Castellarcero

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S Doctor and a young novice.
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Castellarcero

A volte, leggere di certe vicende, può far credere che il cronista, perché di cronaca si tratta, tenda ad irridere o ridicolizzare sentimenti, a dissacrare credenze altrui, voglia divulgare malignamente eventi che qualcuno ritiene scandalistici, sottolineare ciò che i cosiddetti benpensanti, ed ambigui timorati di dio, spesso negano, negando in tal modo l’evidenza.

C’è chi ostenta disgusto se sente pronunciare la parola ‘culo’, mentre è per lui perfettamente normale parlare di deretano, sedere, posteriore, fondo schiena. Come se non ci si riferisse sempre alla stessa parte anatomica.

Lo stesso individuo arriccia il naso se gli dici che Nina e Nino scopano insieme, ma ti ascolta malizioso se spettegoli che Nino e Nina hanno una relazione sentimentale.

La ‘verità’, è noto, è sempre rappresentata, in ogni genere di arte, sempre senza veli.

^^^

Castellarcero è un grazioso centro di villeggiatura, molto frequentato, che si raccoglie attorno a un vecchio castello, un giorno fortezza, nido per molti incontri d’amore. Il suo nome, infatti, riunisce le tre cose, il castello, arce, la fortezza, eros, l’amore. Si potrà osservare che spesso castello e fortezza sono indicati con la stessa parola. Comunque, quel paese si chiama proprio così, Castellarcero.

Noi ci andavamo tutte le estati, il più a lungo possibile, nella vecchia dimora familiare, piena di ricordi, di cose antiche, di comodità sconosciute in città, e di qualche disagio. Era stata ammodernata, certo, ma, volendo, si trovava sempre qualcosa da criticare.

I villeggianti appartenevano quasi tutti a una certa élite che voleva sfuggire la calura della città e godere il sereno riposo dell’abetaia, il mormorio dei ruscelli, lo stormire delle fronde, il bisbiglio degli uccelli.

Ero certo, o presumevo, che la presenza di un medico, che godeva d’un certo prestigio, (qualcuno, addirittura, parlava di un giovane ‘luminare’) era anche ragione di sicurezza che contribuiva a frequentare il paese.

Per i paesani, la permanenza di quel medico, che tutti salutavano e riverivano, chiamandolo ‘professore’, era anche l’occasione per consultarlo, senza dovere andare in città.

Piero Paolini, riceveva tutti, sempre con la medesima cortese cordialità, ma non accettava alcun onorario dai ‘locali’, del resto suoi compaesani perché la mamma lo aveva messo al mondo proprio in quella grande casa.

Marta, la giovane moglie, conosciuta quando, biologa, faceva pratica nel laboratorio di analisi cliniche, era entusiasta di quel soggiorno. Quell’aria, poi, giovava moltissimo al piccolo Nico, che, a tre anni, trotterellava per casa, viziato dai genitori, ma soprattutto dai nonni.

Piero aveva allestito un moderno laboratorio, al piano terreno, dove passava parte delle giornate, a ricevere pazienti ed amici, a leggere il giornale.

Fuori dell’ambiente medico, o dell’Università, gli era difficile vivere.

Amava, però, anche le passeggiate nel bosco, dissetarsi alla fonte limpida e fresca, giocare con Nico, metterselo a cavallucci e portarlo a vedere gli scoiattoli e gli altri animaletti del bosco, o mostrargli i funghi che nascevano sotto gli alberi.

Quando tornò a casa, con Nico, per la cena, Marta, che non li aveva accompagnati per preparare una delle cose che più piacevano al marito (insalata mista e frittata ripiena, nonché torta di frutta), gli disse che avevano telefonato i suoi genitori, alquanto preoccupati, informandola che Bianca non stava troppo bene e necessitava di un opportuno periodo di riposo e cure.

Bianca era la sorella di Marta, che lui aveva visto al matrimonio e solo un’altra volta, per poco. Era andata a scuola dalle suore, aveva deciso di rimanervi e di intraprendere la vita religiosa, sperando di essere assegnata ad una missione, del terzo mondo. A meno di diciotto anni, conseguita una brillante maturità, aveva intrapreso il periodo di noviziato, e contemporaneamente gli studi sociali. Dopo altri due anni, il mese prima, aveva abbracciato la ‘professione temporanea’. Ora, a venti anni, senza che la famiglia avesse mai avuto sentore che potesse necessitare di cure, la Superiora Maggiore le concedeva di assentarsi dalla comunità, per cure e riposo.

