Mrigi

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The queen of Gaya - a special love.
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MRIGI Regina di Gaya

1

Era sempre in compagnia di un'altra ragazza.

Alta, capelli lunghi, nerissimi con qualche colpo di sole, un contrasto forte ma piacevole. Occhi grandi, grigi, luminosi, con riflessi antracite. Mani lunghe, dita affusolate, unghie lievemente colorate con l'henna. Pelle dorata, serica, come appena uscita da sapienti cure cosmetiche. Labbra piccole, deliziosamente disegnate in un ovale perfetto, spesso in movimento per quel suo masticare betel.

Il corpo si poteva solo immaginare, sotto l'ampia e lunga gonna, e nella blusa dalle larghe maniche.

Grossi orecchini d'oro ai lobi delle piccole orecchie, un vistoso ciondolo alla massiccia collana, anch'essa d'oro, che aveva al collo. Braccialetti dello stesso tipo della catenella. Nulla alle dita.

Sostavano sempre allo stesso posto, all'angolo della strada, all'ingresso del lungo porticato, poco lontano dal bar.

Mi veniva incontro con passo flessuoso, armonico, un sorriso enigmatico sulle labbra. Tendeva le belle mani. La voce calda, suadente. Parlava un buon italiano, con accento forestiero. La voce, un po' gutturale, velata, pronunciava alcune vocali strette e corte. Mi guardava con gli occhi metallici.

"Ti leggo la fortuna..."

Le porgevo un biglietto di piccolo taglio, facendo in modo di sfiorarle la mano.

Dopo qualche giorno si limitava a dire: "... la fortuna...". Prendeva la moneta, avvolgendo la mia mano tra le sue lunghe dita che stringeva appena e poi ritirava lentamente, con una carezza leggera, che mi piaceva credere complice, e uno sguardo felino.

Decisi di essere più generoso. Ma nel mio intimo v'era il desiderio di ringraziare per quella carezza, forse comprarla, e la speranza di un più lungo contatto con quelle dita deliziose. Quando scorse il maggior valore della banconota, il sorriso divenne bagliore di spada incandescente, e la mia mano fu accolta dalle sue, riunite, mentre chinava leggermente la testa.

Quella mattina era sola, senza la sua solita compagna.

Appena me ne accorsi, cambiai il biglietto già preparato con uno di ben più consistente importo.

Mi guardò diritta negli occhi.

Non ritirai la mia mano, ed ella non la lasciò.

"Sei sola?"

"Si, sorella è malata."

"Come ti chiami?"

"Mrigi."

Dovetti farmelo ripetere due volte. Le vocali erano sfuggenti, non si percepivano chiaramente. Provai a ripetere cercando di imitare la sua pronuncia.

"Mrg?"

"Si, bravo, proprio così, MRG."

Lasciò le mie mani e tornò al suo angolo.

L'indomani uscii in auto, la parcheggiai nella piazza dove iniziava il porticato. Avrei proseguito a piedi.

Mrigi era sola.

Appena mi vide mi venne incontro.

Lo stesso rito del giorno prima, ma invece di lasciare la mia mano la voltò col palmo in alto. La scrutò attentamente, la esplorò con le piccole dita. Senza abbandonarla, alzò il volto e mi fissò con aria tra gioiosa e inquieta.

"Cosa vedi?"

"Una cosa bella ma forse non buona per te."

"Cosa?"

"Non dirò adesso."

"Però me la dirai?"

"Insc'Allah!"

"Mrg, vieni a fare una passeggiata in auto con me?"

"No posso, devo leggere mano e guadagnare il giorno."

"Solo una passeggiata. Quando tornerai qui avrai il tuo compenso. Anzi, no, te lo dò prima."

Feci per estrarre il portafoglio.

"No, non così. Non posso salire qui, in tua auto davanti a tutti."

Si guardò intorno, prima di seguitare.

"Tu aspetta dietro via Mori, piccola via. Capito?"

"Capito."

Tornai all'auto. Mi allontanai lentamente dal marciapiede, e mi avviai verso la strada indicatami, una via stretta, semideserta anche nelle ore del giorno. E se vi avessi trovato un agguato? Mi avrebbero rapinato di quanto avevo e dell'auto. Mi strinsi nelle spalle e proseguii.

Non c'era nessuno, ma non potevo fermarmi a lungo perché avrei impedito il passaggio.

Mrigi comparve all'improvviso, dal nulla, come materializzandosi. Si avvicinò furtiva all'auto, aprì lo sportello posteriore, entrò, si accovacciò tra il sedile e gli schienali.

"Va, presto, prego. Dove non c'è gente."

