La Porta Del Paradiso

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The gate to Paradise.
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Il problema era di carattere economico.

La frequenza dell'università costituiva un onere quasi insostenibile. Nè si poteva pensare alle squallide pensioncine, con camere pluriletto e affollate, dove si gelava d'inverno e si soffocava a giugno, proprio quando maggiore era l'impegno per gli esami, dove l'igiene era argomento non molto importante. Senza parlare del cibo, anche perché cercare d'integrarlo con qualcosa portata da casa non era opportuno, non tanto per la difficoltà di conservazione, quanto perché non tutti gli altri compagni di camera avevano altrettanta possibilità.

Roberto disponeva di tutti i requisiti, intelligenza e volontà, per una lusinghiera affermazione negli studi, completati da un fisico armonico e attraente, e dalla spontanea simpatia che ispirava. Certo, non era facile staccarsi dalla propria casa, dalle cure della mamma, dal calore della famiglia, dalla ragazza. D'altra parte non poteva rinunciare all'università, a un avvenire che poteva ben essere condizionato dalla laurea.

Se ne parlò anche quella sera, dopo cena, anche con Diana e Cesare.

Diana viveva a Roma da quando aveva sposato Cesare. Era la più giovane cugina, la 'cuginetta', di Peppino, il padre di Roberto, e ogni volta che poteva, specie d'estate, trascorreva volentieri qualche settimana nella piccola città dov'era nata e cresciuta, dove aveva studiato, un piccolo centro dov'era ancora possibile vivere a misura d'uomo. Lì aveva conosciuto Cesare, un affermato avvocato della capitale, che v'era andato per un caso molto delicato.

Cesare, solo al mondo dopo aver perduto i genitori in giovane età, senza molti amici, con qualche breve storia sentimentale al suo passivo, aveva voluto accelerare i tempi. Dopo tre mesi erano moglie e marito. Lei quasi vent'anni, lui più del doppio. A Roma abitavano in un ampio e comodo appartamento ai Parioli, e lui era titolare del grande ed avviato 'studio legale Ceroni', nei pressi di Piazza Cavour, in via Vittoria Colonna.

Quand'erano in vacanza in quello che Cesare chiamava il 'paesello' di Diana, andavano spesso, quasi ogni sera, a casa di Peppino e Lavinia, e le chiacchiere duravano a lungo. Discorsi vari, spesso senza pretesa, a volte su argomenti interessanti, di attualità, che quasi sempre trovavano concordi Cesare e Peppino, non troppo distanti per età e molto vicini per il modo di pensare.

"Ho portato il discorso su 'Roberto e l'università'" -disse Cesare- "perché é stato oggetto di conversazione tra Diana e me, e siamo giunti alla conclusione che vorremmo ospitarlo durante i suoi studi a Roma. Ne saremmo felici. La nostra casa é ampia e comoda, la conoscete. Una parte é assolutamente inutilizzata e, volendo, può essere resa del tutto indipendente. Il ché é una comodità per un giovane, vero Lavinia?"

Concluse, ammiccando alla mamma di Roberto.

Mentre Lavinia stava per rispondere, intervenne Peppino:

"Cesare, tu sai quali e quante preoccupazioni abbiamo per l'università di Roberto, é argomento che trattiamo tutte le sere. Presto le vacanze estive finiranno e non abbiamo ancora deciso nulla. Non ti nascondo che ora, però, mi rimprovero di averne parlato con voi, come se avessi voluto sollecitare un vostro intervento. Vi prego credere" -proseguì con voce tremante- "che é stato uno sfogo fraterno, senza secondo fine. Per questo mi sento colpevole di...."

"Peppino" -l'interruppe Cesare- "devo fermarti, e scusami, ma devo dire a te e Lavinia, anzi dichiarare con la massima sincerità, che prima ancora che Roberto avesse conseguito la maturità Diana ed io avevamo in mente di pregarvi di concederci la sua compagnia. Siamo soli, ormai sposati da oltre dieci anni, e Roberto sarebbe un po' il nostro ragazzo. Specie per Diana che l'ha visto nascere. Inoltre c'é un punto, importante. Invece di esprimere desideri, di manifestare pur comprensibili sensibilità, mi sembra che si debba chiedere all'interessato cosa ne pensa del nostro invito. E' lui, soprattutto, che deve parlare, anche perché potrebbe pensare che il nostro egoismo, di Diana e mio, finirebbe col costituire una limitazione della sia libertà. Vogliamo assicurargli, in ogni caso, che così non é, ed é questa la chiave di lettura della mia battuta sull'ingresso indipendente."

