A Quiet Indulgence 02

Informazioni sulla Storia
Continuazione della settimana dell'uomo con un dono inusuale.
1.7k parole
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Parte 2 della serie di 3 parti

Aggiornato 07/01/2022
Creato 03/10/2012
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A Quiet Indulgence II

-- confessions of a lover -

Martedì

Solitamente la cosa che aborrisco sopra ogni cosa è il fare un regalo ad una collega d'ufficio. Specifico al femminile perché, per quanto abbia già specificato quanto ami ogni donna, tuttavia trovo immensamente arduo l'insinuarmi sotto la loro pelle per vedere il mondo con i loro occhi. Dunque se pensavate che l'essere capace di amare tutte e ognuna sia come un lasciapassare diretto alle menti delle donne per indagare esattamente what women want, vi sbagliate. Di grosso. Il problema con il scegliere un regalo per una collega è che bisogna fare un eccezionale sforzo mentale per anticipare i pensieri che affioreranno quando lo scarteranno trepidanti.

Mi spiego: se ricorro al vecchio trucco di un regalo di utilità (un portapenne di pelle, un temperamatite automatico, un portalettere di velluto... tutti doni che un collega uomo invece apprezzerebbe enormemente), lei potrebbe balzare alla conclusione che la mia sottosviluppata mente da scapolo trentacinquenne si sia fatta di lei l'idea di una povera sfigatella la cui intera esistenza ruoti attorno alla sua vita in ufficio.

Identico il processo mentale qualora le regalassi un bijoux o simili cianfrusaglie: fraintenderebbe la scelta come un patetico tentativo di fare colpo o peggio come mal celato suggerimento di cambiare gusti ornamentali.

La lista dei 'no, perché...' potrebbe prolungarsi all'infinito, ed è per questo che detesto fare regali a colleghe.

Questa donna in particolare non volevo assolutamente offendere, in virtù delle splendide fantasie a cui mi aveva --inconsapevolmente- condotto: non era soltanto perché era la segretaria, ma erano quelle squisite calzine di seta e pizzo che si metteva ogni venerdì (dopo lavoro veniva a prenderla alla porta il suo fidanzato) ad avermi portato a possederla sette volte nell'ultimo mese. L'ultima delle quali era stata talmente vivida che lei aveva dovuto chiedere di tornare a casa un'ora prima del solito perché 'mi sento un po' strana'.

Tuttavia malgrado quanto le sue calzine del venerdì mi attizzassero, era pur sempre una donna a cui dovevo fare questo giorno un regalo.

Tra gli infiniti mali scelsi quello che avrebbe fatto più male al sottoscritto, sperando che lei, accorgendosene, avrebbe forse giudicato con maggiore bontà il mio dono. Così oggi pomeriggio sono andato a Sephora.

Prima che prendiate il mio gesto come contraddittorio rispetto a quanto precedentemente detto, chiarisco che ero pur'io al corrente del rischio che comportava l'acquisto di articoli di bellezza: ma ero disperato. E, ripeto, speravo che quando avrebbe scartato il pacchetto e posato gli occhi prima sul vistoso logo del negozio e poi sul mio sguardo martirizzato avrebbe provato pietà.

Vagai attraverso gli scaffali, circumnavigando (ma pur sempre apprezzando) abilmente le commesse volenterose e i sali da bagno al cioccolato, profumi nauseabondi, pinze d'aspetto minaccioso, limette, spugne terapeutiche, deodoranti futuristici.

Con crescente disperazione mi tuffai nella sezione dei rossetti.

Devo ammettere che non sono contrario al trucco. Se applicato con maestria, conferisce un velo particolarmente intrigante al volto femminile: nasconde, cela, occulta qualcosa --non necessariamente un difetto-, bensì un altro viso che ella intende rivelare solo dopo aver raggiunto un certo grado di intesa. Il riconoscere l'onnipresenza dello stilletto nel loro stivale è come ammettere che i fili dei burattini li tiene sempre lei, l'arma segreta è sempre in suo pugno, l'uomo è sempre in scacco in sua compagnia.

