Awah

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Love in New Zealand.
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Non ero molto soddisfatto del come erano andate le cose.

Sapevo, ancor prima di arrivarvi, che era un tentativo che non aveva molte probabilità di un proficuo 'ritorno', già sarebbe stato accettabile se avessimo raggiunto un pareggio tra investimento e risultato. Del resto, però, non era un grande impiego di denaro.

Era la prima volta che mi trovavo a Wellington, una città moderna e ospitale.

All'aeroporto di Ronciotai, poco distante dal centro, non più di dieci chilometri, trovai un cortesissimo funzionario del Ministero dell'Industria. Mi accolse con uno smagliante sorriso, e mi disse che avevano provveduto a prenotarmi un comodo soggiorno al 'Mercure'. Un prestigioso albergo, in effetti, e con tutti i comforts.

Mr Matura era uno splendido campione della razza maora e, nel contempo, un perfetto gentleman brillantemente addottoratosi in una delle più prestigiose università dell'UK.

Mi informò che l'indomani ci sarebbe stata una riunione, presieduta dal Ministro in persona, con i rappresentanti delle maggiori industrie che potevano ritenersi interessate agli interventi che poteva assicurare la società che rappresentavo. Si andava dal carbone del Waikato, di Ohai, alla bentonite di Porangahau e Coalgate, alla centrale geotermica di Wairakei, alla siderurgia di Glenbrook, alla fonderia di Aramoana, alla raffineria di Marsden Point. A Wellington, il centro industriale era nel sobborgo di Lower Hutt.

La riunione, dopo la mia esposizione e dopo aver risposto a numerose domande, fu aggiornata all'indomani, nel pomeriggio, per dare il tempo di riflettere su quanto era stato detto.

Nella seconda seduta, raccolsi un vasto consenso e un rilevante interesse . Saremmo intervenuti con dei tecnici per identificare i problemi, stabilirne le possibilità di soluzione, i costi, i tempi. Il gruppo partecipante avrebbe rimborsato un 'forfait' a rimborso di qualsiasi nostro onere. La somma era più che sufficiente e le prospettive si presentavano lusinghiere.

Mr Matura mi suggerì, trovandomi li per la prima volta, di dedicare un po' di tempo alla conoscenza del loro paese. Cosa che feci, in pochissimi giorni, solo superficialmente, ovviamente, affidandomi ad una agenzia turistica che mantenne le promesse fatte.

Ero rientrato al Mercure, andai a ringraziare la graziosa impiegata del turismo e notai che sul desk c'era una bellissima fotografia con la scritta 'visit Samoa'. La ragazza, accortasi del mio interesse, mi offrì una pubblicazione su quell'isola.

"Dovrebbe visitare Samoa, che vuol dire 'centro sacro' non lo dimenticherebbe mai. Perché non profitta di andarci da qui? E' molto vicino, considerato quanto sia lontano, invece, il suo paese."

Sfogliavo l'opuscolo.

La ragazza incalzò.

"Posso organizzarle una breve gita. L'Air New Zealand la porta all'aeroporto di Faleolo, sull'isola Upolu, poco discosto da Apia, la capitale. Una mia collega penserà a farle visitare quanto di più bello e di caratteristico può offrirle Samoa.

Può scegliere tra il classico Agge Grey's Hotel, alla foce del Vaisagano, e il prestigioso Coconuts Beach Club, andando in una overwater fale, speciali bungalows su palafitte, con pavimenti di trasparentissimo vetro. Salvo che, invece, non voglia assaporare qualcosa di più 'locale', prenotando un 'fale' tradizionale, sulla spiaggia, senza nessuna pretesa né, naturalmente, aria condizionata."

"Lei cosa consiglierebbe?"

"A me piace vivere tra la gente locale e al loro modo. Io sceglierei un 'fale' adottato dall'uso comune."

"Mi ha convinto. Il tutto, però, non deve superare i tre giorni."

"Mi dia il tempo per mettermi in contatto con i miei corrispondenti di Apia. Tra due ore le darò la risposta, la chiamerò io."

"Non si disturbi, sarò qui tra due ore."

"Tofa..."

