Come Granelli

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Il tratto Addis Abeba-Asmara sarebbe stato coperto in poco più di due ore, sorvolando il Ras Dasciàn coi suoi oltre 4600 metri.

C'erano alcuni ufficiali e solo un altro civile.

Posti spartani: robusti teli come sedile e spalliera, su tubolari in ferro. Sotto di ognuno un paracadute!

La signora Roberta volava per la prima volta. Anche Piero.

Fu consigliato di sedere nella prima fila, quella che avrebbe meno risentito di eventuali vuoti d'aria.

Allacciarono le cinture di sicurezza, quelle usate per i piloti.

Sedevano vicinissimi, data anche la dimensione dei sedili, e i loro fianchi si toccavano.

Un tepore piacevole, rifletté Piero, e sbirciò le gambe e le tettine della donna che gli appariva sempre più attraente e appetibile. Forse l'istintiva gelosia di Sumi aveva ben ragione d'essere.

"Scusa, Piero.. posso darti del tu, vero? Potrei esserti mamma."

"Certo, signora, con piacere."

"Scusami, puoi darmi la mano, per favore? Ho paura."

Piero allungò la mano, Roberta la prese tra le sue e la poggiò sul grembo.

Se ne percepiva il calore, si sentiva la sodezza delle cosce, e Piero credette, o fantasticò, di avvertire i riccioli del pube al di la degli indumenti.

L'aero si trasferì a capo pista, i motori giravano al massimo, si acquietavano, e ripresero a urlare quando iniziò a rollare. Si staccò lentamente da terra e cominciò a salire gradatamente, con un uau uau dei motori che sembrava sottolineare lo sforzo di librarsi in aria, e piegandosi sensibilmente sulla sinistra.

Roberta aveva chiuso gli occhi, stringeva forte la mano di Piero e la premeva a sé, nervosamente.

"Vuole che l'abbracci, signora?"

"Si, caro, si. Sto tremando di paura."

Le passò il braccio sulle spalle e le dette l'altra mano da stringere.

Lei appoggiò la testa sulla spalla del ragazzo, sempre con gli occhi chiusi, ed aveva afferrata l'altra mano, tra le sue, questa volta stringendola al seno.

'Bello tosto', pensò Piero, e premette ancor più.

Cominciava ad eccitarsi.

Il velivolo aveva raggiunto la quota di volo, aveva stabilizzato l'equilibrio e s'era avviato a nord-est, verso la destinazione.

Anche ora che non si avvertivano sobbalzi, Roberta rimase come prima, e stringeva sempre la mano di Piero sul cuore.

L'interno dell'aereo era debolmente illuminato. Dove erano loro non c'era alcun oblò. Gli unici due esistenti erano più indietro.

Piero scese un po' con la mano che cingeva le spalle, sotto l'ascella, dove cominciava il seno e le dite accertarono che era effettivamente tondo e sodo. Non osarono andare oltre.

Roberta sembrava assopita, ma il movimento che s'avvertiva sotto le scure palpebre abbassate, non lo confermava.

Aveva un bel volto, la donna, e una carnagione fresca, priva di rughe, liscia e vellutata, senza alcuna traccia di cosmetico. Solo sulle labbra, forse, aveva passato un leggero velo di rossetto, perché erano lucide e colorite. Ogni tanto si muovevano appena, poi tornavano a distendersi. Il viso, dapprima contratto, era disteso, sereno.

Aveva riportato la mano di Piero sul grembo, accolta e sistemata proprio al congiungimento delle gambe. Piero era sempre più convinto che quello che sentiva erano i bei riccioloni che adornavano il pube della donna... e il resto.

L'eccitazione, che s'era acquietata, era tornato a tormentarlo.

Il suo pensiero andò a Sumi e a come lei avrebbe saputo deliziosamente sedarla.

Roberta sembrò risvegliarsi, alzò la testa, guardò Piero e gli sorrise.

"Credo di aver dormito."

"Si. E' stato un bene, cos' non ha pensato al viaggio."

"Ma t'ho sacrificato, con la testa sulla tua spalla. Però, se non mi sentivo sicura e protetta non avrei potuto riposare."

"Nessun sacrificio, signora, anzi."

Gli era sfuggito quell'anzi che provocò un certo sguardi di Roberta che è difficile definire. Non era, comunque, di rimprovero.

Il tempo trascorreva, il volo procedeva regolarmente.

Erano passate due ore, o poco più.