Lavinia non resistette più.

"Ma Roberto é ancora un bambino. Perché deve frequentare l'università e perché lo vedete che ha l'aspetto d'un uomo lo fate più grande d'età di quanto non sia. Ma che ingresso libero... lui ha ancora la sua mamma che gli rimbocca le coperte, la sera, quando va a dargli il bacio della buona notte. Io non so come si sentirà lontano dalla sua famiglia, da noi..."

"A poco più di due ore di viaggio" -osservò Diana- "senza contare che ogni volta che vorrà potrà tornare a casa. Noi, certo, non pretendiamo di colmare il vuoto dovuto alla lontananza da casa, ma proponiamo di attenuare, almeno in parte, la mancanza di ciò che lascia. Vorrei sentire cosa ne pensa Roberto. ."

Peppino guardò Cesare.

"Scusa, Cesare, ma tu comprendi..."

Cesare annuì con la testa.

Peppino si volse al figlio, che era rimasto in silenzio, seduto tra la madre e Diana.

"...allora, Roberto?"

"Io" -disse Roberto- "ho ascoltato tutti con molta attenzione e nel contempo ho cercato di riassumere, se così posso dire, i dati del problema e le possibili soluzioni di esso.

Dico subito che desidero andare all'università, anche perché la mia aspirazione é di entrare in magistratura. Significa studiare molto, frequentare le più importanti lezioni, e seguitare a studiare. Di fronte a ciò c'é la difficoltà di avere a Roma una sistemazione adeguata alle esigenze dello studio, dato l'eccessivo costo che ciò comporterebbe.

A questo punto giunge la generosa offerta delle persone alle quali sono particolarmente legato, dopo la mia famiglia, specie zia Diana. La cuginetta, di cui parla sempre papà, la più piccola e cara della nidiata. In casa si parla anche dello zio Cesare, e in termini più che lusinghieri. Allora, mi sembra che la domanda che si deve porre é: accettando la loro ospitalità sarei o non sarei di fastidio ai coniugi Ceroni? Non é che limiterei, io a loro, la libertà cui sono abituati?"

"Roberto" -disse Cesare, scherzoso- "ha già la caratteristica di qualche magistrato: non ascoltare quello che dicono gli altri e non essere logici nelle conclusioni. Per fortuna sono solo pochi ad agire così, ma ci sono. Roberto non ha ascoltato, altrimenti avrebbe sentito che noi chiediamo, non offriamo. Inoltre, la logica gli dovrebbe far comprendere che se non gradissimo la sua presenza non gli avremmo chiesto il 'dono' di venire a vivere con noi, quando sarà a Roma.

Faccio una proposta: nessuna decisione precipitosa, ma dal 1^ settembre Diana ed io terremo a disposizione di Roberto la camera a lui destinata e a tavola ci sarà sempre un posto apparecchiato per lui. Il 7 novembre, data di inizio delle lezioni, se la camera non sarà stata occupata da Roberto, toglieremo il posto a tavola riservato a lui.

Un suggerimento, a Roberto: a casa, in garage, ci sono più auto che persone che le possano guidare; quindi, cerca di conseguire subito la patente.

Adesso, Peppino, ancora un bicchiere di quel frizzantino fresco che toglie la sete e mette allegria."

Peppino prese la bottiglia dal recipiente col ghiaccio, tolse il tappo, e versò il liquido ambrato nei calici trasparenti, col bordo sfumato d'un verde ambrato che esaltava le mille bollicine che salivano alla superficie.

"E' d'una annata speciale." -disse Peppino- "L'ho curato dalla scelta dell'uva alla premitura, all'imbottigliatura. L'ho seguito con amore. E adesso voglio vedere chi ha il coraggio di dirmi che non é buono."

Cesare alzò il calice, lo annusò, lo portò alle labbra. Dopo averne bevuto un sorso alzò il bicchiere e lo guardò controluce. Scosse la testa:

"No" -disse- "non é buono... é insuperabile!

Tienine da parte una bottiglia per brindare alla matricola di Roberto, a Roma, tutti insieme."

Peppino telefonò a Diana. Voleva sapere da chi era partita l'idea di ospitare Roberto. Subito dopo, telefonò a Cesare, allo studio, e fece la stessa domanda.