Non capivo bene quello che stava accadendo, ma mi affrettai verso la periferia. Poi imboccai la strada che conduceva a un piccolo lago, poco distante.

Quando fummo fuori dell'abitato, Mrigi riemerse, con un balzo agile venne a sedere accanto a me. Aveva tolto gli orecchini e i vistosi ornamenti d'oro che portava al collo e ai polsi. Per la prima volta mi accorsi che aveva dei piedi snelli, eleganti, e belle scarpe.

Mi guardò sorridendo.

"Questo è scritto in tua mano e in mia mano. Lo sai rom?"

"Ma io non sono zingaro, non sono rom."

Sorrise in modo incantevole.

"Si, è vero, una etnia zingara è detta rom, ma rom, nella nostra lingua significa uomo."

"Cos'è scritto nella tua e nella mia mano?"

"Un incontro."

"Infatti ci incontriamo tutte le mattine."

"Non questo, incontro é conoscere."

"Allora mi presento. Sono Bruno Colli."

Sorrise, un po' divertita.

"Sposato?"

"Dovresti saperlo, hai letto la mia mano."

"Mano dice se vuoi bene a una donna, no se sei sposato."

"E io voglio bene a una donna?"

"Credo si, ma tu non ancora certo se bene o solo desiderio."

"E' vero. Parli molto bene la mia lingua, sei da molto in Italia?"

"Ho studiato in scuola italiana, poi sono stata lontano molto tempo, adesso sono tornata."

"Qual'è la tua lingua?"

"Romani cib, voi chiamate tzigano, come ungheresi che vanno girando, i cigany. Viene da un dialetto dell'India, del nordwest, poi ha preso tante parole dei paesi dove è stata la mia gente. Anche mio nome è dell'India, Mrigi è la cerva. Sono nata a Gaya, nel Bihàr. Tu sei Bruno?"

"Si."

"Ma io più bruna. Vedi?"

E mostrò il braccio.

"Mrigi, perché hai accettato di venire in auto con me?"

"Perché scritto nella mano."

"Ma tu vieni al ristorante, con me, vestita così?"

"Se tu vai io vado. Questo vestito è originale, molto nuovo. E' per figlia di capo."

"Tu sei figlia del capo?"

Annuì vigorosamente con la testa, scomponendo i lunghi capelli.

"E perché chiedi l'elemosina?"

"Io non chiedo, offro lettura della mano."

"Non hai caldo con quel vestito?"

"E' lana finissima. Quello che ripara da freddo ripara da caldo."

"Sei sposata Mrigi?"

"No, ho ragazzo destinato."

"Da chi?"

"Da famiglie."

"Gli vuoi bene?"

"Questo non importa. Io, però, non faccio quello che lui dice."

"Sei contenta?"

"Lui lepre, io cerva, non è massimo."

"Che vuol dire?"

"Non conosci Kama?"

"No."

"Allora tu non sai che sei cavallo?"

"E tu come lo sai?"

"Letto mano."

"E' importante?"

"Certo."

"Perché?"

"Non posso spiegare adesso."

"Me lo spiegherai poi?"

"Insc'Allah."

Eravamo arrivati al lago, presso un grazioso ristorante. Scendemmo dall'auto.

"Posso bagnare piedi?"

"Certo."

Andò alla riva, tolse le scarpe, sollevò la gonna infilandone il lembo nella cinta che le circondava la vita, alla quale era legata una minuscola sacca dorata, rimboccò le maniche, slacciò due bottoni della camicetta.

Le gambe erano brune, come le braccia, ben tornite, snelle, con i muscoli che guizzavano sotto la pelle dorata.

Entrò nell'acqua fino alle ginocchia. Si voltò.

"Tu non vieni?"

Scossi la testa, negativamente.

Tornò verso la riva. Si fermò, si chinò per raccogliere un ciottolo bianchissimo.

La scollatura si schiuse e mostrò il seno, anch'esso scuro, con due piccoli capezzoli quasi viola.

Non indossava nulla sotto la blusa.

Allungò la mano per farsi aiutare.

"Aspetta Mrigi, ho qualcosa, in macchina, per farti asciugare."

Non attese, prese le scarpe e venne con me, verso l'auto, camminando leggera sulla ghiaia.

Le detti una grossa asciugamano che avevo nella sacca custodita nel portabagagli.

Sedette con le gambe fuori dell'auto. Cominciò ad asciugarsi. La gonna s'era raccolta completamente nel grembo. Alzò una gamba e vidi che neppure sotto la gonna indossava nulla. Oppure era la mia immaginazione.

Quando alzò l'altra gamba ebbi la conferma che non si trattava di fantasia.