S'udì la voce di Raffaelli, dai piccoli altoparlanti sistemati qua e là: 'iniziamo la discesa su Asmara!'

Ora l'aereo si piegava ancora per disegnare un ampio 'otto' che gli consentisse di raggiungere la corretta posizione di atterraggio.

Il volto di Roberta assunse di nuovo l'espressione di panico che aveva avuto alla partenza, e lei s'abbracciò a Piero, nascondendo la testa sul petto di lei. A maggior rassicurazione, Piero le carezzava i capelli. Erano belli, lisci, biondi, con striature più scure.

Ora si sobbalzava perché le ruote avevano toccato terra, e si avvertiva qualche scossone dovuto alla frenata. I motori urlavano, poi s'acquietarono. Tacquero.

Il Capitano Raffaelli s'affacciò sotto l'arco della carlinga.

"Tutto bene?"

Coro affermativo.

Si avvicinò a Roberta.

"Lei, signora?"

Gli sorrise cortesemte.

"Benissimo, grazie. Sono io che ho il terrore dell'aereo. Meno male che ho Piero che mi rassicura, è la mia ancora di salvezza."

Raffaelli strinse loro la mano e augurò buona permanenza.

Li attendeva un auto della sovrintendeza dell'Eritrea. Una Ardita bercol, berlina-coloniale.

Sedettero. Un soldato sistemò nel portabagagli le piccole valige.

"Io ho fatto prenotare all'Hamasièn, e tu?"

"Devo prendere contatto con alcun amici di papà."

"Vieni anche tu all'Hamasien, in qualche modo ti sistemerai."

"Veramente..."

"Dai, vieni. Così non mi sentirò troppo sola. Se tutto va bene fra due giorni dovrei ripartire. Tu ne hai per molto?"

"Veramente credo che mi sbrigherò prestissimo."

"Bene. Andiamo, allora."

La città non era lontana, in breve furono nella hall dell'albergo.

Roberta disse che aveva una prenotazione.

Consultarono il registro. Confermarono.

"Camera 305, signora, nella torre, molto comoda e tranquilla, ed anche con un bel panorama."

Roberta sorrise ringraziando e disse che desiderava anche una camera per il suo giovane amico, Piero Marini.

"Spiacenti, signora, ma siamo al completo. Speriamo di avere disponibilità in serata, perché prevediamo due partenze."

Roberta si voltò verso Piero.

"Intanto, potresti mettere la tua valigia nella mia camera, e stasera ti sistemerai."

"Non vorrei esserle di fastidio."

"Ma quale fastidio. Diamo il bagaglio al fattorino."

Il giovane eritreo attendeva in disparte, prese i bagagli e disse che li avrebbe preceduti.

"Vieni anche tu, Roberto, potrai rinfrescarti."

Roberto non aveva idee molto chiare, la ma seguì, senza parlare.

In effetti, la camera era molto vasta e luminosa. Due lettini abbastanza comodi, buona mobilia, e l'adiacente bagno non mancava di nulla. Neppure di accappatoi.

L'uomo mise le valige sull'apposito sgabello, dette la chiave a Roberto e s'avviò per uscire.

Roberta lo fermò e gli dette una mancia che, a giudicare dai ringraziamenti e dagli inchini, deve essere stata molto generosa.

Prima di andar via indicò due bottiglie d'acqua minerale.

Uscì e chiuse la porta.

Roberta andò alla finestra, l'aprì, entrò un'aria abbastanza fresca e pregna del profumo che emanava la resina dei vicini alberi.

"Vieni a vedere che bello, Piero."

Piero si avvicinò.

Lei gli fece posto.

"Vieni."

Il davanzale non era molto ampio, e Piero dovette mettersi quasi di lato.

Roberta si fece un po' da parte, per fargli posto.

"Affacciati!"

Erano vicinissimi, per la strettezza della finestra, schiacciati l'uno all'altra. Lei gli passò il braccio sulla vita, per fargli ancora più posto, e così affacciata com'era, mostrava generosamente le sode tettine che erano parzialmente contenute da un piccolo reggipetto nero. I bottoni superiori della blusa erano casualmente usciti dalle asole, e lo spettacolo offerto agli occhi curiosi di Piero non poteva essere più incantevole.

Gli venne spontaneo di pensare al seno duro ed eretto di Sumi. Quello era scolpito nell'ebano, questo sembrava ricavato dal corallo rosa, chiamato 'pelle d'angelo'. Lui conosceva bene la compattezza dell'ebano ed avrebbe voluto rendersi conto di quella del corallo.