E poi alzai gli occhi dallo scaffale e vidi la donna di oggi.

Le mie giornate sono densamente popolate di donne: ognuna che incrocio per strada viene tacitamente e mentalmente apprezzata, chi in maggiore e chi in minore grado a seconda della situazione e dell'umore. Ma ce n'è sempre una capace di farmi completamente girare la testa dal desiderio. Quei momenti sono per me la vera seduzione, poiché spesso non posso possederle lì, immediatamente.

C'è chi potrebbe pensare che il fatto che possa potenzialmente scoparmi mentalmente qualsiasi donna io voglia mi rende capace di concretamente farlo quandunque io voglia. Ma non è così. Ho bisogno di tempo, ho bisogno di concentrazione, nessun preliminario va saltato. Dunque, in quei casi ove la possibilità immediata non mi è concessa, anch'io devo esperire la curiosa danza della seduzione: il desiderio irrefrenabile di avere, ma l'impossibilità in quel determinato tempo e spazio di farlo veramente. E allora devo dare la caccia alla mia preda, colei che mi ha attratto in questo modo lancinante, devo trovare il modo di codurla nell'occasione perfetta ove farla mia.

E questo era il caso della donna di oggi, di questo martedì.

La prima cosa che mi colpì di lei fu il fatto che non fosse truccata. Era un controsenso vivente: una ventottenne dalla pelle vergine di qualsiasi tipo di maquillage sepolta nel più grande negozio di cosmetici della provincia. Ovvio, forse era qui anche lei per trovare un regalo per la sua migliore amica... Ma quell'aura di intesa fre lei e se stessa che aleggiava in ogni suo gesto mi tolse ogni dubbio: quella donna era qui perché intendeva farsi un dono.

La seconda cosa che colpì, strappandomi il fiato per l'intensità dell'impatto, fu l'accorgermi che stavo contemplando la sua immagine riflessa in uno dei tanti specchietti affissi ai ripiani. Il cerchio inquadrava alla perfezione i suoi zigomi alti, guance pallide, ciglia lunghe, occhi leggermente a mandorla, fronte incorniciata da qualche ciocca castana sfuggita alla morbida coda di cavallo: il suo intero viso che si contemplava meditabondo.

Trovai dunque istantaneamente ammaliante, eccitante il fatto che dalla mia angolazione potessi ammirare non soltanto il suo volto nello specchio, bensì anche tutto il retro del corpo: schiena dritta, camicetta lilla, gonna grigia, il contorno sfocato dell'allacciatura del reggiseno, le pieghe storte sui gomiti dove le maniche erano state stirate male, le parigine con gli orli matematicamente allineati a metà coscia, fondoschiena modellato come dalle mani di uno scultore di marmi, deliziose scarpette di camoscio. Vedere allo stesso tempo nuca e viso di una donna mi fece uno strano effetto: iniziai a fantasticare, a supporre presuntuosamente che si fosse messa di proposito in quella posizione per lusingarmi con la visione del volto e metà corpo contemporaneamente. Voleva farsi ammirare da più angolazioni.

Credo che fosse allora che decisi che lei era la donna del giorno e che dovevo assolutamente averla. Mi sentivo quasi in diritto di toccarla con il pensiero, semplicemente perché avevo compreso i suoi due segreti, perché era come se la conoscessi da tempo, come se fossi diventato il suo confidante ed in cambio del mio silenzio lei si sarebbe dovuta concedere a me.

Faccio spesso queste simulazioni mentali di giochi di ruolo: tutto è possibile nei propri pensieri. In un attimo posso rendere la cameriera di McDonalds una principessa e io lo stregone, la cassiera al supermercato la dottoressa ed io il paziente, l'autoritaria dirigente d'azienda un'umile schiava sottomessa al suo padrone... E' divertente. Non devo nemmeno sborsare per i costumi da cosplay: nella mia mente tutto è già come lo voglio io.

