Kore

Informazioni sulla Storia
A statue of love.
3.2k parole
4
7.7k
00
Storia non ha tag
Condividi questa Storia

Dimensione del Font

Dimensione Carattere Predefinita

Font Spaziatura

Predefinito Font Spaziatura

Font Face

Carattere Predefinito

Tema di Lettura

Tema Predefinito (Bianco)
Devi Login o Registrati per salvare la tua personalizzazione nel tuo profilo Literotica.
BETA PUBBLICA

Nota: puoi modificare la dimensione del carattere, il tipo di carattere e attivare la modalità oscura facendo clic sulla scheda dell'icona "A" nella finestra delle informazioni sulla storia.

Puoi tornare temporaneamente a un'esperienza Literotica® classica durante i nostri beta test pubblici in corso. Si prega di considerare di lasciare un feedback sui problemi riscontrati o suggerire miglioramenti.

Clicca qui
ULISSE
ULISSE
18 Seguaci

C'era una gran folla, come di solito. Moltissimi turisti, qualche studente.

Paolo consultava la pianta, per identificare la sala dov'era esposta la statua che cercava. L'insegnante di storia dell'arte l'aveva tanto decantata che non poteva tralasciare di vederla.

Doveva andare nella sala XV.

Era lì, al centro. Splendida. La guardò, incantato. Era pregevolissima. Più di quanto aveva immaginato. Di là dalla descrizione e delle fotografie. Indietreggiò d'un passo, per contemplarne l'insieme. Urtò, inavvertitamente, chi era alle sue spalle. Si voltò.

"Scusi..."

Era una donna, ancor giovane, molto bella, scultorea.

Gli sorrise.

"Italiano?"

"Si, anche lei?"

"No, mio marito era italiano."

Gli andò accanto, con un delizioso sorriso sulle labbra.

Paolo l'osservò attentamente.

"Lei parla benissimo l'italiano. Ma, scusi, ha detto che suo marito 'era'."

"Infatti, è morto da sei anni. Grazie per il suo complimento, ma io conoscevo abbastanza bene la sua lingua ancor prima di sposare un Italiano. Le piace quella statua?"

"Moltissimo."

"E' Kòre, fanciulla, una giovinetta in piedi, con un manto...."

"Tipica della scultura greca arcaica."

"Bravissimo, lei è preparatissimo in materia."

Paolo arrossì leggermente.

"No, forse è la sola cosa che conosco, circa la scultura di questo paese, perché l'insegnante ha parlato di questa statua fino alla saturazione. Per questo non potevo mancare di venire a vederla. Devo riconoscere che è insuperabile."

"Sa che io mi chiamo Kore? Kore Angeli. Desidero conservare il cognome di mio marito."

Gli tese la mano. Affusolata, dita affilate, unghie perfette con un lieve smalto rosa.

Paolo la guadò sorpreso. Strinse la mano della donna con un certo calore.

"Sono Paolo... Angeli."

Lei trattenne la mano del giovane, stupita, spalancando gli occhi.

"Come?"

"Paolo Angeli."

"Nome e cognome di mio marito. Di Pisa?"

"No, di Roma."

"Ma ha parenti a Pisa? In Toscana?"

"Non credo, la mia famiglia proviene dall'Umbria."

La donna aveva preso la mano di Paolo tra le sue. Aveva gli occhi lucidi.

"E' qui con i suoi?"

"No, sono solo. Un viaggio premio, in occasione della maturità."

"Si tratterrà molto?"

"Non so. Ci sono tante cose da vedere. Vorrei visitare qualche altra città prima di tornare in Italia."

"Dove alloggia?"

"All'Akropolis."

"Solo?"

"Si, solo."

La donna lasciò lentamente la mano di Paolo. Scosse la testa, lievemente.