"Andiamo a mangiare, Mrigi?"

"Va bene, se vuoi."

Si alzò, rassettò la gonna, venne al mio fianco.

Chiesi un tavolo al sicuro da sguardi indiscreti.

Il cameriere ci condusse in una saletta appartata, con un ampio balcone sul lago.

"Dove vuoi sedere Mrigi?"

"Donna tzigana sempre vicino a uomo."

Sedemmo allo stesso lato del tavolo.

Ci consegnarono le liste. Mrigi non l'aprì.

"Io mangio quello che tu mangi, bevo quello che tu bevi, e Allah misercordioso sarà buono con me."

"Ma tu non bevi vino."

"Io bevo quello che tu bevi."

Ordinammo la specialità della casa, ravioli alla salvia e trote in cartoccio. Vino bianco. Mrigi era seduta impeccabilmente, avrebbe voluto che il cameriere servisse prima me, poi accettò sorridendo di precedermi. Mangiava a piccoli bocconi, servendosi ineccepibilmente delle posate.

Quando le porsi la coppa del vino strinse un po' le labbra, poi ne bevve un sorso. Insistei perché ne bevesse ancora. E non fu necessario ripeterle di nuovo l'invito.

Chiedemmo di servirci il caffè sul balcone, dov'era un dondolo ricoperto di soffici cuscini.

Era al mio fianco.

Le cinsi le spalle, e la sentii accostarsi a me, premere la coscia, calda, contro la mia.

Scesi con la mano alla vita, carezzandola lentamente. Sfiorai il seno turgido.

L'attrassi a me, mettendo l'altra mano sulla sua gamba. Tirò su la gonna, incontrai la sua pelle nuda, come una seta preziosa, che s'increspava al mio tocco. Lasciò che salissi più su.

Accostò le sue labbra all'orecchio.

"Andiamo?"

"Vuoi andar via?"

Annuì.

"Dove vuoi andare?"

"Casa."

"Devi tornare a casa?"

Fece cenno di no. Sussurrò piano:

"Casa tua."

"Casa mia?"

"E' scritto in mano.

Io cerva, tu cavallo, qualcuno dice non è incontro buono, ma io credo in chi dice che è incontro eccezionale. E' scritto in mano: io cerva e tu cavallo, desiderio e passione intensi. Io cerva tempo breve, tu cavallo tempo lungo. E' culmine, massimo, di incontro.

E' scritto in mano: incontro nella casa del cavallo."

* * *

Sembrava conoscere il mio piccolo appartamento, come se lo avesse frequentato da tempo.

Entrò nella mia cameretta di scapolo.

"Bruno, tu bagno, io bagno. Cerva e cavallo alla stessa fonte."

Mi prese per mano e mi condusse verso il bagno.

Aprì i rubinetti dell'acqua, ne regolò la temperatura, chiuse lo scarico.

Si voltò verso di me. Cominciò a togliermi la giacca. Stavo per aiutarla.

"Tu fermo, Mrigi fa."

Mi spogliò lentamente, sapientemente.

Poi tolse gonna e blusa.

Rimase nuda. Stupenda, regale, una statua perfetta, di rame dorato.

Ero eccitatissimo.

Di fronte a me, senza nessun imbarazzo, carezzò il mio sesso.

"Questo, lingam cavallo. Robusto, forte, per grande piacere."

Prese la mia mano e la portò tra le sue gambe.

"Questa yoni Mrigi, cerva. Cerva agile."

Mi fece entrare nella vasca e vi si pose anche lei. Mi passò la spugna sulla schiena, sul petto. Dappertutto.

Volevo fare altrettanto con lei.

Scosse la testa sorridendo.

"No spugna, mano."

Rimase immobile mentre le mie mani la carezzavano frementi.

Uscimmo dall'acqua. Mi avvolse nel telo che era all'attaccapanni e mise un grosso asciugamani intorno ai fianchi.

"Vieni."

Tornammo in camera da letto.

"Vieni."

Mi tolse l'accappatoio e mi fece sdraiare sul letto.

Lasciò cadere l'asciugamani.

Mi guardò con occhi fiammeggianti.

"Yoni adesso alloggia lingam, per miscuglio acqua e latte, per godere frullo del passero. Yoni attenaglia lingam, stiracchia, comprime, mantiene in sè.

Mrigi fa altalena. Con seni carezza il tuo petto."

Montò su me, eretta, a gambe aperte. Le sue piccole dita portarono ligam a yoni. Ebbe un momento d'indecisione, un impercettibile mordersi di labbra. Poi l'accolse, avida, fremente.