"Cosa ha detto?"

"Tofa. Ciaio, in samoano."

"Ah... allora, tofa."

Quando tornai era pronto tutto. Partenza l'indomani, presto...early in the morning...

Awah, la guida, mi avrebbe atteso all'aeroporto.

Andai al bar in attesa della cena. Volevo dare uno sguardo alla documentazione che mi aveva fornito l'agenzia.

Lo Stato Indipendente delle Samoa comprende due isole maggiori, Savaii e Upolu, e sette isolette 200mila abitanti. Capitale. Apia (nell'isola di Upolu),.popolazione in massima parte di ceppo polinesiano (Samoani) e di religione protestante

Queste le notizie schematiche. Il resto, speravo, me l'avrebbe detto Awah, la guida.

Facemmo scalo ad Auckland, dove salì anche un rumoroso gruppo di obesi e attempati statunitensi, uomini e donne, sfoggiante le più improbabili e fantasiose tenute esotiche che si possano immaginare. Grasse risate, abbondanti assaggi di alcolici. Il viaggio non presentava particolari attrattive: sempre sul mare e con delle isole, di quando in quando, che, da quell'altezza, non dicevano un granché.

Aeroporto di Faleolo, splendide giovani che attendevano i visitatori con lunghe collane fiorite. Mi guardavo in giro. Una ragazzina, di età imprecisata, molto androgina, con un piccolo grazioso visetto incorniciato da lunghi capelli neri, mi venne incontro sorridente.

"Sono Awah, Mr Martini, la sua accompagnatrice, benvenuto nelle isole Samoa. Ci attende un'auto. Mi dia il biglietto, l'autista ritirerà il bagaglio."

Dunque, quella era Awah, la guida.

La guardai meglio. Mi sembrava giovanissima, direi anche troppo per il mestiere che diceva di fare. Forse ero un po' severo, nel giudizio, ma a me piacciono le donne che mostrino la loro femminilità anche esteticamente. Comunque, dovevo sperare di non restare deluso dalle sue doti di guida. Anzi, lei aveva detto 'accompagnatrice'.

Quando salimmo sull'automobile, mi chiese se desideravo che lei sedesse al mio fianco o davanti, accanto all'autista.

"Vicino a me, la prego, anche per parlare meglio."

Ringraziò con un sorriso e venne a sedere al mio fianco.

"Ho saputo, Mr Martini, che lei preferisce un fale tradizionale, sulla spiaggia. Ha fatto benissimo, è l'unico modo per vivere al nostro modo. Il luogo è incantevole, pochi fale, in piccolissimi gruppi, abbastanza lontani tra loro per rispetto della privacy. Io sarò in quello immediatamente adiacente al suo.

Lei deve dirmi se preferisce trascorrere il breve soggiorno visitando i dintorni o godendo una vacanza samoana."

"Lei cosa suggerisce?"

"Io sono Samoana..."

"Capisco, mi affido a lei."

Aveva una voce calda, carezzevole.

Le sue gambette non erano magre ma perfette nella loro proporzionalità al resto del corpo sottile ma non gracile. Nel 'lavalava' (mi disse che si chiamava così quando mi complimentai per l'elegante e semplice sarong che indossava) s'intravedevano due acerbe tettine provocantemente appuntite. Non era una 'ragazzina', come l'avevo giudicata appena incontrata, era una giovane flessuosa fanciulla. Poi, saputo che aveva anche il suo bravo 'degree' conseguito in Inghilterra, decisi che era una simpatica ragazza, anche se, ripeto, il mio tipo doveva essere un po' più in carne.

Giungemmo al 'fale beach corner' il luogo dove era stata prenotata la mia sistemazione. In fondo, c'era una capanna abbastanza modesta, con un letto sormontato da una sottile e trasparente zanzariera, servizi che definirei essenziali. Il vantaggio era che sorgeva a pochi metri dalla riva del mare, in una incantevole piccola baia, con palme che andavano quasi a sfiorare l'acqua.

"Se non le piace, Mr Martini, c'è l'alternativa degli Hotel."

"Poiché desidero seguire il suo consiglio, vivere alla moda samoana, va bene qui."