Idee peregrine che, però, lo eccitavano.

Pensò che sarebbe stato meglio se anche lui avesse cinto i fianchi della donna. Erano sodi e cedevoli contemporaneamente, Sarebbe stato bello scendere sulle natiche, ma non poteva.

Roberta aveva certamente notata l'irrequietezza della mano di Piero sul suo fianco e la curiosità che lo portava a frugare nella sua scollatura.

Fece un profondo sospiro, e retrocesse molti anni nei suoi ricordi per rammentare una situazione analoga. Quel ragazzo che era accanto a lei era anche più giovane del suo intraprendente fidanzatino, e la faceva tornare indietro nel tempo. Si, era bello sentirsi toccare così, accorgersi di destare interesse, attenzione, forse desiderio. Perché non c'è miglior elogio, più lusinghiero apprezzamento che sentirsi desiderata. Il desiderio, inoltre, è rapidamente contagioso, si trasferisce inarrestabilmente dall'uno all'altro, invade la mente e i sensi, sempre più.

Infatti, lei, donna matura, sentiva smuovere le sue viscere e irrigidirsi i capezzoli, tumefarsi le labbra che desideravano un bacio, come fosse un'adolescente. In lei era rimasta sempre nascosta l'adolescente d'un tempo, in attesa di una possibile nuova fioritura, ma s'era dovuta abituare ed adeguare al modo d'amare del suo sposo, cresciuto in un collegio militare, poi in accademia, e sempre aduso alle non mollezze soldatesche. Gentile, ed anche affettuoso, sempre compito. Ma erano gli slanci spontanei, l'incontrollato, la trasgressione quello che il colonnello non aveva.

Com'era bello quel ragazzo.

Da quel che sapeva, glielo aveva detto Paola, aveva compiuto da poco i diciotto anni, anche se ne dimostrava qualcuno in più, e in alcuni momenti sembrava timido, indeciso.

Non ora, però. La sua mano la carezzava decisamente.

Ma si rendeva conto, Paolo, della età della donna che, in certo senso, gli era stata affidata?

La mamma di Paola, la moglie del colonnello.

Una bella donna, con tanto di attraenti e stuzzicanti attributi femminili.

Allora non si diceva 'sex appeal' o 'pin up girl', ma se lo si fosse detto Piero li avrebbe certamente definiti gli aggettivi di Roberta.

Era anche strano, però, come, per la prima volta, stesse considerando una donna che aveva il doppio dei suoi anni, valutandone il fisico, la sensualità, la desiderabilità. Roberta era indubbiamente desiderabile.

Era più che l'ora del pranzo e nel pomeriggio ognuna aveva degli appuntamenti.

Nessuno, però, voleva rinunciare a quel piacevole e tenero contatto.

Fu Roberto a guardare l'orologio.

Roberta fu percorsa da un brivido.

"Si, Piero, dobbiamo pensare a mangiare qualcosa e poi dovremo andare da chi ci attende. Io mi do una rinfrescatina, e dopo puoi farlo tu."

Andò nel bagno.

Piero restò alla finestra, poggiato con la schiena al marmo.

La porta del bagno non era stata chiusa.

Si vedeva il lavandino.

Sentì lo scroscio dello sciacquone e dopo poco Roberta, in sottoveste, si mise a lavarsi il volto, sotto le ascelle. Prese l'asciugamano e cominciò ad asciugarsi, lentamente. Si chinò a controllare le calze e le magnifiche tette apparvero in tutto il loro splendore. Come sarebbe stato bello suggerle. Chissà se i capezzoli erano lunghi e duri come quelli di Sumi.

Indossò nuovamente la camicetta e la giacca del tailleur.

Uscì.

"Il bagno è tutto tuo."

Roberto avrebbe voluto chiudere la porta, ma non credette di poterlo fare, visto l'esempio della donna. Fece quello che doveva fare, ma con un certo disagio. Dopo essersi lavato indossò di nuovo la camicia, annodò la cravatta, mise la giacca.

Raggiunse Roberta, scesero al piano terreno, al Ristorante.

Il menù non era ricchissimo, ma abbastanza soddisfacente.

Parlarono del più e del meno.

Roberta gli avrebbe voluto chiedere della madre. Sapeva che era sepolta all'Asmara e desiderava conoscere se lui sarebbe andato a portarle un fiore sulla tomba.

