Come Granelli

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In ogni modo, goliardicamente, rifletté che se era così 'bona' di giorno.... Figurarsi la notte. Certo che era 'buona'!

Salirono in camera.

"Prendi dalla valigia quanto ti serve per la notte."

Lei trasse fuori dalla sua una vaporosa camicia da notte e andò nel bagno.

"Se vuoi, Piero, puoi metterti in pigiama mentre io vado di là a cambiarmi."

Per lei era tutto naturale e semplice.

Piero era perplesso.

Come avrebbe potuto dormire, riposare, con quel promemoria erotico che sarebbe stato nel letto accanto al suo? Ma veramente credeva che era di ferro?

Non s'era soffermato, però, sul fatto che neanche Roberta era di ferro, e che un giovane stallone del genere non le sarebbe capitato mai più, forse.

Roberta si preparava lentamente, riflettendo sull'incredibile situazione che s'era creata.

Non ne era seccata. Tutt'altro.

Lei era prontissima a prendere le iniziative del caso e farsi una scorpacciata di maschio come mai aveva fatto.

Significava 'tradire' il marito se passava una notte focosa con un giovane gagliardo?

Il solo pensarci l'attizzava, e sentiva sensazioni sconosciute, la sua vagina contrarsi e inumidirsi abbondantemente.

Non aveva mai avuto un rapporto sessuale con un altro uomo che non fosse il marito.

Sarebbe stata la sua prima volta!

Sorrideva, ricordando come classificava i rapporti col marito: erano scopate d'ordinanza, quasi fossero prescritte dal regolamento militare. Ma non sempre quel regolamento era osservato nell'intimità domestica, perché non sempre ogni mattina c'era l'alzabandiera. E la bandiera maritale rimaneva floscia e ammainata.

Sarebbe stato qualcosa fuori ordinanza, come il rancio nei giorni speciali.

E ciò che stava pregustando era la particolare caratteristica di quella notte. Almeno, così sperava.

Piero aveva tolto la giacca ed era andato dietro la finestra, a guardare, attraverso le persiane, la penombra e il deserto della strada.

Roberta tornò in camera, ancora completamente vestita.

"Ho dimenticato le pantofole."

Le prese, tolse calze e scarpe, calzò le pantofole, andò vicino a Piero, che si voltò.

Così, lei senza tacchi, la sovrastava di quasi tutta la testa.

Sembrava una ragazzina, quella donnina tutto pepe, provocante, stuzzicante, eccitante.

Alzò la testa, fissandolo.

"Sei contrariato?"

"Per cosa?"

"Mah, non so, ti vedo pensoso, meditabondo. Piuttosto confuso, perplesso... Colpa mia?"

"O, forse, merito suo?"

"Non capisco."

"O non vuol capire? Le sembra regolare questa situazione? Crede che sia facile, per me?"

"E per me?"

"I giovani, almeno quelli normali, sono sempre... assetati, diciamo così. Cosa accade quando sono vicini alla fonte che li può dissetare e alla quale non possono accedere?"

"Dici?"

Roberta s'andava accendendo in volto, deglutiva nervosamente. Pensò bene di tornare in bagno e prepararsi per la notte.

Prepararsi?

Ma lei era più che pronta!

Piero decise di mettersi in pigiama, cercando di scacciare quella che ormai era diventata una 'fissa': quella donna. Era attraente, irresistibile!

Non aveva pantofole, era scalzo.

In un certo senso, le cose peggiorarono per lui, che era sempre più eccitato, quando Roberta apparve sulla soglia del bagno, in una vaporosa camicia da notte rosa, che, stagliandosi nella luce del bagno, rivelava chiaramente la sua deliziosa silhouette e che null'altro indossava che quell'evanescente indumento. Un profilo scultoreo ed affascinante.

Entrò nella camera e si mise quasi di fronte a Piero che era seduto, sempre assorto, sulla sedia accanto al tavolino.

Bellissime tette, erette e procaci. Ventre piatto, folto cespuglio d'oro antico sul pube, cosce e gambe da sogno. E quanto si vedeva delle natiche faceva pensare alle colline del piacere, al solco delle beatitudini, allo scrigno del godimento.

"Allora, Piero?"

Un'espressione angelica e provocante nel contempo.

"Crede sia semplice, per me, condividere la camera con lei?"