Piero ascoltò attentamente, e disse subito di essere certo che a Bianca avrebbe fatto benissimo un soggiorno a Castellarcero. Se necessario, sarebbe andato lui, o meglio loro, a prenderla.

Marta telefonò subito ai genitori, comunicando il parere e l’offerta del marito, ed essi, ringraziando il genero, si dissero che non speravano tanto, e che l’indomani avrebbero pensato loro a condurre Bianca a casa della sorella e del cognato. Quale migliore soluzione, conclusero, che un periodo in quel delizioso posto, sotto le cure di cotanto clinico!

Piero non ricordava bene la sorella di Marta.

Attendeva un tipo scialbo, forse vestita di scuro, con abiti senza stile e senza gusto. Con o senza occhiali? Lui associava la suora, la religiosa, a una persona asessuata, neutra, incolore.

Era quasi mezzogiorno quando l’auto del suocero entrò nel grande cortile, si fermò. Marta corse ad abbracciare i genitori. Piero era rimasto nello studio, spiucchiava da dietro le tendine. Dall’auto scese una giovane, alta, slanciata, vestita con un abito sportivo, di ottimo taglio, capelli castano chiari sulle spalle. La gonna, alquanto plissettata, e il giubbino di pelle non consentivano altri accertamenti. Non la ricordava proprio, Bianca.

Quella, dunque, era una ‘professa’ temporanea, una che voleva divenire missionaria. Chissà dove.

Ilda, l’aiuto domestico, scese a prendere il bagaglio della signorina, avviandosi a salire le scale, Marta bussò allo studio del marito.

“Piero, sono arrivati, vieni?”

Piero uscì dallo studio, era in pantaloni di lanetta, camicia a piccoli quadri e un leggero pullover. Salutò cordialmente il suocero, baciò la suocera, si rivolse alla ragazza che lo guardava con un simpatico aperto sorriso. Notò subito che era un po’ pallida.

“Tu, dunque, sei Bianca. Se ti avessi incontrato non ti avrei riconosciuta.”

Bianca gli si avvicinò, affettuosamente, lo baciò sulle guance.

“Ciao professore.”

Piero pensò subito che una ragazza del genere era proprio sprecata come suora. Ora che la esaminava più attentamente, constatò che sprizzava femminilità da tutti i pori. Come si poteva fare a porre fuori dal normale consorzio umano simile dono della natura? Mah!

Saliva le scale dinanzi a lui. Le pieghette del vestito non riuscivano a nascondere il sederino nervoso che si muoveva incantevolmente.

Si sorprese a rimproverarsi: Piero, è una ragazzina, di fronte a te, ed è tua cognata. Inoltre, è una suora, consacrata alla perfetta continenza.

Era proprio quella la cosa che non gli andava giù, abbinare quel gran tocco di… alla continenza. Innaturale. Si, contro le leggi della natura. Ma quale regola poteva pretendere una forzature del genere!

Ma guarda cosa mi passa per la testa. A me, primario ginecologo e ordinario di diagnostica. Mi sto proprio rincoglionendo. Tutti questi arzigogoli per una ragazzina, anche se evidentemente idonea a incondizionati…servizi.

Erano giunti nel tinello.

Marta chiese ai genitori se volessero darsi una rinfrescatina o preferissero prima bere qualcosa. Una bibita, un aperitivo, un caffè. Bianca chiese di andare in camera, li avrebbe raggiunti dopo essersi sciacquata il volto. Il padre chiese un caffè e la madre optò per una bibita. Piero gradiva un aperitivo. Marta si avviò per preparare quanto avevano chiesto e disse alla sorella di seguirla, le avrebbe mostrata la camera, dove avrebbe trovato quanto necessario, oltre la doccia.

Il suocero si rivolse a Piero.

“Non trovi che Bianca non stia troppo bene?”

“E’ un po’ pallida, ma non mi sembra che si affatichi nel salire le scale. I suoi movimenti sono agili, coordinati. Marta mi ha detto che fa anche dello sport.

Non sapevo che in convento fosse possibile, e non vi nascondo che sono rimasto sorpreso del suo moderno e spigliato modo di vestire, dei suoi capelli lunghi e curati…”

“E’ un ordine al passo coi tempi che vuole inserirsi e operare nella realtà in cui si vive. Anche la loro attività missionaria è tesa, sì a diffondere la parola di Gesù, ma anche ad aggiornare le menti, a renderle capaci di recepire la trasformazioni sociali che investono il mondo intero. Marta, come sai, segue studi proprio in materia. Ma cosa dici, riuscirà a migliorare?”