Piero, ad un tratto, divenne alquanto pensieroso.

Spesso i pensieri non espressi si incontrano, si accavallano, come se lo stesso flusso pervadesse due menti diverse.

"Scusi, signora, io per le diciassette sarò certamente libero, perché credo che solo domattina si perfezionerà il tutto. So di essere indiscreto, ma le chiedo se l'auto a sua disposizione può portarmi fino al cimitero, a quell'ora. Mi lascia li e la viene a riprendere al provveditorato. Io mi arrangerò facilmente per tornare in albergo."

Gli occhi del giovane erano lucidi.

Roberta dovette trattenersi dall'abbracciarlo, coccolarlo.

Gli prese la mano.

"A quell'ora sarò libera anche io, se non ti sono di troppo ti accompagnerei, e pregherei anche io per la tua mamma. Possiamo comprare una pianta prima di andarvi. Posso?"

Lui assentì con la testa, senza parlare.

Roberta gli carezzò lievemente il volto.

Era l'ora degli appuntamenti.

2

Le cose si svolsero come avevano deciso. Fino a un certo punto.

Piero era rimasto in piedi dinanzi alla tomba della madre.

Roberta aveva sistemato la bella pianta, aveva raccomandato al custode di curarla particolarmente, ed ora era in un angolo, inginocchiata,a pregare.

Quando uscirono dal cimitero era ancora presto.

Per rompere quell'atmosfera, Roberta suggerì di andare al Caffè Impero, avrebbero preso un aperitivo, visto un po' di gente.

Piero si dichiarò d'accordo. Anche lui voleva vedere gente. In un certo senso distrarsi, staccarsi dai ricordi che quella visita gli avevano riportato nella mente.

Stavano scendendo dall'auto, per entrare nel caffè, quando si fermò una grossa berlina, preceduta e seguita da soldati motociclisti, armati.

Scese un signore non molto alto, grassottello, dall'aspetto bonario, andò decisamente verso loro.

"Signora Rossetti, lei all'Asmara senza farsi vedere!"

"Eccellenza, sono arrivata da poco, mi ripromettevo di cercarla domattina. La sempre così occupato. Posso presentarle Paolo Marini..."

Il generale Rozzani, già Governatore dell'Eritrea, tese la mano a Paolo.

"Lo conosco, lo conosco, è il figlio della povera professoressa Marini. Sono stato al funerale della mamma, quando ero in carica. Una grossa perdita per tutti."

Si guardò intorno. Qualcuno s'era fermato ad osservare, i motociclisti sorvegliavano, attenti.

"Non posso fermarmi molto, carissimi, loro mi comprendono, ma vi attendo questa sera a casa, per la cena, e non ammetto scuse. Alle venti. A più tardi."

Un accenno di saluto militare e risalì in auto, ripartendo velocemente.

Roberta e Piero entrarono nel caffè seguiti dalla curiosità degli astanti. Sedettero, e tutti li guardavano. Sembravano in vetrina.

Chiesero due aperitivi.

Il cameriere, ossequioso, portò anche il Corriere Eritreo, il giornale locale, con le solite notizie buoniste, filtrate e rifiltrate secondo le direttive del Minculpop, il Ministero della Cultura Popolare.

Piero chiese se lui potesse sottrarsi a quell'invito, ma Roberta osservò che non era proprio il caso. Rozzani, inoltre, era sempre cordiale, anzi affettuoso, e non meritava un gesto che poteva essere considerato uno sgarbo.

"Io devo venire con questo tailleur, perché l'altro abito, a parte che deve esser stirato, è ancora più sportivo. Ma l'ex Governatore non fa caso a queste cose, anzi non ci tiene molto all'etichetta, all'esteriorità. Vedrai che ti troverai bene, Roberto."

Tornarono in albergo per qualche ritocco all'abbigliamento, e il portiere disse che fino ad allora nessuno aveva lasciato libera una camera. Si doveva sperare.

Nessuno dei due dette peso alla notizia, né parlò di come avrebbero fatto fronte all'eventuale mancanza di posto per Piero.

Forse erano distratti, presi dall'invito che li impegnava fra poco più di un'ora, o forse pensavano a qualche altra cosa.

Salirono in camera.

"Io mi stendo qualche minuto sul letto, Piero. Se lo gradisci fallo anche tu o fa quello che vuoi."