"Scritto su mano" -mormorò dondolandosi- "Cerva monta cavallo."

Una femmina ardente, appassionata, fatta per l'amore, per il piacere, per la voluttà. Un'amante deliziosa, dolce ed eccitante, fremente. Dalle sue labbra usciva un sordo tubare di colomba, una cantilena inarticolata, un gemito sommesso, una cantilena lenta, ritmata dalla sua danza, dal suo ondeggiare sempre più incalzante, fino a quando restò immobile, per un istante, vibrando come percorsa da una scarica elettrica. Si riversò sul mio petto, mi afferrò per i capelli, mi tirò indietro la testa, mi baciò il labbro inferiore, gli occhi, la fronte, il viso, mentre il suo ventre sobbalzava orgiasticamente, assorbendomi in lei.

Mi giacque accanto, trasfigurata, estatica.

Scese da letto, in ginocchio, col suo asciugamano mi terse dolcemente il sudore dal petto, dalle gambe, baciandomi prima di passare il panno.

Le carezzai un seno.

"Tornerai?"

"Come ape al fiore, cerva assetata alla fonte, yoni palpitante al ligam. Il mio desiderio, la mia passione sono sazi, ma superiore a tutto è il piacere che mi dà sapere che ti ho dato piacere."

"Si. Come mai prima d'ora, Mrigi."

"La passione era dentro come piccolo germoglio, tu l'hai fatta sbocciare prepotente. Il fuoco divampava in me, tu l'hai placato. Il mio grembo bruciava, il tuo balsamo delizioso l'ha acquietato. Il tuo ligam ha distillato il nettare che ha dissetato yoni. Si. Io ritorno."

"Quando?"

"Se Allah misericordioso mi protegge, sarò da te sabato, prima che il sole s'addormenti."

"E quanto rimarrai con me?"

"Insc'Allah! Bacia il mio seno, mordilo. Perché resti segno di te, come nube interrotta, che duri almeno fino al mio ritorno."

* * *

I giorni che mi separavano dal sabato furono una lunga vigilia.

Quella sera indimenticabile non aveva voluto che la riaccompagnassi.

Prima di aprire la porta e lasciarla andar via, avevo arrotolato un biglietto di banca, e glielo avevo porto perché acquistasse un piccolo ricordo.

Scosse il capo con aria dolce e malinconica.

"No, io ho ricordo bellissimo di queste ore. Forse avrò ricordo ancora più bello."

Socchiuse la porta, scese rapida e silenziosa per le scale.

L'attendevo ansioso.

Il sole stava tramontando.

Avevo fatto preparare la cena dal ristorante dove usualmente consumavo i pasti.

Il frigorifero era ben rifornito.

Sulla sedia accanto al letto, avevo posto una ricca vestaglia di seta azzurra comprata per lei.

Suonò il campanello del citofono. Non ci fu risposta al mio saluto. Spinsi il pulsante per aprire il cancello d'ingresso, andai dietro la porta di casa.

L'ascensore si fermò al piano.

Socchiusi l'uscio, ma dalla cabina uscì una ragazza alta e snella in un elegante chemisier rosso, legato alla vita da una cintura d'oro.

Le sorrisi con aria un po' sciocca, guardando alle sue spalle per vedere se c'era anche Mrigi.

La donna chiuse il cancello, l'ascensore ripartì verso il basso,

Mrigi, forse, non aveva fatto in tempo a prenderlo.

La ragazza s'avvicinò alla mia porta...

"Mrigi...!"

"Dobro vece, Bruno."

Gli occhi erano splendidi, il volto radioso.

Entrò col suo passo leggero, felino.

"Non mi hai riconosciuta? Sei deluso? Volevi la zingara?"

"No, non ti ho ricosciuta, sei più bella del bellismo ricordo che ho conservato di te. Sei meravigliosa. Io voglio te, Mrigi, la cerva, e non m'importa se zingara o no."

Era entrata nello studio. Aprì la scollatura.

"Io ho ricordo sul mio cuore."

Mostrò i segni dei miei denti.

"Mi spiace, ho morso troppo forte."

"A me non spiace, è stato bello, è mio segreto."

"Vieni, Mrigi, vieni."

La condussi, tenendola per mano, nella camera da letto.

"E' tua, ti piace?"

Le detti la vestaglia.

La guardò con aria contenta.

"E' molto bella, mi piace molto. La metto subito."

Tolse l'abito. Anche questa volta era la sola cosa che indossava.

Presi la vestaglia e la tenni in modo da aiutarla ad infilarla. La tolse dalle mie mani, con garbo, sorridendo.

"Io indosso da sola, tu toglierai quando vuoi."

