Visto Da Lei

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ULISSE
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Mi svegliai avvertendo la mano che mi carezzava. Si soffermava sul petto, scendeva lungo il corpo, sfiorava il grembo. Sentivo che, a quello sfioramento i miei riccioli s'arruffavano, la mia vagina palpitava. Feci finta di dormire ancora. Lui era di fianco. Mossi la gamba per toccarlo. Incontrai la sua eccitazione. Stavo correndo verso il precipizio...

Baratro? Perché? Non era precipitare, era salire, ascendere, elevarsi, sempre più in alto... si, ascendevo il colle della voluttà, sempre di più, stavo per raggiungerne la vetta, per la prima volta nella vita, una vetta meravigliosa, straordinaria... ero in cima... in cima... l'orgasmo mi invase senza che potessi controllarmi.

Lui diede a intendere di uscire dal sonno in quel momento. Alzò la testa, mi guardò, mi baciò gli occhi pieni di gioia e di lacrime.

Dunque, era quello il piacere. E si era trattato solo di una carezza.

Al ritorno non parlammo molto, sul trenino.

Quando salimmo sul tram, alla stazioncina, per tornare a casa, c'era molta gente Forse era l'ora. Dovemmo fermarci in piattaforma. Io, in piedi, guardavo la strada che s'allontanava. Lele era dietro di me, pigiato dalla folla, lo sentivo. Avevo la sensazione che mi cercasse, volesse esplorarmi col suo sesso eccitato. Io avevo il desiderio di sentirlo sempre più profondamente. Ricordavo le parole: 'chiappette prensili', e volli dimostrargli che non s'era affatto sbagliato.

A casa ognuno andò direttamente nella sua camera.

Decidemmo di uscire per la cena. Proprio di fronte c'era una pizzeria.

Riuscimmo a parlare del più e del meno. Ma ognuno sentiva il disagio dell'altro. Ci attendeva una notte, nella stessa casa, soli.

Ogni tanto lo guardavo, di soppiatto, e cercavo di capire cosa stesse pensando. Di quando in quando scuoteva lievemente la testa. Certo era perplesso.

Quella giornata mi aveva sconvolto, e non credo che per lui fosse trascorsa senza qualche confusione, specie alla sua età quando un giovane è sempre in cerca della femmina.

Come lo capivo. Io, alla mia età, stavo tormentandomi per sentirmi di un maschio.

Non era tardi, quando rientrammo.

Mi aveva preso sottobraccio, teneramente.

A casa mi aveva guardato, seriamente.

Ne percepivo la violenta eccitazione che dominava. Lui, certamente, sentiva la mia.

"Direi di prepararci per la notte, Lele. Che ne dici?"

Annuì. Andò nella sua camera. Come al solito, lasciò la porta aperta e potei, così, mentre, nudo, stava per indossare i pantaloncini del pigiama, accertarmi della sua prepotente erezione. Era magnifico, l'elemento che mi mancava. Di proporzioni considerevoli, si ergeva dal bosco del suo pube, come una massiccia stele fallica, più di quanto anelava il mio sesso. C'era di che colmare, e come, il vuoto che mi straziava il ventre.

Mi chiusi nella mia camera.

La preparazione, quella sera, durò più del solito.

Indossai la corta camiciola. Mi rimirai nello specchio.

Aprii la porta.

"Lele, vieni qua."

Accorse immediatamente. Sembrava spaventato. Non si rendeva conto del perché l'avessi chiamato. Quando fu sulla porta, e mi vide, con addosso il solo velo trasparente della cortissima camicia, restò come folgorato, con gli occhi spalancati. Gli tesi la mano:

"Vieni."

Andai ad adagiarmi sul letto.

"Spegni la luce."

Si accostò a me.

"No, voglio vederti."

Era eccitatissimo.

Mi sollevò la camicia, la tirò con forza, la sfilò completamente. Rimase qualche istante, estatico. Si chinò, mi baciò sulla bocca che si schiuse avida, ne accolse la lingua, la ciucciò vogliosa. La sua mano mi carezzava il petto, il ventre, tra le gambe. Con gesti rapidi e decisi, lascio cadere i pantaloncini. Sollevai le gambe, poggiandomi sui talloni. Ero tutto un palpito. Lo sentii sistemarsi tra le mie gambe, gli presi il glande, lo poggiai sull'orifizio della vagina, riccamente lubrificata, che avevo sentirsi allungarsi e dilatarsi per riceverlo, impaziente. Malgrado ciò, quell'imponente palo ardente e pulsante, mi dilatò ancor più, a mano a mano che mi penetrava, e avvertivo che lo stavo incantevolmente avvolgendo, attanagliando in me, fin quando lo sentii premere sull'utero. Sensazione sconosciuta, stupenda. Prese a stantuffare con vigore, e ad ogni energica spinta mi sentivo salire, e poi precipitare, per risalire ancora. Mi parve di sprofondare in un oceano senza fondo. Le mie gambe s'erano avvinghiate sul suo dorso. E lui continuava, stavo per perdere cognizione di quanto mi accadeva, ecco, naufragavo, i miei continui orgasmi mi sconvolgevano, trascinavano verso un abisso di voluttà, fui invasa dall'ondata del suo caldo sperma. E il naufragar fu dolce in questo mare.