Forse avevano previsto una cosa del genere, e s'erano messi d'accordo, ma entrambi risposero: "noi, insieme".

Il primo ottobre, Roberto Radice giunse a Roma, atteso alla stazione delle autocorriere da Diana, con l'auto grande guidata da Biagio, l'anziano autista.

Roberto conosceva la casa, ma vi mancava da qualche anno. L'appartamento occupava l'intero secondo piano dell'elegante edificio, mentre gli altri piani erano divisi in tre comodi appartamenti.

Sul pianerottolo si aprivamo tre massicci portoncini di legno scuro che mascherava la blindatura interna. Di fronte all'ascensore, sulla porta, una lucida targa d'ottone : "Ceroni", l'appartamento di Cesare e Diana. Sulla porta di destra: "prof.avv. Cesare Ceroni" , il suo piccolo regno privato, come lo chiamava, comunicante internamente col resto della casa, dove si isolava, di quando in quando, per leggere o studiare, per ricevere qualche collega o qualche allievo della "Sapienza". Nulla sulla porta di sinistra che, del resto, s'apriva molto di rado e che immetteva nei vani destinati a Roberto. Era, in sostanza, un piccolo appartamento che, all'occorrenza, poteva rendersi del tutto indipendente e autonomo dal resto della casa.

Diana lo accolse con visibile allegria e affetto. Le sembrava buffo, però, sentirsi chiamare, all'uso meridionale, zia Diana da quel ragazzone più alto di lei.

A casa gli mostrò subito l'ampia e luminosa camera che gli era stata destinata: in un angolo, la scrivania con tutto il necessario per scrivere, un funzionale lume da tavola, telefono interno ed esterno, alcune riviste; un mobile con televisore, registratore, computer completo di CD, hi fi. Alla parete di fronte una libreria con molti volumi: narrativa, saggistica, materie giuridiche ed economiche, ecc. Il comodo divano letto, elegante tavolino da notte, una poltrona e alcune sedie completavano l'arredamento.

"Fa quello che credi, telefona a casa e digli che sei arrivato bene. Io sarò in salotto, tra mezz'ora. Si pranza alle quattordici, al ritorno di Cesare."

Uscì sorridendogli.

Roberto si guardò intorno. Aprì la porta a fianco del divano ed entrò in uno 'spogliatoio' con un grosso armadio guardaroba, uno scaffale vuoto, una scaletta di legno per accedere alla parte superiore dell'armadio e dello scaffale, un tavolino accostato alla parete, sotto la finestra.

Tornò ai suoi bagagli, li disfece, mise i libri che aveva portato con sé in una parte vuota della libreria, accese il televisore, andò nel bagno. Vasto, la doccia racchiusa in un piccolo vano a vetri, separata dalla grossa vasca. Sull'attaccapanni, sui piccoli cavalletti bronzati, v'erano l'accappatoio, lenzuolino di spugna e vari asciugamani. Il piccolo armadietto, accanto allo specchio contornato da lampadine sferiche, smerigliate, conteneva quanto poteva necessitare per bagno, doccia, per radersi elettricamente o con rasoio a lametta, per la cura dei capelli, per la pulizia dei denti. Tante piccole cose utili. Vicino alla vasca una porta, laccata bianca, dava nello spogliatoio.

Tornò in camera, sfilò il leggero pullover e la camicia. Non resisté alla tentazione di sdraiarsi sul divano, tolse le scarpe e restò con le mani sotto la nuca e gli occhi al soffitto. Si stava benone. Dal televisore giungeva una voce, monotona, che raccontava qualcosa. Senza accorgersene, forse per l'alzataccia del mattino, s'appisolò.

Erano passati pochi minuti quando si svegliò di soprassalto. S'alzò di colpo, dette una rassettata al divano. Nel bagno mise la testa sotto l'acqua fredda. S'asciugò, si ravviò i capelli, rimise la camicia e il pullover, attraversò l'ingresso, entrò nel salotto.

Diana era in poltrona, leggeva un libro.

Roberto le si avvicinò porgendole una scatola avvolta in una carta verde smeraldo, con un grosso fiocco giallo.

"Sono per te."

Diana tolse con attenzione il nastro, senza disfare il fiocco, aprì la carta senza strapparla. Quando vide la grossa confezione di gianduiotti alzò -gli occhi su Roberto.