Le stava deliziosamente.

Le andai incontro e la strinsi tra le braccia, la baciai a lungo, ricambiato con foga.

"Come fai per venire qui?"

"Detto che andavo a Università, a Perugia, per conferenza domani, domenica."

"Quanti anni hai, Mrigi?"

"Diciannove. Tu?"

"Esattamente il doppio."

Mi guardò con un'espressione che non compresi. Ero giovane? Troppo vecchio?

"Ho fatto portare una piccola cena, vuoi?"

"Si, anche stomaco ha fame, come tutta me stessa."

A cena fu abbastanza ciarliera, mi parlò della tribù, di un cugino che era l'avvocato della locale comunità zigana. Del ragazzo promesso che la voleva sposare subito, anche perché le zingare sposano molto giovani. Che lei, invece, voleva ancora attendere. Che non voleva incontrare il suo fidanzato, perché non era scritto nella sua mano e lei non era scritta nella mano di lui. Che se scoprivano il suo segreto sarebbero stati guai, secondo la loro legge. Che il padre, però, l'accontentava in tutto. Era molto comprensivo, forse un suo antenato non era zingaro.

Dopo cena voleva rassettare tutto.

Le dissi che ci avrebbe pensato la portiera, l'indomani.

"Perché, viene qui mentre qui stiamo noi?"

"No, verrà quando andremo a fare una passeggiata verso i castelli."

"Ah!"

Si avvicinò al mucchio di dischi, ne scelse uno, si voltò verso me.

"Posso?"

"Certo."

"Andò al lettore, pose il disco, lo avviò."

Una musica lenta, avvincente.

Cominciò una danza fatta di piccoli movimenti, di giuoco di dita, di braccia. Sporgeva il petto, le natiche, lentamente, in attitudine semplice e quasi ieratica, avrebbe detto D'Annunzio.

Al termine, rimase immobile, il capo rivolto in alto, le braccia leggermente in avanti, le mani verso me, i medi e i pollici stretti tra loro.

"E' bello. E' Canto indù. A me piace danzare con questa musica."

Le andai vicino e la baciai sugli occhi.

Mi guardò con gli occhi che non sapevi se fossero di dolce cerbiatta o di una tigre cacciatrice.

"Vuoi togliermi la vestaglia?"

Assentii con la testa.

Afferrò la mia mano e s'avviò verso la camera da letto. Al passare, spegneva le luci. Lasciò accesa quella del comodino, dalla parte sua.

Slacciai la cintura della vestaglia. Abbassò le braccia, la feci scivolare dalle spalle, la raccolsi e la misi sulla poltrona.

Portò alle labbra la mia mano, baciò le dita.

"Tu vuoi me come donne di Koshola, di Audhra?"

La guardai interrogativamente.

Si sdraiò sul letto.

Ripiegò le gambe e premette le cosce contro i fianchi.

"Tu fai piccolo incontro con yoni, conosci suo giro, poi entra tuo ligam e soffoca sbadiglio di yoni. Yoni, contenta, non sbadiglia più, manda le gambe a stringersi dietro la sua schiena, e tiene prigioniero tuo ligam, fino a quando lui, piangendo, vuole uscire. Ma Yoni lo tiene sempre suo prigioniero."

E fu una delle infinite varianti che appresi da lei.

* * *

Ogni sabato, aveva un modo nuovo di offrirsi. Credo che consultasse tutti i manuali dell'India e delle terre circostanti.

L'unione dell'edera, dell'albero sospeso, della rana. L'unione sacra, quella della vacca (solo che il toro non titillava i capezzoli alla sua partner).

Erano trascorse dodici settimane. Mai un'assenza, e solo ora mi stupisco della mia non meraviglia.

"Bruno, mordi mia jaghana, dall'ombelico alle cosce. E piccolo Bruno conosce suo padre."

"Cosa significa Mrigi?"

"Che in jaghana di Mrigi c'è piccolo Bruno."

"Piccolo Bruno?"

"Si, io incontrato solo grande Bruno. Tutte le nuvole su mio corpo, petto, braccia, natiche, cosce, gambe, sono di Bruno.

Yoni ha distillato inebriata il nettare del tuo ligam, e Bruno è diventato immortale, seguiterà a vivere nella sua creatura."

La guardai sbigottito.

"Piccolo Bruno?"

"Certo, tu sei solo uomo che ho incontrato in mia vita. Non hai capito quando cerva ha montato cavallo prima volta?"

Seguitavo a guardarla, incredulo.

"Non accorto che Mrigi ha sempre incontrato te, sempre, senza mai giorni rossi?"

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