Giacque su me, pago ma non domo.

Allungai la mano, raggiunsi i testicoli, sentivo che si muovevano e nel contempo stava nuovamente lievitando in me.

Lo liberai dalle mie gambe. Le mie labbra lambivano il suo orecchio.

"Mettiti supino."

Uscì da me mal volentieri, sfilando a malincuore il lungo brando dalla sua ardente guaina. Si distese sul dorso, sempre con la lancia bene in resta, un vermiglio obelisco che svettava tra il bosco dei suoi riccioli scuri e imbevuti dei nostri umori. Mi sentivo l'amazzone in procinto di balzare sul suo purosangue. Quando capì la mia intenzione, i suoi occhi luminosi splenderono ancor più. Li ghermì le mammelle, e il ventre si contrasse. Lo assorbii con voluta inebriante lentezza, ondeggiando adagio, al piccolo trotto. Ma la cavallerizza era esigente, passò al galoppo, sempre più animato, sconvolgente e travolgente, fin quando non raggiunse trionfante il più voluttuoso dei traguardi.

Mi distesi su lui, e non mi accorsi di assopirmi. Non avevo mai provato una tale sensazione, di protezione, distensione, dolce abbandono.

Filtravano le prime luci del giorno. Mi volle ancora. Non attendevo altro.

Non potrò mai dimenticare, e nemmeno lo voglio, quei giorni. Soprattutto le notte. Ma non solo, perché Lele era sempre desideroso di un 'riposino' che consisteva, poi, nel far riposare il suo 'guerriero' nella mia fremente ed accogliente alcova.

Per gli altri, sarebbe monotona e ripetitiva, la cronaca dei nostri giorni.

Per me era esaltante, varia, sempre nuova.

Sentivo il desiderio di gridare ai quattro venti la mia felicità.

Sapete, sono raggiante, allegra, contenta, appagata. Per la prima volta nella mia vita.

Pensai che l'unica persona con la quale mi potevo confidare, confessare: il vecchio e buon Padre Sebastiano.

Era prestissimo quando baciali lievemente Lele, che riposava al mio fianco.

"Lele, mi sono ricordata che devo andare dal dentista."

"Ti accompagno."

Lo disse pigramente, senza aprire gli occhi.

"Riposa, è qui vicino, ci metterò pochissimo. Sono la prima, alle otto."

"Così presto?"

"Almeno non dovrò attendere tornerò subito da te. Porterò i maritozzi con la panna."

Mormorò qualcosa, si voltò dall'altra parte.

Mi preparai rapidamente, in silenzio, richiusi piano la porta, senza far rumore. La chiesa era a pochi metri. Entrai, una penombra accogliente che ispirava il raccoglimento. Padre Sebastiano era già nel confessionale, mi inginocchiai. Lo sportello della grata si aprì. Il solito saluto.

"Cosa devi dirmi, figlia mia?"

Andai direttamente all'argomento.

"Padre ho una relazione con un uomo."

Certamente mi aveva riconosciuto.

"Sposato?"

La sua voce era calma, paziente, affettuosa, umana, comprensiva.

"No, padre."

"Giovane?"

"Si."

"Più di te?"

"Si."

"Lo conosci da molto?"

"Si."

"Lo conosceva anche tuo marito?"

"Si..é..é il figlio di suo fratello.."

Rimase un attimo in silenzio.

"E' incesto, figlia mia, incesto, un rapporto impuro, non casto, come vuole dire il termine. Devi pentirtene, devi promettere, col cuore, che non commetterai di nuovo questo peccato. Devi troncare questa innaturale relazione. Hai capito?"

Lo ascoltai attentamente.

"Si, Padre, ho capito, ma sento il bisogno di riflettere, sull'accaduto e sul futuro. Vorrei meditare. Torno da lei al più presto. Mi benedica."

"Io ti benedico, figlia mia, ma è soprattutto la benedizione del Signore che devi impetrare, e che potrai avere solo se ti comporterai come ti ho detto. In nome del Padre...."

Mi alzai. Uscii dalla chiesa.