"Io sono in quel fale."

Mi indicò una analoga costruzione a meno di venti metri.

"Se non vorrà consumare i pasti presso una delle piccole trattorie gestite dai locali, posso preparare io quello che desidera o potrà andare in uno dei tanti ristoranti turistici alla moda."

"Questo lo decideremo poi."

"Adesso, credo, vorrà rinfrescarsi e mettersi in libertà. In piena libertà: Bastano sandali, pantaloncini e camiciola. Di cotone, possibilmente. Io sarò di ritorno tra mezz'ora, con una speciale bibita. Tofa."

"Tofa."

Trassi dal bagaglio, che intanto era stato portato nel fale, quello che mi serviva, mi accertai che la doccia gettasse acqua, che ci fosse di che asciugarsi, mi svestii, lasciai che l'acqua mi carezzasse, e con l'asciugamano intorno ai fianchi andai sul piccolo terrazzino dinanzi all'ingresso. Lo spettacolo era veramente incantevole, naturale. Nessun sofisticato grande albergo avrebbe potuto assicurare un siffatto semplice modo di vivere. L'uomo e la natura.

Sulla battigia passò una robusta donna con un bambino in braccio. Mi sorrise, mi gridò qualcosa, mi sembra 'talafa'.

Con passo leggero e ondulato, che ricordava l'incedere cauto della tigre, Awah veniva verso me, sempre sorridente, con un vassoio sul quale era una caraffa, con del liquido lattiginoso, e due bicchieri.

Mi venne in mente di dirle 'talafa', come mi aveva gridato quella donna, dalla battigia.

Mi guardò divertita.

"Talafa... ma come fa a saperlo?"

"Me l'ha detto una donna di passaggio."

"Bravo, vuol dire 'salve', 'alò'. Le ho portato da bere."

Riempì un bicchiere, me lo porse. Lo portai alle labbra, curioso ma alquanto diffidente. Lei mi guardava, Era ottimo, gradevole. Glielo dissi con l'espressione del volto, degli occhi.

Mi accorsi che aveva tolto il 'lavalava'. Indossava un gonnellino fiorato e una specie di reggiseno che, in sostanza, era una stretta fascia che s'annodava sul dorso. Guardandola mi ricordi d'aver letto, non chiedetemi dove, che un seno è perfetto se può essere contenuto nella mano dell'uomo che lo accarezza.

Awah, allora, aveva un seno perfetto!

Il gonnellino le fasciava i fianchi. Mi era sembrata, appena incontrata, che non fosse abbondante di fianchi. Non lo era, infatti, ma ci si rendeva conto che poteva sfoggiare un culetto niente male che, a quanto si poteva vedere, era perfettamente sferico e scattante.

Mi chiese se desideravo un massaggio. Risposi che, almeno per il momento, non ne sentivo la necessità.

Mi offrì di visitare la dimora di un 'matai' il capo di una comunità, e mi spiegò che, nel paese, ve ne erano circa duemila, sparsi nei quasi quattrocento villaggi.

Avremmo dovuto attendere sull'uscio che il matai ci invitasse ad entrare, mi sarei dovuto sedere sulla stuoia che egli mi avrebbe indicato, in una posizione che avesse nascosto i miei piedi, tipo yoga. Altrimenti li avrei dovuto coprire con la stuoia più piccola. Non è educato mostrarli. Mi sarebbe stata offerta la 'kava', caratteristica bibita locale. Non potevo rifiutare. Lei, Awah. In un primo momento sarebbe stata in disparte, con le altre donne, e solo successivamente, con le stesse, avrebbe partecipato alla piccola riunione di benvenuto. Nessuna preoccupazione, il matai parlava inglese. D'accordo?

Le dissi di si e lei mi rispose che 'si', localmente, si diceva 'ioe'.

Saremmo andati dal 'matai' a sera, dopo l'intervallo per la preghiera, periodo osservato scrupolosamente dalla maggioranza della popolazione.

Occupammo il resto del tempo andando a curiosare nelle botteghe artigiane, e successivamente a vivere un po' della vita della capitale, di Apia. Troppo affollamento, a mio avviso, di 'turisti per forza'.