"Così, lo sanno tutti. E anche voi alimentate la mia golosità. Grazie. Sono proprio i miei preferiti. Ringrazierò Lavinia e tuo padre."

"Veramente" -disse il ragazzo- "loro non c'entrano. Loro hanno spedito qualcosa di caratteristico delle nostre parti e un po' di frizzantino per zio Cesare. Arriveranno col corriere. Io ho ricordato quando venivo con te nel negozio di dolciumi accanto alla chiesa, a comprare i gianduiotti. Lo ricordo benissimo. Toglievi la carta dorata, prendevi un gianduiotto tra i denti e me ne facevi prendere metà dicendo che era un piccolo segreto tra noi. Non avrei mai dovuto dire, a nessuno, mai, quello che mi davi. Poi ne mangiavi l'altra metà."

Diana annuì, guardandolo con gli occhi lucidi.

"Allora" -disse- "facciamolo anche adesso, e che resti sempre un segreto tra noi."

Prese un cioccolatino, lo svolse, lo portò alla bocca, lo tagliò in due coi denti e ne porse metà a Roberto.

Lui prese il pezzo di gianduiotto dalle piccole dita di Diana, guardò fisso il segno che lei aveva lasciato coi suoi candidi denti, lo mise in bocca e attese che si sciogliesse lentamente.

Cesare tornò un po' più presto del solito. Andò prima nel suo studio, poi passò nella camera da letto a togliere il severo abito, dal taglio impeccabile, che aveva indossato fino allora e a mettere qualcosa di più comodo.

La moglie gli era andata incontro, lo aveva accompagnato in camera, ed ora tornava, con lui, in salotto.

"Grazie di essere qui e benvenuto." Disse Cesare, abbracciando Roberto. "Come vanno le cose giù da voi?"

"Grazie a voi, e ben trovati." -Rispose Roberto- "Le cose conservano la loro uniforme monotonia, sono sempre statiche e, quindi, in regresso di fronte a quanto avviene nella maggior parte delle altre città, specie al centro-nord. A proposito, papà ti manda un volume e crede che lo apprezzerai. Era di un suo avo. E' la Storia del Reame di Napoli, di Pietro Colletta, annotata dall'autore."

Gli porse il libro. Cesare lo prese, lo sfogliò un po'.

"E' veramente prezioso per me. Ringrazierò Peppino perché comprendo cosa significhi per lui separarsene.

Ma, dì un po', perché tuo padre ha fatto passare tutto questo tempo prima di mandarti a Roma? E' vero che le immatricolazioni chiuderanno tra diversi giorni, ma é sempre meglio darsi da fare. A ogni modo, per ora pensa a fare il turista. Poi, la settimana prossima, verrai in studio e uno dei miei assistenti ti aiuterà ad evitare inutili perditempo. Ti piace il tuo angoletto che ti servirà per riposare e studiare?"

"E' tutto molto bello, al di sopra di qualsiasi immaginazione." Rispose Roberto. "Se credi, potrò venire al tuo studio anche domani..."

"Domani sarò a Milano, ma spero di tornare in serata." -Interruppe Cesare.- "Perciò ti ho suggerito di fare il turista. Ma per questo mettiti d'accordo con Diana, se vuoi."

Carmelina, la figlia di Biagio, era venuta ad avvertire che il pranzo era servito. Passarono nella sala adiacente. Un tavolo tondo. Cesare aveva a destra Diana e a sinistra Roberto.

II

La mattina, splendida, confermava le incantevoli ottobrate romane.

Roberto s'era svegliato presto. Era comparso in cucina mentre Carmelina preparava le colazioni.

"Buongiorno Carmelina. Se c'é del caffè lo prenderò volentieri. E? la prima cosa che desidero, al mattino."

"Poteva chiamarmi col campanello o col telefono interno premendo il numero 9." -Disse la ragazza e, ammiccando, seguitò:- "Ma é proprio il caffè la prima cosa che desidera, al mattino?" Sorridendo continuò: "Si accomodi in salotto o in sala da pranzo, le porto subito il caffè, o vuole la colazione completa?"

"Grazie" -replicò Roberto- "prenderei un caffè qui, in piedi. Per la colazione aspetterò la zia."

Carmelina mise sul tavolo un vassoio con la tazzina, la caffettiera, la zuccheriera, il piccolo bricco del latte. Era in vena di parlare. Come sempre, del resto.