Rapporto non casto, impuro... relazione innaturale... Che vuol dire. La natura si è espressa in noi e tra noi come meglio non avrebbe potuto. E tutto quello che è naturale non può essere impuro, peccaminoso.

Pentirmi? Di che cosa. Una donna libera e un uomo libero si amano, fondono le loro carni. Dove è il peccato, la colpa, il crimine, la trasgressione?

Di conseguenza non ho niente da promettere.

Ero dinanzi alla latteria. Entrai, comprai due morbidi maritozzi imbottiti di freschissima panna.

Fui di ritorno prima del previsto. Lele dormiva.

Mi cambiai in fretta, silenziosamente. Preparai la colazione, andai a sedere sul letto, vicina a Lele. Gli sfiorai il viso con una carezza. Uscì lentamente dal sonno. La prima cosa che fece fu di infilare una mano nella vestaglia e di salire tra le mie gambe. Incontrò le mutandine.

"Cosa è 'sta roba inutile. Toglila. Togli tutto. Mica siamo nati vestiti."

Fu il suo modo di darmi il buongiorno.

Ero felice di esaudirlo.

Ero in piedi. Il suo volto all'altezza del mio pube. Mi afferrò le natiche, si avvicinò a me, la sua lingua s'era intrufolata tra le gambe che s'erano schiuse. La ricevetti eccitata, mi cercava, esplorava, titillava il clitoride, si infilava nella vagina. Ero in preda al mio solito paradisiaco piacere.

"Voglio sentire le tue natiche mentre entro in te."

Salii sul letto, mi posi carponi, con la testa sul cuscino.

"Aprile."

Feci quello che mi chiedeva. Le mie dita, tremanti, le divaricarono.

Ora era il suo poderoso glande che mi 'spennellava', partiva dal clitoride, lentamente sfiorava il perineo, si soffermava sul buchetto che sentivo pulsare. Tornava indietro, ripeteva il percorso. Quando lo sentii all'ingresso della vagina beante, diedi un colpo di reni, lo accolsi con prepotenza, e lui sprofondò in me, mentre le sue mani mi tormentavano il seno, poi passavano al clitoride. E sentivo il battere dei suoi testicoli, ogni volta che la sua verga era quasi completamente in me. Il mio orgasmo precedette il suo, si ripeté, e quando il suo seme si sparse rivissi l'acme della voluttà. Era bello, e lui non dava segno di attenuare l'erezione. Lo sentii uscire lentamente, e riprendere la spennellata di prima. Questa volta, però, andava spandendo il suo balsamo, e ne aveva cosparso il buchetto. Il suo glande era li, scivoloso e insinuante, spingeva, sempre più decisamente. Non riuscivo a rilassarmi, ad agevolarlo. Eppure, volevo contentarlo, anche se dovevo provare dolore. Sentivo il mio buchetto contrarsi e poi distendersi. Ebbi l'istinto di premermi. Ecco, stava introducendosi. Lo sfintere diminuiva la resistenza, mi sembrava che un enorme batacchio mi stesse lacerando. No, stavo dilatandomi... anche se con qualche difficoltà, e finalmente sentii che era entrato completamente in me. Li non aveva trovato nulla che limitasse il percorso. A mano a mano che i tessuti si distendevano, sentivo un ché di piacevole, accresciuto dalla mano che mi frugava tra le gambe. Si, stavo godendo, incredibile, quella 'occupazione' mi procurava piacere. Sempre di più, e prima ancora che il suo caldo fluido mi riempisse, conobbi un nuovo ed eccezionale orgasmo. Si, era bello sentirlo li dentro.

Lele rimase così, a lungo.

Uscì con una lentezza esasperante. Mi baciò.

"Grazie, sei stata bellissima."

"Sono prensili?"

"Divinamente."

Quando sedemmo, a tavola, per la colazione, non nascondo che avvertii un qualche fastidio. Cessò rapidamente. Ero bramosamente pronta per nuove dosi di 'dio guarisce'!

L'unico mio tormento era l'incertezza del futuro.

Quanto sarebbe durato quell'eden incantevole?

L'unico rimedio era di goderne al massimo finché potevo rimanervi.

Non mi ero accorta del trascorrere dei giorni e, guardando il calendario, distrattamente, mi accorsi che era già superato il giorno delle mie regole.

Non so descrivere ciò che s'affollò nella mia mente.

Ero incinta!

Sgomento....

Ero incinta!

Tenera esultanza: un figlio di Lele!

Ero incinta!

Conclusi che non dovevo perdere la testa.

Pensare ad avere un figlio, e da Lele, era da folli.