La visita al matai fu molto interessante.

Una ritualità arcaica che diceva del reciproco rispetto, verso l'ospite e verso il padrone di casa, dei ruoli familiari secondo il loro concetto: complementarità dei sessi ma affermazione del primato del maschio nel ruolo della società. Fummo gentilmente sollecitati ad accettare un invito alla loro mensa: cibi locali, logicamente, dei quali Awah mi diceva i nomi, tutti dimenticati. Poi uno spettacolo di danze, maschili, di ispirazione marziale, e femminili, dalle movenze maliziose, suggestive, invitanti, promettenti, sensuali.

Ancora un giro di kava, la bibita, e poi un gran salutare e tanti tofa...tofa.

I nostri fale non erano molto distanti da quello del matai, li raggiungemmo abbastanza rapidamente, lungo la spiaggia, con la luna che dava argentei riflessi alla schiuma che si frangeva sulla riva.

Sedemmo dinanzi al fale che occupavo io, sulla rena ormai raffreddata.

Era bello guardare il mare, in silenzio, girare lo sguardo e incontrare la silhouette delle palme, sentire le nenie struggenti che il vento portava di quando in quando...

Il corvino dei capelli di Awah aveva assunto sfumature metalliche, la luna metteva in risalto il suo profilo, le ombre lo esaltavano. Era leggermente sdraiata, poggiata sui gomiti. D'un tratto si alzò, fece ondeggiare la testa. Tolse il reggiseno e lo avvolse intorno al capo, a contenere i capelli. Le sue tettine si stagliavano prepotenti verso la luna che le baciava. Fece cadere sulla sabbia il gonnellino, il perizoma. E la luna le sfiorò le piccole natiche sode, le inargentò il piccolo lungo prato scuro tra le gambe. S'avviò, correndo, verso l'acqua. Vi si immerse come se eseguisse un rito misterico, si allontanò nuotando. Corsi alla battigia. Era li, apparendo e scomparendo. Poi, s'alzò, si apprestò ad uscire dal mare, splendida Venere di paesi lontani che sorgeva dalla spuma, e venne verso me. Mi prese per mano, senza il minimo disagio.

"Non vuole fare una nuotata? L'acqua è deliziosa."

Volli partecipare a quel rituale, mi liberai dei vestiti e sempre tenendoci per mano tornammo tra i flutti.

Quando tornammo a riva, bagnati, era sorridente, ci avviamo al fale, così, con naturalezza. Ci fermammo sul terrazzino, con la luna che ci spiava, e sentii l'impulso irrefrenabile di baciarla. Quel cosino minuto era tra le mie braccia. Dovevo chinarmi su lei. La strinsi per sentire pungermi dai suoi piccoli capezzoli, e il mio sesso, che andava irresistibilmente eccitandosi, incontrò quel serico bosco che lo stava imprigionando.

Entrammo.

Mi venne, in quel momento, di pensare alle considerazioni del kamasutra. La mia mole robusta non era indicata per la minutezza di Awah. The horse non deve unirsi alla deer.. Il cavallo non si unisca alla cerbiatta. Non ero sproporzionato in confronto agli uomini della mia stessa corporatura, ma era la mia corporatura non opportuna ad Awah. Sentii una voce ricordarmi il principio della impenetrabilità dei corpi...

Eravamo, intanto, sul non ampio ma accogliente letto.

Quella deliziosa bambolina si era posta a cavallo a me, che giacevo supino, e si manteneva sorretta sulle ginocchia. Il mio fallo eretto le giungeva fin quasi all'ombelico... Non sembrava affatto preoccupata e tanto meno intimorita dall'evidenza dei fatti.

Si sollevò, guardandomi con un inebriante sorrise sulle labbra e negli occhi, prese tra le dita la testa del mio fallo e la puntò decisamente tra le sue grandi labbra, all'ingresso della sua piccola e rorida vagina. Inspirò profondamente, con gli occhi chiusi, il capo rovesciato indietro, i lunghi capelli che carezzavano la mia pelle, quasi in estatico raccoglimento, come se si preparasse a un atto di devozione, a una cerimonia sacra. Cominciò a espirare, piano piano, e nel contempo ad abbassarsi, lasciandosi impalare, con infinita lentezza fin quando la lunghezza della sua vagina non poté continuare oltre e il piccolo collo del suo utero non sentì il turgore del mio glande.