“Veramente non so se sia affetta da qualche patologia ed eventualmente quale. Devo procedere ad una accurata anamnesi e ai necessari esami. Ma così, a prima vista, non direi che ci siano cose serie. Lei cosa lamenta?”

Intervenne la madre.

“Dice di sentirsi stanca, astenia, di notare, a volte, una leggera febbricola, e di avere, ogni tanto dei doloretti alla parte bassa dell’addome. Sente un malessere generale che non sa descrivere bene.”

Piero ascoltava attentamente, e andava elaborando un suo pensiero medico che, però, non espresse perché voleva procedere come aveva detto.

Marta e Ilda stavano entrando con un vassoio sul quale quanto era stato chiesto.

In quel momento tornò anche Bianca. Senza il giubbotto.

Piero notò le tettine che premevano nella blusetta. E rafforzò i suoi apprezzamenti e le sue osservazioni di prima. Quanta grazia di Dio sprecata!

Ormai, l’aveva già bella e spogliata cogli occhi.

Il suo bel visetto era un po’ pallido, sì, anche perché non conosceva alcun cosmetico. Era una ragazza acqua e sapone. Forse la piccola bocca, a forma di cuore, avrebbe richiesto un po’ più di rosso. Ma sarebbe stato più gradevole baciarla senza lo smaccato burroso del rossetto. Chissà se aveva mai baciato qualcuno. Un bacio passionale, s’intende.

Rimasero d’accordo che l’indomani mattina l’avrebbe visitate.

Prima avrebbe fatto un prelievo venoso per alcune analisi che riteneva necessarie. Marta le avrebbe eseguite.

Ora si doveva pranzare, poi un riposino, quindi la passeggiata, la cena.

Il prelievo sarebbe stato fatto prima di colazione.

Fissarono la visita per le nove e trenta.

Piero disse ai suoceri che avrebbe avuto piacere se si fossero trattenuti qualche giorno, ma risposero che sarebbero ripartiti il pomeriggio successivo, dopo aver saputo il parere di Piero sulla salute di Bianca. Lui, il suocero, aveva fissato una sessione di lauree e non poteva mancare.

Marta fu precisa, rapidissima , indolore nel prelevare da Bianca il sangue che serviva per le analisi. Il marito aveva consigliato di fare una ricerca ematica abbastanza approfondita per stabilire se vi fosse dell’anemia ed eventualmente di che tipo. Del resto, Marta sapeva bene cosa fare.

Piero aveva fissato un’altra visita per le otto e trenta, e trovò la paziente già in anticamera quando, quando, puntualissimo, scese nello studio. Dopo poco più di mezz’ora era libero, e si mise a leggere la rivista inglese che gli era stata recapitata quel mattino.

Bianca fu anche lei puntuale. L’infermiera le disse che il Professore l’aspettava e la fece subito entrare.

Piero si alzò, andò incontro alla cognata, le mise una mano sotto al mento e le fece alzare un po’ la testa. La scrutò bene, abbassò una palpebra per accertarsi del colore della mucosa. Tornò a sedere dietro la scrivania. Fece accomodare la ragazza, di fronte a lui.

“Adesso, cara Bianca, devo farti molte domande. Qualcuna ti potrà sembrare anche indiscreta, ma servono tutte per conoscerti bene e facilitare la diagnosi, dopo, logicamente, un esame obiettivo. Pronta?”

“Prontissima.”

Era serena e quasi sorridente.

“Hai sofferto di qualche cosa particolare da bambina, oltre le solite patologie dell’infanzia?”

“No, solo qualche recidiva nel mal di gola. Niente di importante.”

“Bene. C’è un medico nel vostro Istituto?”

“Una volta alla settimana, o se chiamato, viene il vecchio dottor Rocchi. E’ in pensione da qualche anno, ma le suore hanno molta fiducia in lui.”

“Sei stata visitata da lui?”

“Più o meno.”

“Puoi spiegarti meglio?”

“Lui guarda la gola, gli occhi, poggia lo stetoscopio sulle spalle, sul petto, in genere sui vestiti, e conclude sempre con un ‘benissimo’ rassicurante. Se prescrive, il ché avviene raramente, qualche farmaco dice che è per precauzione.”