Dovevo interpellare un medico. Già, c'era la dottoressa Evans, italo americana, ginecologa, che mi aveva già visitato, in altre occasioni, e che mi aveva assistito durante la prima gravidanza. Le telefonai, presi appuntamento.

"Lele, dove andare dal medico."

Mi guardò con una certa preoccupazione.

"Perché?"

"Niente... cose di donna..."

"Quando devi andarci?"

"Domattina."

"Vuoi che ti accompagni?"

"Non credo sia il caso."

"Aspetterò giù, al portone."

Margaret Evans, mi visitò accuratamente. Non c'era dubbio, ero incinta.

Ascoltò attentamente le mie perplessità. Disse di comprenderle. Non c'era che un piccolo e rapido intervento. Pochi minuti, e potevo tornare a casa.

Le chiesi come fare per evitare di ritrovarmi nella stessa situazione.

Capì che non potevo chiedere al mio partner di usare profilattici. Lui non sapeva niente del mio stato, né doveva saperlo, né immaginare, almeno per ora, le possibili conseguenze del nostro rapporto.

Margaret Evans mi disse che lei stava sperimentando, personalmente e per alcune pazienti, un certo tipo di applicazione locale, già adottata in USA, che aveva un'altissima percentuale di sicurezza. Le chiesi se potevo profittarne. Mi disse di si, ma che la cosa doveva restare strettamente riservata, perché le leggi vigenti non ne consentivano il ricorso. Ero, logicamente, d'accordo.

'Allora' –aggiunse- 'possiamo procedere subito al raschiamento col cucchiaino smusso, e tra tre giorni, torni per l'applicazione.'

Mi dette alcune gocce sedative del dolore, soprattutto utili per il rilassamento della parte, dopo qualche minuto mi sdraiai sul lettino ginecologico. Applicò un divaricatore, per mantenere ben aperto l'orifizio vaginale, con una speciale spatola spalmò le pareti d'una crema per rendere asettico l'ambiente, sentii che stava introducendo qualcosa nel collo dell'utero. Disagio, fastidio, più che dolore. Quasi non mi accorsi che aveva già finito. Il cucchiaino, insanguinato, era nella bacinella, una particolare siringa stava procedendo ad una lavanda astringente e disinfettante.

'Ora' –disse- non rimuova il tampone che le ho messo fino a dopodomani, quando tornerà qui, e prenda trenta gocce del preparato che le darò, Ogni tre ore oggi, saltando dalla mezzanotte alle sei, e dopo ogni sei ore. Nessuno sforzo, per favore.'

Mi alzai, stavo abbastanza bene, un po' confusa. Forse l'effetto del sedativo.

Disse di attendere qualche minuto prima di andar via.

Lele era ai piedi delle scale, col volto accigliato.

Aveva atteso quasi due ore.

"Sei pallida..."

"Niente, tutto bene."

"Aspetta, non ti muovere, cerco un taxi."

Avemmo la fortuna che ne stesse passando uno, dinanzi al portone, proprio in quel momento.

A casa, pretese che mi sdraiassi sul letto.

Gli dissi che andava tutto bene, e che, non doveva preoccuparsi di nulla, Marietta stava per arrivare.

Mi misi sul letto, così vestita com'ero. Mi baciò teneramente. E sentii come una fitta nelle viscere.

Quando giunse Marietta, le dissi cos avrebbe dovuto preparare.

Dopo meno di un'ora, decisi di alzarmi. In effetti mi sentivo bene. Andai nel bagno portando la vestaglia da camera. Mi detti una rinfrescata, cercai di attenuare il residuo pallore del volto, tornai in tinello, in vestaglia. Lele mi fece sedere in poltrona.

Lo ringraziai, gli presi le mani. Era in piedi, di fronte a me.

"Per qualche giorno, Lele, non potremo fare l'amore..."

"Possiamo stare vicini, però."

"Certo, ma senza... eccitarmi, senza emozioni sensuali..."

"Mi basterà tenerti tra le mie braccia."

"Non chiedo altro, tesoro."

Il ritorno alla normalità fu totale e completo. La ginecologa mi assicurò, dopo la famosa applicazione, che potevo riprendere la vita di prima.

La ripresi, e fu sempre più meravigliosa.

Lele non ha mai saputo la ragione di quella mia indisposizione.

Neppure quando, col trascorrere del tempo e le sue occupazioni, il nostro rapporto, sempre entusiasmante e elettrizzante, divenne sempre meno frequente. Lui dice che nessuno mi darebbe i miei attuali cinquant'anni, mezzo secolo, ed è esaltante sentirselo dire da un baldo trentatreenne che ancora mi colma... di delizie e di sé.

Ecco perché non so proprio di cosa dovrei giustificarmi, e tanto meno pentirmi.

ULISSE
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