Ancì

BETA PUBBLICA

Nota: puoi modificare la dimensione del carattere, il tipo di carattere e attivare la modalità oscura facendo clic sulla scheda dell'icona "A" nella finestra delle informazioni sulla storia.

Puoi tornare temporaneamente a un'esperienza Literotica® classica durante i nostri beta test pubblici in corso. Si prega di considerare di lasciare un feedback sui problemi riscontrati o suggerire miglioramenti.

Clicca qui
ULISSE
ULISSE
18 Seguaci

"Sei stanca?"

"Aidellèm, no."

"Ti piace il lavoro che fai?"

"Aò, si. Conosco gente, imparo lingue, viaggio."

"Monique, invece, é molto stanca."

Nascose un risolino malizioso dietro la piccola mano affusolata.

"Perché ridi?"

Disse di non far rumore. Si levò i sandali e m'invitò a fare altrettanto. Si alzò, mi prese la mano, col dito vicino al naso mi fece il gesto di star zitto. Mi condusse sul retro della casa, sotto una finestra socchiusa. Era la camera da letto di Monique, dalla quale trapelava un tenue chiarore, e giungeva un gemito, lungo, insistente. Mariàm indicò la finestra. Mi alzai in punta di piedi, per guardare nella camera. Non appena gli occhi superarono il davanzale, scorsi, dapprima confusamente, poi sempre più nitida, la figura scura e lucida del poderoso sedere di Lebèn che s'alzava e s'abbassava ritmicamente tra le gambe di Monique che gli imprigionavano la schiena nera. Dalle labbra della donna veniva un mugolio voluttuoso, sempre più profondo, sempre più roco. Quando Lebèn affondò una poderosa spinta conclusiva, lei esplose in un lungo grido di completo appagamento, appena soffocato.

Ancì s'era accoccolata, con le labbra strette.

Le tesi le mani e l'aiutai a rialzarsi, mi misi al suo fianco, tornammo sulla panchina.

"Ti piace Lebèn, Mariàm?"

"No, non farei mai nik nik con lui."

"Nik nik?"

Sorrise.

"Raccontano i nostri vecchi che quando Italiani volevano fare amore con donna di Addis Abeba, dicevano in cattivo dialetto Ancì nik nik alle? Volevano intendere: donna c'é fottere?"

"E cosa succedeva?"

"Donna rispondeva yellem, non c'é, marito ascari Makallè!"

"Tutto finiva così?"

"No, uomo insisteva: Ancì, ant carta, alle?"

"Che significa?"

"Per una carta, cinque lire, ci stai? Lei rispondeva, Aò, si, marito morto Makallé. Tutto durava solo qualche minuto."

"Molto squallido, vero Mariàm?"

"Che significa squallido?"

"Misero, senza piacere, senza soddisfazione."

"Forse a uomo piaceva, o forse no. Italiani molto strani. Volevano che donna succhiasse il loro sesso, dicevano: Ancì fare cazz-caramell. Donne abissine hanno imparato da Italiani. Tu hai visto Monique? Anche lei vuole fare quello con Lebèn, ma lui ficca subito, e basta. Lei molto, come dire, molto nikeuse, capisci? Lei lo farà anche con te prima di finire il viaggio. Andiamo a vedere ancora. Vieni, Giorgio."

Andammo di nuovo sotto la finestra di Monique. Mariàm si sollevò sulla punta dei piedi per spiare, ma non giungeva al dvanzale. L'afferrai per i fianchi e la sollevai. Era quasi seduta sul mio petto, ne sentivo il tepore, il tremito che mi trasmetteva. Per sorreggerla meglio, spostai le mani sulle cosce, sul grembo sodo. Non riusciva a star ferma. M'accorsi che indossava solo lo sciamma. Mi fece capire di voler scendere. Scivolò pian piano, carezzandomi col corpo, mentre le mie mani scorrevano sul suo seno. Sbirciai anch'io. Monique, carponi sul letto, volgeva le natiche a Lebèn, e lui aveva ripreso a stantuffare con rinnovato vigore, lucido, questa volta di sudore, mentre la donna si dimenava freneticamente.

Stavo alle spalle di Mariàm, eccitatissimo. Lei era in preda a un tremito incontenibile. La circondai col braccio, cercando di infilare la mano nello sciamma. Sentii i capezzoli rigidi, scesi in basso, incontrai il rado crespo del pube, il pulsare incontenibile dell'esuberante prominenza che s'ergeva tra le turgide labbra del suo sesso. La titillai dolcemente, mentre si strofinava a me, con le labbra socchiuse, gli occhi estatici, le mani sulla mia mano a guidarne il muoversi sempre più convulso. Fu un orgasmo lento, lungo, liberatorio.

