La viziosetta e il satiro

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Prologo, al telefono.

Mattina presto, arriva la telefonata che aspettavo.

Lisa: allora, confermato?

Io: certo.

Una pausa di silenzio riempita da una scarica di adrenalina. Poi riprendo io.

I: auto o moto?

L: auto.

I: Siena, stasera alle 6?

L: si.

I: bar Nannini?

L: chi arriva prima aspetta.

I: ti aspetterò... in questi casi "ladies first" non vale vero?

L: no.

Penso tra me "e come ti sbagli?", e Lisa dall' altra parte del telefono risponde.

L: e non mugugnare.

I: ma che leggi nei miei pensieri?

L: anche di più.

A che serve contrastare le donne? Mah, non lo so, ma non posso farne a meno. Poi riprende lei.

L: gonna o pantaloni?

I: gonna, non c'è dubbio.

L: trucco?

I: leggero, quasi niente.

L: profumo?

I: come il trucco.

L: profumo tu?

I: solo dopobarba, Acqua di Giò. Tu?

L: Compagnia delle Indie.

I: maschile, mi piace.

A stasera, a Siena.

Siena, in auto.

L' attesa, bisogna dirlo, valeva la pena. E' dolce l'attesa, porta con se degli attimi spesso unici e di intensità sconosciuta alla realtà dei momenti successivi, e la mia attesa fu abbondantemente premiata dal suo arrivo. Fortunatamente non si preannunciò con un sms, con uno squillo telefonico, con un ovvio "sto arrivando, esco dalla stazione e...", no semplicemente lei "apparve". Quello che desideravo. Bella come sempre, desiderabile, vestita in maniera non vistosa, non provocante, ma ugualmente attraente e sexy. Le sue gambe erano uno spettacolo in movimento da cui il mio sguardo a fatica riusciva a distogliersi. Facemmo un giro per la città, a piedi e senza fretta, così per sciogliere il ghiaccio. Non che ce ne fosse molto di ghiaccio tra di noi, ma bisognava pur abituarsi l'uno all'altra, no? Infine la condussi alla mia macchina. Lei rimase sorpresa nel vedere la mia MG nera, ruote e interni bianchi, bauletto posteriore arrotondato come un bel sedere di donna (io lo vedevo così). Era, quella macchina, uno dei miei grandi amori, l'auto giusta per una fuga con lei. La feci salire, montai anche io e partimmo.

I- e' una pazzia.

L- ma noi siamo un pò pazzi, si o no?

I- si, un bel pò.

La macchina andava, bella ed elegante come Lisa. Allungò le gambe snelle e lunghe nell'auto bassa proprio mentre le stavo parlando sapendo che tra un attimo avrei guardato verso di lei. Non guardai più verso di lei in generale, ma verso le sue gambe. No, ora tutto ciò non mi sembrava più una pazzia, com'è volubile e com'è debole la volontà dell' uomo! Lei muoveva quelle gambe sinuosamente, con grazia, con ingenuità e malizia allo stesso tempo. Si piegavano, si tendevano, stavano ferme, mentre io le studiavo. Era così difficile tenere gli occhi sulla strada! Sembrava una coreografia come le muoveva e, addirittura, come le teneva ferme, o quando le spostava in una maniera appena impercettibile. A volte le scostava tra di loro lasciando un po' di spazio in mezzo, spazio per la fantasia pensai io, poi le riuniva con un movimento lieve come di una marea che sale. Ho sempre amato ed apprezzato le belle gambe delle belle donne, e devo ammettere che in quel momento ero decisamente "in love" per quel meraviglioso paio di gambe. Le amo tanto che anni fa scrissi una canzone, un tango per la precisione, dedicato alle gambe delle donne, anzi al "Mistero delle gambe delle donne". Glielo dissi e lei volle ascoltarla lì, in macchina. Senza musica, ma con l' ispirazione a portata di mano e soprattutto di vista, gliela cantai dedicandola a quelle gambe, allungate splendidamente nella mia auto.

Tango del mistero delle donne, tango, tango di una notte insonne.

Sola, solo tu ti puoi guardare, ma che cosa c'è che mi piace in te un mistero è.

Tango del mistero delle donne, tango, tango di una notte insonne.

Schiavo di un mistero senza scampo, è una cosa che non risolverò, sa di eternità.

La città abbandonata.

Guidavo verso un agriturismo un pò fuori città vicino Certaldo, il paese di Boccaccio, un posto tranquillo, nella natura, l' ideale per una fuga di due pazzi in MG. Stava facendo sera, ma l'aria era tiepida e c'era ancora un po' di luce in cielo, e così decidemmo di deviare su una stradina di campagna che costeggiava un bosco di querce, così tanto per vedere cosa c'era lì dietro ed anche per aumentare il sapore dell'avventura che stava avvolgendo noi e quella giornata non banale. In auto le avevo già accarezzato quelle belle gambe nude senza calze, con gentilezza, direi con rispetto ed ammirazione, lei mi lasciava fare, divertita e lusingata dalle mie attenzioni. Non avevamo preparato nessun piano, non avevamo nessun progetto, ci eravamo solo detti: ti va di fare una gita di due giorni con me? Ma non ricordavo chi l' avesse detto per primo.