"Che incredibile combinazione. Esco senza una meta precisa. Trovo a parcheggiare dove a raccontarlo non sarò creduta, non lontano da Syntagma Platìa, mi avvio senza una meta precisa, entro nel Museo, mi fermo, sempre distrattamente, vicino la statua di Kore, la guardo sorridendo e pensando che è un po' la mia statua, un uomo mi urta lievemente. Incredibile: è Italiano, com'era mio marito! Si chiama Paolo Angeli, come si chiamava mio marito! Una cosa del genere non capita neppure nei romanzi di fantasia. Che ne dice?"

S'era infervorata, nel parlare, commossa. Lo prese per mano.

"Venga, dobbiamo parlare un po'. Non posso lasciarla andar via così. Le Moire hanno voluto che lei ed io fossimo qui nello stesso momento."

Sorrise.

Paolo era alquanto confuso, turbato. Gli sembrava di essere in una scena nella quale sosteneva un ruolo che non gli competeva. Seguì la donna senza saperne la ragione, senza volontà. Uscirono all'aperto, scesero l'ampia scalinata, attraversarono la strada, dopo poco, sempre senza parlare, giunsero nella gran piazza. Kore indicò i numerosi variopinti ombrelloni sotto i quali ondeggiavano pigramente delle comode poltrone a dondolo, appese ai loro sostegni.

"Venga, sediamo qui."

Presero posto sul dondolo. Vicini. S'avvicinò un cameriere. Paolo chiese alla donna cosa gradiva.

"Per me un ouzo."

"Anche per me."

"Allora" –disse Kore- "mi parli di lei. Cosa fa?"

"Le ho detto. Ho conseguito la maturità, vivo a Roma, coi miei genitori e una sorella più piccola. Ho trascorso le vacanze al mare, ed ora sto facendo questo viaggio-premio, nell'attesa di iniziare l'università, la facoltà di chimica."

"Se posso chiederle, quanti anni ha? Mi sembra così giovane."

"In effetti, non sono molto vecchio... il mese scorso ho compiuto diciannove anni."

"L'età che aveva mio marito la prima volta che c'incontrammo. Io n'avevo diciassette. Stava per entrare in Accademia. L'ho atteso per lunghi anni, prima di sposarlo. Senta, non mi consideri invadente, precipitosa, sfacciata, ma vorrei farle conoscere la mia famiglia: mia madre, mia figlia Elena, mio figlio Sandro."

Erano state portate le fresche bibite lattescenti, dal profumo d'anice. Sul tavolo, il cameriere aveva messo anche una ciotolina con dei pistacchi. Kore prese un bicchiere e lo porse a Paolo, dall'altro bevve un lungo sorso.

"Che ne dice? Abito in una villetta. In periferia, ai piedi della collina. Un luogo silenzioso, discreto, con molto verde. Vedrà... perché viene a conoscere i miei, vero?"

Lo guardò con espressione implorante.

Paolo era esitante. Poi decise.

"Si, vengo."

Volle pagare lui. S'alzarono e andarono dove Kore aveva lasciato l'auto. Moderna, italiana, ben tenuta. Paolo la pregò di fermarsi da un fioraio. Le spiegò che desiderava portare un piccolo pensiero alla mamma. Kore disse che non ve n'era bisogno, ma dovette cedere alle insistenze del giovane. La donna guidava con scioltezza. Imboccò Mesoghiòn, si fermò vicino a un grande albergo.

"Io devo restare in auto, non posso posteggiare qui. Ma la prego, solo una piccola cosa, proprio perché lei vuole così"

Paolo scese, entrò nella galleria dell'albergo dov'erano numerosi negozi e ne uscì poco dopo con un bel mazzo di fiori e una grossa scatola che recava il nome di una dolceria. Salì in auto.

"E quella scatola?"

"Per i suoi ragazzi, per farmi perdonare l'invasione."

"Nessuna invasione, saranno felici di conoscerla. Parlano benissimo l'Italiano, frequentano le scuole italiane e trascorrono almeno due mesi ogni anno con i nonni italiani."