"Il professore é uscito da parecchio. Papà ha dovuto insistere per accompagnarlo a Fiumicino. Il professore dice che papà non deve stancarsi più del necessario e che lui può prendere un taxi o altro. Alla fine s'é fatto convincere da papà. Lei deve sapere, signor Roberto, che quando io sono nata, circa vent'anni fa, i miei genitori già erano al servizio del professore. Poi, mia madre si ammalò, e non ci fu nulla da fare. Io ero piccola. La signora Diana mi ha tenuto e mi tiene come una figlia, anzi é più giusto dire come una sorella per quanto é giovane e bella. Non é vero che é molto bella la signora? Sa che ho quasi dovuto litigare quando, dopo la media, le ho chiesto di farmi restare a casa ad aiutare gli altri? La signora voleva farmi proseguire la scuola, e anche il professore. Mi dissero che avrei dovuto almeno conseguire un diploma e poi avrei lavorato nello studio del professore. Ma io ho tenuto duro. Dapprima ho aiutato Cesira, adesso é lei che mi aiuta a tenere in ordine la casa. Ma parlo troppo, vero? La sto annoiando."

E la cosa sarebbe ancora durata se non avesse trillato l'interfonico. Carmelina s'affrettò a rispondere.

"Si, signora, le porto subito la spremuta. Qui c'é il signorino. Ha preso il caffè... va bene, glielo dico." Abbassò il ricevitore.

"Signor Roberto, la signora dice che se vuole prendere una spremuta con lei, o se gradisce ancora un caffè o qualcosa d'altro, l'attende nell'anticamera da letto. Venga, le mostro la strada."

Senza attendere risposta, aveva preparato due bicchieri di spremuta, su un vassoio, e s'avviava alla porta, facendo segno a Roberto di seguirla.

Era una stanza graziosa, non molto grande: un tavolino basso vicino al divano, due poltrone poco discoste, una consolle con un grosso specchio e una bellissima lampada con un paralume rosa che diffondeva una luce tenue e riposante.

Diana, in vestaglia, era seduta sul divano, i capelli accuratamente pettinati, il volto appena truccato. Vedendo entrare Carmelina e Roberto, si rivolse al giovane con un sorriso.

"Allora, Roberto, siedi qui, accanto a me, e mentre bevi l'aranciata dimmi come hai dormito la prima notte su un letto diverso da quello di casa."

"Benissimo" -rispose- "grazie. Tutto un sonno."

"E che programma hai per oggi?"

"Ecco, attendevo te per avere qualche suggerimento."

"La giornata é bellissima. L'ideale per una gita ai Castelli, a vedere l'azzurro cupo dei laghi, a calpestare le foglie morte dei boschetti. Che ne dici?"

"Non saprei da quale parte cominciare."

Rispose il ragazzo.

"Mah... se non sono invadente, potrei accompagnarti, questa prima volta, proprio per farti prendere confidenza con una realtà un po' diversa da quella finora vissuta da te."

Roberto spalancò gli occhi, felicemente sorpreso.

"Verresti con me, zia?"

Diana aggrottò impercettibilmente gli occhi, sentendosi chiamare zia. Proseguì:

"Va a prepararti. Chi fa prima attende in salotto. Io sarò velocissima, il tempo di mettere un abito sportivo e prendere un pullover."

Si rivolse a Carmelina:

"Noi saremo di ritorno per la cena. Se telefona il professore digli che siamo andati a fare una gita."

Si alzarono dal divano.

Diana dette una piccola pacca sulla spalla di Roberto ed entrò nella sua camera.

* * *

Guidava senza fretta.

Aveva voltato sulla Salaria e si avviava al Raccordo. Il traffico era abbastanza sostenuto. Bisognava fare molta attenzione, tra enormi TIR e frettolosi, impazienti, indisciplinati automobilisti che sbucavano da ogni parte. Uscirono sull'Appia Nuova. Dopo l'Aeroporto di Ciampino, imboccarono la strada per Marino. La rossa spyder affrontava dolcemente le prime salite e le curve, docile alla mano guantata della donna.

Diana aveva un cerchietto di velluto a tenerle i capelli che il vento carezzava continuamente.

Lasciarono a sinistra il bivio per Marino e proseguirono. Attraversarono la strada che collega Frascati ad Albano, s'arrampicarono ancora, giunsero a uno slargo. Diana fermò l'auto.

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