"E condividerne il letto?"

Alzò di colpo il viso verso la donna, mentre una scossa lo pervadeva, eccitandolo tormentosamente.

"Il letto?"

"Vieni."

Gli tese la mano, lo condusse vicino al letto.

Senza parlare, gli sbottonò la giacca del pigiama e la mise sulla sedia, gli sfilò i pantaloni, che raggiunsero la giacca, e si allontanò d'un passo per guatare, ammaliata, la vigorosa erezione del gagliardo sesso del ragazzo, svettante dalla selva di riccioli corvini.

Sarà che l'erba del vicino é sempre più verde, che i virgulti giovani che s'ergono orgogliosi verso il cielo e ti indicano la beatitudine, sono irresistibili, che non immaginava, e sperava, alla sua età, di poter avere nuove esperienze del genere, e per di più con un tale magnifico e aitante campione della natura, ma restò come paralizzata, col ventre in tumulto e le gambe tremanti.

Lasciò cadere sul pavimento il velo che la copriva.

"Vieni, Piero."

La sua voce era roca, bassa, vibrante.

Lo fece sdraiare, mentre lui tendeva le mani per toccarla, carezzarla, con gli occhi stupiti da tale splendore.

Gli fu vicina, e prese a baciarlo, sugli occhi, la bocca... mentre con sapiente esperienza, andava ponendosi a cavallo di lui, e ne stava conducendo il glande verso la palpitante vagina in attesa impaziente di essere penetrata. La dimensione e la consistenza erano lusinghiere, e lei non voleva indugiare in preliminari che avrebbero potuto condurre a una intempestiva conclusione da parte di lui.

Vi s'impalòcon esasperante ed abile lentezza, da perfetta intenditrice, e iniziò il suo dondolio che presto divenne trotto, e poi galoppo, mentre le mani di lui tormentavano le natiche e le labbra suggevano i lunghi capezzoli ad oliva.

Era resistentissimo Piero, come lei sperava, più di quanto sperava, e attendeva, con perspicace saggezza, che lei raggiungesse dimenticati orgasmi che la squassarono. Ormai non aveva più controllo. Voluttà e godimento dominavano. Estasi, la possedeva in modo delirante, incontenibile, travolgente.

L'irrompere del seme di lui, che giungeva incandescente alla bocca dell'utero, fu la scarica elettrica che la sconvolse. Il gemito si trasmutò in urlo, di vittoria, di possesso.

Piero era la prima volta che sperimentava una simile esperienza.

La genuina spontaneità di Sumi, la sua naturalezza felina, la sua semplicità, erano meravigliose, ma sentirsi fasciare il fallo in quel modo, e mungerlo con tanta maestria era qualcosa di indescrivibile, di inenarrabile. Una coppa di champagne, che ogni tanto ci vuole, e che, dopo, ti fa ancor più apprezzare il delizioso frizzantino naturale della riserva domestica, che ti dà alla testa in modo anche più inebriante.

Ognuno, a proprio modo, era entusiasta per quell'accadimento.

Maturo matura acerbo.

Il giovane ferma il tempo.

Saggezza dei proverbi orientali.

Ancora più esplicita la traduzione dall'originale di un passo del Kamasutra: Young seed in mature yoni, mature yoni for young lingam, che nella versione nostrana si può esprimere con 'seme giovane in vagina matura, vagina matura per pene giovane'.

Piero e Roberta osservavano letteralmente tale massima, e il loro entusiasmo e godimento, la confermavano senza riserve.

Roberta era estasiata e sempre più eccitata. Era lei ad aver posseduto voluttuosamente quel giovane, e se ne sentiva dominatrice.

Piero era sorpreso e incantato per il raffinato erotismo della sua esperta partner, ed era convinto di averla in suo potere.

Ognuno si sentiva vittorioso, a modo suo.

Roberta lo abbracciò teneramente possessiva, si mise supina, fremendo al lento e lungo succhio goloso di Piero che sembrava dissetare antica arsura ai suoi turgidi ed eccitati capezzoli, mentre con la mano la frugava tra le gambe, esplorandola indiscretamente ma incantevolmente.

Rimasero così per un po', poi entrambi sentirono di aver vissuto solo il preludio del loro desiderio, e, liberi ormai da ogni complesso o titubanza, iniziarono una nuova e più intensa scaramuccia.