"Che età hanno?"

"Elena dieci e Sandro otto. Il bimbo aveva solo due anni quando mio marito è precipitato..."

"Si. Il suo aereo è stato investito da un compagno di pattuglia, durante un'esercitazione. E' tornato dagli Stati Uniti in una bara avvolta in un tricolore."

Guardava fissa, dinanzi a sé, con la mascella serrata.

"Ecco, siamo arrivati."

Kore aprì il cancello premendo il comando elettronico, entrò lentamente, andò a fermarsi sotto una tettoia ricoperta di foglie. Un cane le venne incontro, scodinzolando.

La villa era molto graziosa, con un giardino ben curato, circondata da altre costruzioni consimili.

Dal retro giungevano delle voci, il leggero cigolio di un'altalena.

Kore chiamò: "Ragazzi...!"

Comparve una bella bambina, alta, aggraziata, con gli occhi azzurri e i capelli neri, seguita dal fratellino, poco più basso di lei, viso allegro, capelli castani, occhi marrone.

Corsero verso la mamma, la baciarono aggrappandosi al collo.

Kore si rivolse a Paolo.

"Venga, entriamo."

Paolo prese la scatola di cioccolatini e la dette ad Elena.

"E' per voi, mi auguro che vi piacciano."

Poi, con i fiori, si avviò verso la casa, con Kore.

Entrarono. Un ampio ingresso e, subito a destra, un luminoso soggiorno.

"Mamma... vieni, per favore."

Entrò una signora, dall'aspetto giovanile, sorridente.

"Mamma, questo signore, incontrato al museo, é... Paolo Angeli..."

La donna ebbe un sussulto.

"E questa è Athina, mia madre. Signor Angeli, posso chiamarla Paolo?"

"Certo, signora."

"La prego, mi chiami Kore."

Sorrise annuendo.

Athina si rivolse a Paolo.

"Lei si chiama Paolo Angeli?"

"Si, signora."

"Incredibile. Come il nostro Paolo."

"Mamma, offri a Paolo qualcosa da bere, io vado su un momento."

"Si, Kore, ma lo conduco nello studio, è più fresco."

Guardò il giovane.

"Mi segua, per favore."

Senza attendere risposta andò verso la porta, sul fondo. Entrò, e lasciò passare Paolo.

"Questo è lo studio del suo omonimo."

Indicò una grande fotografia sulla parete, alle spalle della scrivania.

"E' lui."

Un uomo, sui trent'anni, con la caratteristica tuta dei 'top gun'. Un bel giovane, sorridente.

Athina era raccolta in religioso silenzio. Fece un lungo respiro.

"Era bello, vero?"

Paolo assentì.

"Andiamo nel soggiorno. Gradisce una spremuta di pompelmo?"

"Si, grazie."

Tornarono nella luminosa veranda, appena ombrata dalla tenda che riparava dai raggi del sole.

Mentre Athina si allontanava, per preparare la bibita, Kore rientrò.

Indossava un elegante abito, molto chiaro, a fiori dalle tinte vivaci, bordato di rosso.

Paolo la guardò ammirandola. Era splendida: nelle forme, nelle proporzioni, nel comportamento. Occhi neri, dai riflessi metallici, capelli, corvini, che le coprivano le spalle, gambe lunghe, perfette. Andò a sedere di fronte al giovane, con un incantevole sorriso.

"Lei rimane a pranzo da noi, Paolo, la prego."

Lui cercò, inutilmente, di sottrarsi, ma quella era una comunicazione, non un invito.

"Anzi" –seguitò la donna- "le sarei grata se durante la sua permanenza in questo Paese lei volesse accettare la nostra ospitalità. C'è una camera per gli ospiti, proprio accanto allo studio. E' dotata di tutte le comodità. Mi dica di si, per favore. E' un'occasione unica, per la nostra famiglia, avere un po' di compagnia."