“Capisco. A che età hai avuto la prima mestruazione?”

“Poco prima dei tredici anni.”

“Sono regolari?”

“Abbastanza.”

“Dolorose?”

“Qualche volta?”

“Abbondanti?”

“Beh.. credo di si…”

“Cosa accusi, dolori, sensazioni, altro…”

“Mi sento un po’ debole, astenia, poca voglia di fare qualcosa, e a volte accuso dolori nella parte bassa dell’addome.”

“Temperatura?”

“Qualche febbricola, ma non spesso.”

“Fastidi nella minzione?”

“No.”

“Appetito?”

“Ti dirò, che oggi, dopo tanto tempo, ho molto gradito la colazione. In Istituto cerco sempre di saltarla.”

“Bene. Ora vai dietro il paravento, ti spogli…”

“Completamente?”

“Completamente. Indossi il camice che trovi nella busta di plastica, se hai la vescica piena la vuoti nel bagno che è al di là della porta che vedrai, e torni qua.”

Sorridendo gli chiese se poteva tenere le scarpe.

Piero rispose che le avrebbe tolte salendo sul lettino.

Dopo pochissimo, Bianca ricomparve, nel largo camice, privo di bottoni, trattenuto solo da due grosse fettucce che ne accostavano i lembi.

L’infermiera, intanto, aveva disteso sul lettino una nuova strisciona di carta speciale e aveva posto a piedi un lenzuolino bianco, appena tolto dall’involucro igienico, più volte piegato. Si era accertata che fosse tutto a posto, strumentazione, provette, ecc.

Piero le disse che poteva andare. L’avrebbe chiamata se necessario.

“Ora, signorina, a sedere sul lettino. Sdraiati, apri il camice, copriti col lenzuolino. Sono subito da te.”

Mentre Bianca eseguiva, lui aveva calzato i guanti di latice.

“Seduta.”

Lei si mise a sedere, il lenzuolino cadde sulle gambe. Lasciando libere due tettine veramente graziose, ben sviluppate, color latte, e col capezzolino che le sovrastava come una fragola.

Piero pose l’orecchio direttamente sulle spalle, la fece tossire, respirare profondamente. Stessa operazione sul petto. Poi prese lo stetoscopio e l’appoggiò sotto la mammella sinistra, di lato, in più posti, spostando delicatamente la tettina che aveva trasformato la fragolina in un rosso lampone.

“Giu.”

Bianca si sdraiò.

Lui abbassò il lenzuolino, palpò il ventre, il pube, si soffermò nei quadranti esterni, spinse, chiese se le procurasse dolore.

Bianca rispose che si, un po’ di dolore quando premeva li e li.

“Bene. Ora devi avere pazienza ma dobbiamo proseguire la visita. Devi scendere un po’ col bacino, poggiare le gambe su quegli appositi sostegni semicircolari, e sopportare le mie intrusioni.”

“Devo restare con le gambe spalancate?”

“Certo, cognatina, è quella che si chiama la posizione ginecologica. Mai sperimentata?”

“Mai. Scusa, ma è la prima volta che mi capita, in assoluto. Ed è anche la prima volta che sono svestita dinanzi a un uomo.”

“Al medico…”

“Certo…. Certo… scusa.”

Piero l’aiutò a mettere le gambe sugli appoggi. Sedette sullo sgabello, prese l’apparecchio per l’esame endoscopico, l’accese. Di fronte a lui, il boschetto dei peli biondi, tanti e folti, della ragazza, le grandi labbra appena dischiuse, lo spettacolo d’un giovane splendido sesso.

Per pensarlo lui, che ne vedeva tanti! Ogni giorno.

“Adesso, Bianca, devo ispezionare l’interno. Non proverai alcun male, non c’è pericolo di nulla. L’apparecchio è sottilissimo, non ti darà fastidio.”

Lei non rispose.

Con la sinistra divaricò le piccole labbra, introdusse cauto, l’endoscopio. Sul monitor ne seguì l’esplorazione, attenta. Si soffermò sulle pareti, rosee, senza alcun segno patologico. Proseguì fino al collo dell’utero. La sinistra, più o meno inavvertitamente, sfiorò il piccolo clitoride che ebbe un sussulto. Le pareti vaginali reagirono.

“Ferma, Bianca, per favore.”

“Non sono io.”

Nulla rilevò di particolare.