Restò ferma, come a voler centellinare quel contatto, come se il fremente suo musetto interno non volesse cessare di baciarlo. Ero avvolto in una guaina palpitante. Le mie mani cercarono il suo seno, le sue natiche.

Cominciò una voluttuosa danza, col ventre palpitante in interminabili ondate che si riflettevano all'interno, in un magico massaggio, incessante suggere, mungere, che proseguì anche dopo il suo lungo gemito orgasmico che raggiunse toni frenetici allorché il seme, che troppo a lungo avevo trattenuto in me, si riversò nel suo sussultante grembo.

Cadde su me, esausta.

Era incredibile che, così piccola, così apparentemente fragile, avesse potuto accogliermi in lei, deliziosamente. Il mio sesso, incantevolmente imprigionato nel suo grembo, non poteva ammorbidirsi perché la stretta impediva il deflusso del sangue. Sentii che a poco a poco andava liberando il suo prigioniero, come marea che lentamente si ritira. Si sdraiò al mio fianco, incantevole, e non mi stancavo di carezzare la sua pelle liscia e vellutata.

"Awah, è stato bellissimo. Non avevo mai provato tale sensazione. E non immaginavo che tu, piccola bambola deliziosa, avresti potuto accogliermi in te."

"Siamo noi che dobbiamo controllare il corpo. L'unico limite devono essere le leggi della natura. La nostra volontà deve prevalere. Cosa avrebbe potuto ostacolare la realizzazione del mio desiderio? Nulla, se non il pregiudizio, l'infondata prevenzione. Da me può nascere mio figlio, e la sua testa sarebbe certamente più voluminosa del tuo pur considerevole sesso. Così come la volontà favorisce tale uscita da me, la stessa volontà deve consentire la penetrazione in me. Tutto qui. Elementare."

Quel contatto, quelle parole, avevano un effetto eccitante.

La mia mani la carezzava delicatamente tra le gambe dischiuse.

Le fui sopra, e questa volta fui io a premere il mio turgido glande tra il roseo delle sue piccole labbra.

Niente, era maledettamente angusta, non dava alcun segno di cedimento malgrado gli umori che distillava ne testimoniassero il desiderio.

La guardai cercandone le reazioni.

Mi sorrise, rassicurante. Chiuse gli occhi. Un lunghissimo respiro e, come il bocciolo si schiude al primo tepore del sole, si rilassò consentendomi di insinuarmi in lei, in un crescente fremito di voluttà. Fu ancora più bello, più appagante, corrispondeva abilmente alle mie prepotenti spinte, le assorbiva con evidente godimento, le incitava, provocava, assecondava. Fin quando il suo piccolo corpo non vibrò come la corda di un'arpa, per esplodere nella più ardente passione che possa mai immaginarsi.

Temevo di schiacciarla con la mia mole, per quanto cercassi di non appesantirmi su lei, ma lei mi stringeva a sé, inebriata e languida, per non perdere un attimo del suo piacere.

La sua giovane freschezza rinnovava le mie forze, le adeguava alle sue esigenze.

Sarebbe ripetitivo raccontare quante volte, dove e come, rinnovammo il sempre bramato incontro dei nostri corpi, quanto saziamo i nostri appetiti, come a voler memorizzare quegli istanti, per inciderli per sempre nelle nostre menti.

Quando, purtroppo, mi riaccompagnò all'aeroporto, le chiesi se ci saremmo rivisti.

"Masalo..forse."

Al mio ritorno al lavoro, fui assalito da mille domande, specie sulla rapida visita a Samoa.

Il mio autista era tra i più curiosi, e si reputava un conoscitore di quella terra.

"Ho visto un documentario, ingegne', ammazzate come so' brutte le donne, tutte ciccione, sembrano tanti lottatori di sumo."

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ULISSE
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