Paolo la guardò imbarazzato, esitante.

Lei gli prese la mano e lo fissò, commossa, con aria malinconica.

"Non rifiuti, Paolo."

"Lei non mi consente di rifiutare, se mi guarda così..."

Gli baciò la mano, con spontanea riconoscenza, mentre due lucciconi scendevano sulle gote.

"Nel pomeriggio andremo al suo albergo a ritirare ogni cosa. Non si preoccupi, penso io a tutto."

Athina portò le spremute, sedette vicino Kore.

"Mamma, Paolo accetta la nostra ospitalità, gli ho offerto la camera degli ospiti."

Athina restò silenziosa.

Kore appariva felice e serena, ringiovanita d'un colpo. S'alzò.

"Venga, Paolo, le indico la camera che occuperà. Potrà rinfrescarsi. Tra mezz'ora il pranzo sarà servito. Ho già avvertito Cristina della sua presenza. Venga."

Paolo fece un piccolo cenno del capo ad Athina, e seguì Kore.

La camera, accanto allo studio, era molto vasta, arredata con gusto, ed anche i servizi erano spaziosi e illuminati.

"Nel bagno, troverà quanto le serve. La lascio solo."

La donna uscì e chiuse la porta.

Paolo entrò nella sala da bagno, tolse la giacca e la camicia, mise la testa sotto il getto dell'acqua. Si alzò, cominciò ad asciugarsi, di fronte allo specchio, fermandosi ogni tanto a pensare. Forse avrebbe dovuto rifiutare ogni invito. Le idee erano confuse, non riusciva a focalizzare la situazione. Lui stava benissimo da solo, l'albergo era comodo, abbastanza centrale. Decise che dopo pranzo avrebbe ripreso il discorso e rifiutato l'invito. Una giustificazione gli sarebbe venuta in mente sul momento.

Tornò nel soggiorno. Elena lo attendeva.

"La mamma ha detto che resterai con noi. Che bello. Mi parlerai dell'Italia? Sai, io sono Italiana, come il mio papà. Anche la mamma ha il passaporto italiano. Vieni, Paolo, ci attendono per pranzare."

Lo prese per mano e lo condusse dove tutti erano già a tavola.

Athina gli indicò il posto alla sua destra.

"Prego."

Sedette, ringraziando.

"La nostra è una cucina un po' strana, è un misto greco-italiano. Mi auguro che le sia gradita. Anche i vini sono greci e italiani. A mio marito piaceva molto la retsìna , e a lei?"

"L'ho assaggiata ieri. Si, mi piace, è molto buona. Io, però, bevo pochissimo."

Cristina serviva in silenzio, senza fare il minimo rumore. Athina la dirigeva con lo sguardo. I ragazzi erano compostissimi.

Il tempo per il pranzo trascorse lentamente, la conversazione spaziò dalla scuola che frequentavano Elena e Sandro, ai propositi professionali di Paolo, alla situazione politica ed economica dei due paesi.

I ragazzi chiesero il permesso di andare a giuocare.

Athina si rivolse agli altri.

"Andiamo in soggiorno, Cristina ci servirà il caffè."

"Ottima idea, mamma. Poi accompagnerò Paolo all'Akropolis, a ritirare il bagaglio. Questa sera vorrei fargli conoscere un angolo della nostra vecchia città, quella al riparo dell'invasione, pur gradita, dei turisti. Una modesta cena, il nostro sirtaki. Che ne dice, Paolo?"

Athina guardò la figlia con una strana espressione, nel volto. Era difficile comprendere se fosse commozione o freddezza, tenerezza o asprezza, consenso o riprovazione. Aveva le labbra serrate, gli occhi lustri, come a trattenere le lacrime.

"Non fare tardi, questa sera, Kore. Non farmi stare in pensiero. Non sei più uscita, la sera, da quando...."

Non terminò la frase, quasi a non voler pronunciare quel nome: Paolo.