Le belle gambe divaricate, il bacino proteso, la mano delicatamente liberò il glande dal prepuzio e lo portò alla palpitante rugiadosa vagina che l'attendeva bramosa e smaniosa.

Ancora piacere antico che si rinnovava voluttuosamente, ed estasi che li unì in una inconsueta armonia di godimento.

Quando le prime luci del giorno li sorpresero avvinghiati, con lei che sembrava ancor più minuta tra le vigorose braccia del ragazzo, avevano voluttuosamente libato ad Eros altre due volte.

Roberta aveva il volto sognante, gironzolava per la camera, cercando qualcosa senza sapere cosa. Nuda, come una incantevole ninfa silvestre.

Piero, dal letto, poggiato su un gomito, la seguiva sorridendo, compiaciuto, affascinato da quella donnina allegra e spensierata come una ragazza.

^^^

Il mattino, dopo una leggera colazione consumata tra piccole premurose attenzioni, specie di lei, dovettero dedicarsi a portare a termine ciò per cui erano venuti all'Asmara.

Durante il pranzo si leggeva chiaramente una certa impazienza, nei loro occhi, nelle loro movenze, incuranti dei possibili e probabili commenti degli astanti che osservavano con curiosità quella strana coppia, perché, anche se lei aveva un aspetto molto giovanile, la differenza d'età era evidente. Tra l'altro, in quei luoghi, e a quel tempo, la combinazione 'lei più vecchia di lui, e non di pochissimo', era pressoché sconosciuta.

Per poco non si spogliavano per le scale.

Fu saltato ogni preliminare.

Unica limitazione, quella imposta dalla natura, ma un giovane del genere e un'assatanata di quel tipo, avevano generose doti di resistenza. Specie lei, che sembrava voler fare un'abbuffata di maschio da ricordare tutta la vita.

Solo un breve intervallo, per la cena, e poi via di nuovo, fin quando era possibile. Ma mani, labbra, lingua, dita, erano validi ausiliari che, tra l'altro, fungevano da efficaci ripristinatori delle forze indispensabili.

Quando c'è un inizio c'é anche un termine o, come entrambi speravano, una inevitabile sospensione, che si auguravano di breve durata.

Fu lo stesso Raffaelli che li riportò ad Addis Abeba, e Roberta simulò ancor più insofferenza per il volo, per giustificare il suo continuo aggrapparsi a Piero, il restare con la testa sulla spalla di lui per potergli sussurrare che era stato bellissimo, che lo amava follemente, che lo desiderava ancora, e sempre.

All'aeroporto li attendeva il colonnello Rossetti, affettuoso con la moglie e cordiale con Piero.

"Spero, Piero, che tu le abbia fatto buona compagnia."

"Lo chieda alla signora, colonnello."

Roberta rispose prontamente, sorridendo.

"Perfetto, caro, impeccabile, ha prevenuto e soddisfatto ogni mio desiderio."

Prevenuto forse no, pensò Piero, ma soddisfatto lo spero.

Sono completamente svuotato.

^^^

Non era ancora ben chiaro come si dovevano affrontare gli esami universitari.

Tornare in Italia?

Si faceva balenare la possibilità che una commissione volante si recasse in AOI. La cosa, però, era fantasiosa. Bastava pensare alle varie facoltà e alle numerose materie, di fronte alla esiguità degli allievi interessarti.

In quel momento, Piero era l'unico universitario di Addis Abeba, se si escludono militari o gli impiegati civili che erano nel contempo anche studenti d'università.

Il tempo trascorreva tra libri, lezione di amarico, le piacevoli notti con Sumi, e gli incontri con Roberta, sempre rocamboleschi e sul filo del rasoio, approfittando delle visite ispettive del colonnello fuori città, le lezioni di Paola presso le suore della Consolata, e liberandosi da attendente e persone di servizio allontanati con mille stratagemmi.

Roberta, comunque, non intendeva rinunciarci.

Diceva, con pratico realismo, che non avrebbe potuto esistere senza quel vitale 'pieno di gioventù'!

Piero cercava qualche lavoretto, non per l'intera giornata, e ciò gli sarebbe servito anche come pratica professionale.

Fu chiamato da Ugo Alberti, il direttore della maggior casa automobilistica, che aveva la responsabilità organizzativa e operativa per tutta l'Africa Orientale Italiana.