"Vieni a letto con me, Mariàm."

"Aidellem, no. Non adesso. Se vuoi ti mando Danak."

"Danak?"

"Lei non proprio sciarmutta, ma va con bianchi. E' bella, hai visto? E' brava a letto."

"Io non voglio Danak, voglio te."

La strinsi a me, forte, perché comprendesse il mio desiderio.

"Tu, Giorgio, adesso non dolce, come Mariàm vuole. A domani. Arrivederci, tienà unù."

Rimasi solo, pensando a Danak, al suo corpo statuario, immaginando il suo sesso, rosa scuro tra gambe d'ebano. Decisi di andare in camera. Forse, una doccia avrebbe riportato in me l'equilibrio che cercavo. Non fu facile addormentarmi, e nel sonno agitato m'assaliva la visione di Monique, Mariàm, Danak, nude, invitanti e sfuggenti. Soprattutto Mariàm.

Dopo un nuovo rapido giro in città, e alcuni interessanti incontri procuratimi da Monique, con esponenti locali della finanza, della politica, dell'informazione, ci trovavamo di nuovo a cena, la sera precedente la partenza.

Quelle donne mi turbavano, ognuna a suo modo. L'elegante figura di Mariàm, e la sua desiderabile freschezza. La carnalità di Monique e la cupidigia che sfavillava nei suoi occhi. L'ambiguità di Danak e l'allettante lusinga dei suoi fianchi le cui movenze erano eccitante promessa.

Monique m'invitò ad andare verso il mare, dal quale ci saremmo allontanati velocemente l'indomani. Indossava un leggero vestito avana, con gonna ampia e generosa scollatura, sandali bassi dello stesso colore. C'era una grossa luna bianca, velata dall'umido della sera. Mariàm mi guardò con un lieve sorriso sulle labbra. Danak era intenta a sparecchiare, con andatura felina, ostentando sotto il mio naso le floride tette nere che erompevano provocanti dall'ampia blusa. Lebèn non s'era visto. Era andato a visitare la sua fidanzata, in un villaggio vicino.

"Andiamo, Giorgio?"

"D'accordo, andiamo."

Salimmo in auto, uscimmo dal cancello, percorremmo poche centinaia di metri, e ci fermammo a pochi metri dall'acqua, su un tratto deserto, dov'era solo una vecchia baracca per riporre, forse, degli attrezzi. Monique spense il motore. Scendemmo. L'aria era immobile.

Monique tirò fuori dalla vettura una sedia pieghevole, con fondo e spalliera di tela, la portò vicino a me, l'aprì.

"Siedi, Giorgio."

"E tu?"

"Preferisco la terra."

Sedetti, lei si mise vicina, poggiando le braccia sulle mie gambe.

"E' tanto, sai, che non sto così."

Mi carezzava, piano. Parlava adagio, sottovoce, come in un confessionale, interrompendosi di quando in quando.

"A volte non resisto alla tempesta dei sensi, devo placarla. E' come attaccarsi, avida, assetata, ad una bottiglia qualunque, alla prima che capita, senza scegliere. Me la scolo tutta, d'un fiato, spesso me ne faccio un'altra. L'arsura si quieta, ma resta l'amaro di una sbornia presa con qualcosa di disgustoso, e si sta male per giorni."

Era seduta in terra, di fronte a me, con le mani bollenti che m'esploravano teneramente. S'alzò, si mise sulle mie ginocchia, e mi circondò con le braccia posando il capo sul petto. Sospirò profondamente.

"E' dolce, Giorgio. Tienimi così, come se fossi la tua bambina, ta petite. Berce moi. Cullami."

La strinsi a me, dondolando lentamente, canticchiando un'antica berceuse che ricordavo. Mi carezzò il volto, mi baciò sulla guancia, come una bimba. Aveva, certo, qualche anno più di me, era abituata ad un'attività dura, faticosa, impegnativa, a difficoltà d'ogni genere, ma in quel momento era solo un esserino indifeso, desideroso d'affetto, di tenerezza.

S'addormentò tra le mie braccia, col pollice in bocca.

Rimase così a lungo, forse sognando perché sul suo volto s'alternavano mille espressioni.

Quando riaprì gli occhi, mi guardò come se non mi avesse mai visto, tolse il dito dalle labbra. Mi guardò ancora.

"Oh, Giorgio. Merci, Giorgio, merci. Ho sognato d'essere bambina, di dormire sul cuore del mio papà. Che giovane papà sei, mon petit trésor."

