggera frizione, per tutto il corpo, come avevo potuto, di una gradevole lavanda inglese.

Ero pronto. Ed era prontissimo anche lui, il mio... Inutile usare termini eleganti o, peggio ancora scientifici, in questa occasione devo chiamarlo nel modo più volgare e triviale: 'cazzo'. Era un'azione immorale e sporca quella che mi accingevo a compiere, resa ancor più indecorosa dall'ipocrita scusa della 'vendetta'.

Abbassi piano la maniglia della porta della sua camera da letto.

Era supina, con i lunghi capelli che le incorniciavano il volto, le tornite braccia fuori dalle coperte, nude, e leggeva una rivista di mode.

Mi guardò, sorpresa.

"Ciao, tesoro, stai bene?"

Cercai di controllare la voce.

"Benissimo, grazie, e tu?"

"Qualcosa non va?"

Scossi la testa, e mi avvicinai al letto.

Mi fissò interrogativamente.

Presi la coperta e l'abbassai, quasi di colpo.

La camicia da notte, rosa, leggerissima, più che celare evidenziava, faceva risaltare, impreziosiva la sua bellezza. Aveva una carne appena rosea, che si scorgeva chiaramente attraverso il tessuto velato. Le due tettine, piccole, deliziose, potevano quasi essere racchiuse nel palmo della mia mano, ed erano rese più belle dai capezzolini rosa. Ventre piatto, un ricco triangolo scuro scendeva dal monte di venere tra le magnifiche gambe, che erano appena dischiuse.

Seguitò a guardarmi fissamente, sorpresa, sbigottita, con una lieve ruga sulla fronte aggrottata...

"Ma, Giulio...."

Non le risposi.

Sollevai decisamente la camicia, fin sopra al petto, coprendole la testa, lasciai cadere la mia vestaglia e salii sul letto.

"Giulio.... Giulio... sei impazzito?"

Il suo volto esprimeva stupore, sconcerto, confusione, turbamento, ma non paura.

"Giulio.... Cosa vuoi fare... ti prego...."

Il mio ginocchio s'era inserito tra le sue gambe, con le mani le avevo allontanate. Di fronte a me la visione incantevolmente conturbante, della fica. La fica della mamma, quella che mi aveva partorito. Bellissima. Due grandi labbra perfettamente disegnate. Il roseo delle piccole, nette, senza alcuna sfrangiatura. Presi il glande e lo avvicinai alla vagina, mi immersi in lei, senza violenza, ma decisamente. Fin quanto quel piccolo caldo rifugio, che abbracciava strettamente il mio cazzo, riuscì a riceverlo. Con le mani le afferrai le tette, strizzandole, e cominciai ad uscire ed entrare con impeto, con colpi decisi, accompagnati dai miei 'ah...ah...ah' cui rispondeva il battere della testata del letto contro il muro. Colpi che la spostavano, la portavano sempre più su. Si era afferrata alle sbarre d'ottone, del letto, per impedire che la mia foga le facesse battere il capo contro il metallo.

Ci davo dentro con ardore, energia, e mi sembrava che il suo grembo sussultasse. Seguitava a guardarmi, deglutendo, si mordicchiava il labbro inferiore, era bellissima, aveva un'espressione che non conoscevo, le sue nari fremevano. Io pompavo sempre più vigorosamente, ma con maggiore attenzione, perché sentivo che il piacere stava aumentando, mi stava facendo giungere alla conclusione. Pensai che dovevo ritirarmi... in tempo! Poi, sempre seguitando, riflettei che la vendetta completa era invaderla col mio seme. Stringevo le tette. Un colpo di reni più possente degli altri; saltarono gli sbarramenti che trattenevano il mio seme, caldo e generoso, e la inondai voluttuosamente, abbattendomi sul suo seno, baciandola sulla bocca.

Le braccia di mamma, si abbassarono, le sue dita si tuffarono nei miei capelli, le sue gambe s'intrecciarono sul mio dorso, lei inarcò il bacino, e, palpitante, unì la sua linfa alla mia.

Vendetta compiuta.

L'uomo diviene calmo dopo che ha sfogato la sua rabbia su qualcun altro, soprattutto se può farlo su chi tale rabbia ha causato'! Dice Aristotele. Ed io ero calmo, appagato. Ora era lei a doversi sentire umiliata, era lei a dover essere in preda alla rabbia.

Mi prese il volto tra le mani, lo sollevò, mi guardò diritto negli occhi. Con un senso di accoramento, ma con occhi sfavillanti.

"Giulio, bambino mio... perché?... Ti sei reso conto di cosa hai fatto?... cosa abbiamo fatto? Perché?"

Avevo la voce rotta dall'affanno, la gola quasi chiusa, mi era difficile parlare.

"E tu... perché mi hai dato quel ceffone il giorno della prima comunione? Perché?"

Il suo sguardo era stupito, sconcertato.

"Uno schiaffo? La prima comunione?"

Annuii, senza parlare.

Sulle sue labbra apparve un leggero sorriso.

"Così... lo hai fatto per punirmi... solo per questo?"

Non sapevo cosa dire.

Sentii la sua vagina stringersi intorno al mio cazzo, e cominciare a mungerlo.

"Allora, bambino mio, rispondi... lo hai fatto per punirmi? Per umiliarmi, per dimostrarmi il tuo disprezzo?"

La fica seguitava a mungere, e il cazzo stava rapidamente risorgendo. Non riuscivo a star fermo. Mi stava facendo venire un'altra volta.

Ora il suo bacino si muoveva chiaramente, magistralmente, con grande perizia, e io non capivo più nulla, sentivo solo che quella sarebbe stata una scopata memorabile.

Ricominciai anche io il movimento, con mamma che mi baciava appassionatamente, la sua lingua che cercava la mia. E un gemito, sempre più incalzante sortiva dalle sue labbra.

"Giulietto, tesoro bello, che si vuole vendicare della mamma.... Vendicati, amore mio.... Vendicati.... Aaaaah.... Ti sento, bambino adorato.... Ti sento.... Sei magnifico.... Aaaaaaaaaah!"

E fu squassato da un orgasmo che quasi mi allontanava da lei, ma le sue gambe mi strinsero a sé, e la vagina ripetè l'indescrivibile mungitura che mi prosciugò fino all'ultima goccia.

Quando riuscimmo a riprendere fiato, ed io ero ancora in lei, mi leccò il volto, mi baciò gli occhi.

"Mi perdoni ora? Sei soddisfatto della tua vendetta?"

La guardavo turbato, perplesso, con un certo disagio. Mi sentivo sconfitto.

"Allora, Giulietto, pensi ancora alla tua prima comunione?"

Mi tornarono alla mente le definizioni del vocabolario: comunione significa unione, e significa anche 'congiungimento', 'accoppiamento', amplesso', 'coito', 'rapporto sessuale'.

"Ma', anche questa è una 'prima' comunione, la nostra prima comunione."

"Certo, tesoro, certo, e ricordati le raccomandazioni che hai ricevuto allora e che valgono sempre: 'Prima' di una serie infinita....

Inoltre, amore mio, ora tocca a me vendicarmi."

Mi tirò giù da lei, mi fece sdraiare supino, e abilmente, con consumata perizia ed esperienza, si impalò sul mio cazzo che si prestò bramosamente a quella voluttuosa vendetta materna.

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