Kore si alzò e andò ad abbracciarla.

"Non temere mamma. So quello che faccio."

... ... ...

Guidava senza fretta. Ogni tanto si voltava a guardare Paolo, sorridendogli.

"Si sta annoiando, Paolo?"

"Tutt'altro. Solo che, accettando il suo invito, non ho valutato il fastidio che vi arreco, lo scompiglio che porto nella vostra quiete, nel vostro modo di vivere."

"Non scherzi. Ha visto come l'hanno accolta i ragazzi. Lei ci dona un raggio di luce, altro che fastidio..."

Stavano tornando dall'albergo.

Kore era salita nella camera di Paolo, per aiutarlo a fare il bagaglio. Si complimentò per l'ordine che vi aveva trovato. Ogni cosa al suo posto.

"Domani andremo al tempio d'Apollo. E' il mio nume preferito, e non solo per la sua avvenenza fisica. Lui è Agyieus, il protettore delle case e delle strade, è dio della morte e della luce, ma anche signore delle Muse. A volte ho la sensazione che mi parli, che mi faccia comprendere quello che m'attende, mi sento, presuntuosamente, la moderna Pizia, ma limitatamente alla mia persona, neppure alla mia famiglia. Sentii che mi spingeva verso Paolo, che poi divenne mio marito, ma non mi fece capire, o fui io a non percepirlo, che Atropo era sulla strada di Paolo. Ieri stavo leggendo alcuni versi di Pindaro, in onore di Apollo, e mi venne in mente che era tanto tempo che non andavo a salutare la mia statua, al museo, la statua di Kore. Oggi, presso quella statua, ho incontrato Paolo Angeli, lei."

Paolo pose la sua mano su quella che lei teneva sul volante e la guardò con una certa tenerezza. La donna era bella, molto bella. E dimostrava assai meno dell'età che pur doveva avere, tenendo conto dei dieci d'Elena. Cercò d'uscire da quell'atmosfera, un po' triste, che li avvolgeva.

"Come mai lei non esce mai, la sera, con gli amici?"

"Da quando lui non è più con me, lei è il primo uomo col quale mi trovo da solo a solo."

"Non ha mai pensato a risposarsi?"

Kore guardava attentamente la strada. Scosse il capo.

"Scusi la domanda. Certamente è indiscreta, ma come mai non si è sentita attratta da uomo. E' più che naturale, specie per una giovane, come lei, tanto più che non le saranno mancati i corteggiatori, così affascinante, attraente."

Si morse le labbra. Non avrebbe voluto dirle così.

Lei lo guardò. Sembrava compiaciuta. Sorrise.

"Non usi, Paolo, parole eccessive. Affascinante, non le sembra esagerato?"

"No. E' una semplice constatazione."

"Grazie per il complimento. In ogni modo, non ho avuto corteggiatori. Si afferma che in natura vi sia qualche cosa che favorisce l'attrazione, soprattutto quella fisica. Un richiamo magnetico e per molti animali un messaggio olfattivo... Io... credo d'essere priva di tutto ciò."

"Non credo. Lei effonde proprio quel qualcosa che attrae, avvince, incanta, ammalia, seduce, conquista. In una parola, affascina. Lei emana una fragranza personale che va al di là di qualsiasi pur preziosa essenza di prestigiosi maestri profumieri... "

"La smetta, Paolo, mi fa avvampare il volto con queste sue adulazioni. Che le ho fatto per meritare una simile ironia?"

Stavano oltrepassando il cancello della villa.

Paolo prese il bagaglio.

"Lasci, Paolo. Ci penserà Cristina. Andiamo in casa."

Lui la trattenne gentilmente per il braccio.

"Mi scusi, signora, ma non ho inteso essere sgarbato, e tanto meno ironico. Sono più che sincero. Forse troppo. L'ho guardata, l'ho ascoltata. E, per dirla col poeta, come mi dettava dentro sono andato significando."

