Lo Schiavo di Matilde - Il Ritorno

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La Padrona torna a casa e viene accolta dal suo schiavo.
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"Bentornata, mia Dea". Pronuncio queste parole in ginocchio, lo sguardo a terra sulla punta delle tue scarpe, mentre attraversi l'uscio.

So che ti piace trovarmi nudo e adorante, con il cazzo in erezione mentre fremo per poterti guardare negli occhi, un privilegio che non mi sarà concesso fin quando non lo vorrai.

Dopo mesi di addestramento so che questo è un momento importante, so che ti piace vedermi immobile e frustrato, quasi tremante nel mio desiderio di adorarti, con lo sguardo prima ancora che con la lingua o con le mani.

E io amo sapere che ti stai godendo il momento, la mia adorazione e la mia sofferenza.

Con un cenno mi avvicini la scarpa destra al viso e so che è il tuo segnale di via libera per avvicinare le mie labbra e darti il benvenuto. Bacio la punta delle tue ballerine una, due, cinque volte per scarpa, tanto mi è concesso, e sussurro "grazie, Padrona Matilde".

Non ho il permesso di guardarti, ma so che stai sorridendo.

Mi alzo, con lo sguardo ancora rivolto in basso, mentre mi porgi borsa e cappotto e ti dirigi sul divano. Lì ti porterò un bicchiere del tuo vino preferito e una sigaretta.

"Guardami"

Il tuo ordine attraversa l'aria e io alzo gli occhi. Incrocio il tuo collo incorniciato da capelli castani, le tue labbra arricciate in un sorriso che lascia intravedere i denti lucidi di saliva, il cui pensiero basta a provocarmi un sobbalzo, infine i tuoi occhi nocciola.

Sono tuo, completamente e disperatamente tuo, ti amo e ti adoro, e tu lo sai, lo capisci, lo leggi in ogni mio gesto. Hai imparato a considerarmi un oggetto indispensabile, utile ma pur sempre totalmente dipendente dalla tua volontà e dal tuo desiderio.

Giorno dopo giorno sei diventata non più la mia compagna, ma la mia proprietaria, assegnandomi nuovi rituali e compiti e negandomene altri, a loro volta concessi ad altri, più indicati a soddisfarti secondo la tua indiscussa valutazione.

"Com'è andata la giornata, Padrona Matilde?"

Te lo chiedo mentre ti porgo la fiamma dell'accendino. Tu inizi a raccontarmi del tuo lavoro io torno in ginocchio, ben consapevole che anche se mi concedi il privilegio della conversazione il mio ruolo di tuo servo impone che rispettosamente io ti porga le mani per raccogliere la tua cenere.

Tra le cose che amo di te c'è la capacità di comunicare con un'occhiata non solo il presente, ma l'immediato futuro, e anche se il mio futuro da ora a per sempre è al tuo servizio, le tue sopracciglia leggermente alzate e i tuoi occhi lievemente giocosi mi dicono che la tua sigaretta è finita e che la mia lingua sarà il tuo posacenere.

È una circostanza che mi eccita, perché tu, mia Matilde, amore della mia vita, sei sempre stata una Padrona gentile.

Quando mi concedi il privilegio di venire utilizzato come posacenere so anche che nella tua infinita bontà deciderai di limitare la mia pur meritata sofferenza: apro quindi la bocca e mi abbasso, affinché per te sia comodo avvicinare il tuo viso, e osservo la complessa gestualità con cui le tue labbra raccolgono e amalgamano la tua saliva ancora profumata di fumo.

Nel mio desiderio comincio allora a chiedermi che genere di dono riceverò: sarà uno sputo denso e pastoso, che unisce saliva e muco? Sarà liquido, cristallino e scattante, simile a quando la saliva ricopre i tuoi denti d'avorio? Sarà pesante e sottile, ancora attaccato alle tue labbra sottili e quindi seguito da un altro, più piccolo e liberatorio?

Mentre ci penso arriva la risposta, secca e veloce nella mia bocca, un regalo viscoso di cui sento il sapore acido e fumoso. Poi arriva la tua cicca, che mentre si spegne a contatto con il liquido mi riempie la bocca di un frizzante calore.

Ingoio assaporando ogni sfumatura di un simile nettare, grato di tanta attenzione.

"Grazie di cuore, mia Dea e Padrona." sussurro "Volete che Vi serva la cena?"

"Non ancora, in realtà voglio farti penare un altro po'".

Lo dici mentre mi indichi con un cenno del capo i tuoi piedi appoggiati sul pouf di fronte al divano ancora con addosso le ballerine nere.

"Come al solito mi aspetto che siano pulitissime. Oggi però ho pensato di farti lavorare un po'di piú."

Sento un palpito di eccitazione immaginando cosa puoi aver preparato per me, ringraziandoti con il pensiero, e immediatamente corro ad avvicinare il viso alle tue suole.

Lo spettacolo che mi trovo di fronte fa vacillare per un attimo il mio trasporto: le tue suole sono sporche di terra, foglie e chissà che altro. Capisco che hai passeggiato nel fango e nell'erba del parco, pregustando l'umiliazione che mi avresti inflitto una volta a casa.

Non sono cose che avvengono per caso e per esperienza so bene che quando le nostre serate cominciano così è perché hai voglia di sesso, e pur non sapendo in che modo i tuoi desideri prenderanno forma, sono pronto a servirti in un crescendo di sottomissione e adorazione assoluta fino all'orgasmo che desideri.

Mentre questi pensieri mi si agitano in testa il colpo della tua scarpa sul viso mi riporta alla realtà e automaticamente inizio a leccare la sporcizia sulle tue suole.

Lecco con passione e dedizione, pensando solo a quanto ti amo e con le mani accarezzo il dorso vellutato dei tuoi piedi che spuntano dalla scarpa. Ci vuole poco perché la bocca mi si impasti di fango e terra, mentre il lerciume lascia spazio alla fantasia delle tue suole.

La pulizia dura quasi una mezz'ora, al termine della quale asciugo la suola delle tue scarpe ormai pulite utilizzando un panno mentre tu sorridi guardandomi distrattamente mentre sembri impegnata in una chat serrata con qualcuno sul tuo smartphone.

Mi rendo conto che la tua mano sottile dalle unghie smaltate di nero è distrattamente appoggiata in mezzo alle gambe, ogni tanto, quasi impercettibilmente, le tue dita si tendono ed esercitano pressione oltre i pantaloni, oltre il cotone dei tuoi slip.

Il mio lavoro finisce con un ringraziamento e un bacio appassionato alle tue suole, come si addice a uno schiavo.

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