Guardò l'orologio.

"Mon Dieu, quanto ho dormito. Ti ho stancato, vero?"

La carezzai.

"E' stato bellissimo, Monique, averti tra le braccia, ascoltare il tuo respiro, sentire il tuo profumo, cullarti come una deliziosa bambola palpitante di vita."

"Forse non avevo dieci anni l'ultima volta che sono stata così, che mi sono sentita così sicura, protetta, che mi sono abbandonata come questa sera. E' un regalo che non potrò dimenticare mai, Giorgio. Grazie."

Mi baciò con slancio.

La mia mano era sotto la sua gonna, sulla carne liscia, serica, e la carezzava, quasi inavvertitamente. La bambina stava lasciando il posto alla donna, alla femmina. Le ricambiai il bacio con calore, che divenne ardore, piacere, desiderio. Sentii le sue natiche contrarsi.

"Giorgio, al Djibouti Hotel, ho una suite per gli ospiti che non voglio a casa mia. Fammi dormire ancora tra le tue braccia, questa notte, come non ho mai dormito da quindici anni."

Tornammo a casa che iniziava ad albeggiare.

Tutto era avvolto dal massimo silenzio, e per non turbarlo eravamo entrati a motore spento. Ci attendeva una lunga faticosa giornata. Dopo una non meno spossante nottata.

Monique era attaccata al mio braccio, col viso incantato, lo sguardo svagato, sognante. Le sfiorai le labbra con un bacio.

"Volevi dormire tra le mie braccia, ma non l'hai fatto."

"Qui dort ne gagne rien, chi dorme non piglia pesci. Credo che tra le tue braccia non sia facile dormire e, soprattutto, non ne valga la pena."

"Fra poco partiremo insieme, andremo insieme, Monique, é bello."

"C'est plus beau ... arriver ensamble. E' più bello... arrivare insieme, venire insieme. Ne ho appena fatta l'esperienza. Non é pour t'aduler, mon cheri, ma non avevo mai, mai, provato sensazioni del genere. Minette est voluptueusement heureuse et satisfaite, pour la première fois dans sa vie. Si, Micetta é felice e soddisfatta, per la prima volta nella vita."

Mi baciò appassionatamente, portando la mia mano su Minette.

S'udì una porta che s'apriva. Ci ritirammo nelle nostre camere.

Dopo poco, mentre ero ancora sotto la doccia, Mariàm, che non avevo sentito bussare, comparve già pronta per il viaggio.

"Ora della partenza, monsieur."

E gettò uno sguardo sul letto, che avevo avuto l'accortezza di disfare.

Una rapida colazione, e prendemmo la lunga strada per Nuovo Fiore. Solo dopo lunghi chilometri d'assolata pianura, passata Aiscia e il confine con l'Etiopia, affrontammo il resto della strada che ci avrebbe condotto a Dire Dawa, a 1200 metri sul mare.

Un grosso centro, con qualche interessante attività, come un moderno cementificio, e fiorente commercio di caffè e cotone. L'albergo era discreto, abbastanza pulito e confortevole. Ci attendeva un uomo di colore, che indossava una specie di divisa coloniale, e che, in un angolo della hall, ebbe un lungo e concitato colloquio con Monique. La donna venne verso il divano dove attendevamo Mariàm ed io. Era visibilmente seccata. Disse di non aver neppure il tempo per lavarsi il volto. Doveva subito andare a Harar, la terra di Ras Makonnen, del Cardinale Massaia, l'Abuna Messia degli Etiopi, per tentare di rimuovere gli ostacoli burocratici che tenevano fermi mezzi e merci, per un notevole valore. Chi aveva bloccato tutto pretendeva un certo compenso. Lei era sicura che il suo biglietto da visita, sa carte, avrebbe sistemato tutto. Se l'altro aveva qualche esigenza particolare, non aveva che spedire la richiesta. Sperava di essere di ritorno entro quattro o cinque ore. Noi potevamo cenare senza lei, ovviamente, perché, in ogni caso, si sarebbe fatta notte inoltrata. Si allontanò con l'uomo che era venuto ad attenderla.

Mariàm sorrise scettica, e osservò, ironica, che l'assenza di Monique sarebbe stata abbastanza lunga, almeno tutta la notte. Osservò, sarcastica, che Monique si sarebbe spogliata e avrebbe detto all'interessato "voici ma carte", e se quello avesse evidenziato il suo desiderio lei lo avrebbe invitato a "le mettre à la boite", a impostarlo. Fece una risatina significativa.