"Grazie, ma sono certa che v'era del pietismo, in quello che ha detto. Compassione per la povera vedova, anche un po' lamentosa... Ha anche posto l'accento sulle distanze che ci dividono, prima di tutto l'età, mi ha chiamato 'signora'."

"No, non ho mai inteso parlare alla vedova. Non c'era. Con me c'era la donna, affascinante, ripeto, incantevole. Ho detto quello che penso, che provo, che ho osato provare. Che c'entra l'età, in tutto questo. Non volevo, le assicuro, irritarla, e per rasserenarla in proposito l'ho chiamata 'signora'. Devo essermi comportato male, ho fatto o detto qualcosa di sbagliato. Mi scusi. A questo punto credo che lei preferisca che io torni all'Akropolis. La prego di farmi chiamare un taxi."

Kore lo prese sottobraccio, lo guardò lungamente, con profonda dolcezza.

"Tutti uguali, i Paoli, tutti suscettibili. Sanno parlare, ti incantano, ti adulano fino alla lusinga, ti circuiscono, ti esaltano, sono premurosi, ti proteggono, ti fanno sentire completamente donna, come nessun altro, ma al primo stormire di foglia s'adombrano più d'un puro sangue."

Si voltò verso la villa.

"Cristina, per favore vieni a prendere il bagaglio del signor Paolo."

Sempre sottobraccio al giovane, s'avviò verso la veranda. Lo strinse un po' a sé.

"Allora, musone, mi porti a ballare il sirtaki? Sono più di cinque anni che non lo faccio."

Lui annuì, in silenzio.

Entrarono in casa.

"Vado a fare un bagno tiepido, mi vesto e tra un'ora t'aspetto qui. Preparati. D'accordo?"

Paolo annuì ancora, non riusciva a proferire parola.

... ... ...

Kore entrò nel soggiorno, dove Paolo l'attendeva. I ragazzi stavano a guardare la televisione, Athina leggeva un libro, nella sua camera. C'era molto silenzio.

La donna era avvolta in un elegantissimo abito bianco, che esaltava le curve dei fianchi e poneva in risalto la ricchezza del seno. Il lieve trucco magnificava la bellezza del volto splendente, incorniciato dai capelli che le scendevano sulle spalle. Fece una piroetta dinanzi a Paolo.

"Come sto?"

"Più bella di Venere... posso dirlo? Lei, Kore, sembra una ragazza che va al suo primo ballo."

"E' come se andassi al mio primo ballo, ma non sono più una ragazza. E tu lo confermi seguitando a darmi il 'lei'."

Fece un lungo sospiro.

"Sai che indossi un vestito molto bello? Ti sta benissimo. Ti fa sembrare più anziano. Meglio così, altrimenti farei la figura della tardona che ha rimorchiato -si dice così, vero?- Adone."

Paolo le sorrise.

"Beato Adone che attirò l'attenzione d'Afrodite."

"Andiamo, Paolo, faremo un lungo giro, per non giungere troppo presto alla "Taberna". La città è incantevole al chiarore della luna piena. E' una serata stupenda. Vieni."

L'auto procedeva lentamente. Il raggio della luna rendeva irreale l'abito di Kore, inargentava la generosa scollatura, dava riflessi d'acciaio ai capelli. Le braccia nude, alle quali la neve conferiva una calda sfumatura eburnea, sembravano scolpite da Prassitele. La donna, di quando in quando, si volgeva sorridente a Paolo.

"Non parli?"

"Evito di persistere negli errori."

"Che caratterino."

Gli fece una leggera carezza sul volto.

... ... ...

Erano rientrati da poco.

Paolo, rompendo ogni tradizione della "Taberna", aveva ordinato lo champagne.

"Ti faccio splendere troppo, Paolo."

"Non sono poverissimo. E' il minimo che posso offrire ad Afrodite."

ULISSE
ULISSE
18 Seguaci
12