Piero decise di fare il prelievo per il Pt, il Pap test. Tolse tutto e prese l’apposito scovolino, minuscolo, per raccogliere le cellule.

“Ora, Bianca, sentirai come una lieve carezza interna. Ferma.”

Fece tutto rapidamente.

Ripose lo scovolino nell’apposita custodia. L’avrebbe data a Marta.

Rimase a guardare le gambe aperte della ragazza.

Sentiva la voglia di affondarvi il volto, di baciarla, di lambirla con la lingua.

Ed il suo fallo non rimaneva insensibile. Il camice nascondeva tutto.

Poco professionalmente, con la mano aperta carezzò la vulva bionda, la percorse con un dito, titillò maliziosamente il clitoride. La ragazza non era insensibile. Si accorse che aveva gli occhi chiusi e si mordicchiava un labbro. Come se fosse necessario, insisté più volte in quella manovra. Un principio di masturbazione… Lasciò… L’aiutò a togliere le gambe dagli appoggi. Sfilò i guanti.

“Puoi scendere e rivestirti. Abbiamo finito. Sentito dolore? Fastidio?”

“No… no… nulla di tutto questo.”

Dopo pochi minuti Bianca riapparve, vestita, Un po’ rossa in volto.

“Allora, Professore?”

“Credo che si tratti di una lievissima forma di anemia. Le analisi ci diranno di che si tratta. C’è un leggero risentimento annessiale, ma una settimana di antibiotici specifici lo farà sparire. Faremo anche il Pap test, ma solo per scrupolo, così pure una cultura del secreto vaginale per eludere presenza di micosi.”

“Hai prelevato tutta questa roba?”

Piero sorrise divertito.

“Poche cellule e un campionino di mucosità.”

“Posso andare via?”

“Aspetta che vengo pure io. Desidero un caffè.”

Tolse il camice. Aprì la porta, le fece segno di precederlo.

Le dette una pacca sul sedere.

‘Affettuosa e confidenziale’, pensò lei. Ma ricordava anche quel non spiacevole fregamento col dito esplorante.

‘Un culo meraviglioso’, considerò lui. E già pensava come rivederlo al più presto.

^^^

Piero era abituato alla razionalità, all’analisi, a riflettere e solo dopo giungere a conclusioni.

I dati erano questi.

Lui, affermato clinico, ordinario universitario, simpatico, senza arie ‘baronali’, grande maestro e prezioso collega, era anche molto corteggiato, un po’ dovunque. I suoi modi cordialmente cortesi mettevano a proprio agio, attraevano. Buon conversatore e miglior ascoltatore. Elementi impagabili nella sua professione. Le sua clientela privata apparteneva, in genere, alle classi privilegiate e ricche: età dalla pubertà alla… tomba. In ospedale il suo atteggiamento non mutava. Pagante o meno, chi aveva bisogno della sua opera aveva le stesse premure, le stesse attenzioni. L’unica cosa che differiva, è che in ospedale faceva anche qualche carezza affettuosa, confidenziale, che sentiva bene accetta. Molte altre donne, pazienti, colleghe, collaboratrici, le avrebbero gradite ugualmente, ma di diversa natura e in differenti circostanze.

Ogni giorno era alle prese con femmine: giovani, vecchie, belle, brutte. E ne conosceva attrattive e ripugnanze anatomiche. Da fichette quasi implumi a vagine slabbrate, uteri prolassati. Anche i culetti erano oggetto di attenzione, professionale o meno.

L’esplorazione rettale, a volte indispensabile, altre eseguita per eccesso di scrupolo, o curiosità paraprofessionale, evidenziava varie reazioni. Dal fastidio della ‘prima volta’, che cercava di attenuare con opportuni massaggi dall’altra parte, ad aduse sensazioni, più o meno piacevoli. In materia, cercava sempre di evitare lo spettacolo di tumefazioni emorroidarie che, malgrado il mestiere, lo disgustavano.

Marta era una gran bella donna, nel fiore degli anni, di entusiasti e rispettabili appetiti sessuali che faceva gagliardamente fronte alla evidente virilità del marito. Una coppia nel pieno della gagliardia. Quarant’anni lui, e ben portati, una fiorente donna, poco più che trentenne, che poteva ben considerarsi un gran bel pezzo di…

Ora, improvvisamente, si eccitava per una ragazzina di nemmeno vent’anni. Indubbiamente carina, anzi bella, e anatomicamente perfetta.

ULISSE
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