Mi avvicinai a Mariàm, le passai il braccio intorno alla vita.

"Chose promise, chose due. Ogni promessa é debito. Tu mi hai promesso..."

"Non ti é bastata la scorsa notte? Devi essere stanco, hai dormito durante tutto il viaggio. Anche Monique ha dormito. Mindfalligall anté? Cosa vuoi?"

Le lambii l'orecchio. La sentii pervasa da un brivido. Le sussurrai:

"Voglio te... Mariàm alle?"

La sua voce era esitante, tremante, affannosa, roca.

"Aò, si. Je tiendrai ma parole. Manterrò la promessa. Aspettami, dopo cena, nella tua camera."

Avevo lievemente attutita l'illuminazione della stanza. Il biancore del letto era riflesso dagli specchi, in un gioco caleidoscopico di forme. Dalla finestra semichiusa filtravano i rumori della città.

Nell'albergo non c'erano accappatoi, né io ne avevo nel mio ridotto bagaglio. Rimasi in shorts. Mi sdraiai sulla poltrona. Accesi la radio. Trasmetteva una caratteristica nenia locale. Lenta, struggente, come un'invocazione.

La porta s'aprì lentamente, Mariàm sgusciò dentro, senza far rumore, avvolta nello sciamma candido. Venne a sedersi di fronte a me, su una specie di panchetta ricoperta di cuoio.

Le tesi le mani. Le prese. L'attirai sulle mie ginocchia. Mi guardò con una certa apprensione negli occhi.

"Giorgio, devo darti una delusione."

Aggrottai la fronte, interrogativamente.

"Non sono quella che tu pensi. Ti chiederai perché sono qui. Perché mi sei piaciuto subito, mi hai attratto, affascinato. Le tue carezze, inattese ma desiderate, mi hanno portato nel più alto dei cieli del piacere e nei miei occhi é rimasto l'arc-en-ciel, l'arcobaleno. Sono felice d'essere con te, ma tu non sarai contento di me."

"Perché dire una cosa simile? Io sono in paradiso solo a sentirti così. Sei una ragazza di sogno, incantevole. Sei il dono più sospirato che si possa sognare."

"Giorgio, io voglio donarti, dedicarti, quello che una donna può dare, offrire, una sola volta nella vita. Je suis vierge. Sono vergine, e non sono infibulata.... le tue dita deliziose lo hanno constatato."

Le presi il volto tra le mani e la guardai intensamente.

Annuì con la testa. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

"Mariàm, bambina bella, se non vuoi..."

Si strinse a me.

"Giorgio, io voglio, io ti voglio, ti desidero, non vedo l'ora d'essere tua, di averti in me, di sentirmi invasa, fecondata da quello che rimarrà il mio uomo per tutta la vita. Voglio essere Debra Gheorges, la casa, la chiesa, di Giorgio. E porterò in me, per sempre, il tuo sigillo. Sii dolce, sii latte e miele."

Mi baciò voluttuosamente, lasciando cadere lo sciamma.

"Mariàm..."

"Non mi vuoi?"

"Sei bellissima, ma desideri proprio quello che hai detto?"

"Si, un'impronta tua, per tutta la vita."

Fu qualcosa d'indescrivibile. Luna di miele. Bianchezza di luna, negli occhi estatici di Mariàm. Dolcezza di miele, linfa di vita, che scivola soave nella paradisiaca valle delle delizie. La nostra prima notte.

Scrivo questi brevi e sempre attuali ricordi, mentre, nella camera accanto, nella sua culla celeste, dorme il piccolo Georghes, succhiandosi il pollice.

Mariàm, appena alzatasi dal letto, con la sua cortissima, velata camicia da notte, é venuta a darmi il buongiorno. Si é seduta sulle mie ginocchia. La sua lingua provocante lambisce la mia bocca, vi s'intrufola, prepotente, cerca la mia, l'avvolge, la trascina tra le sue labbra bramose, succhiandola avida. Percepisco il suo agitarsi desideroso, i suo fianchi inquieti, la prensilità delle sue natiche invitanti, il calore della sua carne. La carezzo tra le gambe.

"Ancì, nik nik alle?"

"Aò ghietà, si signore, io voglio busù nik nik. Tanto."

Dalla finestra ci protegge l'ombra del Cupolone.

Mariàm, con suo marito, torna nel grande letto che chiamano Dire Dawa.

Ed é sempre come allora.

ULISSE
ULISSE
18 Seguaci
12
Per favore, dai un voto storia
L’autore apprezzerebbe un tuo feedback.
Condividi questa Storia