"Te la senti, Piero, di fare un sopralluogo per controllare alcuni parametri indispensabili per aprire una nostra sia pur piccola rappresentanza?"

"Lo spero, ma non ho alcun elemento per rispondere con cognizione di causa."

"Ti spiegherò tutto, ma tu devi darmi la tua disponibilità."

"Dove dovrei andare?"

"Ad Harar."

Piero sapeva che il suo neo amico Aga Alexaniàn aveva dei parenti in quella città. Pensò di andarlo a trovare, aveva un piccolo negozio, con dietro un immenso magazzino, poco discosto dalla Chiesa degli Armeni.

Aga, scaltro mercante che era sempre riuscito a 'galleggiare' tra i marosi militari e politici dell'Abissinia, forte dell'esperienza atavica della sua gente, sopravvissuta alle persecuzioni ottomane e alle stragi del Mossa Dah, ascoltò con attenzione e subito intravide la possibilità di partecipare all'affare.

"Certo, Piero, devi andare ad Harar, e sarai ospite di mio cugino Jere e di sua moglie Araks. Loro sono molto conosciuti e vanno molto d'accordo con il clero locale, sia cattolico che copto. Sai anche lui è monofisita come i copti, e inoltre riesce a leggere anche il 'Bohairico' l'antica lingua dei testi della chiesa copta. Jere è un uomo saggio e astuto.

Domani già saprà che tu andrai a trovarlo."

"Ma Aga, non ho ancora deciso."

"Devi andare, Piero. Harar è bella, le domestiche di Jere sono splendide e generose. Non te ne pentirai."

Fu così che Piero, in treno e poi in autobus sgangherato, arrivò ad Harar, a 1.856 m d'altitudine, dove il clima è abbastanza temperato e molto salubre.

La città indigena, d'impronta araba, sorge su uno sperone calcareo presso le sorgenti del torrente Erer (affluente di sinistra dell'Uebi Scebeli); è circondata da mura medievali e racchiude l'antica moschea, il palazzo (ghebì) di ras Maconnen e la Missione cattolica, fondata dal cardinale Massaia (1851). Harar, la maggior città islamica dell'Etiopia, è un importante centro culturale e la regione la più vasta dell'Etiopia, la popolazione è una mescolanza di Abissini arabizzati, Galla e Somali, parlanti una lingua propria, lo hararino (gruppo semitico) nell'Hararino vero e proprio; altrove il galla, il somalo e l'afar (a nord).

Harar era già un importante centro musulmano nel xiv sec., quando la dinastia dei Walasma costituì uno Stato che cercò di contrastare l'espansionismo etiopico. Nel 1520 Harar divenne la capitale del regno che raggiunse la sua massima potenza (1527-1541) grazie a Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi, detto il Mancino. Fra il 1545 e il 1567 il regno fu invaso dai Galla, che nel 1577 conquistarono Harar; l'ultimo imam, fuggito nel deserto, fu ucciso nel 1583. La conquista dei Galla non fu mai definitiva: Harar fu occupata dagli Abissini, poi dai Turchi, dagli Egiziani e, infine, venne annessa all'Impero etiopico da Menelik nel 1887, ed ora, 1937, la capitale del governatorato omonimo.

L'accoglienza di Jere, il cugino di Aga, fu al di sopra d'ogni aspettativa.

Lui già era a conoscenza che un gruppo di operatori economici, dei quali faceva parte, con a capo un intraprendente italiano, aspirava ad assumere la titolarità della rappresentanza di quella Società per l'intero territorio della regione, ed era evidente l'importanza anche strategica di Harar, posta sulla direttrice Gibuti-Addis Abeba.

Aveva già preparato delle relazioni che illustravano, con una certa enfasi, naturalmente, le ragioni per cui era Harar la più idonea e adatta ad essere sede della rappresentanza, ma a Piero non era ben chiaro il perché il cosiddetto capocordata. Italiano, non avesse portato lui stesso quelle carte ad Addis Abeba, ad Alberti.

Non ci volle molto a capire, però, che quello che Jere voleva far passare per un 'intraprendente uomo d'affari italiano' era solo un bravo padroncino di due camion che curavano i trasporti da Gibuti ad Harar e nei dintorni.