Piero sorrise a sentire 'fa quello che vuoi', perché il suo pensiero andò subito a ciò che volentieri in quel momento avrebbe fatto!

"Perché sorridi, Piero?"

"Niente, niente..."

Lei tolse scarpe e calze, la gonna che ripiegò bene e mise sulla sedia, dove già aveva appeso, alla spalliera, la giacca.

Levò anche la camicetta e la sistemò sulla giacca.

In sottoveste, abbastanza corta, si sdraiò sul letto, senza coprirsi con la sottile copertina.

Era su un fianco, le belle e tornite gambe gradevolmente esposte e l'orlo della sottoveste, alquanto risalito, lasciava scoperta gran parte della bianca coscia fin dove cominciava il giro merlettato della culotte.

Piero la guardava, incantato, rimuginando in sé...'fa quello che vuoi'.

Avrebbe volentieri addentato teneramente il contenuto di quelle mutandine, e... proseguito.

Era meglio lasciar perdere, perché già così il pantalone stava mortificando il prepotente e impetuoso contenuto.

Andò a sedere nella poltrona da dove poteva godere meglio lo spettacolo.

Roberta si mise supina, con le mani sotto la nuca, e alzò le ginocchia, poggiandosi sui talloni.

Ora stava superando ogni aspettativa.

Piero seguitava ad arrovellarsi.

'O è una ingenua che rasenta l'incoscienza, o una furba –per non dire altro- di tre cotte. A chi vuol far credere che mi considera come un figlio. E che, a un figlio della mia età ci si mostra a gambe larghe e coi peletti che fuoriescono dalle mutandine?'

Con voce soave, serafica, imperturbabile, candida, si rivolse a lui.

"Piero, per favore, se mi addormento, massimo tra mezz'ora svegliami, ma non bruscamente, ne rimarrei agitata tutta la sera."

Non aveva neanche finito di parlare che chiuse gli occhi, e a Piero sembrò che il respiro fosse più profondo.

Si alzò lentamente, si avvicinò al letto per ammirarla meglio.

Si domandava se, dormendo, le gambe potessero rimanere in quella posizione, coi polpacci evidentemente tesi. Guardò attentamente, anche i muscoli delle cosce non sembravano rilassati.

V'era una correlazione tra quell'atteggiamento e 'fa quello che vuoi'?

Avrebbe voluto accertarsene, ma pensò che non mancava molto all'appuntamento col Governatore.

Quando fu il momento di svegliarla, posto che dormisse, si avvicinò al suo volto e le sussurrò:

"Signora... signora..."

Nulla.

Allora allungò una mano e le carezzò lievemente il volto, soffermandosi con le dita sulle labbra che sentì contrarsi.

"Signora...."

Ancora nulla.

S'abbassò, pose le sue labbra su quelle di lei, premette, le sfiorò con la lingua.

Un timido accenno di risveglio, manifestato dal dischiudersi delle labbra, come a voler sentire qualcosa tra di esse, e dal languido distendersi delle gambe.

Aprì gli occhi, lo guardò sorridendo, allungò la mano e avvicinò la bocca di lui alla sua. Sorrise ancora, cominciando al alzarsi.

"Grazie, Piero, sei davvero delicato. Grazie."

^^^

La cena con Rozzani era tutt'altro che improntata ad etichetta. C'era la moglie, e l'atmosfera era cordiale e familiare. Si parlò di come ognuno vedeva i problemi di quelle terre lontane dalla madrepatria, e di come fosse difficile mettere un po' d'ordine nei territori acquisiti da poco. Forse era stato prematuro dichiarare Vittorio Emanuele III Imperatore d'Etiopia. Sarebbe stato opportuno consolidare prima le proprie posizioni, dotare l'Etiopia di una sia pure rudimentale organizzazione di amministrazione idonea e adatta alle realtà locali. E non furono nascoste le preoccupazioni per il significa e il probabile seguito dell'attentato a Graziani.

Era abbastanza tardi quando Roberta e Piero tornarono in albergo.

Non era partito nessuno.

Nessuna camera libera per Piero.

Roberta non dette alcun segno di disappunto.

"Non preoccuparti, Piero. Nella mia camera ci sono due lettini. Dovrai solo sopportare la mia presenza, ma ti assicuro che, almeno la notte, sono buona."

Piero non seppe cosa rispondere. La guardò fissamente e notò che c'era qualcosa di enigmatico negli occhi della donna. Forse era anche a causa del vinello di Rozzani e del suo ottimo cognac.