Improvvisamente, dietro una curva della stradina, ci apparve la sagoma di una casa che sembrava abbandonata o diroccata, rallentai ancora un po', poi un' altra casa, e un' altra ancora, poi una chiesetta. Finchè si delineò chiaro che davanti a noi c'era un' intera città abbandonata, fantasma, insomma una vera gost town medievale. Sembrava di essere in un film di fantasia, quelli del genere scifi, science& fiction, emozionante ed attraente! Era sera, la luce del giorno stava svanendo mentre la luna piena era già alta nel cielo estivo. La strana luce dovuta all'ora preserale dava al paesaggio ancor di più un' idea di irrealtà, mentre le case abbandonate sembravano rianimarsi per la nostra presenza e al nostro passaggio, illuminate dal chiarore della luna e dai fari della mia macchina che si muoveva piano piano. Fermai il motore e scendemmo. Chissà quale era la storia di quel posto? Abbandonato, ma perché? Quando? Un terremoto? Una pestilenza, forse proprio quella del Decamerone? I saraceni? L' emigrazione? Gli alieni? Mah... ci aggiravamo tra le casette e le viuzze deserte e vuote di tutto, ma non di un' intensa e contagiosa atmosfera, come bambini in un parco giochi, gli occhi sgranati e le bocche semiaperte per la sorpresa e la gioia di essere lì in quel momento. Poi arrivammo in una piazzetta che decidemmo essere stata la piazza principale del paese. Al centro c'erano i resti di una fontana, poi un po' più in là su una specie di basamento di marmo liscio, c'era un piano rialzato sempre di marmo che poteva ricordare un altare ed una statua ancora parzialmente in piedi e dal significato piuttosto chiaro: era un satiro danzante, su una gamba sola, con un flauto in mano.

Il Satiro.

La statua era decisamente rovinata ma, sorprendentemente, la figura del fauno era ancora riconoscibile così come l' azione in cui lo scultore lo aveva fermato. Forse in quel posto, su quella piazza, davanti a quella statua secoli fa si celebravano i riti carnascialeschi, le feste pagane, le reminiscenze dei Saturnali romani o addirittura etruschi? Perché non crederlo? Forse proprio dove eravamo noi due un tempo si ballava, si beveva, si celebravano l'amore e il sesso come atto rituale, come omaggio agli dei. Sacro e profano insieme, proprio lì. L' atmosfera era densa di emozioni e chissà forse di ricordi accumulati nei secoli, io credo nel genius loci. O magari era solo la nostra fantasia eccitata dal momento e dal luogo. Presi la mano di Lisa e le feci fare un giro intorno la piazza, come se io fossi già stato lì, come se la conoscessi bene. Lei mi lasciava fare, si lasciava guidare. Poi tornammo nel luogo in marmo dove c'era la statua del satiro. Ci fermammo per alcuni minuti mentre la luce del giorno aveva ormai ceduto a quella della luna. Una sera per i rituali degli antichi, i sacrifici pagani sugli altari di marmo, i suoni e le danze, le musiche e i giochi. E le vestali officianti, seminude ed ebbre di vino e di droghe.

L- sembra una serata da dedicare agli dei.

I- beh, una dea con me io ce l'ho, proprio qui vicino a me. E poi guarda lì, quell' alberello, un melo selvatico. Il melo era l' albero sacro ad Afrodite.

L- il Satiro ed Afrodite nello stesso posto? Strano, no?

I- forse no.

Le carezzai i capelli. Lei si strinse un po' a me. Poi Lisa posò le sue due mani sul mio petto e mi spinse un po' indietro, fece un paio di passi verso di me, mi tirò di nuovo verso di sé e si accostò finchè il suo seno premette sul mio petto. Poi scivolò giù, più giù, mentre io sentivo il suo bel seno carezzarmi il petto, la pancia, e poi ancora più giù. Finì la sua discesa e si ritrovò in ginocchio sul piedistallo di marmo, davanti ad un uomo in piedi, sicura di sé, trionfante, come se avesse ben pianificato quel movimento. Era come una dea, in ginocchio e vincente. Da lì in poi ricordo poco, ma so bene che lei impersonò il ruolo di vestale come se non avesse mai fatto altro in vita sua, come se non fosse mai stata altra persona che quella. In questa o in una vita precedente? Mentre me lo teneva nella sua bocca vogliosa, dolce, bagnata, e se lo faceva scivolare dentro e fuori, su e giù, lo carezzava, lo baciava, io sentii una musica prima, che poi divenne una canzone, un canto osceno, satiresco, un canto dai significati sessuali scoperti, arcaici e forti. Era forse il satiro che cantava? Lo credetti davvero.

Su bella vieni vieni qui, avvicinati dai così,

succhia, succhia, succhia, succhia, ciuccia, ciuccia, ciuccia, ciuccia,

senti il colpo, non mi trattengo, succhia forte che ora vengoooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!

Ssssssssswwwwwwwwwwoooooooooooosssssssshhhhhhhhhhhh.............

Venni nella sua bocca come credetti di non essere mai venuto in vita mia, un orgasmo squassante, totale, che per un po' mi rese sordo, paralizzato, assente, un orgasmo che mi prosciugò nell' interno come se avessero aspirato tutta l' aria contenuta nel mio corpo, tutti i liquidi, tutti gli umori. E tutto quello che uscì dal mio corpo entrò nel suo, come un dono d' amore, come un getto, come un flusso inarrestabile. Anche lei tremò, e infine appoggiò il suo viso su una mia gamba, come esausta. Non so quanto era durato, ma ebbi l' impressione che quel suo rito fosse durato secoli.

Lisa la viziosetta.

In camera in albergo ci sistemammo per la notte. Giocammo un po' con i nostri corpi, ma il desiderio era più quello di esplorarci che di fare altro. Senza parlarne apertamente decidemmo di rimandare quel "qualcos' altro" a domani mattina.

L- che ore sono.

I- mezzanotte.

L- allora un bacio e dolce notte, dormiamo.

I- si, dormiamo.

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