Ma questa volta ciò che rese irraggiungibile e dunque ancora più seducente la mia donna fu la mia maledetta curiosità.

Esatto: non potei saltarle addosso e strapparle aperta sulle scapole quella graziosa camicetta, mi fu proibito stringere con entrambe le mani le sue natiche sode mentre la pettinatura si scioglieva da sé per la violenza del nostro ondeggiare. Questo perché i miei occhi caddero su un particolare che non avevo ancora notato, il quale mi inchiodò al corridoio incapace di concentrarmi pienamente sulla mia libido.

Ero ipnotizzato dal rossetto scarlatto che lei teneva mollemente fra le dita. Dovevo assolutamente scoprire che cosa avesse intenzione di farci.

Non dovetti attendere a lungo. Era rimasta sospesa a studiarsi l'immagine allo specchio, come per tentare di fissarne il ricordo per l'eternità: piegata leggermente in avanti, le natiche maliziosamente sollevate dal movimento e le gambe tese, quasi in punta di piedi per avvicinare ulteriormente il volto alla superficie. Pareva volesse baciarsi.

Poi di scatto sollevò il braccio, socchiuse voluttuosamente le labbra porgendole al rossetto mentre inclinava la testa all'indietro, e si passò il colore sulla carne.

L'atto mi parve così autoerotico che dovetti per un attimo distogliere lo sguardo, solo per poi rivolgerlo nuovamente a ciò che i miei sensi reclamavano a gran voce. Mi sentivo spodestato, come se lei avesse preso il mio posto e stesse facendo l'amore con se stessa in quel semplice gesto.

La scena era talmente intima che mi accorsi di essere un intruso, fuori posto, un invasore. Avevo appena assistito a qualcosa che quella donna avrebbe potuto recitare di fronte alla specchiera del suo bagno ogni mattina, prima di andare a lavoro, nuda, ancora calda dopo la doccia bollente, i capelli umidi che le solleticavano la schiena, in punta di piedi e chinata verso lo specchio, natiche tese di un rosa arrossato dal recente sfregamento con l'asciugamano che ora giaceva a terra.

Si sarebbe messa il rossetto.

Ma questa era una donna che sapevo non si truccava mai: il suo gesto era una violazione del candore delle sue labbra carnose e desiderabili, vergini ad ogni offesa di colore (soprattutto quel colore).

Casostrano, ella scelse proprio quel momento di riflessione per storcere la bocca in una miriade di posizioni diverse, come una coreografa professionista che analizza il lavoro delle sue ballerine --vi fu un attimo durante il balletto in cui intravidi la sua linguetta da dietro le quinte -. Poi abbandonò la sua aria trasognata di inquietante civetteria e, quasi irata, si ripulì la bocca con il dorso della mano. Il colore sbavò, colò, macchiò ed intrise non solo metà gancia sinistra ma anche la mano colpevole dell'estrema dissacrazione: dannazione a me, questa donna pareva proprio intenzionarsi allo scoparsi la sua bocca. Quel sentimento di dolorosa inappartenenza mi stritolò di nuovo, quasi l'avessi sorpresa ad accarezzarsi silenziosamente nella calda familiarità delle sue lenzuola. Ero un estraneo.

Fu per quello che me la lasciai sfuggire --oh, non per sempre. Ogni donna è mia, lei non è un'eccezione.

Infatti quando alla cassa, mentre sborsavo il tutt'altro che modico prezzo di un rossetto scarlatto per la mia collega, si avvicinò una donna con il portafoglio già aperto per pagare un burro cacao, fui lesto a leggere il suo nome stampato su una carta.

La vedo ancora adesso, mentro poso la penna perché mi fa male la mano, rossa in volto mentre le sussurro allontanandomi dalla cassa baciati ancora per me.

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  • COMMENTI
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1 Commenti
aiinaaiinacirca 9 anni fa
sei..

semplicemente unica!!! :) :) :)

che bello leggerti ;)

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