Aga non aveva mentito in quanto all'avvenenza di quelle che non erano, i effetti, domestiche ma addette al comfort degli ospiti importanti. Belle ragazze, nel loro genere, che parlavano anche un po' d'italiano, di inglese e di francese (a seconda della bisogna), e sapevano adeguarsi alle abitudini delle persone ospitate.

Era veramente splendida quella che si presentò per aiutarlo a fare il bagno e per massaggiarlo sapientemente con una tecnica non proprio orientata al relax.

Oltre a gradire la compagnia di quella bella ragazza, cosa normalissima per un giovane sano e forte, Piero era anche curioso di avere un'esperienza con una donna di colore che non fosse la sua Sumi.

Ci sarebbe stata differenza tra una somala e una Hararina Aderé?

L'unico modo per saperlo era di accertarsene.

Accertamento sommamente gradito, perché la formosa fanciulla era una raffinata e appassionata amante, profonda conoscitrice di stuzzicanti giochino erotici, piena di iniziativa e meravigliosamente esperta nell'arte di far credere che il maschio la stava facendo morire di piacere. O forse erano anche sinceri e spontanei i mugolii voluttuosi, il fremere del grembo, gli occhi semichiusi ed estatici, l'abbandono dopo gli orgasmi manifestati senza disagio.

Comunque, Hawé era una compagna deliziosa, e molto attraente.

S'era alzata senza farlo svegliare, ed era tornata col vassoio pieno di delicatezze, da lei preparate per la colazione.

Quella specie di sciamma che indossava era sapientemente aperto sul davanti, ed offriva l'incantevole e affascinante visione della sua invitante nudità, che Piero non trascurò di omaggiare ardentemente.

Non furono necessari molti giorni per acquisire tutti gli elementi di cui necessitava. Si era rivolto anche, con molta discrezione, alla diocesi locale per informazioni sicure e obiettive.

Lo stesso col comando militare, al quale s'era rivolto con una presentazione del colonnello Rossetti.

Hawé gli aveva chiesto se avesse voluto conoscere un'altra ragazza, e si dimostrò particolarmente e calorosamente grata quando Piero le disse che nessun'altra poteva essere più bella e attraente di lei.

Dopo una movimentata piacevole notte, giunse il momento di partire.

Piero ringraziò Jere, gli assicurò che, a suo avviso, le cose potevano concludersi favorevolmente alle attese, e permise a Hawé di accompagnarlo fino al cancello dove il 'guraghe' attendeva con la valigia.

Il generoso regalo in talleri fu accettato con commozione, e quando Piero ritrasse la mano che la ragazza voleva baciare, e incurante di tutto e di tutti, la strinse a sé e la baciò sulle labbra, due grossi lacrimosi scesero sulle gote dell'incantevole Hararina.

^^^

L'intelligenza e la buona volontà di Sumi indussero Piero a condurla presso le scuole della Consolata, frequentate anche da qualche Etiope desideroso di apprendere l'Italiano.

Suor Maria Adelaide, residente ad Addis Abeba da molti anni, e pefetta conoscitrice della lingua locale, oltre che di usi e costumi, fece una lunga chiacchierata con la ragazza e, al termine, disse a Piero che Sumi avrebbe certamente tratto profitto dalla frequenza dei corsi da loro curati e che, inoltre, lei consigliava anche di farle imparare, nei limiti delle possibilità d'insegnamento, anche le principali nozioni di economia domestica e di farle conoscere usi e costumi italiani, unitamente a qualche cenno sulla gastronomia e sul come preparare i cibi italiani. Era logico che le avrebbero insegnato a leggere e scrivere la nostra lingua.

Sumi era raggiante, e seguiva con la massima attenzione quanto la suora andava esponendo a Piero, sicuramente comprendendo, perché assentiva entusiasticamente con la testa.

Piero si dichiarò d'accordo e disse che sarebbe tornato l'indomani, se il padre fosse del suo stesso parere, accompagnando la ragazza per iniziare la frequenza.

Nell'autocarro militare attrezzato al trasporto delle persone e facente funzione di 'scuola-bus' per i pochissimi italiani che erano iscritti alle scuole della Consolata, molti ragazzini guardavano incuriositi e sogghignanti quella bella giovane di colore che s'era messa sottobraccio a Piero e gli parlava sottovoce con aria raggiante e sognante.